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Autore: Ruri    18/09/2011    3 recensioni
Tutti hanno cominciato da qualche parte. La storia di alcuni inizia nella tenebra, la storia di altri si conclude in essa invece. Il Capricorno è la Porta dello Spirito ed annuncia la notte più lunga dell'anno: e Shura di questa notte vivrà ogni singolo, eterno, istante.
Guest Star: la Nonna di Shura.
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Capricorn Shura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Azimuth

-Lo Scudo e la Spada-

 

 

L’anziana aggrottò le sopracciglia e raccolse in grembo i fagioli che andava sgranando, osservando curiosa la figura che s’inerpicava senza difficoltà per il sentiero. Quando il sole al tramonto le rimandò agli occhi un bagliore metallico decise di alzarsi, sistemando i legumi nel cesto accanto alle gambe e raccogliendo le lunghe gonne.

Lanciò un’occhiata attorno a sé, senza riuscire a vedere il bambino: probabilmente era finito come sempre ad esplorare qualche angolo del pendio e sarebbe ricomparso, puntuale, solo all’ora di cena. 

Meglio così. Un impiccio di meno a cui badare per ora. 

Aspettò a braccia conserte che la figura si avvicinasse ancora, rivelandosi quella di una giovane donna con addosso degli abiti quanto meno inconsueti. Mai come la maschera che le nascondeva il volto, comunque.

“Siete arrivati, alla fine.” esordì la vecchia signora, per nulla intimorita da quella presenza estranea davanti a casa sua.

La ragazza chinò il capo in un educato segno di saluto e fissò lo sguardo sulla vecchia. 

“Era tempo.” rispose con tranquillità.

“Entra, meglio parlarne prima che ritorni.” ordinò l’anziana, spalancando la porta della casetta.

“E porta dentro quel cesto.” aggiunse con tono di comando, come chi è abituato a dare ordini ed essere repentinamente obbedito.

 

“Non vi sembra un po’ presto?”

“Non vado a questionare gli ordini che mi arrivano. Questa è stata la decisione del Santuario e io obbedisco.”

L’anziana grugnì, porgendo un bicchiere d’acqua alla sua ospite “Al solito non è cambiato niente. Ma ha solo sei anni.”

“L’età giusta per cominciare l’addestramento, lo sapete anche voi.” 

Kanan, Silver Saint dello Scudo, si sistemò comodamente sulla sedia di legno, prendendo fra le mani il bicchiere che le era stato offerto. Malgrado il viso fosse nascosto dalla maschera metallica l’accento, i lunghi capelli neri e la pelle brunita davano parecchi indizi sulla sua origine orientale. Ma per quanta forza potesse emanare la giovane Saint era niente in confronto all’anziana e all’aura di autorità che l’ammantava, rinforzata dai capelli candidi e da un fisico per niente deperito: una nonna poderosa.

“Se lui lo vorrà, ovviamente.” specificò l’anziana donna, lanciando alla ragazza un’occhiata maliziosa. 

“Ha sei anni, l’avete detto anche voi. Che cosa potrebbe sapere della scelta che è chiamato a compiere? E’ il suo dovere e lo compirà, non c’è altra strada.”

“Lui sceglierà, giovane Saint. E vedrai che lo farà con giudizio. La Dea chiama a sé i suoi guerrieri ma non costringe nessuno di loro a combattere per Lei: se la scelta non fosse libera lei sarebbe una divinità ingiusta e fasulla e non meriterebbe i sacrifici fatti in suo nome.”

Kanan si alzò di scatto, fissando la vecchia, e l’astio nella sua voce fece ben intuire quale fosse la sua espressione.

“Nutro del rispetto profondo per voi e so che anche al Santuario vi tengono in grande considerazione, ma questo non vi dà il permesso di bestemmiare!”

“Calmati, ragazzina. Se non sei in grado di tenere a bada i tuoi nervi come pensi di riuscire ad addestrare un bambino? Seduta!”

Batté con violenza la mano sul tavolo e Kanan si ritrovò ad obbedire prima ancora di aver realizzato di averlo fatto. 

“Ora riprendiamo con calma il discorso.” riprese la vecchia, riprendendo a sgranare i fagioli. “Javier arriverà a breve, è sempre molto puntuale. A quel punto potrai parlare con lui ma ti sconsiglio di trattarlo da stupido: avere sei anni non vuol dire essere imbecilli. E se dovesse decidere di venire con te non fare l’errore di guardarlo dall’alto in basso: ti garantisco che è in grado di renderti la vita un inferno.”

Kanan annuì, infastidita da quella situazione. Il suo addestramento era terminato da un po’ ed ecco che si ritrovava a dover gestire un bambino e quella vecchia inacidita. Sapendo poi a cosa quel ragazzino era destinato!

Non sarebbe stato facile, per niente. Ma certi sacrifici, per la Dea, si fanno.

Le due donne passarono l’ora seguente in perfetto silenzio: l’una impegnata in tranquille faccende domestiche che svolgeva con precisione e rapidità, l’altra che si limitava a guardare fuori dalla finestrella il sole che scompariva dietro le cime dei Pirenei. 

Nel momento preciso in cui anche l’ultimo raggio di sole scomparve la porta si aprì e un bambino troppo alto per la sua età entrò nella casetta. Fece qualche passo all’interno e poi rimase immobile a fissare quello strano ospite, con gli occhi blu fissi sulla maschera di Kanan.

“Non essere maleducato, Javier.” lo riprese bonariamente la nonna, nascondendo rapida un sorriso. 

“Buonasera.” sillabò il bambino, obbediente, passandosi una mano fra i capelli neri e scompigliati da una giornata di gioco per sistemarli un minimo ed avere un aspetto più ordinato davanti agli estranei.

“Salve a te.” 

Kanan ricambiò lo sguardo incuriosito del bambino, ben conscia del suo aspetto peculiare. Si era già preparata un lungo discorso per far capire a quel ragazzino con chi aveva a che fare, e cosa avrebbe dovuto affrontare da quel momento in poi, ma la voce di Javier le bloccò le parole in gola.

“Sei un Saint di Athena, vero?” chiese, ma la sicurezza nel tono del giovane era tale da rendere la frase più un’affermazione che una domanda.

La risata fragorosa della nonna riecheggiò nella casetta, mentre Kanan ringraziava sentitamente che la maschera nascondesse lo sconcerto che le si era dipinto sulla faccia.

 

La prima volta che aveva sentito parlare dei Saint Javier aveva quattro anni. E quando hai quattro anni e tua nonna si mette a raccontarti di giovani eroi che combattono per difendere la Giustizia sotto la guida di una Dea Fanciulla, lo prendi come una bella favola ma niente di più. All’inizio la nonna aveva riso della sua incredulità, poi pian piano l’aveva convinto che da qualche parte (un posto lontano che si chiamava Grecia a quanto pare) c’erano questi ragazzi, questi eroi, pronti a dare la vita per il resto dell’Umanità.

A quattro anni Javier era rimasto estasiato dall’idea. Non aveva voluto crederci da subito per non rimanere deluso, ma la nonna non era tipo da raccontare frottole e lui si fidava ciecamente: se lei diceva che c’erano allora c’erano. 

“E io potrò diventare come loro?” le aveva chiesto una volta, raggomitolato su una poltrona con una tazza di latte caldo in mano. La nonna aveva sorriso e gli aveva pettinato indietro i capelli, senza alcun successo.

“Forse un giorno. Ma è una vita di grandi sacrifici sai? Tutta la luce che li circonda, la luce della Giustizia, fa nascere anche ombre profondissime. Solo chi è molto sicuro e molto motivato può diventare come loro, altrimenti rischia di morire lungo la strada.”

“Io non ho paura, nonna.”

“Male! Dovresti averne invece. Non preferiresti vivere tranquillo e sereno? Non è necessario essere eroi per forza.”

Javier fissò con serietà la tazza, come se dal latte potesse comparire all’improvviso una risposta soddisfacente per sua nonna.

“Hai ragione nonna.” mormorò “Però io penso che sarei più felice se fossi uno di loro che a rimanere qui per sempre.”

La nonna sorrise, con un velo di tristezza negli occhi blu. Un Saint lo si riconosce da subito.

“Anche se mi mancheresti tantissimo, nonna!” esclamò Javier, abbracciando l’anziana signora in uno slancio d’affetto decisamente inconsueto per lui.

Così quando Kanan era arrivata sui Pirenei si era trovata buona parte del lavoro già fatto; e se da un lato la cosa le tornava comoda, dall’altro sentiva traballare il suo già precario ruolo d’istruttrice. 

“Sì, sono un Silver Saint di Athena, Kanan dello Scudo.” si presentò, decidendo di cambiare approccio con quel ragazzino che le avrebbe portato altrimenti più di un problema.

Javier tese la mano destra, serio e compunto come solo un bambino di sei anni convinto di doversi comportare come gli adulti sa essere, presentandosi a sua volta: “E io sono Javier”

Quando Kanan gli strinse la mano sul viso del bambino si dipinse un sorriso allegro, nato dalla soddisfazione di sentirsi preso in considerazione da uno dei suoi Eroi.

Allora forse, nonostante tutto, ha sei anni davvero.

 

La Luna per Javier non era mai stata bianca.

Gialla, azzurrina, a volte inquietantemente rossa ma bianca, quello mai. E gli piacevano quelle notti in cui sbirciava fuori dalla finestra, con la nonna che dormiva rumorosamente nel letto accanto al suo, e si perdeva a fissare la luna piena che illuminava d’azzurro le montagne.

Quando si ritrovava sotto un cielo pieno di stelle, nelle notti di novilunio, le trovava opprimenti. La nonna rideva di questa sua sensazione, arruffandogli i capelli neri.

“Le stelle indicano la strada da percorrere, la Luna l’illumina. Ed è normale che si abbia paura della strada buia e si guardi con speranza alla luce. Ma dovrai imparare anche a camminare nella tenebra.”

Javier non capiva granché di quel discorso ma annuiva, allungando le mani per farsi passare il pane. Un giorno avrebbe capito, ne era certo. Un giorno si sarebbe trovato in una notte senza luna e avrebbe compreso, perfettamente, cosa volesse dire avanzare nell’oscurità.

Ma questo doveva ancora accadere e, per ora, doveva solo impegnarsi a non inciampare nel sentiero. Kanan si voltava ogni tanto per controllare che il bambino le stesse dietro, senza per questo ridurre di molto la cadenza del suo passo: gli allenamenti cominciano da subito e non val la pena essere gentili prima e spietati poi; meglio mantenere una linea coerente.

Javier trotterellava sul sentiero senza perdersi d’animo e senza osar chiedere una luce ulteriore a quella gialla della Luna, soprattutto senza lamentarsi per le ginocchia sbucciate dalle tante cadute. Era incuriosito dalla capacità di Kanan di saltare da una pietra sporgente all’altra senza il minimo problema, come se fosse sempre vissuta fra quelle montagne.

Che come impressione non era poi così sbagliata, visto che la Silver Saint dello Scudo si era allenata sulle Alpi ed era abituata ai paesaggi montuosi, ma questo il piccolo Javier non lo poteva immaginare e si era ben guardato dal chiederlo.

“Siamo quasi arrivati.” annunciò Kanan dopo circa un paio d’ore di cammino e Javier non poté far altro che annuire, troppo stanco per ricordarsi come si articolava una frase decente.

Dietro la maschera Kanan sorrise per la testardaggine di quel piccolo allievo. Non che la Nonna non l’avesse avvertita ma una cosa è saperlo, un’altra toccarlo con mano. 

Arroccata sul fianco della montagna si distingueva la forma di una baita, semi nascosta fra le rocce e dall’aspetto un po’ malandato. Vero è che quando sei così stanco che le gambe sembrano essersi staccate dal tronco e camminare per conto loro fai poco caso al paesaggio e al lusso del tuo rifugio: speri solo che ci sia un angolo dove gettarsi per riposare qualche ora.

La porta scricchiolò e Kanan entrò tranquilla, muovendosi al buio i primi istanti senza la minima difficoltà. Corrente elettrica, lassù, non ce n’era e accese un paio di candele per illuminare il tanto sufficiente la casetta. La luce gialla riempì di calore la sala principale, con un angolo destinato ai pasti e un grande tavolo tondo al centro. Kanan aprì una porta e fece entrare il suo esausto allievo in quella che sarebbe stata la sua stanza almeno per i prossimi tre anni: nient’altro che un loculo con un letto in ferro battuto e un materasso di paglia, una minuscola scrivania scheggiata e un baule. Javier avrebbe notato l’arredamento solo la mattina dopo, perché si limitò a far cadere lo zaino per terra e ritrovarsi subito addormentato sul letto, ancora vestito.

Kanan rise piano, chiudendosi la porta alle spalle. Per lei la notte era appena cominciata e sarebbero passate molte ore prima di prendersi il meritato riposo.

Si sedette al tavolo della sua stanza, non molto più grande di quella del suo allievo, e appoggiò sul tavolo il plico di pergamene che si portava dietro dal Santuario.

Alcune l’aveva lasciate alla nonna e una parte di lei era stata rosa dalla curiosità quando si era ritrovata a consegnare a quella vegliarda una lettera del Grande Sacerdote in persona. Ma per il resto si trattava della burocrazia del Santuario, quelli che erano stati gli appunti del suo addestramento, alcune vecchie lettere sgualcite e le notizie relative al suo allievo.

Mise tutto da parte tranne gli ultimi fogli che distese sul legno con le dita per esaminarli meglio. Li aveva letti e riletti mille volte da quando era stata convocata dal Grande Sacerdote e le era stato comunicato il suo incarico: andare in Spagna, nei Pirenei, per cominciare l’addestramento di quel bambino predestinato.

Kanan non aveva la minima voglia di stare lì. Intanto, in generale, i bambini non le piacevano. In più l’idea di addestrare qualcuno le piaceva ancora meno: mettersi in cattedra non era mai stata una sua aspirazione. L’unica cosa che l’aveva convinta era stato il suo profondo senso del dovere.

Un ordine può piacere o non piacere ma va eseguito, le recriminazioni possono venire solo dopo ed è sempre meglio che non vengano.

Si tolse la maschera e sbadigliò. La notte stava finendo, presto avrebbe dovuto svegliare Javier per cominciare le lezioni.

Anche la nonna era ancora sveglia. Quando aveva salutato il nipote l’aveva fatto con un sorriso, i sorrisi che portano fortuna alla vigilia delle partenze, ma ora che si ritrovava sola di nuovo non poteva non sentire la mancanza di quel bambino. Ed era preoccupata perché sapeva, sapeva molto bene, quanto dura fosse la strada che stava cominciando a percorrere.

Gli sarebbe dispiaciuto se fosse morto in cammino.

E c’era qualcosa, nell’aria, che la faceva rabbrividire e le portava un pessimo presentimento riguardo al futuro di Javier.

Per fortuna, o per disgrazia, non era che una sensazione. 

 

Athena Glaucopide aveva deciso dall’Era Mitologica che per essere considerate Saint le donne fossero costrette a rinunciare alla loro femminilità. Aveva tolto loro il volto, nascondendolo dietro ad un velo di metallo riflettente, obbligandole a mantenere il segreto sui loro lineamenti pena la morte dell’incauto che le scorgeva. O l’amore. Ma per una Saint difficilmente l’amore era un’alternativa accettabile.

Kanan trovava la maschera estremamente utile. L’aiutava a non palesare dubbi o incertezze davanti a nessuno, tanto meno a quel bambino troppo adulto per i suoi anni. Poteva fissarlo a braccia incrociate senza che la pietà prendesse il sopravvento e ogni volta che Javier alzava il viso in cerca di conforto non trovava altro che il freddo metallo. Gli sembrava di fissare una statua.

Antica, potente, immobile. Incapace di aiutare un bambino con un carico fin troppo gravoso sulle spalle.

“Se non resisti, morirai.”

Semplice, concisa, cristallina. 

Inappellabile.

Javier strinse i denti e afferrò la pietra scabra, ferendosi le mani. Gli occhi gli bruciavano per via del sudore ed era coperto da numerosi graffi, più o meno profondi; i lividi poi non si contavano. Avevano quasi persino smesso di fargli male.

Continuò ad arrampicarsi, spinto avanti dalla sola forza di volontà. La forza fisica l’aveva abbandonato venti metri più in basso e da quel momento era rimasto incollato alla parete di roccia solo per istinto di sopravvivenza: non voleva morire.

Soprattutto però non voleva fallire. 

Così continuò ad arrampicarsi, un metro dopo l’altro, come una lunga agonia. Quando finalmente arrivò in cima non aveva più la forza per respirare: rantolava in cerca d’aria, pulendosi la faccia sporca di polvere, sudore e sangue.

Kanan non lo aiutò a rialzarsi, rimase a fissarlo e basta. Quando vide che il bambino da solo non ce l’avrebbe fatta allungò un braccio e l’afferrò per la collottola, tirandolo in piedi di peso.

“Se questo basta a fiaccare il tuo corpo e il tuo spirito allora abbiamo molto da fare.”

Javier rispose con un gemito stanco, incapace di articolare una sola parola.

Era pur sempre un bambino.

D’ora in poi è un Saint

Kanan era grata alla maschera. Javier non l’avrebbe vista sorridere mentre lo riportava, tenendolo in braccio, fino alla capanna. 

Si prese cura delle sue ferite e lo lasciò riposare sul letto per qualche ora. Allenare il suo fisico non era sufficiente, erano molte le cose che avrebbe dovuto imparare e soprattutto quel bambino doveva diventare in grado di controllare l’enorme Cosmo che la Dea gli aveva donato.

Altrimenti avrebbe portato la Tenebra sul mondo e non la Luce.

 

Javier alzò la testa e la lasciò ricadere sul cuscino soffocando un grido. Gli faceva male ogni singolo osso, e duecento ossa doloranti sono un qualcosa di atroce da sopportare.

Per come si sentiva avrebbe dichiarato con estrema sincerità che gli facevano male anche i capelli.

“Alzati.”

Kanan lo fissava da sopra il letto, per niente ammorbidita. Si era trasferito lì ormai da sei mesi ma della sua Maestra sapeva ancora a malapena il nome e la costellazione che la guidava. Non che fosse un ficcanaso, Javier. Se la Silver Saint dello Scudo non voleva parlare dei fatti suoi era liberissima di non farlo, soprattutto con un bambino di sei anni.

Ma un po’ di umanità in più gli avrebbe fatto piacere. Neanche la Nonna si lasciava mai andare in dimostrazioni d’affetto troppo generose, ma lui riusciva a cogliere comunque quanto fosse amato da un singolo sguardo, da una mano che gli passava fra i capelli, da un buffetto sulla guancia.

Kanan lo toccava il meno possibile.

Con un estremo atto di volontà Javier si tirò a sedere, spostando le coperte di pelle di capra. Tenevano caldo nelle freddi notti dei Pirenei. Presto sarebbe scesa la neve e allora ci sarebbe stato anche il gelo contro cui combattere.

Zoppicando leggermente Javier si sedette al tavolo per la colazione: del cibo non si lamentava mai; un po’ perché di solito aveva troppa fame per capire cosa stava ingurgitando, un po’ perché comunque si trattava di ricette semplici ma gustose. Di certo non voleva farlo morire d’inedia.

“Sai cosa sono gli atomi?”

Javier osservò Kanan dall’altra parte della tazza di latte e scosse il capo, lentamente. Non era sicuro di riuscire a parlare quindi trovò più prudente non farlo.

“Gli atomi è ciò di cui ogni cosa è composta. Dal più infinitesimale granello di polvere alle stelle stesse. Io e te siamo fatti di atomi.”

Javier deglutì, ascoltando con attenzione.

“Il Cosmo è il potere delle Stelle. E’ un frammento del Big Bang rimasto dentro al corpo degli uomini che sono in grado di bruciarlo per compiere dei veri e propri miracoli. Quel che il Cosmo fa, più materialmente, è agire sugli atomi. Li divide, ferma il loro movimento o li accelera. Ognuno di noi Saint usa il Cosmo in maniera diversa... c’è chi con esso è in grado di richiamare le energie fredde, chi le fiamme, chi può mandare controcorrente un’intera cascata.”

“E tu? Tu cosa fai?”

Kanan arretrò un attimo il capo, perplessa da quella curiosità tutta infantile. Per Javier quello era il seguito dei racconti di sua Nonna e voleva saperne di più. Un giorno sarebbe stato in grado anche lui di usare il Cosmo, ne era certo.

Lo sentiva nella pancia, da qualche parte, che pulsava e brillava. Stava lì, in attesa che lui fosse in grado di padroneggiarlo. Era un Cosmo pericoloso: affilato.

Ma ora era curioso soprattutto riguardo a Kanan, così incrociò le braccia sul tavolo e ci appoggiò il mento, fissandola con gli occhi troppo azzurri, deciso a soddisfare la sua sete di sapere.

“La cosa non deve interessarti. Non è come io sono in grado di manipolare il Cosmo che ti riguarda, ma come sarai in grado di farlo tu.”

Javier sbuffò, deluso. Si aspettava qualche grande racconto di epiche gesta compiute da quella Silver Saint e invece era rimasto con un pugno di mosche.

Kanan sorrise, non vista. Ma la sua voce era dura.

“Tornando a ciò che stavo dicendo, prima che tu m’interrompessi con le tue domande inopportune, il Cosmo può essere modellato in svariate forme. Ma la base è sempre quella e tu devi imparare a padroneggiarla. Imparare a frantumare i legami fra gli atomi.”

“E come si fa?”

Kanan si alzò, appoggiandosi al tavolo.

“E’ esattamente per trovare la risposta a questa domanda che ci alleneremo oggi. E se non sarai in grado di compiere quel che ti chiedo, sappi che riceverai una punizione.”

Javier si alzò di scatto. Non perché fosse spaventato dall’idea di essere punito, sia chiaro. Ma perché era curioso di quello che stava andando ad imparare. Con il Cosmo sarebbe stato finalmente un vero Cavaliere, come nelle fiabe.

Avrebbe difeso i deboli e gli oppressi, combattendo in nome di Athena.

Un Eroe.

La seguì, un po’ zoppicando un po’ saltellando, fuori dalla capanna. Il cielo era una coltre uniforme di nuvole, come un mantello grigio appoggiato sopra le cime dei Pirenei. Già nell’aria si sentiva l’odore della neve, pungente e freddo. Poi sarebbe arrivato il ghiaccio che inganna, facendo scivolare anche il piede più esperto, rompendosi con un rumore secco di risata.

Kanan aveva smesso di temere il gelo da tempo: a Bombay la neve non l’aveva mai veduta ma sapeva dai racconti degli anziani che sul Tetto del Mondo quel gelido manto era una copertura quasi perenne. E sulle Alpi aveva imparato che non è necessario essere il Tetto del Mondo per essere patria del gelo.

Così avanzava tranquilla, come sempre aveva fatto, incurante delle condizioni metereologiche. Javier sbuffava e saltellava dietro di lei, strofinandosi ogni tanto le braccia con le mani per riscaldarsi. Abituarsi al freddo è una cosa, uscire d’inverno sui Pirenei a maniche corte un’altra.

Kanan si fermò solo davanti ad un’imponente parete di roccia, che sovrastava tutto il paesaggio. Alzò lo sguardo, fissando il cielo coperto.

Spero nevichi presto pensò e che il cielo poi schiarisca per permetterci di vedere le stelle. Proprio ora sono necessarie.

Riabbassò la testa, osservando quel bambino malridotto. 

In quei sei mesi era diventato più alto, i muscoli avevano cominciato persino a definirsi. Non era sembrato un bambino fin dall’inizio, ora meno che mai. C’era una serietà, nel suo sguardo, che avrebbe fatto tremare più di un adulto. Ma Kanan era un Saint, anche se aveva solo quattordici anni.

Neanche lei li dimostrava.

Passò una mano sulla roccia, cercando con un lieve strato di Cosmo tutte quelle microfratture di cui ogni cosa è composta. Su quelle avrebbe fatto leva una persona addestrata, percependole. Javier non ne era in grado, ancora.

Ma aveva la capacità in potenza e lei doveva aiutarlo a tirarla fuori. 

“Distruggi questa roccia.”

“...cosa?”

Per un attimo Javier rimase incredulo a fissare la Maestra. Forse aveva sentito male.

“Hai capito. Distruggila. Voglio che tu la riduca in mille pezzi.”

“E come?”

“Con il Cosmo, Javier. Hai la forza per farlo e io lo so meglio di chiunque altro. Quindi fallo, e basta.”

Kanan si spostò di lato, in attesa. 

Javier fissò la roccia, poi la sua Maestra e di nuovo la roccia. Non sapeva bene da che parte cominciare. Avrebbe dovuto colpirla sì, ma prendere soltanto a pugni un sasso gli avrebbe fracassato le nocche senza ottenere alcun risultato.

Cercò di concentrarsi, trovare quel potere di cui Kanan parlava. Ma non riusciva a focalizzarlo, indirizzarlo. 

Poteva solo andare per tentativi. 

Soppesò i pugni, stringendo la mano destra. Kanan lo guardò stupita: Javier era mancino.

Il bambino cercò d’incanalare tutto il Cosmo che era sicuro di possedere. Stringerlo nella mano destra per schiantarlo contro la roccia.

Prendendo leggermente la rincorsa colpì il masso con furia. Uno scricchiolio angosciante riecheggiò, mentre il viso gli si deturpava in una smorfia di dolore.

Non ha usato la mano sinistra perché sapeva che se la sarebbe rotta. 

Javier si accasciò in ginocchio, stringendosi contro il ventre la mano insanguinata. Kanan osservò la roccia, sfiorandola di nuovo.

Sorrise, ma nessuno poteva vederla.

“Abbiamo ancora molto lavoro da fare, a quanto pare.” mormorò, impassibile come sempre.

Sotto le sue dita percepiva che una crepa, molto più profonda delle altre, si era sviluppata nel cuore del masso.

Ma guardando il ragazzo a terra con la mano in frantumi, non poteva non rendersi conto che c’era veramente molto lavoro da fare, ancora.

Ma anche che presto lui sarebbe stato in grado di compiere miracoli a lei preclusi.

 

Una coltre uniforme, bianca. Risplendeva anche di notte, ingannando i viaggiatori che, incauti, posavano il piede su quello spesso strato di neve scoprendo poi, a loro spese, come fosse sottile invece la roccia che li stava sostenendo.

I crepacci erano pieni di fantasmi che ad ogni nevicata tornavano fuori. Ululavano nel vento della tormenta, afferrando le caviglie dei montanari per trascinarli giù, con loro.

Kanan non li temeva, aveva imparato a conoscerli e loro la rispettavano: sapevano di non avere la forza per tirarla giù. Avrebbero voluto prendersi il bambino, invece. Tante volte, non visti, avevano tentato con le loro mani di neve.

Ma Kanan sorvegliava attenta che nessuno spettro conquistasse il suo allievo. Un giorno Javier avrebbe accolto i fantasmi nel proprio cuore, senza ricordare la stretta di neve sulle caviglie, e a saperlo Kanan avrebbe pianto di frustrazione.

Non lo sapeva, mentre guidava con passo sicuro il ragazzo fra i sentieri dei Pirenei.

Non lo sapeva e si limitava a fare attenzione, pronta a sorreggerlo nel caso scivolasse sulla neve infida. Javier non aveva bisogno di sostegno, malgrado tutto.

Alzò lo sguardo sul cielo terso, pieno di stelle. Gli pesava sulle spalle quel cielo, come se ogni stella lo pungolasse. La notte non riusciva a fargli paura ma quelle luci, lassù, talvolta erano in grado di riempirlo di timore.

Perso com’era con il naso all’insù si fermò appena in tempo per non andare a sbattere contro la sua Maestra. Nascose con attenzione lo sbadiglio, sforzandosi di rimanere sveglio e vigile nonostante la stanchezza e la dolce promessa della neve.

Traditrice, la neve. 

Kanan fece altri due passi, ancora, e si sedette su una sporgenza, incurante di bagnarsi. Rapido, anche se meno sicuro nel suo cammino, Javier l’imitò.

“Conosci le stelle?”

La Silver Saint dello Scudo fissava il cielo e sembrava serena. Per quanto Javier fosse in grado d’interpretare il suo stato d’animo sotto la maschera.

“La Nonna me le insegnò, anche se non tutte. Le più importanti.”

“Le più... importanti. E in base a cos’hai deciso che una costellazione sia più importante dell’altra? Per via della luminosità delle sue stelle? O per il mito che le circonda? O forse perché alcune proteggono e guidano guerrieri molto più potenti di altri?”

Javier le lanciò un’occhiata ma non si fece intimidire da quelle obiezioni.

“Quelle più facili da riconoscere, che anche un bambino come me fosse in grado di memorizzare. Avrebbe avuto poco senso parlarmi delle costellazioni dell’emisfero australe: non le posso vedere da qui.”

“Eppure la loro luce brilla intatta. Non parlare mai d’importanza, quando si tratta di stelle. Anche se appaiono fioche e deboli sono in realtà colme di potere. Ma non sempre questo potere viene rivelato.”

Javier si strinse le ginocchia al petto, per mantenere un po’ di calore corporeo. L’inverno era cominciato e si faceva più gelido ad ogni istante.

“Dov’è lo Scudo?” chiese, curioso.

“Non puoi scorgerlo adesso. In questa parte del mondo è visibile solo d’estate. E’ una costellazione piccola, fioca. Eppure la Nube che lo circonda fa brillare tutta la Via Lattea”

Sorrideva, Kanan, lo si capiva dal tono di voce.

“Le notti invernali appartengono ad altre costellazioni. Sai qual è la tua?”

Kanan si voltò a guardarlo, la domanda ancora fresca sulle labbra di metallo. Ma Javier era troppo impegnato a fissare il cielo, in alto sopra la sua testa. Fra tutte quelle stelle non c’era niente che lo chiamasse a sé, niente che sentisse appartenergli in maniera specifica.

Abbassò il capo, sospirando. No, non lo sapeva. 

E con lo sguardo sulla linea dell’orizzonte la vide e seppe di avere parte di sé in cielo. E sapere di non poter dare un nome, ancora, a quell’ammasso di stelle non era realmente importante.

Perché la loro forza era in lui, profondamente, come raggi del Sole.

“Laggiù”

L’indicò, esultante. Laggiù sono io. Quello, sono io. 

Capricorn

Javier rimase in piedi ancora qualche istante, perso a fissare le stelle che non gl’incutevano più timore. Ora aveva trovato la strada, la sua strada, e l’avrebbe percorsa fino in fondo.

Ma era un nome altisonante, Capricorn. Un nome colmo di aspettative, e di luce. Javier non era sicuro di essere in grado di diventare Capricorn. Eppure lo era, nel più profondo del suo animo.

“La tua è una strada buia, Javier”

Il ragazzo si voltò, ferito da quella semplice frase. Buia? Proprio ora che sapeva dove guardare in cielo per trovare conforto?

“Il Capricorno è la Porta dello Spirito. Annuncia la notte più lunga dell’anno. Annuncia le Tenebre che devono vincere, perché la Luce possa risorgere. Ed è il Capricorno a portare con sé queste Tenebre, spargendole sul mondo in attesa che, un giorno, la Luce torni a trionfare. Ci può essere molta gioia nell’attesa trepidante della Luce che il Capricorno in qualche modo annuncia. Ma è pur sempre il momento più buio dell’anno.”

Fra tutti i miti e le spiegazioni astronomiche questa, Javier, avrebbe preferito non sentirla. Fissò nuovamente le stelle, tornando a sedersi.

“E cosa vorrebbe dire? Che dovrei fare per permettere alla Luce di trionfare?”

“Non ne ho idea” Kanan ridacchiò, sotto la maschera. “Ovviamente devi seguire i dettami di Athena, esserle fedele anche quando sarà più facile dimenticare i tuoi doveri. Non mettere mai te stesso davanti alla Giustizia, Javier. Mai”

Per la prima volta, da mesi, allungò una mano per afferrargli la spalla. “Ci sono ordini che non ti piacerà ascoltare eppure li dovrai eseguire lo stesso, perché è quello che ti viene richiesto: fedeltà, fermezza e dedizione. Pensi di essere in grado di farlo?”

Javier sorrise, un sorriso sottile e troppo serio ma pur sempre un sorriso, e annuì. 

“Il fatto che la strada da intraprendere sia difficile non mi spaventa”

“Certo che no, sei fin troppo ambizioso per spaventarti per così poco. E troppo severo con il mondo per accettare che ha delle debolezze”

Kanan sorrise di nuovo, insolitamente allegra. 

“Non ti rendi neanche conto di quali sono le tue.”

Javier sbuffò, mettendosi a braccia conserte. 

“Maestra, sei ingiusta. Non puoi bocciare così, a priori, tutto il mio impegno.”

“Non è quello che boccio. E’ la tua mancanza di emozione”

Kanan si alzò, facendo un passo verso il baratro. Un fantasma da sotto le sfiorò la caviglia, facendo vorticare la neve. Lei non gli diede attenzione.

“Sei teso ad un solo obiettivo e le tue rinunce ti fanno onore, senza alcun dubbio. Ma stai perdendo troppo o forse non l’hai mai posseduto” si voltò, fissando Javier dietro occhi di metallo in cui si rifletteva il cielo pieno di stelle.

“Devi imparare ad essere più flessibile, a perdonare gli errori altrui ed anche i tuoi. Sei spietato, Javier. Con te stesso e con gli altri”

Javier rabbrividì, come se ogni parola lo colpisse nel profondo.

Eppure, nell’animo, si sentì offeso. Perché lo stava riprendendo così duramente? Non aveva forse sempre compiuto il suo dovere con abnegazione?

Si era mai lamentato degli allenamenti inumani? Proprio lei, che mai si era dimostrata qualcosa di diverso da una statua, ora gli rimproverava di essere poco emotivo?

Nel caso, forse, anche lei si sarebbe dovuta fare un esame di coscienza!

Kanan gli appoggiò le mani sulle spalle, obbligandolo a guardarla.

“Essere severi va bene. Essere freddi, distaccati, anche. Ma non lasciare mai, mai, che il tuo cuore s’inaridisca per questo. La Dea Athena è amore: se non sei in grado di amare non sei in grado di servirla”

“E tu ami, Kanan? Ami qualcosa?”

La domanda gli uscì prima che fosse in grado di fermarla e, potendo, se la sarebbe rimangiata volentieri. Ma il danno ormai era fatto, a poco sarebbe valso recriminare.

Kanan si allontanò appena e annuì.

“Amo molte cose. Amo la mia patria, che non vedo da anni, con i suoi colori brillanti che qui non siete in grado di riprodurre. Amo i miei compagni con i quali ho vissuto l’allenamento. I miei maestri. E persino te, allievo testardo e cocciuto”

Javier sorrise di nuovo, un sorriso un po’ meno adulto e un po’ più profondo rispetto ai soliti. Una volta tanto, sorridevano anche i suoi occhi.

“Persino me.” ripetè, allegro.

Lassù, fra la neve le stelle e i fantasmi, Javier non poteva immaginare quanto profonda sarebbe stata la Tenebra che avrebbe portato.

Nè che gli avrebbe scolpito per sempre il rimorso nel cuore.

 

Kanan appoggiò la mano sulla testa di Javier e sospirò. 

Due anni e quel bambino era diventato alto quasi quanto lei. 

Javier sorrise, piano. Aveva compreso la sua Maestra da un po’ e sapeva quand’era il caso di lasciarsi andare a confidenze e quando invece era meglio evitare le domande. Sapeva anche che pochi giorni prima era arrivata una lettera importante e da quel momento la Silver Saint era parsa turbata. Non era un ficcanaso ma ci aveva dato un’occhiata comunque, in un momento di distrazione di Kanan, e il sigillo del Santuario su quella missiva non preannunciava nulla di buono.

Era in grado di riconoscerlo facilmente: l’aveva visto su antiche lettere che la Nonna conservava in un baule. Pagine ormai vecchie e rovinate che non si era mai azzardato a toccare per paura che diventassero polvere all’istante.

“Sei cresciuto troppo in fretta.” mormorò Kanan, con una vena di nostalgia nella voce. Si era affezionata davvero a quel bambino e ammetterlo non era facile.

“Ho una buona Maestra.”

La Silver Saint sorrise di nuovo, dietro la maschera. Javier si lasciava raramente sfuggire commenti positivi: preferiva tenerli per sé. Una volta gliel’aveva chiesto, tranquillamente, e lui aveva risposto così: “I pregi si conoscono. Sono i difetti che uno cerca di non vedere. Non ha senso incensare qualcuno su qualcosa che già sa... se voglio davvero aiutarlo è meglio che gli faccia vedere dove sbaglia”

“E tu non sbagli mai, Javier? E un modo di pensare molto arrogante il tuo”

“Ma non è sbagliato” 

A quel punto aveva sorriso, innocentemente, e Kanan non era riuscita a correggerlo. Non aveva in effetti tutti i torti eppure il suo comportamento gli avrebbe causato di sicuro qualche guaio nei prossimi anni.

Avrebbe imparato con il tempo e con l’esperienza: ci sono cose che non s’imparano se non dopo averle subite sulla propria pelle. 

E Javier aveva ancora molto da imparare. Gliel’avrebbe insegnato volentieri lei stessa eppure sapeva che il suo compito, ormai, era giunto al termine.

Un Silver Saint può allenare un Gold Saint fino ad un certo punto. Lui stava per raggiungerla e questo era noto ad entrambi, anche se non ne parlavano mai. 

Così tanto potere! In un ragazzo così giovane. Oh, Athena! Siamo sicuri che sia in grado di gestirlo? Perché ho questo nero timore che finirà per essere schiacciato dalle Stelle che dovrebbero guidarlo?

“Cosa ti preoccupa, Kanan?”

Lei non rispose, sedendosi al piccolo tavolo scheggiato che campeggiava al centro della capanna. Non poteva certo rivelare al suo allievo i dubbi che l’attanagliavano: lui non avrebbe saputo risponderle e l’avrebbe solo fatto preoccupare.

“Domani devi partire”

Javier alzò appena un sopracciglio, il massimo del suo stupore. Non che la notizia gli arrivasse davvero così improvvisa come voleva far credere ma sentirselo dire in questo modo, netto, lo prese un po’ in contropiede.

“Perché?”

Perché. Non Per dove.

Kanan intrecciò le dita sul tavolo e sollevò lo sguardo, rigida. “Perché tutto quel che potevo io ormai te l’ho insegnato. Non c’è altro che possa fare per te... hai un destino da compiere e non potresti farlo rimanendo qui.”

Javier provò a dire qualcosa ma lei lo interruppe, alzandosi.

“Capricorn. E’ a Capricorn che viene affidata la Spada Sacra di Athena. E’ lui il suo Saint più fedele, l’unico degno di brandirla. Per dimostrare di esserne degno tu devi recarti in Grecia. E io non posso accompagnarti.”

Javier la fissò, rimuginando silenzioso su quanto lei gli stava dicendo.

Lo sapeva tutto questo, lo sapeva già da tempo. Si era impegnato fino a sfiorare la morte più volte proprio per riuscire ad essere degno di Excalibur.

Ma l’idea di lasciare i Pirenei lo spaventava. Non l’avrebbe mai ammesso con Kanan, faticava persino a farlo con sé stesso, ma lasciare quelle montagne era perdere una parte di sé. 

“In Grecia.” ripeté, lentamente.

Poi, niente più che un sussurro: “Mi mancherai, Kanan.”

Lei l’udì ma non rispose. Non c’era niente da rispondere, in effetti. Le separazioni sono sempre state dolorose eppure è meglio un taglio netto che un lento stillicidio. Il Santuario le avrebbe dato altri compiti e lei li avrebbe svolti al meglio.

Ricordando, ogni volta che qualcuno avesse nominato il Nobile Capricorn, che aveva avuto la gioia di conoscerlo quand’era, ancora, solo Javier.

 

 

 

 

 

Southern Tropic

 

 

 

Orbene. Questo è un progetto piuttosto impegnativo, me ne rendo conto. Un paio di spiegazioni sono quindi d'obbligo:

Almuncantarat: è un termine astronomico ed indica i cerchi minori della sfera celeste, paralleli all'orizzonte.

Azimuth: altro termine astronomico, in termini semplici è l'angolo che si forma fra il Nord e la perpendicolare di un punto (es. una stella) sul piano orizzontale. Spiegarlo lo rende più complesso di quello che sia in realtà!

Altri chiarimenti d'obbligo.

Che Shura si chiami Javier è mia personalissima interpretazione, non correlata da alcuna fonte ufficiale. Che sia mancino mi piace pensarlo perché nel manga, durante lo scontro con Shiryu, utilizza la sinistra. Anche questa è mia interpretazione che può piacere come no.

Kanan dello Scudo è un personaggio originale e mi appartiene. E' carina, malgrado tutto, e spero che le vogliate bene. Se qualcuno dovesse obiettare che un Silver Saint dello Scudo esiste già posso solo rispondere che per la mia sanità mentale preferisco non considerare gli OAV. Davvero, se lo facessi impazzirei.

La Nonna di Shura invece è un personaggio epico ed appartiene unicamente a sé stessa. Nel caso voleste sapere da dove nasce siete liberi di mandarmi un messaggio; intanto io spero di averla tratteggiata al meglio. Mi raccomando: temetela. Ella è più potente di quanto appaia.

Come ho detto all'inizio questa fic m'impegna parecchio, sia perché amo Shura in maniera viscerale, sia perché si tratta di qualcosa per i miei standard piuttosto lunga. I capitoli delle mie fic, di solito, si concludono entro le due/tre pagine. Questo è solo il primo e sarà probabilmente il più corto, ed è già oltre le 10 pagine. Siate quindi comprensivi se non mi vedrete aggiornare di frequente: c'è un sacco di roba da scrivere. Detto ciò, grazie in anticipo a chi userà il suo tempo per leggere quel che ho scritto: spero che giunti qui l'abbiate apprezzato.

   
 
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