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Autore: CaptainKonny    20/09/2011    2 recensioni
Ho cercato di dare un pò di sollievo a Patrick, ma come tutti sapete per poter essere felici prima bisogna risolvere un sacco di problemi. Una Jisbon in cui Charlotte è ancora viva e questa è l'ultima mossa di John il Rosso... cosa succederà?
"So di aver fatto una cosa alquanto impossibile, ma ho voluto provare a fare qualcosa di diverso, una mia piccola e fantasiosa curiosità. Fatemi sapere che ne pensate... ;) :)"
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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MA TU NON PASSERAI… PERCHE’ SEI AMORE

MA TU NON PASSERAI… PERCHE’ SEI AMORE

 

POV. CHARLOTTE

 

Parlano di te,

le stelle mentre io cammino

parlano di te

i fiori ai bordi della strada

come una poesia

ascolto le persone,

tutti parlano di te, che sei nell’aria

vola un aereoplano e lascia la sua scia

scrive in mezzo al cielo il tuo nome in mezzo a un cuore

e sognare…

per te che sei, per te che sei

l’unica cosa che vorrei

per te che sei…. La mia vita

 

Era la mattina del quarto giorno quando un tocco leggero sulla spalla mi svegliò. Era Teresa. Ci sorridemmo. In quei giorni che eravamo state a stretto contatto ci eravamo conosciute meglio e avevo avuto così modo di capire del perché mio padre si fosse innamorato così tanto di lei. Il sole entrava dalla finestra sulla destra della stanza, e le pareti bianche non facevano altro che accentuare la sua luce. Sbadigliai e mi stropicciai gli occhi. Inarcai la schiena per potermi sgranchire, in fin dei conti rimanere tutto il giorno e tutta la notte sulla stessa sedia nella medesima posizione non era il massimo. Ma d’altronde se si sta in un ospedale non ci si poteva aspettare di meglio. Come sempre, dopo quel breve scambio di sguardi, ci voltammo a guardare quel volto che dormiva placido e sereno sui cuscini candidi. I riccioli biondi sempre scompigliati erano sparsi sul letto, i lienamente finalmente rilassati, non più turbati da alcuna preoccupazione. Ogni volta che pensavo ai giorni appena trascorsi mi veniva da sorridere. Com’era buffo che una vicenda tanto triste e drammatica potesse finire così bene e con tante novità. La sua mano tra le mie (ovviamente quando non era tra quelle di Teresa quando io ero a prendere un caffè al bar del piano di sotto). E pensare che avevo avuto così tanta paura di perderlo. Ricordo quella notte in cui John il Rosso si arrabbiò perché gli avevo detto che volevo bene a mio padre. Era per questo che aveva tentato di ucciderlo. Forse in realtà l’unica cosa che gli era sempre mancata era qualcuno che gli volesse bene. E com’era buffo che io mi fossi affezzionata in così poco tempo a lui. Quella volta avevo avuto tanta paura di perderlo. Ricordo di averlo chiamato, più volte, ma lui non aveva mai risposto. Teresa mi aveva preso tra le sue braccia e mi aveva cullato finchè non avevo smesso, finchè non mi ero addormentata sopraffatta dalla stanchezza e dal peso di quella giornata. La bella notizia ce la diedero i paramedici dell’ambulanza che Hotchner aveva chiamato. Era ancora vivo. Il proiettile lo aveva colpito al torace, aveva perso molto sangue, ma era ancora vivo. E notizia ancora più bella, ce la diede il medico dell’ospedale, quando uscì da quelle porte grigie per dirci che se la sarebbe cavata. Avrebbe soltanto dovuto aspettare alcuni mesi prima di tornare a saltare e giocare come un ragazzino. A quell’affermazione io e Teresa ci eravamo guardate pensando la medesima cosa: non sarebbe servito farlo stare in piedi, a lui per fare il ragazzino bastava la bocca… e anche le mani. Mi alzai per far sedere Teresa, che occupò subito il mio posto.

-Perché non vai a fare un giro?- mi domandò seriamente preoccupata Teresa.

La guardai ed annuii. Effettivamente fare un po’ di movimento mi avrebbe fatto bene.

-Okay. Vado al bar se hai bisogno di me.- le dissi.

Ci impiegai pochi minuti ad andare di sotto e ordinare un caffè. Bevvi il liquido scuro che mi riempì subito la bocca del suo sapore dolce ed intenso. Appena lo finii tornai di sopra. Non riuscivo a stare lontana da quel letto per più di pochi minuti. Quando entrai però mi fermai sulla soglia a bocca aperta, come una scema. Lisbon era in piedi, il volto rigato di lacrime e un sorriso di contentezza dipinto in volto, gli occhi luccicanti dalle lacrime e dalla felicità, china su Jane; sveglio. Jane mi guardò con quelle sue pozze azzurre, tranquillo e contento, senza problemi. Sentii il cuore scoppiarmi in petto dalla felicità. Mi catapultai su di lui. Gli gettai le braccia al collo, stando attenta a non fargli male dove aveva la ferita. Lo abbracciai forte, per quello che mi consentiva quell’assurda posizione perlomeno. Sentivo le lacrime di tutti quei giorni venire a galla e inumidirmi gli occhi. Jane mi strinse a sua volta affetuoso. Respirai a fondo il suo profumo di cannella. Quando lo guardai stava sorridendo, come me.

-Iniziavo a temere che non ti saresti più svegliato.- gli dissi. Lui mise il broncio.

-Bugiarda. Sapevi che mi ci sarebbe voluto ancora poco tempo. Lo sapevi.- mi disse. Aveva ragione. In un qualche modo sentivo che non sarebbe mancato molto. Era come se fossimo collegati con un cavo satellitare.

-Il medico è già stato qui. Ha detto che se tutto va bene domani potrà uscire.- mi disse –Così saremo sicuri che non romperai le scatole a tutti gli infermieri del reparto.- reclamò a lui, da mamma sapiente. Lui sbuffò.

-Oh, andiamo Lisbon! Non sono poi così insopportabile. Altrimenti non saresti qui.- fece lui birbacchione. Teresa arrossì vistosamente. Colpita a segno.

Patrick e io ci guardammo e sorridemmo pensando la stessa cosa.

 

3 GIORNI DOPO:

 

POV. LISBON

 

Passa il giorno, passano le ore

Passa il tempo, passa anche il dolore

Passa tutto ma tu non passerai… Amore....

Gira il mondo, passa la tempesta

Cambia il vento e ritorna il sole

Passa tutto ma tu non passerai

Perché sei amore… sei amore… sei amore

 

Erano le quattro del pomeriggio ed eravamo tutti nel bullpenn. Da quando John il Rosso era morto tutti i nostri casi successivi parevano delle vere e proprie bazzecole. Jane si era rimesso ed io ero contentissima. Charlotte ormai passava più tempo al CBI e con lui che non all’orfanotrofio. Alla fine Jane ne avrebbe richiesto l’affido e avrebbe fatto bene. Noi tutti lo avremmo appoggiato. In fondo era una bravissima, buonissima e onestissima persona. Stavo mettendo a posto l’ufficio quando sentii un po’ di trambusto. Gente che si ammassava nel bullpenn guardando tutti nello stesso punto. Che cosa diavolo stava combinando Jane questa volta?

Mi portai nella stanza adiacente, mischiandomi tra la folla e vidi Jane che aveva spostato le sedie davanti alla sua scrivania e si era issato in piedi su di essa. Oddio.

-Jane, posso chiederti che stai facendo?- gli chiesi, cercando di trattenermi dall’urlargli dietro.

-Oh, Lisbon. Giusto in tempo.- fece lui.

Vidi Charlotte non molto lontano, in prima fila sul lato destro. Incrociò il mio sguardo; la sua aria era soddisfatta. Qualcosa mi diceva che sapeva cosa stava per combinare il padre. Jane tossicchiò due volte e tutti fecero silenzio.

-Come tutti sanno è da ben otto anni che faccio parte di questa meravigliosa squadra al CBI. E ne sono orgoglioso. Ho saputo mettere a frutto il ‘dono’ che mi è stato concesso e insieme abbiamo risolto moltissimi casi.- Dono? Da quando Jane definiva il suo un dono? Non l’aveva mai fatto! –Abbiamo affrontato cose di ogni tipo. Momenti belli, brutti, difficili, traumatici, divertenti, di paura… eppure, siamo ancora qui. Tutti insieme. Ecco ragazzi io vi voglio bene. Voglio bene a tutti voi. Non sono bravo ad esprimere i miei sentimenti, ne tanto meno a parole. Lo ammetto. Sono fortunato ad aver trovato delle persone come voi, perché delle persone normali probabilmente mi avrebbero già lasciato per conto mio. Me ne rendo conto di essere stato e di essere tutt’ora, un irresponsabile, codardo, meschino, sadico e contorto consulente. Ho fatto scherzi, burle e in certi casi imbrogli a tutti. Ho messo nei guai la mia squadra e il mio capo. Ed è proprio il mio capo a cui voglio rivolgermi adesso.- tutti gli sguardi si spostarono su di me. In quel momento avrei tanto voluto sprofondare, far sì che il pavimento si aprisse a metà e mi inghiottisse. Lo guardai chiedendogli: che diavolo stai facendo? –Adesso lo vedrai Lisbon.- mi sorrise. Lo aveva fatto di nuovo: mi aveva letto nella mente. –Teresa Lisbon ha accettato uno come me a far parte di una squadra di poliziotti. È stato un atto azzardato visto la persona che sono. Gliene ho combinato di tutti i colori. Ho risolto casi e trovato prove in modo molto poco professionale, ho messo nei guai o in pericolo colleghi, altre persone o lei stessa. L’ho fatta anche sospendere una volta. E me ne vergogno amaramente. La verità è che sono troppo orgoglioso per ammetterlo. Ed ogni volta Teresa Lisbon era lì, pronta a difendermi, a giustificarmi, a tirarmi fuori dai guai. Se non fosse stato per lei non sarei qui adesso. E continua testarda a provare a mettermi in riga, anche se sa bene che non ce la farà. E io ti ringrazio per questo Lisbon.- lo sguardo che mi rivolse, era dolce, da cucciolo; mi si intenerì il cuore… -Ti ringrazio davvero molto. Mi hai accettato con tutti i miei difetti e i miei pochi pregi. Hai sempre minacciato di spararmi e non l’hai mai fatto sebbene ti abbia dato molti motivi per farlo. E malgrado tutto, continui a tenermi con te. Mi sostieni. Mi ascolti. E se sono nei guai, se qualcuno sta per uccidermi tu arrivi sempre. Teresa io non sto facendo questo discorso perché la pallottola che mi ha colpito mi ha dato di matto al cervello. E non sono ammattito o insavito di colpo. Semplicemente sto cercando di dirti che ti voglio bene, che voglio continuare a volerti bene e che se avrai bisogno di me ci sarò sempre. Che manterrò la promessa che ti ho fatto.- scese dal tavolo e si mise di fronte a me –Ti salverò sempre.- stavo per piangere, il cuore batteva talmente forte che i miei polmoni avevano perso il ritmo; non riuscivo più a respirare –Teresa quello che in verità sto cercando di dirti è… è che… - sembrava sempre più vicino - …è che ti amo.- ora potevo morire. Invece, d’un tratto, come d’incanto ricominciai a respirare. Poi lo vidi inginocchiarsi davanti a me e prendermi la mano. Oh, no! Non è possibile! Non può star succedendo proprio a me! –E’ così Lisbon, sta succedendo proprio a te. E continuerà a succedere, tutte le volte che vorrai.- le sue parole, il suo sguardo; stavo per andare in iperventilazione –Teresa Lisbon, vuoi sposarmi?- ero pietrificata, imbambolata, silenzio. La testa completamente vuota, e non pensavo a niente. Dovevo pensare, me lo stavo imponendo, ma non potevo, non lo stavo facendo; semplicemente perché non ce ne era bisogno.

-Sì… - titubante –Sì, Patrick Jane! Voglio sposarti!- e Dio solo lo sa quanto lo volevo.

Lui si alzò regalandomi quel sorriso raggiante di felicità che a me piaceva tanto. Gli sorrisi anche io, come avrei voluto fare da tempo, come non avevo mai fatto. Gli gettai le braccia al collo, lui mi prese la vita e mi fece fare una piroetta. Anche Charlotte stava sorridendo, felice e orgogliosa. Il bacio fu improvviso, ma molto dolce anche se breve. Tutti applaudirono e qualcuno fischiò. La mia squadra era in prima fila. Alla fine, avevamo battuto sul tempo Rigsby e Van Pelt. L’ironia della sorte.

 

Per te che sei

Per te che sei … l’unica cosa che vorrei

Per te che sei ….. sei amore

Passa il giorno, passano le ore

Passa il tempo, passa anche il dolore

Passa tutto ma tu non passerai….Amore

Gira il mondo quasi inesorabile

Passa un brivido come una vertigine

Passa tutto ma tu non passerai……Perché sei amore

Sei amore…

Sei amore…

 

Non ci credevo, non poteva essere, non stava accadendo proprio a me! Ero nella stanza dell’albergo dove Jane aveva prenotato per il pranzo e la cena dopo il matrimonio, in modo che gli invitati che abitavano lontano potessero fermarsi lì a dormire. Mi stavo guardando allo specchio, il mio solito broncio (che lui aveva detto che adorava) stampato sul viso mentre osservavo il mio riflesso. Avevo un abito lungo, bianco a balze leggere… meraviglioso. Le spalle scoperte, le scarpette bianche e una collana di diamanti che mi avevano regalato Jane e Charlotte subito dopo la sceneggiata al distretto del CBI. Sorrisi a           quel pensiero. Quel momento era stato proprio bello, magico, fantastico…. Mi sedetti sul letto dietro di me, continuando a fissarmi. Malgrado tutte quelle cose stupende che erano accadute non riuscivo a convincermi, a credere che fosse giusto… a dirla tutta, che me lo meritassi. Qualcuno bussò piano alla porta prima di entrare. Era Charlotte. Anche lei indossava un abito bianco, tubolare che le arrivava sopra le ginocchia, gli spallini sottili e sopra un coprispalle dello stesso colore. I capelli raccolti dietro la nuca in una strana acconciatura: era molto bella. Chissà se assomigliava ad Angela? Se era così, di certo era molto bella.

-Ehi Teresa, che ti succede?- mi chiese dopo aver chiuso la porta con aria seriamente preoccupata. Mi si avvicinò e io la guardai da sotto in su.

In quel momento mi sentivo davvero una bambina che fa i capricci.

-Secondo te sto facendo la cosa giusta?- le chiesi.

-Tu ami Patrick?- mi chiese a bruciapelo.

-Sì.- risposi. Non avevo nemmeno dovuto pensarci. Era automatico.

-Lo vuoi sposare?- continuò.

-Sì.-

-Sei felice all’idea di passare con lui il resto della tua vita?-

-Sì.-

-Allora qual è il problema?- sembrava sinceramente non capire.

-Il problema non è Jane, sono io. E se non sono all’altezza?- le chiesi con una nota di isteria nella voce. Mi si sedette in parte, comprensiva. Incredibile come in quel momento sapesse essere così adulta; probabilmente tutti quegli anni da sola in un orfanotrofio avevano contribuito a farla maturare in fretta.

-Perché pensi questo? Sei una bellissima persona e una bella donna. Sei forte e coraggiosa, ma sai essere anche sensibile e comprensiva. Se in gamba e credimi se ti dico che Patrick non ti avrebbe mai chiesto di sposarti se non sapesse quanto in realtà sei speciale.- mi voltai a guardarla.

-Lo credi veramente?-

-Tutti noi siamo speciali Teresa. Basta solo, crederci un po’ di più.-

Ci guardammo e prima che potessimo pensare ci ritrovammo abbracciate. Quando ci staccammo la tristezza si era volatilizzata lasciando spazio solo ad un’impellente agitazione prematrimoniale. Ero in ansia e nel panico; Charlotte si mise a ridere.

-Sei identica a tuo padre.- la sgridai scherzosamente.

-Sì, lo so.- mi rispose alzandosi e andando verso la porta.

-Charlotte.- si voltò a guardarmi. –

-Grazie.-

Mi sorrise ed uscì. Calai il velo sul mio volto incipriato, era il momento.

 

POV. JANE

 

Passa il giorno, passano le ore

Passa il tempo, passa anche il dolore

Passa tutto, ma tu non passerai…. Amore

Gira il mondo, passa anche l’estate

Passa il caldo e passerà il Natale

Passa tutto, ma tu non passerai

…..perchè sei Amore

Sei Amore…

Sei Amore…

Sei Amore....

 

C’erano tutti. Era tutto perfetto. Le sedie bianche disposte su due file su quell’immenso prato verde, gli ospiti vestiti dei più svariati colori; tutti eleganti. C’erano tutti i nostri colleghi, tutti nelle prime file. L’altare rivolto verso il mare al limitare del giardino che terminava in un diruppo a picco sull’acqua. Quel rumore era rilassante. Mi era sempre piaciuto, sin da quando ero bambino fino ad ora. Il pastore era già in posizione dietro il tavolo dalla tovaglia candida. Le due colonnine che fungevano da decoro erano state decorate con fiori rosa e bianchi. Era tutto perfetto. Mancava solo lei. O meglio, loro. Sarebbe stata Charlotte ad accompagnare Teresa all’altare, in mancanza del padre e dei fratelli. Ero emozionato, terribilmente. Avevo già vissuto un matrimonio, ma questa volta era diverso. Forse perché si trattava di un’altra persona. Due cose per quanto possano essere simili non saranno mai uguali, è la regola. Con Angela era stato tutto molto più tranquillo e disteso, certo ero stato emozionato anche allora. Ma adesso il mio cuore galoppava come un cavallo impazzito, non riuscivo a formulare un pensiero coerente abbastanza lungo da dargli voce. Non avevo ancora spiccicato parola da ben un’ora. E, dal modo in cui mi guardava Cho, ne dedussi che se ne fosse accorto anche lui. Il suono dei violini che avevamo ingaggiato per suonare mi riscossero e le vidi, in fondo a tutti. Erano due angeli nelle loro candide vesti, venute a salvarmi per farmi diventare una persona nuova. Gli archi intonarono la marcia nuziale. Mi sentii sollevare oltre le nuvole. A passi lenti e guardando in avanti con sguardi fieri mi vennero incontro. Non so chi di noi tre avesse gli occhi più brillanti di felicità e chi il sorriso più dolce. Solo che credetti che per il resto della mia vita non sarei mai riuscito a togliermi quel sorriso dalla faccia. Mi sentivo un ebete. Ma a consolarmi, ci penso l’espressione emozionata della mia futura sposa. Charlotte si posizionò nel primo posto nella prima fila dietro di me. La celebrazione fu corta, ascoltavo a malapena quello che diceva il prete. Recepivo le frasi più importanti, le formule da recitare, recitai i versetti che erano di mia competenza, il mio giuramento (quello cercai di dirlo in modo tale da far capire a Lisbon quanto effettivamente ci tenevo a lei). Sapevo che si stava torturando la mente con domande futuristiche senza risposta, ma io ce l’avevo la risposta; era perfetta. Quel giorno avevo gli occhi solo per lei, ma probabilmente li avevo sempre avuti.

-Lo sposo può baciare la sposa.-

Ecco che iniziavo a sentire le farfalle nello stomaco spiccare il volo. Le sollevai più delicatamente possibile il velo, mi sorrise e la testa perse completamente il senso della ragione. Le sorrisi a mia volta e le presi il volto tra le mani, delicatamente quasi avessi paura di romperla. La vidi trattenere il respiro e arrossire, andai in defibrillazzione. La baciai. Un bacio lento e lungo, intenso. Ma che stava per dire tutto. Uno scroscio di applausi ci avvolse, ma non li sentivo, erano un ronzio lontano. Mi circondò il collo con le braccia e mi sembrò davvero di volare, solo che questa volta non ero solo. In un raptus di felicità la presi in braccio e la feci girare. Sentii la sua presa saldarsi dietro al mio collo e la sua risata insieme alla mia, eravamo una cosa sola. Quando la posai a terra ci voltammo sistematicamente verso Charlotte, non sembrava turbata dalla mia totale attenzione nei suoi confronti. Mi sorrise e noi la abbracciammo, tutti e tre insieme.

 

POV. CHARLOTTE

 

There was a boy…

A very strange enchanted boy.

They say he wandered very far, very far

Over land and sea,

A little shy and sad of eye

But very wise was he.

 

And then one day,

A magic day, he passed my way.

And while we spoke of many things,

Fools and kings,

This he said to me,

“The greatest thing you’ll ever learn

Is just to love and be loved in return.”

 

-Charlotte vieni?-

-Arrivo.- urlai.

Presi su un paio di tovaglioli e corsi fuori di volata. L’aria fresca mi colpì la faccia, svegliandomi del tutto. Quella mattina i miei genitori avevano deciso di fare un picnic in giardino. Da quando ci eravamo trasferiti nella villa sul mare di mio padre tutto era diverso. Eravamo tutti più tranquilli e più sereni, risolvevamo i problemi civilmente e con calma, senza quasi mai litigare. Poi beh, siamo umani anche noi. Anche Lisbon non era sempre così nervosa e stressata del lavoro, adesso aveva un marito del tutto pazzo, più bambino lui della sua nuova figlia, a cui badare. Patrick non si arrabbiava più a menzionare John il Rosso; anche perché con la sua morte non fu praticamente più nominato. E in quanto a me, beh… avevo lasciato il Rosemary e adesso avevo una casa, una famiglia fantastica e la mia vita da vivere come tutti gli altri ragazzi… come avevo sempre sognato. Certe volte mi svegliato e credevo di essere ancora all’orfanotrofio, poi mi voltavo verso la finestra e la luce azzurra del cielo, illuminando un poco la mia nuova stanza, mi faceva tornare alla realtà. La mia. Presi un profondo respiro mentre li raggiungevo sotto l’albero dove avevano steso la tovaglia e appoggiato il cestino.

-Ecco i tovaglioli.- acclamai.

-Perfetto.- mi disse Patrick –E adesso giù per terra!- mi prese per un braccio e mi tirò giù così all’improvviso che picchiai malamente contro entrambi. Per fortuna senza conseguenze gravi.

-Patrick sei il solito bambino.- lo rimproverò Lisbon.

-Mia dolce Teresa, ma tu adori quando io faccio il bambino.- la provocò lui.

-Questo non è vero… - tentò lei, ma con un bacio la discussione fu chiusa.

Ridemmo e scherzammo, mangiando sandwich e tramezzini.

-Fermi tutti!- esclamò ad un certo punto Teresa mettendosi in silenzio ed ascolto. La imitammo. Poi ci guardò.

-Ha scalciato.-

Subito ci mettemmo in torno a lei, abbracciandola, con una mano sul suo pancione ormai gonfio di otto mesi. Non avevano voluto sapere se era maschio o femmina; sorpresa.

-E’ femmina.- proruppe gentile Patrick.

Un ultimo sguardo ed un sorriso pieno di gioia. Rimanemmo così, accoccolati in quell’abbraccio che ci univa tutti e che ci avrebbe sempre accompagnato, insieme. Tutti e quattro.

 

“The greatest thing you’ll ever learn

Is just to love and be loved in return.”

 

 

 

 

FINE




  
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