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Autore: Wendy_magic_forever    21/09/2011    5 recensioni
Michael Jackson incontra Quasimodo, il Gobbo di Notre Dame.
Entrambi hanno una sola cosa in comune: il desiderio di libertà.
-
«Sai una cosa? Hai l'aria di poter diventare un buon amico.»
Parve incredulo: «D... davvero?»
Annuii: «Come ti chiami?»
«...M-mi chiamo Quasimodo.»
«Tanto piacere, Quasimodo. Io sono Michael.»
[...]
«Avevo già sentito qualche storia su un mostro-campanaro abitante nel campanile, poi le vostre voci mi hanno attirato fin qui. Ho trovato il campanaro, ma non ho visto nessun mostro degno di questo nome.»
Lui fece una pausa, incredulo: «Q-quindi, per te, io n-non sono un mostro?»
«Ovviamente no!» dissi
[...]
Anch'io sono imprigionato. È una prigione diversa, certo, ma è la stessa cosa, e anch'io, come te, non esco da questa prigione per paura del mondo, tuttavia guardo i “normali” da lontano, pensando a quanto sono fortunati a non essere come me. È così che ti senti giusto?
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Michael Jackson Disney Crossovers'
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Out There

~·~

 

 

Io mi chiedo sempre che emozione mai sarà

Stare un giorno...

Là con loro...

Là Fuori!

 

«Così hai deciso.» mi disse Janet «Vuoi vedere il Notre Dame a tutti i costi.»

«Già.» le risposi «Non si può andare a Parigi senza fare un salto al Notre Dame.»

«Bhe; se t'interessa, sappi che ho sentito strane voci attorno il suo campanile.»

«Che cosa?»

«Si dice che il campanaro sia lì da quando era bambino e non esca mai.»

«Davvero?»

«Sì. Si dice anche che non esce mai perché è brutto come la morte, un vero mostro.»

«Oh, bene...» dissi con tristezza «...se lo incontro andremo d'accordo. Tra mostri ci s'intende.»

Lei capì cosa intendevo «Michael, non devi ascoltare quello che certi cretini dicono di te. Tu ed io sappiamo che non è vero.»

Sospirai: «Ma lo sanno anche gli altri?»

Janet mi abbracciò: «Divertiti e non pensarci, ok? E torna in tempo per la Festa dei Folli!»

«Dunk, sono l'ospite d'onore, non posso mancare!»

 

Davanti alla cattedrale, una folla enorme mi attende, come sempre. Scesi dall'auto salutando i miei fan, sentii le classiche urla: “Michael, I love you”, “We love you more” e via di seguito.

Davanti ai grandi portoni mi aspettava un uomo alto e magro, dallo sguardo austero e severo, con gli occhi che condannavano tutto ciò che aveva intorno e il volto solcato dalle rughe.

Senza nemmeno accennarmi a un sorriso, mi disse con una voce fredda e profonda come una grotta di ghiaccio: «Benvenuto nella cattedrale di Notre Dame, signor Jackson. È già stata svuotata per la sua visita. Spero che le sia di gradimento.»

«Grazie, e...» fece per andarsene, ma io lo fermai: «...signor Frollo? Ho sentito che nel campanile...»

«Le voci che ha sentito sono pura falsità, glie l'assicuro.»

«Potrei comunque farci una visita?»

«No, signore. L'accesso è vietato agli visitatori.»

Pensai che volesse un compenso in cambio della “visita proibita”, ma quando glieli offrii, un po' scocciato per questo, si allontanò di colpo da me come se avesse visto un demonio: «Io non lo voglio il suo sporco denaro guadagnato con i più profondi meandri del peccato!»

"Ma cosa diav...?!?" «Da quando cantare e ballare è diventato un peccato?»

«Lei stia lontano dal campanile, e io non le farò causa, ci siamo intesi?!»

 

Al solo sentire il finale di questa minaccia, mi tremò il cuore. Mi aveva colpito dritto in pieno nel mio animo, spezzandomi l'anima in due. Frollo lo capì, e fece un sorriso soddisfatto: «Vedo che ci siamo intesi.» si girò, mi augurò buona visita e se ne andò, lasciandomi a raccogliere i cocci della mia anima.

 

Come al solito, le urla mi accompagnarono mentre entravo nella grande cattedrale di Notre Dame.

Quel Frollo mi aveva rovinato la giornata.

 

Sospirai, davanti alla cattedrale vuota, svuotata proprio per me. Le mie guardie occupavano gli ingressi per non far entrare nessuno, quando invece io desideravo la compagnia di qualcuno.

Avrei voluto che Janet fosse lì con me, a dirmi “Non pensarci, tirati su.”

E invece ero da solo.

La gente si sorprendeva della mia eccentricità, ma se loro avessero passato una vita come l'avevo passata io, saprebbero perché mi comportavo in quel modo.

Respirai profondamente, svuotando la mente da ogni pensiero cattivo e iniziai a guardarmi intorno.

 

Girando a zonzo per la cattedrale, ammirai le grandi colonne a fascio, gli alti archi a sesto acuto e le vetrate colorate.

Credo che voi mi conosciate: adoro l'arte. Certo, preferisco il rinascimento, ma vedere anche altri stili non mi dispiace.

 

Leggendo tra i vari libri di storia dell'arte, ho scoperto che lo stile gotico aveva come principali elementi l'altezza e la luminosità, il tutto per elevarsi a Dio.

Infatti era proprio così che mi sentivo; portato a un elevazione più alta del semplice “essere umano”, grazie agli enormi spazi e ai giochi di colori delle vetrate.

Non potevo fare a meno di pensare che quel luogo fosse meraviglioso.

 

All'improvviso, passando vicino a una porta, sentii delle voci chiacchierare animatamente.

Incuriosito, mi avvicinai alla piccola porta di legno e appoggiai l'orecchio per sentire meglio.

 

«È quello che ti capita a dormire con la bocca aperta!»

«Ah-ah-ah, vai a spaventare le suore. Ehi, Quasi:che c'è là, una rissa con i bastoni?»

«Un festeggiamento?»

«Cioè; la Festa dei Folli!»

«Ah-ah...»

«Bene, benissimo, versa il vino e taglia il formaggio!»

 

Sempre più curioso, controllai che le mie guardie non mi guardassero per aprire la porta, quando mi rimbombarono in testa le parole di Frollo: “Lei stia lontano dal campanile, e io non le farò causa”.

Sentii un forte senso di angoscia, la paura di dover di nuovo entrare in un dannato tribunale, di venire processato, di sentire nuove balle su di me. Già immaginavo che dopo “Lo Sbiancato”, “Il Razzista”, “L'Omosessuale” e “Il Pedofilo”, a qualcuno venisse la bella idea di chiamarmi pure “Il Ladro”.

Sentii nuovamente le voci.

 

«Ehi, ehi, ehi!»

«Non vuoi vedere la festa con noi?»

«...»

«Non capisco.»

«Forse sta male.»

«Impossibile, se dopo venti anni che vi ascolta non si è ancora sentito male, non accadrà più! AH!»

 

In un nanosecondo, capii che il famoso campanaro non usciva mai SUL SERIO, amava la Festa dei Folli, ma la stava solo a guardare. E, a quanto pare, non era poi così solo.

 

Il bambino dentro di me vinse la mia paura e, approfittando della distrazione delle mie guardie, oltrepassai la soglia.

Mi ritrovai davanti a una stretta scala a chiocciola che si arrampicava verso l'alto, fino al campanile.

Risi infantilmente, dopo essermi accorto di aver “disobbedito” agli ordini e che nessuno mi aveva visto. Afferrata la ringhiera, salii i gradini che portavano in alto.

 

Arrivai in cima che avevo il fiatone.

Quando mi ripresi, alzai lo sguardo per scoprire che ero nel campanile: davanti, ai lati e sopra di me potevo ammirare campane di ogni grandezza, alcune erano così grandi che mi facevano sentire come un microbo davanti all'immensità del vasto mondo.

Le voci continuavano a farsi sentire; mi parve di sentire una donna anziana parlare con qualcuno più giovane. Quest'ultimo aveva la voce dolce e giovane, un po' rotta dalla tristezza.

 

Seguii le voci e arrivai in quella che mi parve una stanza, con un tavolo adibito a modellino della piazza del Notre Dame, e vicino ad esso tre strani personaggi, tutti di spalle rispetto a me.

Rimasi nascosto per osservarli meglio: un ragazzo tutto gobbo e piegato in avanti, appoggiato al tavolo, e tre gargoyle VIVI; uno al suo fianco, due dietro.

La prima era una donna piena di piccioni, gli altri due erano uno alto e magro, l'altro grasso e che somigliava a un maiale, tutti e tre muniti di corna e ali di pipistrello o piumate.

 

Nonostante questa visione particolare, rimasi fermo ad ascoltarli.

 

«Quasi, che cos'hai?» chiese la gargoyle, appoggiando una mano di pietra sulla sua schiena «Vuoi dire alla vecchia Laverne di che si tratta?»

«Ecco...» rispose il ragazzo giocherellando con una statuetta di legno «...è che non ho voglia di guardare la festa, tutto qua.»

«E non hai mai pensato di andarci, invece?»

«Sicuro, ma non potrei mai integrarmi. Non sono... normale.»

«Oh, Quasi, Quasi, Quasi...» mi parve di vedere un piccione posarsi sul naso della vecchia «... vi dispiace?... VORREI PARLARE UN MOMENTO CON IL RAGAZZO, SE NON VI DISTURBA!» gridò mentre si liberava dei piccioni addosso a lei e tirando un pugno al tavolo.

La scena fu così buffa che io risi: due secondi che mi costarono il mio nascondiglio. Infatti i gargoyle si girarono verso di me.

Spaventato, indietreggiai. Il mio tallone scontrò qualcosa, persi l'equilibrio e caddi all'indietro gridando, un drappo mi finì pure addosso.

 

I tre gargoyle si immobilizzarono, ritornando di pietra, mentre l'unico essere umano si girò, alzando la voce: «Chi va là?». Lo vidi attraverso la trama del panno che avevo addosso e, se prima i gargoyle vivi mi avevano sorpreso, il suo volto mi sconvolse definitivamente; era completamente deformato, con una bolla di pelle posta in corrispondenza del sopracciglio sinistro, un occhio a palla e uno semichiuso, il naso che sembrava una patata appiccicata sul suo volto, i denti superiori scoperti a mo' di castoro, senza labbra e un ciuffo di capelli rossi pendente sulla fronte bassa e corrugata di natura.

 

Quel poveretto mi fece pena.

 

Quel ragazzo... quell'essere... quel... qualunque cosa fosse rimase zitto, in attesa di una risposta: «Padrone, siete voi?».

Pensai di poter uscire da quella situazione e provai a spostarmi, ma il suo sguardo si rivolse a me e io mi bloccai, temendo una brutta reazione da parte sua.

Nonostante non avesse un bel aspetto, i suoi occhi brillavano di una bontà infinita; pieni di luce e di tristezza com'erano, mi rassicurarono: lui non era cattivo.

 

Con passi incerti, si avvicinò a me; mi accorsi che la sua gobba era un'altra malformazione, non una posizione voluta.

Arrivatomi vicinissimo, allungò una delle sue enormi mani, prese la stoffa che mi copriva, la spostò e, finalmente, i nostri sguardi s'incontrarono senza barriere che ci dividessero.

 

Ricordo ancora con quanto sconcerto e terrore mi guardò quel poveretto, appena mi vide.

Provai a dire qualcosa: «P... posso spiegare...»

 

Successe quello che temevo; lui fuggì. Iniziai a inseguirlo, chiamandolo e cercando di dirgli che non ero lì per fargli del male.

Ad un certo punto, lo ritrovai immobile in un punto cieco, e sospirai, sollevato: «Finalmente ti ho raggiunto!»

Lui si appiattì contro il muro di legno: «Non ti avvicinare!»

Mossi qualche passo: «Non voglio farti del male...»

Aveva sempre più paura: «Vai via!»

Mi fermai: «Ti prego, ascoltami...»

«Che cosa vuoi da me?»

«Solo parlare... ho sentito che vole...» mossi qualche passo di troppo versi di lui, un raggio di sole mi colpì in pieno volto; mi coprii con la mano sinistra, ma, incredibilmente, quella si bruciò in pochi secondi.

Gridai, spostandomi nell'ombra, e mi accovacciai appoggiando la schiena a un capitello, tenendomi la mano.

Il ragazzo accorse, mezzo correndo e mezzo saltando, facendo rumore sulle assi di legno. Arrivato da me, si chinò ancora di più: «Tutto bene?»

«No!» esclamai con una smorfia

«Che ti è successo?»

«Ho la pelle sensibile al sole!»

«Fa vedere...» mi disse prendendo la mano bruciata

«Ahi! AHI! Guarda che fa male!» mi lamentai

Passò gentilmente un dito sulla bruciatura: «Cavoli, è veramente brutta. Ti sarebbe andata meglio se avessi toccato il ferro bollente!» mi guardò in faccia, mi accorsi di non provare più né orrore né pena al guardarlo, come se già mi fossi abituato al suo volto sformato «Ti serve acqua fredda.» sembrava avermi già messo sotto la sua ala protettiva «Vieni con me.»

 

Facendo la strada che avevo fatto di corsa per inseguirlo a ritroso fino alla sua stanza, mi ritrovai a pensare che già mi guardava come un amico.

Aveva paura di me fino a poco prima, e nel momento in cui ho avuto bisogno di lui era corso ad aiutarmi. Pensai che lo poteva anche diventare, mio amico; io di rado giudicavo per l'aspetto, e fino ad allora si era mostrato molto gentile.

Forse il suo orribile aspetto lo aveva soggetto a derisioni e maltrattamenti, e spinto a rinchiudersi lassù. Vedendomi aveva temuto che anch'io lo potessi trattare male ed era fuggito. Fuggito dalla sua camera, dove eravamo già arrivati e da dove i gargoyle ancora non si erano mossi.

 

Osservai il ragazzo mentre prendeva una grossa ciotola e ci versava dell'acqua, poi il mio sguardo si posò sul modellino che aveva creato, intagliato nel legno; aveva scolpito molte persone, la cattedrale e alcune case intorno ad essa. Un lavoro meraviglioso.

D'improvviso sentii una mano enorme prendere il mio polso sinistro e mi girai di scatto. Era lui; mi aveva preso il polso per mettermi la mano nel catino: «Scusami. Ti ho spaventato?»

«No, no... ero perso nei miei pensieri.»

«Che tipo si pensieri?» mi chiese

«Questo modello intagliato nel legno. L'hai fatto tu?»

«Sì. Cerco di passare il tempo.»

«È molto bello. E io adoro l'artigianato.» mi venne in mente una cosa «E... puoi dire ai tuoi amici gargoyle che non hanno bisogno di fare le belle statuine; li ho visti muovere e li ho sentiti parlare.»

«Bhe, ci fai soltanto un favore!» a parlare non era stato il ragazzo, ma il gargoyle che somigliava a un maiale

«Ma sappi che questo è un segreto e tale deve rimanere.» continuò quello alto.

«Non lo dirai a nessuno, vero?» mi chiese il ragazzo

«Non ti preoccupare. Anche se lo raccontassi, non mi crederebbe nessuno. E poi peggiorerebbe la mia reputazione già rovinata, calpestata e gettata nel cesso.»

«Cos'è che ti ha rovinato la reputazione?»

Fui riluttante al rispondere: «Preferirei non parlarne.»

 

Rimase silenzioso mentre mi asciugava la mano e me la fasciava con una benda presa da chissà dove.

 

Cercai di romperlo: «Sai una cosa? Hai l'aria di poter diventare un buon amico.»

Parve incredulo: «D... davvero?»

Annuii: «Come ti chiami?»

«...M-mi chiamo Quasimodo.»

«Tanto piacere, Quasimodo. Io sono Michael.» mi rivolsi ai gargoyle «E i tuoi amici sono...?»

Il gargoyle alto stava per parlare, ma il gargoyle-maiale gli saltò addosso, schiacciandogli la testa e mi porse uno zoccolo: «Tanto piacere, io sono Hugo

Quello più alto lo cacciò dalla sua testa: «Molto lieto, il mio nome è Victor

«E io sono Laverne...SPARITE DALLA MIA VISTA, DANNATI UCELLACCI!» disse l'ultima mentre cacciava per l'ennesima volta i piccioni.

«Cercano sempre te i piccioni?» chiesi, soffocando una risata

«Sì, è una maledizione!»

Ridacchiai per l'ennesima volta.

«Michael, cosa ti ha spinto fin quassù?» mi chiese Quasimodo

«Delle voci.»

«L-le nostre mentre parlavamo?» fece un nodo alla benda

«Grazie, e...» tonai al discorso di prima «Sì e no. Avevo già sentito qualche storia su un mostro-campanaro abitante nel campanile, poi le vostre voci mi hanno attirato fin qui. Ho trovato il campanaro, ma non ho visto nessun mostro degno di questo nome.»

Lui fece una pausa, incredulo: «Q-quindi, per te, io n-non sono un mostro?»

«Ovviamente no!» dissi «Un mostro non mi avrebbe mai guarito una bruciatura.»

 

Gli occhi di Quasimodo brillarono di una luce di speranza che riscaldò anche il mio cuore: «Quindi, se io andassi là fuori, nessuno mi chiamerebbe “mostro”, vero? Il Padrone aveva torto...»

Cercai di essere sincero con lui, anche se voleva dire renderlo infelice: «Non te lo so dire, Quasimodo.»

La sua luce si spense: «C-come?»

«Là fuori la gente è piena di pregiudizi; guardano la persona com'è fuori e affibbiano il suo aspetto esteriore a ciò che ha dentro. Pensa che laggiù perfino io sono chiamato “mostro”»

Quasimodo era incredulo: «Mostro TE?!?»

«Mostro te?!?» ripeté Hugo «Perché lo fanno? Vabbé che non sei un esemplare di bellezza, ma non sei nemmeno così disperato!»

«Sapete perché lo fanno? Per guadagnare soldi!»

«Solo una questione di denaro?!?» chiese Quasimodo, incredulo

Annuii, tristemente: «Io faccio uscire soldi da tutti i pori della pelle, sfortunatamente...»

«E la chiami “sfortuna”?!?» mi interruppe Hugo

«Sì, perché generalmente chi racconta certe bugie lo fa per motivi economici e... se li voglio far smettere li devo pagare. Ma io non posso pagare loro!» mi appoggiai al tavolo «I miei soldi li devo usare per altri motivi: salvare i bambini dell'Africa dalla fame, per esempio, o finanziare ospedali. Queste cose sono più importanti della mia reputazione.»

Laverne era indignata: «E osano chiamarti “mostro”?!? Tsk!» cacciò altri piccioni

«Se tu sei un mostro non oso immaginare cosa dicano dei VERI mostri!» aggiunse Victor

«È questo il problema. Di loro non dicono mai niente. I malvagi se la spassano, e i buoni devono subire. Tuttavia, non tutti mi odiano, anzi, molti là fuori mi amano. L'avete vista quella gente là fuori in piazza? È venuta per me!»

«Davvero?» esclamò Hugo «Devi essere molto famoso, allora!»

«Sì.» mi rivolsi a Quasimodo «E forse, con la mia influenza, potrei farti accettare! Ho sentito che vorresti partecipare alla Festa dei Folli. Io sono l'ospite d'onore quest'anno.» Quasimodo era ancora incerto «Andiamo, Quasi! Insisto perché anche tu partecipi alla festa!»

«Io?!» chiese, ancora incredulo

«No, il papa. Ma certo, tu!» disse Hugo, infilandogli una statuetta raffigurante il papa in bocca.

Victor provvedé a levarglielo: «Sarebbe un autentico “tutto ridi ed esperienze istruttive”!»

«Vino, donne e canzoni!» fece Hugo facendo il giocoliere con qualche statuetta davanti alla faccia di Quasimodo

«Impari a riconoscere i vari formaggi regionali...»

«A prendere le lumache!» Hugo aveva un secchio pieno d'acqua

«...ad studiare la musica popolare...»

Hugo mise in testa il secchio a Victor «A giocare a “Inzuppate il Frate”!»

 

Risi di gusto: «Certo che tra tutti, siete dei gran simpaticoni!»

«Grazie, Michael!» rispose Hugo strizzandomi un occhio e indicandomi

 

Laverne mise una mano sulla spalla di Quasimodo: «Quasi, da retta a una vecchia spettatrice, la vita non è fatta per gli spettatori; se osservi e non fai nient'altro, tu osserverai la tua vita che passa, senza di te!»

«È vero, Quasimodo.» dissi «Te lo dice un uomo dello spettacolo: io sono sul palco da quando avevo 5 anni e, nonostante tutti i problemi che poi sono spuntati, le malelingue e i pregiudizi, non posso fare a meno di pensare “Ma, dopotutto, è meglio così”. Se io non avessi mai sviluppato il mio talento, non avrei mai avuto così tante persone che mi amano al mio seguito, né avrei aiutato o fondato le organizzazioni di pace che pensano a sconfiggere la fame e la guerra nel mondo, o ad aiutare i bambini che non possono essere curati per mancanza di soldi e di medicine. Ho conosciuto fan che mi seguono dal 1968, e ancora non si sono stancati di me; ho dormito in baracche create col fango su un letto fatto di paglia, e sono state le notti migliori della mia vita. Avrei potuto fare questo se fossi stato uno spettatore?»

«Sei...» intervenì Hugo «... un essere umano, fatto di carne, capelli, peletti sull'ombelico...» quest'ultima parte la disse con una faccia leggermente disgustata «...noi siamo parte dell'architettura, eh!»

Victor, ancora con il secchio in testa, intervenne: «Eppure, se ci scheggi, non ci sfalderemo, se ci rendi umidi, non produrremo muschio.» si tolse il secchio dalla testa e lo mise su quella di Hugo.

«Quasi, afferra una tunica nuova, una calzamaglia pulita e...»

«Grazie per l'incoraggiamento» disse Quasimodo, interrompendo Laverne «ma vi state dimenticando una cosa molto importante.»

«Quale?» chiedemmo tutti in coro

«Il mio padrone; Frollo.»

«Ooh...» fecero i gargoyle mentre io mi misi quasi a ridere: «Quel manico di scopa di Frollo?!? Quell'uomo è più magro di me, e ce ne vuole! La tua mano è più grande della sua faccia, con una manata lo mandi al tappeto!»

«Tu non capisci!» disse Quasimodo mentre Hugo si allontanava «Lui mi ha accolto e cresciuto quando nessuno mi voleva!»

«Quell'uomo è in grado di amare?!?» chiesi, sarcastico «Non ci credo proprio!»

«A proposito di Frollo...» ci interruppe Hugo, sporgendosi da una scala «...parli del diavolo e spuntano le corna! Sta arrivando quassù!»

Come un fulmine mi piombò in mente la minaccia che mi aveva fatto prima che entrassi nella cattedrale: “Lei stia lontano dal campanile, e io non le farò causa”.

Feci uno scatto: «Oh, no!»

«Che succede, Michael?» mi chiese Quasimodo

«Se quell'uomo mi trova qui, mi farà causa, e io non posso finire in tribunale un'altra volta!»

«Un'altra volta?» chiese Quasimodo

Prima che potessi spiegare, Laverne mi tirò da una parte: «Non ti preoccupare, Michael, conosciamo un posto dove ti puoi nascondere senza essere scoperto.» scostò quella che mi parve una tenda; dietro di essa c'era un'infossatura buia nella parete. «Anche se dovesse scoprire la tenda, non ti vedrà.» mi affrettai ad entrarci «Tu, però non fare rumore!» Laverne ricoprì l'infossatura.

 

Mi accorsi che la tenda aveva qualche buco grande come un occhio, l'ideale per poter vedere se davvero Frollo voleva bene a Quasimodo. Già lui lo chiamava “Padrone”, e questo era un brutto segno.

 

I gargoyle si immobilizzarono di nuovo, mentre Frollo saliva le scale fino alla stanza di Quasimodo.

 

«Buongiorno, Quasimodo.» disse con la sua voce lugubre e fredda uguale a quella di prima. Mi chiesi se mai accennava a un sorriso.

«B-buongiorno, Padrone.»

«Mio caro, con chi stai parlando?» non mi parve di sentire alcun sentimento affettivo nei confronti di Quasimodo da parte sua.

«Con i miei... aaamici...»

«Vedo...» diede un colpetto alla testa di Victor «E di cosa sono fatti, Quasimodo

«Di pietra.»

Frollo prese il mento del ragazzo per poter incontrare il suo sguardo: «La pietra può parlare?»

«No, non parla.»

«Esatto, sei molto intelligente.» si sedette a un tavolino «E ora... il pranzo!» ordinò sfacciatamente.

Quasimodo corse subito alla credenza lì vicina e tornò con una ciotola di ferro, una di legno, un calice di ferro, e uno di legno, più basso.

Altro che figlio adottivo e salvatore; quei due parevano più servo e padrone!

Questo sarebbe amore?

 

Frollo parlò di nuovo, appena Quasimodo finì di apparecchiare «Come forse avrai capito, Michael Jackson è venuto a visitare la cattedrale. Sono rientrato poco fa, ma di lui non c'era traccia e le sue guardie sono ancora agli ingressi.» il suo sguardo scrutatore penetrò dentro quello di Quasimodo «Non è che tu l'hai visto, per caso?»

«Padrone, non so nemmeno com'è fatto, questo Michael Jackson.»

«Alto, magro, capelli neri,pallido e brutto come il peccato mortale.»

Trattenni la mia indignazione: “Ti sei mai visto allo specchio?!”

Quasimodo fece una pausa lunga, troppo lunga, temetti che con la coda nell'occhio potesse guardare verso il mio nascondiglio e così tradirmi; Frollo era pronto a captare qualsiasi movimento sospetto. Mi saliva l'adrenalina alle tempie nell'aspettare se mi avrebbe protetto o no. Mi pareva insicuro da quando aveva capito che ero finito in tribunale. Temetti che stesse per vuotare il sacco, quando invece: «Mi dispiace, Padrone, ma non ho visto nessuno che corrisponda.» disse senza battere ciglio.

Tirai un sospiro di sollievo.

Frollo si rilassò: «In caso tu lo veda, avvertimi quanto prima, mi raccomando.»

«Sì, Padrone.»

 

Frollo aprì un libro: «Vogliamo ripassare il tuo alfabeto, oggi?»

«Oh... sì, Padrone. Mi piacerebbe moltissimo.»

Frollo tirò fuori una bottiglia di vino e la stappò: «Molto bene.» cominciò a versare il contenuto nei due bicchieri «A?»

«Abominazione.»

«B?»

«Bestemmia?»

Chiuse la bottiglia: «C?» la mise via

«Contrizione.»

portò il bicchiere alle labbra: «D?»

«Dannazione.»

si fermò, mezzo minaccioso: «E?!»

«Eterna dannazione.»

Quasi mi venne da ridere per non mettermi a piangere; che razza di alfabeto gli insegnava?!?

Frollo, prese un sorso di vino: «Bravo. F?»

«Festa.»

a quel punto, Frollo sputò il vino per la sorpresa, si asciugò la bocca e chiese: «Come, prego?»

Quasimodo si arrampicò sugli specchi: «F...f...falsità!»

ma Frollo aveva sentito; si alzò, indignato: «Hai detto “festa”!»

«No!»

Frollo si allontanò: «Stai pensando di andare alla festa!»

Quasimodo si passò le mani sul volto; molto probabilmente aveva detto cosa non doveva dire per nulla al mondo.

Lo seguì: «È solo che... voi ci andate ogni anno...»

«Io sono un funzionario pubblico, devo andarci!» scese le scale «Ma non mi diverto neanche un momento!»

 

Uscii dal mio nascondiglio e li seguii a debita distanza, curioso di sapere come sarebbe andata a finire. Mentre camminavo mi parve che i miei passi facessero più rumore di quanto dovessero fare, e temetti di venire scoperto, ma non successe nulla, per fortuna.

Da quello che sentii, capii che Frollo non amava particolarmente la Festa dei Folli.

 

«Non intendevo sconvolgervi, Padrone.» cercò di scusarsi Quasimodo, mentre uscivano entrambi all'aperto.

Frollo sembrava davvero disperato per la reazione di Quasimodo alla lettera “F” di poco prima: «Quasimodo, non riesci a capire? Quando la tua disamorata madre ti ha abbandonato da bambino, chiunque altro ti avrebbe affogato! È così che mi ringrazi per averti accolto e allevato come figlio?»

Se lui è un figlio, io sono Eddie Murphy!” pensai.

«Chiedo scusa, signore!» disse Quasimodo unendo le mani.

«Eh, mio caro Quasimodo...» disse Frollo mentre gli posava una mano sulla schiena «...tu non sai com'è lì fuori. Io lo so; io lo so.

Se vuoi che io

Io ti protegga

di me soltanto d'ora in poi dovrai fidarti

io sono il solo che...»

 

Il suo finto sorriso mi fece venire i brividi

 

«...che ti aiuta, sfama e custodisce.

Che ti guarda e paura non ne ha.

Io potrò proteggerti se tu sarai nascosto qui, rinchiuso qui...»

 

tornarono indietro, io mi dovetti nascondere da un altra parte per non essere scoperto.

 

Con orrore li ascoltai mentre Frollo continuava a dire e a fargli dire cose orribili sul mondo e su di lui e su una, cosiddetta, “salvezza” rappresentata da Frollo stesso.

 

Lui salvezza. Puah!

 

Frollo fece per andarsene, mentre Quasimodo chiese scusa nuovamente, con l'aggiunta di “siete buono con me, Padrone”.

Se lui è buono, io sono un santo!” dissi, indignato

«Sei perdonato.» disse Frollo prima di andarsene: «Ma, rammenta, Quasimodo: è questo il tuo rifugio!» e, scese le scale, se ne andò.

 

«Il mio rifugio...» Quasimodo disse fra sé e sé questa frase più e più volte, mentre io mi avvicinavo di nuovo a lui.

«Non gli crederai, vero?» gli chiesi

Quasimodo alzò lo sguardo, si accorse che ero di nuovo lì con lui e disse: «Non te lo so dire. Non sono mai uscito da qui. Guardo i volti delle altre persone da lontano, ma vedo chiaramente che nessuno di loro è del tutto gobbo, o ha la faccia come la mia, ed è bruttissimo sentirsi diverso... non normale.»

Sospirai: «So perfettamente cosa intendi.»

Quasimodo mi guardò sbalordito.

«Tu sei diverso nel fisico, io invece lo sono dentro. Non sto parlando di talento o di soldi, ma... ti ricordi poco fa quando ti ho detto che ho dei problemi?»

Lui annuì.

«Bhe, problema numero uno: sono un fenomeno da baraccone. Sono rinchiuso in una teca di cristallo come un animale. Tutti mi guardano, mi amano, mi apprezzano, ma nessuno può avvicinarsi a me. Problema numero due: la mia infanzia mi è stata rubata. Sempre a pensare alla prove, agli spettacoli, e mai una volta che potessi andare in un parco giochi a fare amicizia con i miei coetanei. Ne risenti molto quando sei adulto. Problema numero tre: anch'io sono imprigionato. È una prigione diversa, certo, ma è la stessa cosa, e anch'io, come te, non esco da questa prigione per paura del mondo, tuttavia guardo i “normali” da lontano, pensando a quanto sono fortunati a non essere come me. È così che ti senti giusto?»

 

Quasimodo abbassò di nuovo lo sguardo:

«Solo in queste mura imprigionato vivo io,

e per ore io sto qui a guardarli.» mi avvicinai alla balaustra per guardare di sotto insieme a lui

«È tutta la vita che li osservo da quassù,

per sentirmi un po' vicino a loro.» ritornò al tavolo

«Potrei disegnar le loro facce

ma per loro non esisterò mai.

Mi unii a lui «Io mi chiedo sempre che emozione mai sarà

stare un giorno...

là con loro...»

Continuò lui: «Là fuori

che darei, non so.» mi caricò sulle spalle e mi portò un piano più basso scivolando lungo una colonna

«Solo un giorno fuori

so che basterà

Per ricordare fuori

Dove tutti vivono

Che darei

che farei

Per un giorno via di qua... »

 

Mi unii a lui di nuovo, poiché sapevo quello che provava, ballando tra le colonne e giocando insieme a lui: «Là fuori in mezzo a tutta quella gente che non sa

che fortuna essere normali.

Liberi di andare in ogni luogo giù in città

Senza più bisogno di fuggire!»

 

Lui si alzò sulla balaustra: «Potessi...» saltò giù, facendomi prendere un colpo: «...lo farei se fossi libero...» per fortuna scivolò su quello che mi pareva essere un micro-acquedotto

«...là fuori

allegro me ne andrei...

senza muri

fuori

come ogni uomo fa...

e poi salire fuori...» mi arrampicai con lui in cima alla torre, forse per cantare con lui «Solo un giorno in questa vita mia perché...» scesi con lui

«...io vivrei...» corsi insieme a lui

«...nulla più

chiederei

tanto ormai

io saprei

cosa c'è fuori di qua.»

 

Ripresi fiato.

In tutta la vita non avevo mai cantato così convinto.

Mi sedetti sulla balaustra, avvertendo un leggero sfinimento alle gambe; oltre a cantare avevo corso per tutti i tetti del Notre Dame, per stare al fianco di Quasimodo, e ancora mi sorprendevo della nostra somiglianza.

 

«Cosa ti dicevo?» gli dissi «Noi due siamo simili perché viviamo entrambi in una prigione. Tu hai il Notre Dame, io la mia celebrità.»

«Sì, è strano.» disse lui

«Non è affatto strano!» disse Laverne, avvicinandosi a noi «Il cielo ha voluto che voi due v'incontraste per non farvi sentire soli!»

«Hai proprio ragione, Laverne.» dissi «È una fortuna incontrare qualcuno come te.»

«Ma...» fece Quasimodo «... perché sei finito in tribunale?»

Questa domanda mi fece male. Non sapevo come rispondere, quando mi venne in mente una bella idea: «Te lo dirò solo quando verrai alla festa!»

«Cosa?!?»

«Hai capito bene, Quasimodo! Dalla mia bocca non uscirà niente fino a che non verrai alla Festa dei Folli!»

«M-ma...»

«E, a questo proposito; è meglio che io me ne vada prima che Frollo mi scopra e mi denunci sul serio!» feci per andarmene «Conto che tu venga, Quasi!» scesi i primi gradini, mi fermai e mi girai «E se non verrai, puoi star certo che ti verrò a prendere!» gli sorrisi, divertito.

 

Lui sospirò: «Allora va bene.» i tre gargoyle esultarono

«Meraviglioso!» dissi «Ci vediamo alla festa!» mi rigirai e scesi le scale, tutto contento e pimpante.

Non vedevo l'ora di vederlo alla festa.

 

Continua su "Out There II"

   
 
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