Film > X-men (film)
Ricorda la storia  |      
Autore: suzako    22/09/2011    2 recensioni
E' tutto sbagliato. Charles non dovrebbe essere lì. Dovrebbe trovarsi ad Oxford, non in uno sconosciuto College della campagna inglese, perseguitato da un demone e tentando disperatamente di evitare l'Apocalisse. (Demon!AU, Apocalypse, Hex-Crossover, Mindfuck. Erik/Charles con accenni di Erik/Raven)
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Tutto questo è sbagliato. Lui non dovrebbe neanche essere lì.

Dovrebbe trovarsi a Oxford e studiare genetica. Se tutto fosse andato come doveva, in questo momento probabilmente starebbe preparando la sua tesi.
 

Se tutto fosse andato come doveva, non si troverebbe in una squallida bettola nella parte sud di Londra, a combattere un demone millenario per evitare l’avvento dell’Apocalisse.
 

Ma questo è successo molto tempo fa.
 
O forse, deve ancora succedere.

 
 

*

 
 
Era stata tutta colpa di quella sconosciuta scuola inglese il cui corso di maggior rilievo consisteva in Il ruolo delle donne nella letteratura. Lì era iniziato tutto. Ma in realtà le cose avevano cominciato ad andare male molto, molto prima.

 
Se suo padre non fosse morto, se sua madre non fosse impazzita, se sua sorella non fosse scappata di casa lasciandolo da solo, nulla di tutto quello che stava per accadere sarebbe successo.
 
Non si sarebbe trovato, in quel momento, legato su una sedia nell’antro più oscuro del College, l’odore metallico del sangue in bocca e un uomo, no, un demone,inginocchiato di fianco a lui a scrutarlo corrucciato, indeciso se ucciderlo o no.

 
<< Vedi, Charles Xavier >> la sua voce era bassa e calda, gentile in modo ingannevole << questo è un semplice errore. Non sei tu che volevo, ma tua sorella. Quindi dimmi dove è lei, e sarà tutto finito. >>
 
Charles si limitò a fissarlo con tutto l’odio e il disgusto che riusciva a provare, non fidandosi della sua voce in quel momento.
 

Con un sospiro, Erik(che razza di nome è per un demone?), si alzò in piedi, camminando attorno alla sedia con passi misurati, come un animale che circonda la preda.
 
<< Sei un ragazzo furbo. Scommetto che hai già capito quale sarà l’alternativa se non parli, non è così? >>
 

Charles fece un respiro profondo, e decise che la sua voce non avrebbe tremato.
 
<< Lascia in pace mia sorella >>
 
Evidentemente il suo tentativo d’imposizione doveva averlo irritato, e in un istante il demone era di fronte a lui, le mani sui braccioli della sedia: Charles non pensava che avrebbe potuto sentirsi più in trappola di così, ma evidentemente si sbagliava. Il demone si era fatto pericolosamente vicino e lo fissava con occhi azzurro ghiaccio completamente circondati di rosso.
 

<< Te lo ripeterò un’altra volta: non è te che voglio. Dimmi dov’è tua sorella o ti ucciderò. Ucciderò tutti, esattamente come ho uccisoAlex >> concluse con un sorriso soddisfatto.
 
Fu in quel momento che Charles pensò non è giusto. Non era abbastanza perdere la sua famiglia, le sue aspirazioni, non era abbastanza vedere il proprio migliore amico sacrificarsi per lui, e scoprire di avere latenti poteri telepatici fuori controllo?
 

Non voleva morire. E non voleva che a sua sorella fosse fatto del male.
 
Sfortunatamente, le due cose sembravano incompatibili.
 
Fino a quel momento aveva sopportato, aveva sopportato tutto convinto che prima o poi si sarebbe sistemato, che sarebbe andato tutto bene. Per questo non aveva pianto al funerale di suo padre, e per questo si era occupato di sua madre quando aveva iniziato a bere, e non l’aveva mai lasciata, neanche un istante, nemmeno quando lei gli lanciava bicchieri vuotati di brandy o tentava di baciarlo, convinta che si trattasse di Brian, suo marito. Si era dedicato completamente a lei, e forse era per questo che Raven se ne era andata. Ma anche allora, Charles non aveva lasciato sua madre. E così si era trovato, andando con ordine, confinato in uno squallido College pieno di idioti, privo di amici, passando tutti i week end alla casa di cura di sua madre giocando a indovinare se questa volta lei l’avrebbe riconosciuto o no.
 
Era tutto sbagliato. La sua vita non sarebbe dovuta andare così. E glielo stava dicendo anche lui, questo demoneche non lo odiava né lo desiderava, semplicemente cercava di usarlo come un mezzo. Ma d’altronde, Charles avrebbe dovuto esserci abituato, non era così?

 
<< E’ tutto sbagliato. E’ sbagliato >> mormorò più a sé stesso che al demone, e per un attimo gli sembrò che questi fosse quasisorpreso, ma era troppo buio per dirlo, veramente.
 
Era tutto troppo buio.
 
 

*

 
 
La prima cosa che lo aveva colpito di Madenham era l’imponente bellezza della struttura, il fascino antico e segreto del porticato, del giardino i cui alberi sembravano vecchi di mille anni.
La seconda cosa, era stata la stupidità dei suoi occupanti: un branco di adolescenti in calore che non sembravano in grado di far altro che battute a sfondo sessuale tentando di mettere a disagio l’insegnante di turno.
 
Anche Alex, il suo migliore (unico) amico oltre che compagno di stanza, d’altronde, era così. Ma almeno non era stupido, pur nascondendolo benissimo. E lo faceva ridere.
 

<< Hai sentito l’ultima? Bobby e Marie si sono lasciati >>
 
Charles alzò le sopracciglia, dimostrando la sua completa mancanza di interesse.
 
Alex alzò le spalle, ignorandolo.
 
<< Beh, potrebbe essere la nostra unica occasione. Io ci provo con lei e te con lui, che ne dici? >>
 

A questo, Charles quasi si fece andare di traverso il tè << Alex! Non essere ridicolo, non ho alcun interesse né per Bobby né per Marie…! >>
 
<< Potremmo fare una cosa a quattro >> Alex lo ignorò completamente, alzando le sopracciglia in modo suggestivo.
 
<< Sei senza speranza >> sorrise Charles dalla sua tazza.
 
 

*

 

 
Ricordava perfettamente il momento in cui aveva trovato il vaso. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato: a volte sembrava una settimana, altre volte mesi. Da quando era iniziata la caccia, i giorni erano diventati strani. Le ore si confondevano, e sembrava sempre notte.
 
Ma non poteva dimenticare. Non avrebbe dimenticato mai.
 
Perché se quel giorno non avesse litigato con Alex, probabilmente non avrebbe sentito il bisogno di sfogare la sua frustrazione su una sigaretta. E alora non avrebbe trovato il vaso, quello che aveva convocato il demone nel suo mondo, risvegliandolo. Tutto quello non sarebbe successo.
 
Non sarebbe dovuto succedere, non a lui.
 

<< Era destino >>così aveva detto il demone, sottolineando la parola << che fosse tua sorella, Raven Xavier, a trovare quel vaso. E’ il sangue della tua famiglia… il suo… e il tuo >>
 
Si era alzato dal pianoforte, lentamente, e lo aveva guardato senza cattiveria né amore, solo con un’infinita stanchezza negli occhi.
 
<< Migliaia di anni, ed è la prima volta che succede una cosa del genere. La concatenazione degli eventi non è mai casuale. E mi chiedo se questo, Charles, sia stato veramente un caso >>
 
Charles non sapeva cosa dire.
 
<< Perché devi farlo? Non puoi ribellarti, cambiare tutto questo? >> sembrava disperato, e lo sapeva.

 
Il demone rise, ma era una risata vuota e priva di allegria.
 
<< Puoi smettere di respirare? >>
 
<< Morirei. >>
 
<< Esatto >>
 
Charles deglutì.

 
<< Ho bisogno di un erede. E ho bisogno di una donna, per farlo. Una donna mortale. >> si avvicinò a lui, e gli sussurrò all’orecchio: << e mi condurrai da lei, che tu lo voglia o no. Nel frattempo, goditi i tuoi poteri >>
 
Si voltò per guardarlo andare via, ma per quanto velocemente avesse girato la testa, il demone era già sparito.
 
Come se non ci fosse mai stato.
 
 

*

 
 

La prima volta, non l’avevo fatto intenzionalmente.
 
Era notte, e stava solo cercando di allontanarsi da quella stupida festa e dagli sguardi accusatori dei suoi compagni, di Sean e Armado e tutti quelli che lo fissavano con occhi che dicevano sei stato tu, Alex si è ammazzato per colpa tua.
La cosa peggiore era che si trattava della verità, in un certo senso.
 
Così era uscito, finalmente solo, o perlomeno così aveva creduto.
 
Aveva sentito i loro pensieri, prima ancora di vederli.
 
Bastardo. Figlio di troia. La pagherai.

 
Merita di morire. E’ solo un inutile pezzo di merda.
 
Merita di morire.
 
E poi aveva alzato gli occhi, e se li era trovati davanti. Hank Pym, Jhonny, Natasha. Lo guardavano.
 
Charles si fermò, incapace di muoversi, mentre loro si avvicinavano, compatti e minacciosi.
 
Girò i tacchi e incominciò a correre.
 
Ma non era abbastanza veloce. Non lo era mai stato. Solo che questa volta non si trattava di ricevere qualche calcio dal bullo di turno. Questa volta si trattava di vendetta, e lo sapeva bene.

 
Avrebbe avuto modo di esplorare il concetto molto a fondo, nel corso della sua vita.
 
Hank aveva una spranga.
 
Oh, Dio.
 
Lo spinsero a terra, e Charles non sentì dolore, non subito, ma il primo colpo arrivò troppo presto, sul ginocchio, e il dolore riverberò per tutta la gamba, salendo su fino alla schiena.
 
<< Figlio di puttana, la pagherai >>
 
Un altro colpo. E poi un altro. E ancora, ancora, ancora.

 
Smettetela
 
<< Meriti di morire, scommetto che l’hai spinto te Alex in quel lago, non è così? >>
 
Voi non sapete. Non avete idea.
 
<< Checca schifosa >>
 
Smettetela
 
<< Hank, ti prego, non puoi ammazzarlo veramente. Finirai nei guai >>
 

Faceva male. Faceva male ovunque e sentiva caldo.
 
<< Sta’ zitta >>
 
Smettetela
 
<< Come vuoi >>
 
Ho detto BASTA!
 
Sentì delle urla, e si accorse che non erano le sue, e anche se il dolore non si era attutito minimamente, nessuno lo stava più colpendo. Un rumore metallico, di qualcosa che cade sul suolo, e poi silenzio.
 
Silenzio.

 
Rimase a terra per un po’, in posizione fetale, respirando e basta e cercando disperatamente di non piangere. Non voleva muoversi. Non voleva neanche alzarsi. Forse se fosse rimasto lì abbastanza, il freddo l’avrebbe ucciso e non avrebbe più dovuto preoccuparsi di niente.
 
Faceva freddo.
 
Già, ma perché Hank e gli altri non avevano finito il lavoro?
 
Si alzò di scatto, gemendo per il dolore allo stomaco, e riuscì ad alzarsi, appoggiandosi al muro per non cadere a terra.
 
E poi li vide.
 
C’era del sangue.
 
Dio mio, c’era tutto quel sangue.

 
Non poteva essere com’era successo non poteva essere stato lui, non poteva
 
Ci fu un movimento in cui Charles indietreggiò spaventato, quasi cadde a terra, perché Hank aveva sollevato la testa, la mani conficcate nel cranio come per fermare qualcosa che volesse penetrarvi dentro, e c’era sangue nei suoi occhi, nella sua bocca, lo guardava tremando e probabilmente incapace di muoversi, e disse
 
<< Mostro >>
 
Charles corse.
 
 
 

*
 
 

Era iniziato tutto con i sogni.
Non aveva collegato immediatamente, o meglio, aveva pensato fosse un caso, ma erano iniziati esattamente la notte successiva a quando aveva trovato il vaso, ed era impossibile per lui non accorgersene. Lo aveva preso e portato nella sua camera, senza neanche sapere il perché.
 
Quella notte aveva sognato di camminare per i corridoi del college, che però nel sogno chiamava casa, ed apparteneva a tanti, tanti anni prima. Le sue dita erano ferite e insanguinate, e per quando sapesse che qualcosa di orribile lo attendeva, aveva continuato a camminare.
 
In fondo al corridoio, c’era una porta.
 
L’aveva aperta, e si era svegliato.
 
 
 

*

 

 
 
<< Alex. Hai mai fatto caso a questo albero? >>
 
Il ragazzo non alzò nemmeno la testa dalla sua rivista.
 
<< Mh >>
 
<< Alex, non mi stai ascoltando >>
 
<< Mhm >>
 
<< Pensavo di andare da Tony e chiedergli se mi fa un pompino, che ne dici? >>
 
<< Mh >>

 
Senza pensarci due volte, Charles andò dritto da lui e gli strappò la rivista dalle mani.
 
<< Ehi! La stavo leggendo! >>
 
<< Esattamente, quello era il problema >> sibilò Charles, soddisfatto.
 
Con uno sbuffo, Alex incrociò la braccia al petto e lo guardò storto.
 
<< Beh, cosa c’è? Ti interessano gli alberi adesso? Guarda che se vuoi abbracciarne uno io non ho la minima intenzione di-
 
<< Non mi interessano gli alberi >> lo interruppe Charles << Mi interessa questoalbero. Da quanto tempo pensi sia qui? >>
 
Alex sembrò finalmente considerare la questione seriamente, e sembrò pensieroso qualche istante, prima di dire:
 

<< Alcuni di questi sono vecchi di secoli. Fino al settecento questa era una residenza abitata, ho sentito dire che gli alberi marcano le tombe di alcuni dei nobili >>
 
Charles lo fissò, e si lasciò strappare di mano la rivista.
 
<< Come fai a saperlo? >>
 
Alex aggrottò le sopracciglia, apparentemente confuso, come se non lo sapesse neanche lui, e poi abbassò gli occhi sul giornale.
 
<< Che ne so, deve avermelo detto qualcuno. Ogni tanto ascolto gli insegnanti, okay? Solo ogni tanto però >>
 
Solo ogni tanto. Un caso, sicuramente.
 
 

*

 
 
 
Nel secondo sogno, aveva visto l’albero.
Era notte, e sognando camminava nei corridoi della casa. Poi sentiva un gemito, un lamento lontano, e automaticamente guardava fuori dalla finestra.
 
Un corpo pendeva dal ramo più grosso, inerme, il collo spezzato.
 
Si sentì triste, senza sapere perché, e una lacrima gli solcò il volto.
 
E poi in un battito di ciglia il respiro gli venne meno, e più cercava l’aria più essa sfuggiva, e allora guardava in alto, verso la luce del sole, sempre più fioca, mentre lui sprofondava giù sempre più giù nelle acque fredde del lago, e non c’era nessuno a cui avrebbe potuto chiedere aiuto.
 
Quel giorno per la prima volta udì le voci.
 
 

*

 
 
 
<< Tu l’hai ucciso! Hai ucciso il mio migliore amico! >>
 

Azazel lo afferrò per i polsi prima ancora che potesse pensare di colpirlo. Continuava a sorridere di quel suo sorriso ferale e terrificante, e Charles si rese conto di avere veramente paura, e di non voler morire, come era morto Alex.
 
<< E’ stato un sacrificio volontario. Te l’ho spiegato, è così che funziona. Non l’ho ucciso. Si è sacrificato per te, volontariamente >>
 
E poi, come ripensandoci, aggiunse:
 
<< Doveva amarti molto >>
 
Charles incominciò a singhiozzare.
 
<< Lasciami. Lasciami andare >>
 
<< Pensi di potermi dare degli ordini? >> domandò freddamente Azazel, senza neanche allentare la presa sui suoi polsi.
 
Charles alzò gli occhi e si costrinse a guardarlo dritto in faccia.
 
<< Se potessi, ti avrei già ordinato di ucciderti >>
 
Il demone per un attimo sembrò sorpreso. E poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere: era una risata profonda e terrificante, e mentre rideva lasciò la presa, e Charles cadde a terra, incapace di reggere il suo stesso peso, e mentre era a terra pensò che quella era la fine di tutto, nulla sarebbe più stato come prima.
 
 

*

 
 
Una settimana dopo era andato a trovare sua madre.
La casa di cura non era distante da Medenham. Era comodo, in un certo senso.
 
Soffocante in un altro.
 
Bussò due volte, piano, e aprì la porta senza aspettare una risposta.
 
<< Mamma? >>
 
Non si voltò neanche. Giaceva sul letto, completamente vestita, apparentemente senza fare nulla. Guardava la televisione. Spenta.
 
<< Mamma, sono io. Charles >>
 
Finalmente, con esasperante lentezza, sua madre si alzò a sedere, alzando gli occhi verso di lui con espressione solo marginalmente sorpresa.
 
<< Ovviamenteso chi sei. Entra, non ti avevo sentito >> il tono era calmo, ma non riusciva a nascondere completamente l’irritazione nella sua voce.
 
Deglutendo, Charles entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.
 
Odiava quelle visite. Odiava lo sguardo vacuo di sua madre, odiava doversi fingere un figlio premuroso pur sapendo che tanto, non le importava per niente. Avrebbe potuto dimenticare di lei e andare avanti con la sua vita e cercare di essere normale, per una volta, e non se ne sarebbe neanche accorta.
 
Tutto questo prima di trovare un vaso satanico e liberare un demone che a quanto pareva perseguitava la sua famiglia dalla notte dei tempi.
 
<< Non mi hai portato niente da bere? >>
 
<< Sai benissimo che non puoi bere qui >>
 
Lo so benissimo. Non ricordarmelo. Così irritante. Come suo padre. Inutile. Un ragazzino inutile.
 
Charles si irrigidì, prendendo un brusco respiro. Sapeva cosa stava succedendo, ma ancora non ci si era abituato. A quanto pare insieme ad Azazel si erano risvegliati dei poteri latenti. Telepatia. Telecinesi. Cose normali, poteva supporre, quando discendi da una famiglia che ha la stregoneria nel sangue.
 
<< Come stai, mamma? >>  domandò comunque, cercando di fingere interesse. Come se fosse veramente importante.
 
Come se te ne fregasse qualcosa. Sei solo un ragazzino.
 
<< Come sempre, mio caro >> rispose distrattamente, e Charles serrò la mascella.
 
Se solo tu non fossi nato, io non sarei qui. E’ colpa tua. E di tua sorella. Se non fosse stato per voi, Azazel non mi avrebbe tormentato.
 
Spalancò gli occhi, e improvvisamente fu tutto chiaro.
 
Un demone che aveva perseguitato la sua linea di sangue per millenni.
 
Il sangue.
 
Sua madre.
 
<< Cosa sai di Azazel? >> la aggredì prima che potesse trattenersi. Era troppo importante.
 
Per un istante, sua Sharon sembrò spaventata. Lo guardava come un essere di un altro mostruoso, e Charles era stanco di quello sguardo: passarono molti secondi prima che la smettesse di balbettare chi, cosa, non so di che parlie la comprensione scendesse sul suo volto.
 
<< Oh. E’ così allora. Ti ha trovato >>
 
 
 

*

 
 
 
<< Non puoi resistermi. E’ inutile. Non hai speranze, lo capisci? >>
 
<< Sinceramente, no >>
 
Charles si concesse una risposta onesta e brutale. Cos’aveva da perdere ormai? Il demone aveva ucciso il suo migliore amico, suo madre era già pazza e lui odiava il resto del mondo, ricambiato. Non c’era più nulla che lo istigasse alla prudenza.
 
Erik, o Azazel, a seconda di come Charles volesse riferirsi a lui, sorrise, suadente, ma i suoi occhi rimasero freddi e distanti.
 
<< Non mi stupisce, sinceramente. Ho vissuto più vite di quante tu possa anche solo immaginare. Ed è per questo che non puoi combattermi >>
 
<< Non posso neanche consegnarti mia sorella, se è per questo! Se sei così invincibileallora fallo! Prenditi quello che vuoi! >>
 
Il bosco era freddo, e deserto, e anche se qualcuno lo avesse visto urlare contro l’aria gelida della notte, non gli importava. Potevano prenderlo per pazzo, rinchiuderlo, non aveva alcuna importanza.
 
E poi, si rese conto con orrore, sarebbe finito esattamente come sua madre.
 
Erik fece un passo avanti, e poi un altro, fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo volto. Charles non si mosse.
 
<< Mi hai frainteso, temo >> mormorò scrutandolo con occhi calmi.
 
<< Che cosa vuoi, Erik? >>
 
Il demone sorrise, ma era il sorriso di un lupo: aperto come una ferita e con un’infinita serie di denti piccoli e bianchissimi.
 
<< Te >>
 
Charles sussultò e automaticamente, fece un passo indietro.
 
Azazel fece un passo in avanti.
 
<< No, ti stai confondendo >> disse, cercando di apparire calmo, e prese un respiro profondo << E’ mia sorella che stavi cercando, ti ricordi? Mia sorella che avrebbe dovuto trovare il vaso… >>
 
<< E’ esatto >>
 
Charles continuava ad indietreggiare, ma per ogni suo passo indietro, il demone ne faceva un altro nella sua direzione. Ben presto la sua schiena andò a sbattere contro il tronco di un albero, e si trovò effettivamente in trappola.
 
<< Infatti, è di tua sorella che ho bisogno >> continuò come se niente fosse Erik, senza distogliergli quello sguardo inquietante di dosso, e senza smettere di sorridere << Ma in questo momento, voglio te>>
 
E in quel momento la consapevolezza lo colpì. Si trovava da solo, nel mezzo della notte, e non poteva fare nulla per difendersi, non aveva nessuno da chiamare per chiedere aiuto. Erik aveva ragione. Non aveva speranza.
 
<< No >> incominciò a mormorare << Ti prego, no. No. No>>
 
Il demone gli portò una mano al collo, premendo sulla giugulare, abbassandosi lentamente su di lui, e Charles non poté fare niente, assolutamente niente per sfuggirgli, e per evitare posasse le sue labbra sulle sue.
 
 

*

 
 
 
Erik?
 
Esattamente.
 
Che razza di nome è, per un demone?
 
Un nome che non fa paura.
 
Oh.
 
Non voglio spaventarti, Charles.
 
E’ un po’ troppo tardi per questo, non credi?
 
Ah, è sempre così.
 
E quindi?
 
Mhh, quindi cosa?
 
Qual’è il tuo vero nome?
 
Non è un bel nome.
 
Lo immaginavo. Voglio saperlo lo stesso.
 
E’ Azazel.
 
Okay. Azazel.
 
Non chiamarmi così. Chiamami Erik.
 
Erik. D’accordo. Erik.
 
Dillo di nuovo.
 
Erik. Erik. Erik.
 
Vieni qui. Avvicinati. Non aver paura. Non ti farò del male. Vieni qui.
 
 

*

 
 
Il locale si trovava in uno scantinato, a qualche metro sotto il livello del suolo. La sua vista era offuscata da una nebbia fumosa e dall’odore dell’oppio che permeava ogni stanza.
 
E poi, la gente. I loro corpi languidi e scaldati dall’alcool e dalle droghe abbandonati sui divani in pelle o sulla pista da ballo. Una cubista dalla pelle colore dell’ambra ballava strusciandosi contro un palo, al centro della sala.
 
Il metallo freddo contro il suo seno, un brivido lungo la schiena
 
Era difficile distinguere le sensazioni, tra la musica che batteva contro le sue tempie e il fumo che gli penetrava nelle narici, l’odore di tabacco, sudore e qualcos’altro.
 
Sto così bene. Mi sento morbida. Sono morbida, toccami: non sono liscissima? Vuoi toccarmi? Ti prego, oh!
 
Portala in bagno e aprile la gambe
 
Di più. Più veloce. Di più. Dammene di più.
 
Si premette le mani contro le tempie, involontariamente, e chiuse gli occhi. Ma dov’era? Dov’era?
 
<< Non mi sembra che tu ti stia divertendo >>
 
Con un sussulto, Charles alzò la testa di scatto, trovandosi di fianco la figura ormai familiare del demone, nel suo solito cappotto nero, calmo e freddo come sempre.
 
<< Questo posto è disgustoso >>
 
Poteva sentire i pensieri di chiunque, che lo volesse o no. Tranne quelli del demone, ovviamente.
 
<< Eppure sei qui >>
 
<< Erik, ti prego, piantala di giocare con me >>
 
Serrò la mascella, e sibilò a denti stressi << Non chiamarmi così, qui dentro. >>
 
Charles sorrise.
 
<< D’accordo, Azazel. >>
 
Poi, come se nulla fosse, il demone si girò verso il bancone del bar e ordinò al barista due whiskey con ghiaccio.
 
<< Come facevi a saperlo? >> domandò Charles con un sopracciglio alzato.
 
Porgendogli il drink, Erik sorrise gentilmente: << Oh, io so tuttodi te >>
 
<< Ne dubito >>
 
<< Fai male. Ti conosco, Charles. Te puoi forse dire lo stesso? >>
 
Charles si concesse un lungo sorso del suo drink prima di rispondere, leccandosi le labbra.
 
<< Di chi parli? Di me, o di te? >>
 
<< Entrambi. Sicuramente non conosci te stesso come ti conosco io. Ma di me qualcosa saprai dire, non è così? >>
 
Charles si voltò verso di lui e sorrise, pieno di malizia. La musica era troppo forte, il fumo e l’alcool gli erano saliti al cervello, e i contorni si fecero sfuocati. Strani.
 
<< Non vedi l’ora di scoparmi, non è così? >> disse con tono brutale, girandosi completamente verso di lui. L’aveva detto veramente?Ma non importava, d’altronde. Non importava.
 
Gli occhi di Azazel si fecero più scuri, e la sua mano trovò il braccio di Charles, stringendo le ossa delicate del polso. Senza rispondere, avvicinò il suo volto al suo, aggredendo le sue labbra. Charles ricevette il bacio come un’invasione: si arrese. Rimase immobile, lasciando che il demone facesse della sua bocca quello che voleva. Sentì la mano di Azazel risalire lungo il suo braccio, seguire il contorno della sua spalla, risalire lungo il collo, sfiorando le mascella, per poi riscendere per l’incavo della gola. Fino al secondo bottone della sua camicia…
 
Respirando forte, Charles lo spinse via, e con un sorriso non troppo convincente visto il suo aspetto in quel momento, disse:
 
<< Oh, Azazel, ho detto che tu lo volevi, non che te l’avrei lasciato fare. Non stanotte >>
 
Il demone pressò una mano contro il suo sterno, ma Charles la ignorò spingendolo via completamente. Vuotando con un ultimo sorso il suo bicchiere, si alzò e a do via.
 
 
 

*

 
 
 
<< Dimmi, Azazel >> domandò lentamente, senza voltarsi a guardarlo << Non ti stanchi mai di tutto ciò? >>
 
<< Non chiamarmi così >> rispose distrattamente lui, scuotendo la testa.
 
Charles sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
 
<< Va bene, Erik. Allora? >>
 
Il demone lo guardava, affascinato, mentre il fumo della sigaretta gli copriva il volto.
 
<< Di cosa parli? >>
 
<< Oh, di questa tua routine: sedurre sempre le stesse donne, per duemila anni, sempre affamato, sempre tentando disperatamente di avere un figlio, sempre a fallire… Non ti sei ancora stancato? >>
 
<< Evidentemente no >> rispose con aria enigmatica, e sorrise.
 
<< E non ti sei mai innamorato? >>
 
Erik, suo malgrado, rise.
 
<< Sempre >>
 
Charles finalmente si voltò, lanciandogli uno sguardo pieno di furia. La tazza appoggiata sulla scrivania incominciò a tremare.
 
<< Le tue risposte criptiche stanno iniziando ad annoiarmi, ti avverto >>
 
Il demone non smise di sorridere, e si andò a sedere sul suo stesso letto, proprio di fianco a lui. Charles si rifiutò di incontrare il suo sguardo, ma Erik sembrò ignorare la cosa. Gli posò una mano sulla nuca, delicatamente all’inizio, e poi scese, seguendo tutta la curva del suo corpo, fino ad arrivare al coccige.
 
<< Che paura >> gli sussurrò ad un orecchio.
 
Charles sorrise.
 
<< So che stai nascondendo qualcosa. Rispondi alla mia domanda >>
 
Azazel non si mosse, e non parlò per alcuni lunghi minuti.
 
<< Ho perso tutte le donne che ho avuto, per avere un figlio. E’ doloroso, ma non credo tu possa capire. C’è stato una sola volta in cui ho pensato di lasciar perdere. Cambiare le cose, come hai detto tu >>
 
<< Come si chiamava? >>
 
Il demone chiuse gli occhi.
 
<< Magda. Si chiamava Magda>>
 
 

*
 

 
Sette mesi dopo essere fuggita, e al suo undicesimo giorno a Medenhaim, Raven mandò la prima lettera.
 
Charles era arrabbiato. La odiava per averlo costretto ad una vita che era tutta un errore, una vita che non era quella che avrebbe dovuto essere.
 
Non rispose.
 
Ma alla prima lettera ne seguì una seconda, e poi una terza, e alla fine, cedette.
 
Era sua sorella, e l’aveva sempre amata, e la verità, la ragione più profonda del suo odio, stava nel fatto che Raven aveva avuto il coraggio di fare quello che lui aveva sempre desiderato, ma mai osato.
 
Le sue lettere erano ferventi di scuse e mancanza, ma prive di rimpianti. Era felice, e questo Charles non glielo avrebbe mai perdonato. Se n’era andata e si era portata tutta la gioia con sé, tutta la vita e la speranza che poteva esserci per loro.
 
Raven gli mancava terribilmente, e ben presto quelle sue lettere diventarono il suo unico conforto, insieme ad Alex.
 
Finì col perdere entrambi.
 
Smise di rispondere la prima volta che vide visto Azazel. Il giorno in cui Alex morì.
 
Raven continuò a scrivergli, e lui a distruggere tutte le lettere, per non cadere nella tentazione di leggerle.
 
 

*

 
 
Si chiamava Magda, così aveva cominciato Azazel, quando finalmente Charles l’aveva convinto a raccontare quella storia.
 
Ed era bella?
 
Oh sì. Era bellissima. Aveva lunghi capelli rossi, e occhi scuri come la pece. Ballava con la stessa grazia di un angelo, e non ridere, perché io li ho visti.
Ma non essere geloso, Charles, perché non era bella quanto te.
 
Non sono geloso.
 
No. Certo che no.
 
E poi?
 
Non è una bella storia.
 
Non lo è mai, quando ci sei tu in mezzo.
 
Sì. Ed è per questo che non-
 
Non mi piacciono le storie belle. Vai avanti. Raccontami.
 
Era bellissima, e incredibilmente cattiva-
 
Più cattiva di te?
 
Charles, per quanto io ti ami e ti adori, se mi interrompi ancora una volta giuro che ti strangolerò con le mie stesse mani.
 
Va bene. Vai avanti.
 
Era una zingara, e le zingare conoscono tanti trucchi quando i jujuafricani, e lei era lo jujupiù cattivo di tutti. Ma sapeva ridere, e amare, e non provava gusto nell’uccidere. Per rispondere alla tua domanda, mio caro Charles, non era più cattiva di me, ma avrebbe potuto imparare. Avrebbe potuto, se avessi voluto insegnarglielo.
 
La incontrai nel 1939. Non era molto tempo fa neanche per te, non è vero? A volte sembra ieri. A volte è come non fosse mai successo. Il tempo è diventato… strano. Non te ne sei mai accorto? Suppongo di no. Sei così giovane. Voi umani morite sempre così giovani.
Non volevo che Magda morisse. Non l’ho mai desiderato, per nessuna donna. Ma mi sono sempre sentito pronto a correre il rischio. Ogni volta, tranne questa.
 
Non lasciai che rimase incinta. Lasciai che i Nephelimdormissero, senza venir disturbati. Era una strana vita. Lei rideva di me e anche se per quello avrei voluto ucciderla non lo feci mai. Voglio che tu sappia che non fui io a ucciderla. Non le dissi chi ero, non volevo che si spaventasse come tutte le altre, che fuggisse da me. Le dissi che mi chiamavo Erik.
 
Era un po’ come un sogno. A volte sogno ancora di chiamarmi Erik, e di vivere in Germania con una donna bellissima, e quando mi sveglio non so più quale sia il sogno e quale la realtà. Forse quella donna non è mai esistita. Forse anche te non esisti, e io ti sto sognando.
 
Comunque, non servì a nulla. Morì lo stesso, come tutte le altre. Anzi, fu peggio. Fu molto più doloroso. Non per colpa di Ella, questa volta. Finì come tutte le altre volte, come era iniziata. E’ tutto qui. Non c’è molto da raccontare. E’ una strana storia, mi dispiace, Charles.
 
Com’è morta?
 
Oh.
 
Ho detto, com’è morta?
 
Era il 1942. La presero. La portarono via. Quando la trovai era troppo tardi.
 
La presero?
 
Era il 1942, e la presero perché era una zingara. Sei intelligente Charles, conosci la Storia. Una volta ti ho sentito dire che non avendo il bagno in camera ti sembrava di stare ad Auschwitz. Ma te non ci sei mai stato. Io sì.
 
Oh. Oh mio Dio.
 
Dio non fece niente. Non mi stupisce, ed è anche per questo che io mi ero ribellato. Forse adesso lo capisci anche tu.
 
Ti ho raccontato la mia storia. Ti prego di non chiedermela più.
 
Buonanotte, Charles.
 
 
 

*

 
 
Tre mesi dopo aver smesso di rispondere alle sue lettere, Raven arrivò a Medenhaim.
Charles avrebbe dovuto aspettarselo. Era prevedibile, veramente: sperava sul serio di potersela cavare così? Quando, esattamente, Erik – no, Azazel, il demone – aveva smesso di farlo sentire in trappola?
 
Poteva solo finire male. Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.
 
Ma d’altronde, non credeva che le cose potessero andare peggio di così.
 
Si sbagliava.
 
 

*

 
 
<< Cosa ci fai qui? >>
 
Non è il benvenuto che Raven si aspettava, Charles ne è sicuro ancora prima di vedere l’espressione di incredulità e delusione sul suo volto, ma non può farci niente. E’ spaventato.
 
Non dovresti essere qui. Vai via, ti prego, ti farai del male. Rovinerai tutto. Non togliermi anche questo, ti prego.
 
<< Charles! Che fine avevi fatto? >>
 
Una delle sue mani si posa sulla sua spalla, un gesto familiare che non dovrebbe infastidirlo, ma lui sussulta ugualmente. E’ solo un’ulteriore prova del fatto che sì, Raven è lì, e ci saranno conseguenze.
 
<< Io… Io non so di cosa tu stia parlando. Sono sempre rimasto qui, a Madenham. >>
 
<< Hai smesso di rispondere alle mie lettere. Ero preoccupata>>
 
<< Mi dispiace, mi dispiace così tanto. Non devi preoccuparti per me, io sto bene, vedi? Ma adesso devi andartene di qui, seriamente >>
 
<< Charles, fammi entrare in camera >>
 
<< No, no, non puoi ti prego! >>
 
<< Charles, ho fatto cinque ore di macchina per arrivare fin qui, non ci vediamo da quasi un anno, e l’unica cosa mi chiedi è di andare via? Ma cosa ti sta succedendo? >> la sua voce è sull’orlo dell’isteria e ci sono lacrime nei suoi occhi. Raven non merita di essere trattata in questo modo, e Charles sente il peso del senso di colpa piazzarsi terribile sul suo stomaco.
 
Se solo lei sapesse.
 
<< Charles, perché non mi presenti la tua amica? >>
 
La voce di Erik, dietro di lui, lo richiama alla realtà.
 
L’aveva sempre saputo che sarebbe finita così.
 
 
 

*

 
 
 
<< Non posso farci niente, e lo sai >>
 
Stava fumando una sigaretta, appoggiato contro una panchina, come se nulla fosse. Charles aveva passato le ultime due ore in quel parco, stracciando fogli e matite in preda alla frustrazione, e non si era neanche accorto del momento in cui il demone era arrivato alle sue spalle.
 
Non fa altro che aumentare la sua rabbia.
 
<< Lo so benissimo >>  replicò a denti stretti, senza guardarlo.
 
Erik camminò verso di lui, fermandosi al suo fianco, ma senza sedersi a terra.
 
<< E’ una questione di sangue. Come ti avevo spiegato, era lei ad essere destinata a trovare quel vaso >>
 
<< Lo so benissimo >> ripeté Charles, mormorando quietamente, gli occhi fissi sul foglio.
 
<< Non posso fare a meno di sentirmi attratto da lei >> continuò Erik << ed è l’unica che può darmi ciò che desidero. Un erede per-
 
<< LO SO BENISSIMO! >>
 
Non riuscì a controllarsi, e sussultò violentemente, il respiro pesante, spaventato dal suo stesso grido. Erik, prevedibilmente, non batté nemmeno ciglio. Ma normalmente sarebbe stato furioso con Charles per averlo interrotto, e invece non disse niente. Non può vederlo, dandogli le spalle, ma presume stia continuando a fumare la sua sigaretta, gli occhi stanchi fissi sulla sua nuca o un punto vacuo all’orizzonte.
 
Immaginò che Raven scegliesse proprio quel momento per tornare dalla visita alla loro madre. Immaginò gli occhi di Erik spostarsi immediatamente, attratti da lei come da una forza irresistibile. Li immaginò entrambi, allontanarsi nella distanza, lasciandolo solo in quel parco.
 
<< So cosa stai pensando. Smettila >>
 
Charles fece una smorfia, per quanto il demone non potesse vederla.
 
<< Non sapevo potessi leggermi nel pensiero >>
 
<< Non mi serve farlo. Io ti conosco, più di quando tu voglia ammettere >>
 
Era vero. Ma che importanza poteva avere ormai? Sapeva cosa stava per succedere. L’aveva sempre saputo. Con un gemito, abbandonò la testa fra le mani, i capelli ad oscurargli completamente il viso.
 
<< Erik. Ti prego, vattene. Lasciami in pace >>
 
<< Tu non vuoi che me ne vada. Non sul serio. Non l’hai mai voluto veramente >> la sua non era una domanda, ma un’affermazione.
 
<< Ma lo farai comunque, non è così? >>
 
Il demone non rispose immediatamente.
 
Poi, dopo qualche secondo, lo sentì prendere un profondo respiro. Era la prima volta che lo sentiva fare una cosa del genere.
 
<< No. >>
 
<< Bugiardo >>
 
<< Prego? >>
 
Questa volta fu il turno di Charles per non rispondere.
 
<< Charles, guardami in faccia >> ordinò con voce ferma.
 
Stancamente, senza fretta, il ragazzo si alzò in piedi, girandosi lentamente verso di lui. Era stanco. Non dormiva da giorni, quando l’unica cosa che avrebbe desiderato era chiudere gli occhi e sprofondare nell’oblìo.
 
<< Che cosa c’è? >>
 
Erik si avvicinò a lui senza toccarlo, e lo guardò intensamente.
 
<< Non ho intenzione di andare da nessuna parte >>
 
<< E mia sorella? >> chiese semplicemente Charles.
 
<< Quello che devofare non c’entra niente con te. >>
 
<< C’entra tutto! Ti aspetti veramente di scopare mia sorella e metterla incinta, nel frattempo dare inizio all’Apocalisse, e che poi tutto sia a posto? >>
 
Azazel non distolse lo sguardo, ma qualcosa si mosse impercettibilmente sul suo viso.
Sì, evidentemente si aspettava di sì.
 
<< Non abbiamo più niente da dirci >>
 
Prima ancora che potesse pensare di muoversi, Erik lo prese per gli avambracci, e c’era una sorta di disperazione nella sua stretta, nel vuoto affamato dei suoi occhi.
 
<< Charles, non puoi abbandonarmi, non adesso, non così! Potremmo vivere per sempre, lo sai? E’ qualcosa che devo fare, ma sei te che voglio! Se solo tu potessi capire, Charles! >>
 
<< Erik, ti prego, lasciami andare >>
 
Non farlo.
 
<< Lasciami. Per favore >>
 
Non farlo, ti prego.
 
Per un attimo sembrò che stesse per farlo. Involontariamente, Charles trattenne il respiro, sicuro che da un momento all’altro Erik avrebbe lasciato la presa, fatto un passo indietro, e si sarebbe allontanato per sempre. Ma non fu così. Invece, il demone abbassò la testa, attirandolo a sé e appoggiò la fronte contro la sua.
 
<< Charles >> la sua voce era un sospiro rauco, sorprendentemente vulnerabile e umana<< Non puoi lasciarmi così. Sai che non vuoi farlo, e non ce ne è motivo. Possiamo trovare il modo, possiamo fare qualsiasi cosa insieme. Pensaci >>
 
E sarebbe così semplice arrendersi, sarebbe così semplice abbandonarsi contro il corpo di Erik e lasciarsi andare, sarebbe così semplice credergli.
 
Eppure Charles non riesce a farlo.
 
<< Erik… >>
 
E’ un addio ma non ci sono le parole. Non sono mai esistite.
 
Avremmo potuto crearle insieme, che ne dici, Erik? Avremmo potuto inventare mille modi per distruggerci. Oh, se avremmo potuto.
 
E alla fine non è nulla come aveva immaginato. Non c’è Raven, solo lui ed Erik, e il silenzio, per qualche minuto. Ma alla fine è lui stesso, non Erik, a lasciar andare, fare un passo indietro, e allontanarsi senza guardare indietro.
 
 

*

 
 
 
Ed è così che l’Apocalisse inizia. Con un gemito.
Il bambino nasce una mattina di metà Marzo, è bello e sano, e i suoi occhi sono verdi.
 
Si chiama Malachi, ed è l’anticristo.
 
 

*

 
 
Raven rimane al fianco di Azazel. Non è più la stessa, ma d’altronde anche a Charles era stata promessa l’immortalità.
 
Conosce il demone, i suoi poteri, la sua forza, ma anche le sue debolezze.
 
Sa come combatterlo.
 
L’Apocalisse è iniziato, e Charles Xavier non ha nessuna intenzione di stare fermo a guardare.
 
 

*

 
 
Come ha modo di scoprire, a quanto pare non è l’unico ad essere a conoscenza di Azazel, e dei suoi piani. Anzi, come ha modo di constatare, Emma Frost ne sa molto più di lui.
 
Discendente diretta di alcuni dei primi coloni americani, (oltre che dell’omonimo poeta, e Charles ne è deliziato), il suo aspetto sicuramente non rivela nulla della sua età.
 
I suoi occhi sì però. Sono occhi di chi ha visto troppo. Lui lo sa bene.
 
<< Gli sto dando la caccia da cinquecento anni, dolcezza. Senza offesa, ma non credo di aver bisogno del tuo aiuto >>
 
Il suo sorriso è tagliente come un diamante, e la sua voce suadente non lo inganna. Charles non ha intenzione di farsi ingannare mai più.
 
<< Cinque secoli sono un tempo terribilmente lungo, Miss Frost. Tuttavia mi permetta di farle notare che finora non sembra che lei abbia avuto uno straordinariosuccesso >>
 
I suoi occhi color del ghiaccio si riducono a due fessure, ma Charles non abbassa lo sguardo.
 
<< Sono sempre riuscita a prevenire la nascita dei suoi figli >> e ascoltandola, non può fare a meno di considerare le implicazioni di quella frase: quante donne innocenti, ragazze, siano state sacrificate inutilmente per arrivare a questo momento << …fino ad ora. Pensi veramente di potermi aiutare, Xavier? Potresti morire, o peggio, essermi d’intralcio >>
 
Oh, ti assicuro che non succederà, Charles sorrise all’espressione di terrore sul bel volto di Emma, e continuò a parlare nella sua mente, con la voce di mille pezzi di vetro infranti: so difendermi. E comunque la mia vita non ha importanza. Posso morire, purché mi porti Azazel con me.
 
Emma lo fissa duramente, con una sorta di sguardo ammonitore.
 
<< Uccidere Azazel non servirà a niente. E’ Malachi che deve morire >>
 
<< Miss Frost >> iniziò Charles con estrema calma, posando entrambe le mani sul tavolo << lasci che le dica una cosa: ho tutta l’intenzione di evitare l’avvento dell’Apocalisse, e se per farlo dovessi uccidere la mia stessa sorella, ben venga. Ma questa è anche la mia vendetta, e se ho cercato il suo aiuto, è semplicemente perché sono certo che mi aiuterà a portarla a termine. Io ucciderò quel demone, a qualsiasi costo. E’ la mia priorità. E’ tutto chiaro? >>
 
La donna sembra incerta per qualche istante. Si sta ponendo qualche domanda sulla sua sanità mentale, Charles si rende conto, e vorrebbe ridere, ma sapeva servirebbe solo a confermare i suoi dubbi. Mantenne una faccia mortalmente seria, e ben presto, le belle labbra di Emma si stanno piegando in un amabile sorriso.
 
<< Affare fatto, Mr. Xavier. Abbiamo un accordo >>





 

 

 





 

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > X-men (film) / Vai alla pagina dell'autore: suzako