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Autore: ponlovegood    22/09/2011    2 recensioni
Tuttavia ancora speravo nel tuo ritorno. Solo gli Dei sanno quanto desiderassi vedere la tua figura apparire dalla porta della mia stanza, sentire i tuoi passi venire verso di me e la tua veste che strusciava lievemente sul pavimento di marmo, le tue mani che stringevano le mie e la tua voce gentile che mi chiedeva di poter restare con me quella notte, come avevi fatto tante altre volte.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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pon’s notes

Allora.
*grande sospiro*
Questa è la mia prima oneshot su ‘Alexander’ e ho la spiacevole sensazione di aver scritto una schifezza immane. Appena scritta mi piaceva anche, ma ora non so bene che pensare. Pace, aspetterò i commenti di voi lettori.
Questa shot è nata pochi giorni dopo aver finito di vedere il film per la prima volta; mi aveva presa talmente tanto che dovevo scrivere qualcosa a proposito.
Ho solo alcune precisazioni da fare prima di lasciarvi alla storia.
Sì, ho scritto questa shot poco dopo aver visto il film, ma alcuni elementi sono diversi da esso, si rifanno, infatti, alla storia ‘originale’ ovvero come pare sia andata veramente. Non dico niente o vi spoilererei tutto, ma penso che lo noterete da voi quali sono le differenze.
AU Questa nota fa riferimento alla seconda parte della shot, anche se non si tratta propriamente di AU. Spero di non aver sbagliato ad inserirlo come nota ò__ò
OOC Anche quest’avvertenza è collegata alla seconda parte, dove ho cambiato il carattere dei personaggi cercando di ‘invertirli’.
What if? Vale ciò che ho detto per le precedenti note, ma, anche in questo caso, non è proprio la definizione esatta per la storia, ma quella che le si avvicina di più.
Titolo Ho scelto ‘Tempus’ (titolo che mi è venuto in mente durante l’ora di latino; questa è la prima volta che il latino mi è utile) che significa ‘Tempo’ al caso nominativo (ovvero che nella frase ha la funzione di soggetto) singolare della seconda declinazione. Beh, l’ho scelto perchè il tempo, in qualche modo, sarà il soggetto/protagonista di questa shot.
 
Detto ciò, credo di aver finito. Spero di essere stata chiara (cosa improbabile), se così non fosse non esitate a chiedere.
Ho la spiacevolissima sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante, ma è sempre così DD: Spero davvero non sia nulla di così essenziale *sospiro*
Buona lettura a tutti!
Ci leggiamo al fondo.

 
Tempus
 

Il mio corpo tremava e più cercavo di sopprimere i brividi, più essi sembravano diventare intensi. Era estate, ma dentro mi sentivo solo gelo; ma non sarei stato in grado di dire se si trattasse del freddo nel mio cuore o quello dovuto alla malattia.
Ero solo.
I medici, i miei vecchi compagni d’armi e tutti i servi lì, attorno al mio letto, non facevano numero. L’unica persona di cui avevo bisogno non c’era.
Sapevo di aver ormai raggiunto il capolinea; quella era la mia ultima battaglia ed io l’avrei persa clamorosamente, sarei stato fatto schiavo dall’oscurità dell’Ade.
No, non mi facevo vane illusioni su una possibile e miracolosa guarigione, non avevo neanche più le forze di farlo.
Tuttavia ancora speravo nel tuo ritorno. Solo gli Dei sanno quanto desiderassi vedere la tua figura apparire dalla porta della mia stanza, sentire i tuoi passi venire verso di me e la tua veste che strusciava lievemente sul pavimento di marmo, le tue mani che stringevano le mie e la tua voce gentile che mi chiedeva di poter restare con me quella notte, come avevi fatto tante altre volte.
Perché non eri lì? Dov’eri?
Sentivo gli occhi che lentamente si chiudevano e ad ogni battere di ciglia il dolore sembrava interrompersi. Era come se ogni parte del mio corpo mi invitasse ad addormentarmi, ma se così avessi fatto non sarei più riuscito a svegliarmi.
Forse ti avrei aspettato ancora un po’, chissà che gli Dei onnipotenti non avrebbero deciso di assecondare l’ultimo desiderio di un povero moribondo.
 
Ad un tratto mi parve di udire l’eco lontano di una voce, ma avrebbe potuto anche essere accanto a me, non avrei saputo dirlo.
«Alessandro! Alessandro sta arrivando» annunciava la voce.
Il frastuono di una serie di passi confusi si fece largo nella mia testa e tra tutti mi sembrò di sentire i tuoi cha correvano da me.
Allora eri davvero venuto, non mi avevi abbandonato.
Gli Dei avevano ascoltato le mie preghiere, infine.
Così mi lasciai andare nelle braccia dell’oscurità; le porte dell’Ade si aprivano davanti ai miei occhi. Mentre il mio sospiro per l’ultima volta si perdeva nell’aria leggera e fresca, sentii- o così mi parve -la porta aprirsi e scorsi una figura guardarmi immobile, dall’alto della sua statura.
Forse eri tu o forse era solo un giogo della mia mente che moriva, ma, nell’andarmene per sempre, non fui più così triste.
Grazie.. «..Alessandro.»
 

*  *  *

 
Sono le sette del mattino del 12 settembre 2011.
Così annuncia la voce gracchiante della radiosveglia, omaggio del discount sotto casa.
«Efs!». La voce di mia madre sovrasta quella dell’aggeggio meccanico, ma non è di certo più gradevole.
Mi chiamo Efs (odio questo soprannome; sembra quello di una ragazza).
Nome completo: Efestione (ringraziate di non avere una madre classicista o anche a voi sarebbe stato affibbiato un nome simile. Che ne dite di Achille? Priamo? Augusto?)
Odio il mio nome e detesto altrettanto quella pazza, romantica ed italiana di una madre. E poveretto mio padre; lui sottostà sempre alle decisioni di mia madre. Pensate che voleva chiamarmi Robert.
Ad aggravare ulteriormente la mia situazione c’è la scuola.
Teoricamente (sottolineo teoricamente) questo sarebbe il mio primo giorno al college.
In pratica la situazione è questa: è dalle tre di questa notte che l’idea di non andarci mi sembra un’ottima idea.
«Efs!» ripete dal piano di sotto.
«Efestione!». La sua voce di alza di un’ottava. Ok, sta cominciando ad alterarsi.
Mi rigiro nel letto mugugnando, nella speranza che le venga mal di gola a forza di urlare.
Per la miseria! Sono più che maggiorenne e devo ancora sottostare agli ordini di quella donna-Capò.
«Alex ti sta aspettando di sotto!» è l’ultima cosa che dice poi sento i suoi passi allontanarsi e scomparire del tutto.
Alex?
Quel nome rimette in moto il mio cervello addormentato.
 
E’ dai tempi delle elementari che passa a prendermi per andare a scuola. Seriamente, come ho fatto a dimenticarmene?
Tutta colpa di mia madre e le sua urla da mal di testa, ovvio.
La presenza di Alex però mi costringe a dover uscire dal mio caldo e confortevole letto e prepararmi ad una gionataccia di scuola, ormai non ho più scuse.
Scendendo le scale, poco dopo, lo trovo al solito posto, appoggiato a un’orribile poltrona di velluto rosso (premio di una raccolta punti organizzata dal famoso discount che mi ha fornito la sveglia, oltre a una marea di altri aggeggi inutili).
Come suo solito mi saluta con un breve cenno della mano; non è affatto cambiato in tutti questi anni: sembra solo una versione più alta del bambino che era solito passarmi sempre a prendere, anche se ciò comportava il dover allungare di un bel pezzo il tuo percorso. Io che di natura sono molto gentile e soprattutto simpatico, ricambio il suo saluto con un mugolio indistinto.
Ignoro il ‘caloroso invito’ di mia madre a fare colazione e trascino fuori Alex tirandolo per il braccio.
La porta si chiude alle nostre spalle e siamo di nuovo su quella strada così familiare.
Mentre camminiamo affiancati, mi pare di ripercorrere tutti i giorni passati, a partire dai tempi delle elementari, quando quella strada mi sembrava immensa dal mio punto di vista - ovviamente-, quasi come se fosse un mare d’asfalto; ora non è nient’altro che una stupida strada che porta ad un’altrettanto stupida città.
Sono nato qui e non me ne sono quasi mai allontanato e credo passeranno ancora molti anni prima che possa andarmene davvero. Ho seriamente odiato quel posto, insieme a tante altre cose, ma tutte le mattine, quando camminavo con Alex per andare a scuola mi sembrava di non odiare più nulla.
Non riesco davvero a spiegarmi con esattezza il perché o il percome; forse il mio cervello ha qualcosa che non va, ma credo che per ora possa andare bene così. Poi si vedrà.
Volgo lo sguardo verso il mio amico d’infanzia ormai diventato uomo e gli sorrido, un po’ per scusarmi del mio comportamento e un po’ perché.. semplicemente mi va di farlo.
 

In quella mattina sotto il sole pallido di settembre quasi mi sentii felice.
Accanto a me c’era lui. Si chiamava Alexander e sapevo (non come uno studente può sapere la lezione o un musicista può conoscere un brano, ma era quella sensazione di conoscenza che ti proviene da dentro, nel profondo) che se lui fosse sempre stato con me tutto sarebbe andato per il meglio.

 
pon’s chat

Innanzitutto ringrazio tutti coloro che sono arrivati al fondo questa sottospecie di oneshot.
Grazie mille, di cuore.
Se vi è piaciuta/vi ha fatto schifo/vi ha fatto correre al bagno per vomitare/l’avete trovata così così, fatemelo sapere con un commentino *^^* Sono una scrittrice alle prime armi bisognosa dei pareri altrui o altrimenti non riuscirò mai a migliorare.
Ancora grazie a tutti.
 
Un abbraccio,
pon ♥

  
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