PROLOGO
Johnny Depp è inginocchiato
ai miei piedi: ha in mano una rosa rossa a stelo lungo e sul viso lo sguardo
affranto del cucciolo di Labrador a cui hanno tolto il calzino che stava
mordicchiando.
“Anna, amore mio…ripensaci
ti prego.” sussurra muovendo quelle labbra imbronciate che andrebbero brevettate
e lanciate sul mercato come insostituibile gingillo
erotico.
“Spiacente Johnny” dico io
con voce algida e sottilmente dispiaciuta “Ma ormai il mio cuore appartiene a
Camillo.”
Accenno con la mano alle sue
spalle, dove Camillo, seduto su una pila traballante di libri, sta declamando a
squarciagola il canto dell’Inferno dantesco che parla di Farinata degli Uberti.
Johnny lo studia per un po’, poi rivolge su di me uno sguardo che parla da
solo.
“Andiamo, baby…stai
scherzando, vero?” mi blandisce con voce morbida “Quella pertica di saggina ha
letto tutto “I fratelli Karamazov” ed è ancora vivo…non puoi preferire lui a
me.”
“Tu non sei venuto sul mio
pianerottolo a baciarmi sotto gli occhi della vedova Gargiulo” ribatto io con
tono accusatorio “Lui sì.”
La faccia di Johnny sembra liquefarsi dal dolore:
all’improvviso, la sua pelle prende un colorito strano, a chiazze grigiastre, e
dalla bocca socchiusa esce con un “puff!” sommesso un mazzetto di fiori gialli.
Sconcertata, mi allungo verso di lui, convinta di strillare il suo nome, quando
apro la bocca e dico:
“Muuuu!!!”
*
*
*
Diamine, di già le sette. Il
mio braccio si muove da solo, colpendo con ben poca mira la mucca Frisona sul
mio comodino che funge da sveglia. La sua faccia allegra e il mazzetto di fiori
gialli che le escono dalla bocca mi fanno rendere nebulosamente conto che quello
da cui sono appena uscita era un sogno, dovuto all’esplosiva combinazione di
peperoni per cena, ormoni adolescenziali in libera uscita e interrogazione
imminente di italiano su Farinata degli Uberti. Apro gli occhi e mamma è già
davanti alla porta, in attesa di una mia ricaduta nel mondo dei sogni che le
consenta di scoperchiare le mie coperte con sadico zelo.
“Sono sveglia.” mento
ciondolando la testa come una bambola rotta e la palpebra destra ancora ben
incollata. Alle spalle dubbiose di mia madre transita fischiettando mio fratello
maggiore Andrea, che mi lancia uno sguardo distratto e all’improvviso sembra
affogarsi con la sua stessa lingua.
“Geeeeeesùùùù!!” strilla
direttamente nell’orecchio di mamma che fa un salto di lato sbattendo contro la
porta “Anna ha la faccia tutta verde! Presto, chiamate un
esorcista!”
Poi, dopo questa insulsa
esibizione di acido lattico nella corteccia cerebrale, si butta via dal ridere,
credendosi ovviamente molto simpatico e trendy.
“Ma quanto sei stronzo.”
sibilo quasi senza forze: è inutile, la sua è una deficienza congenita. L’unica
cosa sensata da fare sarebbe ignorarlo.
“Ti vedesse Camillo”
ridacchia Andrea, beato come una statua di Sant’Antonio “Uno di questi giorni
prendo
Devo ignorarlo, mi dico
pensando con forza al mio giardino Zen mentale: devo ignorarlo, devo
ignorarlo….
“Fortuna che in faccia non
ti guarda nessuno: gli occhi di tutti si fermano lì, sulle
….”
“Adesso basta!” ruggisco
schizzando in piedi, furibonda.
Andrea ricomincia a
fischiare e se ne va in bagno, lasciandomi in fumante iperventilazione davanti a
mia madre e ai brandelli carbonizzati del mio giardino
Zen.
“Sai, dovresti fare qualcosa
per quei nervi.” mi dice mamma con voce da chioccia.
Ok, con questa me ne vado a
far colazione senza nemmeno risponderle. Alessio ed Alice, i miei due fratelli
minori, stanno miracolosamente parlando senza scannarsi (evidentemente mamma li
ha narcotizzati prima di lasciarli soli). Stanno parlando di animali,
ovviamente: mia sorella Alice deve aver subito un innesto di WWF alla nascita,
non sa parlare d’altro che di fauna. Alessio invece è stato probabilmente
clonato da un videogioco: è sempre talmente attaccato al suo game boy che ormai
quell’aggeggio è diventato un prolungamento di sé.
“Ti dico che l’animale sacro
degli egiziani non era il gatto, ma il toro” sta cinguettando Alice con aria
saccente “Diglielo anche tu, Anna.”
“L’animale sacro degli
egiziani?” faccio io iniziando immediatamente a ruminare i biscotti al cacao
sparsi sul tavolo “Non era la pantegana?”
Alice mi lancia uno sguardo
di sufficienza, poi decide di ignorarmi: che sia impegnata anche lei a zappare
il suo giardino Zen mentale? Papà arriva come al solito trafelato e mezzo
svestito.
“Ciaobimbiciaoannafateibravicivediamostaseraciao”
gorgoglia riuscendo contemporaneamente ad afferrare la sua ventiquattrore,
ingozzarsi di plum cake, allacciarsi la giacca, aprire la porta e sparire come
in un numero di magia. Quando Andrea si decide ad uscire dal bagno (lasciandolo
olezzante di Gled Magic Water, il
che la dice lunga su quale sia stata la sua ultima attività), mi sbrigo a
chiudermici dentro per poi fiondarmi davanti allo specchio, per riprendere al
più presto il contatto con me stessa interrotto la sera prima. Ecco, sono sempre
io. Né brutta né bella, né alta né bassa, né grassa né magra (tettone escluse)…
insomma, potrei essere un inno alla mediocrità. O, almeno, potevo esserlo fino a
tre settimane fa. Adesso non mi sento più così mediocre. Perché sono innamorata
e quando uno è innamorato vede bello tutto (tettone e fratelli esclusi), persino
se stesso. Il mio sguardo è lucido e vivido, le mie labbra sembrano sempre
sorridere e la pelle è più luminosa, come se avessi una lampadina interna che mi
fa risplendere. Chi l’avrebbe detto che un essere all’apparenza insignificante e
poco attraente come il mio Camillo potesse scatenare una tale metamorfosi?
Nessuno, io per prima. L’innamoramento per Camillo è stata un po’ uno sgambetto
a tradimento del destino, improvviso quanto imprevedibile. Camillo è il migliore
amico di mio fratello Andrea ed è anche il fratello della mia migliore amica
Mariàpi. Ha sempre fatto parte della mia vita da che mi ricordi, a sette anni ho
addirittura perso un dente inciampando su quei trampoli che ha per gambe! Però
fino a poco tempo fa consideravo a malapena la sua presenza, anche se ammetto di
aver sempre amato la sua calma olimpionica e quel pizzico di irrealtà che
accompagna sempre il suo sguardo. E’ bastato un bacio dato “a scopo didattico”
per risvegliare qualcosa dentro di me che sembrava addormentato e vergognoso di
venire alla luce. Da quel bacio in poi non faccio che pensare a Camillo,
vedendolo come avvolto da un’aura di luce: vedo i suoi ricciolini biondi da
putto preraffaellita e penso solo a quanto siano morbidi e piacevole da toccare,
vedo le sua braccia ossute e penso solo a quanto siano calde ed avvolgenti
quando mi abbracciano…in realtà, per essere completamente sincera, vedo lui e
vorrei solo che mi legasse ad un letto e che mi facesse un sacco di cose zozze,
ecco. Che roba! Arrossisco anche solo ad ammetterlo con me stessa. Sono pronta
per l’internamento coatto, lo so, ma d’altronde tutte le adolescenti innamorate
sono degli scombussolati ammassi di ormoni ambulanti, no? Il fatto è che i miei
di ormoni si sono scombussolati un po’ troppo. Voglio dire, a sedici anni è
normale avere delle sane pulsioni sessuali: le mie però sembrano essere un bel
po’ più convincenti di quelle che smuovono il resto del genere umano, Camillo
compreso. Senza contare un sentimento che credevo non facesse minimamente parte
del mio patrimonio genetico e che invece mi trovo appeso al cuore con i denti
che morde come un castoro col morbo della mucca pazza. Sto parlando della
gelosia, che il diavolo la fulmini! Credevo che il fatto di essere più omologata
di Camillo agli standard di bellezza attuali mi avesse immunizzato da questa
deprimente malattia, e invece mi ha beccato peggio dell’influenza asiatica.
Davanti allo specchio, con la faccia di nuovo corrucciata, finalmente lo
ammetto. Sono gelosa. Sono così verde di gelosia che Andrea probabilmente ha
ragione, dovrei chiamare un esorcista. Però, analizzando i fatti con calma ed
imparzialità, devo convenire che qualche ragione ce l’ho anche io…
“Annaaaaa!! Se non esci
subito dal bagno lancio una bomba a mano nel tuo armadio,
capito?!?”
Ok, discorso rimandato causa
soave sollecitazione della mia cara mammina, affettuosamente denominata
Mammetor.
Già, la mamma: a sedici anni
sono ancora in tempo per chiamare il telefono azzurro?