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Autore: Beatrix Bonnie    28/09/2011    4 recensioni
1939, Scozia.
Un ricco uomo di finanza è costretto a lasciare il proprio lavoro, la propria casa e la propria famiglia per militare nell'esercito inglese. Non è coraggioso, non è robusto, non ha mai imbracciato un fucile in vita sua. È debole, la guerra gli fa paura e lo rende un bambino. Tutto ciò che ha da offrire è una buona dose di ingegno e una vasta conoscenza in campo geografico e naturalistico. Basteranno a far di lui un eroe?
Nel frattempo la moglie, rimasta sola nell'immensa villa di famiglia, con un bambino di due anni tra le braccia e un altro nel ventre, deve affrontare i maggiori dell'esercito che hanno piantato l'accampamento in casa sua e che la insidiano di continuo. Attenderà speranzosa il ritorno del marito per sei lunghissimi anni, senza mai ricevere sue notizie.
Alla fine della guerra, Ulisse potrà finalmente tornare alla sua amata Itaca?
Storia classificata prima al contest "competition for long-fic published".
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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Capitolo X



Settembre 1945


Quel giorno, quando Rebecca corse a prendere i bambini, aveva un sorriso entusiasta. La notizia che aspettava da anni era finalmente giunta: la guerra era finita, il Giappone aveva firmato l'armistizio, era tornata la pace. I soldati dispersi per il mondo sarebbero tornati a casa.

Anche Gerald.

«Bambini, papà sta per tornare!» esclamò con il cuore colmo di gioia, abbracciando i suoi figli. William e Connor si scambiarono un'occhiata eccitata, pieni di entusiasmo: il loro sogno si stava finalmente avverando. William abbracciò il fratellino con slancio, mentre sulle labbra gli si disegnava un sorriso luminoso. Dopo sei anni avrebbe rivisto suo padre: Gerald certo non l'avrebbe riconosciuto, visto che era diventato un ometto, ormai. Ma lui sarebbe stato in grado di riconoscere il padre? Aveva solo ricordi vaghi e confusi di lui e non avrebbe saputo dire nemmeno quali fossero i tratti del suo volto, se non li avesse ammirati per ore in una vecchia fotografia ingiallita, nelle lunghe sere d'inverno.

Connor, invece, dopo l'euforia iniziale, cominciò ad essere seriamente preoccupato. Lui stava bene con la mamma e Will... e se suo padre non gli fosse piaciuto? O, peggio, se lui non fosse piaciuto a suo padre?

«Forza bambini, dobbiamo andare a preparare il castello per il ritorno del papà» esclamò Rebecca, caricandoseli sui sellini della bicicletta. Ancora non ci credeva che Gerald sarebbe ritornato, che avrebbe potuto abbracciarlo di nuovo, baciare le sue labbra sottili, sentire la sua voce, perfino cercare con lui strani insetti per la sua collezione. Non le importava, avrebbe fatto qualunque cosa pur di non lasciarlo più andare via. Non poteva sopportare di essere abbandonata di nuovo dall'uomo che amava con devozione.

Quando arrivarono a casa, Rebecca e i bambini riaprirono il pesante portone d'ingresso del castello dei McBride dopo più di un anno che restava sigillato. Tolsero i teli bianchi che avevano utilizzato per coprire mobilio, tavoli e poltrone, spazzarono per bene in ogni stanza, tirarono le pesanti tende di velluto rosso delle finestre, perché la debole luce di settembre invadesse di nuovo il castello. Indossarono nuovamente vestiti eleganti e raffinati, Rebecca si acconciò i capelli, truccò gli occhi e legò al collo una fila di perle, uno dei pochi gioielli che aveva salvato dalla vendita perché era appartenuto a sua madre. La donna pettinò i riccioli ribelli di Connor, aggiustò il papillon a William e lucidò le loro scarpette di vernice. Tutto doveva essere pronto perché Gerald ritrovasse la casa in perfetto ordine, uguale a quando era partito; come se non fosse mai accaduto nulla in quei sei anni.

I soldati scozzesi sarebbero tornati entro pochi giorni e avrebbero sfilato per le vie di Edimburgo sotto gli occhi di una folla festante. Rebecca predispose ogni cosa perché fosse perfetta per quel giorno. Si era licenziata dalla fabbrica, visto che tanto Gerald sarebbe tornato a lavorare in banca e non c'era più necessità che lei si ammazzasse davanti alla pressa. Aveva chiamato un autista perché li venisse a prendere e li portasse in città: niente più viaggi in bicicletta, sarebbero stati poco adatti ad una signora.

Le strade di Edimburgo erano un tripudio di gente, un inno alla vita. Mogli, sorelle e madri festanti salutavano i soldati che sfilavano in alta uniforme; ogni volta che una donna riconosceva un familiare gli correva incontro in lacrime e lo abbracciava.

Rebecca prese i suoi figli per mano e li condusse per le vie del centro, lungo il corteo di militari. Scrutava ogni faccia sorridente nascosta sotto l'elmetto, alla ricerca dei luminosi occhi azzurri del marito.

«Mamma, dov'è papà?» chiese William, provando a spiare i soldati da sotto le gambe della folla di gente.

Rebecca gli rivolse un sorriso gentile. «Non lo so, amore. Adesso lo cerchiamo» gli rispose.

Rebecca trascorse un'ora buona a passare in rassegna i volti dei militari scozzesi, senza trovare traccia del marito. Dopo tutti quei vani tentativi, cominciò ad agitarsi. «Gerald?» chiamò con voce tesa. Alcuni soldati si voltarono, ma nessuno di quelli era il suo Gerald.

«Gerald!» chiamò ancora, in un tono reso acuto dall'ansia. Nessuno, non c'era nessuno. Sempre tenendo i figli per mano, si mise a correre attraverso il corteo, alla ricerca disperata del marito. Non era possibile che non fosse tornato, ora che la guerra era finita. Dov'era, dov'era suo marito? Perché non era tornato?

«GERALD!» gridò, accasciandosi a terra distrutta dal dolore.

Connor scoppiò a piangere, la folla si scansò da quella scena patetica.

«Rebecca, vieni via» sussurrò la voce rassicurante di padre Julien, portando al sicuro la famigliola.


***


Il soldato alla guida si voltò verso il colonnello con aria stranita. «Signore, è sicuro di non voler partecipare alla parata di Edimburgo?» gli domandò in tono serio. Insomma, il colonnello era il soldato scozzese che avesse raggiunto il grado militare più alto, la sua presenza era stata data per scontata: avrebbe dovuto guidare il corteo, deporre la corona di fiori per i caduti e tutto quel genere di cose che erano richieste ad un colonnello.

L'uomo scosse debolmente la testa. «No, grazie. Ho un'ultima cosa da fare».

«Allora dove la porto?» chiese educatamente.

L'uomo osservò il paesaggio fuori dal finestrino, sovrappensiero. «Nello Yorkshire» rispose infine. «A Middelton On The Wolds».


La donna che venne ad aprire la porta aveva un passo talmente strisciante da far pena. Vestita di nero, con gli occhi tonfi per il pianto e uno scialle a coprire la testa. L'uomo che si ritrovò alla porta, in alta uniforme da militare, con una medaglia d'oro al valore appuntata sul petto, la fece quasi rabbrividire: l'ultima volta che qualcuno del genere si era presentato a casa sua, era stato per annunciarle la morte del suo unico figlio.

Il soldato si levò il cappello con fare rispettoso e poi rivolse all'anziana donna un sorriso timido. «Signora Watson, sono il colonnello Fitzgerald McBride. Ero un amico di Josh» si presentò il giovanotto. La donna trattenne un piccolo singulto, poi si spostò di lato per permettere al colonnello di entrare in casa.

Lo condusse verso il salotto e lo fece accomodare su una poltrona un po' consunta, con il velluto liso. Sul divano di fronte a lui era seduto un uomo sciupato dal dolore.

«Il mio Josh era un bravo ragazzo?» domandò la signora Watson, sedendosi a fianco del marito.

Gerald si limitò ad un sorriso triste. «Il migliore, signora. Mi ha salvato la vita innumerevoli volte e se sono ancora qui lo devo a lui» rispose con sincerità. Dopodiché afferrò la borsa che si era portato dietro ed estrasse non senza una certa difficoltà, dovuta all'utilizzo di una sola mano, una scatola di velluto rosso. «È una magra consolazione, ma dovete sapere che vostro figlio è morto da eroe, salvando la vita di molti suoi compagni, me compreso» spiegò, porgendo loro la scatola.

Il signor Watson la aprì con mani tremanti e vide che conteneva una medaglia d'oro al valore militare. Nel vedere la preziosa onorificenza, l'anziana donna scoppiò in lacrime. «Un genitore non dovrebbe mai sopravvivere a suo figlio» mormorò sconsolata. «Mai».


Quando Gerald se ne andò da casa Watson, un'ora più tardi, si sentiva letteralmente a pezzi, ma era sicuro di aver fatto la scelta giusta.

Il soldato che gli era stato assegnato come autista, si affrettò ad aprirgli la portiera della macchina per aiutarlo a salire. «Signore, dove la porto ora?» gli domandò.

Gerald si lasciò sfuggire un sospiro. E poi disse quell'unica cosa che attendeva da sei anni: «In Scozia, a casa».

Il viaggio verso nord passò silenzioso e tranquillo. Gerlad osservava il cambiare del paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, fremendo nell'attesa di rivedere la sua amata brughiera. Quanto gli erano mancati quei paesaggi brulli e un po' grezzi! La nebbiolina sottile, i cespugli di erica, il soffio delicato del vento...

Non riuscì a impedire che una singola lacrima gli attraversasse la guancia quando vide in lontananza il profilo del castello dei McBride.

Il rombo dell'automobile che percorreva il vialetto sterrato turbò la tranquillità di quel tardo pomeriggio di settembre. Il soldato parcheggiò poco distante dal portone d'ingresso, poi corse ad aprire la portiera al colonnello. «Le serve una mano con quella, signore?» domandò, accennando con il capo alla valigia.

Gerald scese dalla macchina trascinando il baule con la destra. «No, grazie, ce la faccio» rispose con un cenno di ringraziamento. «È licenziato, soldato Pride. Può tornare...» cominciò a dire, ma si interruppe ad ammirare il suo castello, dopo sei anni di forzato esilio all'inferno.

«...a casa».


***


Da quando padre Julien li aveva riaccompagnati al castello, Rebecca non aveva smesso di osservare la brughiera fuori dalla finestra con aria apatica.

Gerald non era venuto, non era tornato a casa da lei e dai bambini. L'aveva abbandonata, per sempre. Che senso avevano avuto tutte le sue fatiche, tutte quelle attese speranzose del suo ritorno, quell'affacciarsi continuamente alla finestra, nella speranza di vederlo comparire all'orizzonte? Perché se n'era andato, perché l'aveva lasciata?

E poi la vide: una macchina militare che si avvicinava lungo la strada sterrata.

E se...?

Un giovane soldato era sceso dal posto di guida e aveva aperto la portiera al suo superiore: ne era sceso un militare in alta uniforme, con un cappello che gli copriva il volto. Ma a Rebecca bastò un'occhiata di sfuggita quando questo alzò gli occhi sulla casa per riconoscerlo.

Era tornato!

«Gerald!» gridò in preda all'emozione, gettandosi a capofitto giù dalle scale e poi fino in ingresso.

Non riusciva ancora a credere che fosse vero! Era tornato!

Ancora prima che potesse entrare in casa, Rebecca gli gettò le braccia al collo e scoppiò a piangere. L'uomo abbandonò la valigia a terra e ricambiò la stretta, inebriandosi del profumo della moglie. «Oh, Gerald!» esclamò Rebecca, accarezzandogli la nuca, stringendolo a sé, baciando ogni parte del suo volto. Anche Gerald non riuscì a trattenere le lacrime, nello sfiorare con le dita i morbidi capelli di Rebecca e nel baciare le sue labbra umide di pianto.

«Oddio, Gerald ma...» sussurrò la donna, quando si accorse che la manica sinistra della giacca era stranamente vuota.

Gerald sorrise bonario. «Non è nulla» rispose scuotendo la testa.

«Non è nulla» confermò Rebecca, pensando che la perdita di un braccio era qualcosa di infinitamente minuscolo, rispetto alla possibilità di perderlo di nuovo. Dopodiché si strinsero in un altro abbraccio pieno di amore.

«Papà!» esclamò la voce di un bambino. Gerald si sciolse dall'abbraccio della moglie e vide che c'era un ragazzetto moro, ritto in piedi sull'uscio di casa. Era alto per i suoi otto anni, con due meravigliosi occhi verdi come la brughiera. Era cresciuto il suo William, rispetto al bimbetto paffutello che popolava i suoi sogni e ricordi.

«Ciao, figliolo» mormorò Gerald, con la voce incrinata dall'emozione.

Il bambino si asciugò velocemente una lacrima, poi corse a gettare le braccia al collo del padre. «Mi sei mancato, papà»

«Anche tu, William» mormorò Gerald, sopraffatto dalla nostalgia. «Anche tu».

«Amore» lo richiamò Rebecca. L'uomo si voltò verso di lei e vide che la moglie teneva per le spalle un altro bambino, che poteva avere cinque o sei anni. Dei morbidi riccioli castani gli incorniciavano il viso attraversato da una sfumatura ansiosa.

«Questo è tuo figlio Gerald Connor McBride» lo presentò Rebecca, con un sorriso incoraggiante.

Gerald si levò il cappello militare e si inginocchiò davanti al bambino, visibilmente emozionato. «Ciao, piccolino» mormorò. Era diventato padre per la seconda volta e nemmeno lo sapeva.

Connor lo squadrò con curiosità e timore insieme. Per una frazione di secondo, i loro occhi, entrambi così azzurri, si incontrarono. E Connor capì che tutte le sue preoccupazioni non avevano avuto senso, perché quello era suo padre e gli avrebbe voluto bene di sicuro.

Sorrise.

«Bentornato a casa, papà».



Ebbene sì, siamo giunti alla fine di questa storia.

Premetto che, sebbene io stessa abbia scritto questo capitolo, tutte le volte che lo rileggo mi vengono i brividi e quasi piango. Forse sono un po' troppo impressionabile, ma trovo che le scene finali siano davvero toccanti. Spero di essere riuscita ad emozionare anche voi!

William che chiede “Mamma, dov'è papà” esattamente come aveva fatto a due anni quando lui è partito per il fronte, Rebecca alla disperata ricerca del marito, Connor preoccupato di non piacere a suo padre, Gerald che porta la medaglia d'oro ai genitori di Josh... ma la scena più straziante è il ritorno a casa dell'uomo, dopo sei anni di esilio. Insomma, mi commuove! E, ve l'avevo detto che sono per i lieti fini... non potevo impedire a Gerald di tornare a casa, dopo tutto quello che ho fatto passare a lui e alla moglie.

Comunque, basta! QUI l'immagine di Rebecca che attende il ritorno del marito guardando fuori dalla finestra.

Spero tanto che questa storia vi abbia regalato qualche emozione. Grazie a tutti coloro che hanno seguito, letto e commentato le avventure dei coniugi McBride.

Alla prossima occasione!

Beatrix B.

Edit: La storia ha partecipato al concorso "Competition for long-fic pubblished (qui il link), classificandosi prima a parimerito. Tra le recensioni a questo capitolo, il giudizio del giudice NonnaPapera.

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