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Autore: SLAPPYplatypus    29/09/2011    0 recensioni
Questo è un piccolo frutto della mia mente malata, che ha stabilito che Saint Jimmy è una specie di miscuglio tra Alex di Arancia Meccanica e Tyler Durden di Fight Club. Ecco.
I contorni si facevano sempre più sfocati, i suoi occhi prendevano in giro il suo ridicolo tentativo di rimanere in piedi. Alzò distrattamente lo sguardo, il suo riflesso lo stava fissando, sorrideva con occhi divertiti.
Non era lui, quello non era lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non sapeva cosa lo avesse svegliato. Si trovava semplicemente lì, sdraiato su un letto che sembrava il suo, con la bocca impastata dal sonno e gli occhi spalancati e secchi dall'insonnia. Aveva provato a riaddormentarsi, ma non ci era riuscito; una giornata passata dormendo sarebbe stata migliore di una giornata in tutta quella merda. Gli piaceva sognare. I sogni erano sempre belli, i sogni lo trascinavano sempre lontano. Sprofondava in un oceano di realtà e di vite che gli facevano dimenticare la sua. A volte sognava semplicemente foreste e spiagge. Altre volte sognava di essere diverso, di avere una vita diversa, una vita normale. Con problemi per le ragazze, problemi per la scuola ed una madre iperprotettiva. Si svegliava, e si ritrovava con problemi per Whatsername, problemi per la roba ed una madre più fatta di lui.
Sbuffò pesantemente, la stanza girava ancora vorticosamente attorno a lui, il vomito ribolliva ancora nella sua gola. Non era cambiato niente dalla sera prima, solo la luce.
Serrò la bocca cercando di concentrare lì la forza di tutti i muscoli del suo corpo, si aggrappò alla scrivania e si alzò piano. Si trascinò fino al bagno, la sua immagine riflessa, appena visibile in quello specchio annerito di ruggine e polvere, era già lì ad aspettarlo. Socchiuse la bocca in un ghigno frutto dell'amore tra Ira e Disgusto, gli specchi non gli erano mai piaciuti: distorcono la realtà, distruggono le vite e portano le persone ad odiarsi. Odiarsi. Anche tu ti odi, sai. E' inutile che tu faccia tanto il superiore, gli sibilava la sua mente, o la parte razionale che ne era rimasta.
Strinse i pugni; i suoi polsi sentivano quasi la mancanza di un taglio profondo e netto.
Non voleva ferire se stesso. Voleva solo mettere a tacere quella fastidiosa voce così simile alla sua.
Tuffò la testa nel lavandino, sorpreso da un conato improvviso che sembrava senza fine; l'odore del vomito ne portava immediatamente altro.
Non riusciva a reggersi in piedi, come se i suoi succhi gastrici avessero distrutto tutta l'energia che si nascondeva in lui, sciogliendola assieme al menu della sera prima, a base di kebab mal masticato, ramen, birre e sigarette.
I contorni si facevano sempre più sfocati, i suoi occhi prendevano in giro il suo ridicolo tentativo di rimanere in piedi. Alzò distrattamente lo sguardo, il suo riflesso lo stava fissando, sorrideva con occhi divertiti.
Non era lui, quello non era lui.
Certo, sì. Era sempre lui, occhiaie viola e livide come bruciature nascoste da matita ed eyeliner, barba di qualche giorno, capelli disordinati, tatuaggi, vestiti neri e catene rugginose; ma era come se il suo volto non rispondesse più alle sue emozioni, o piuttosto come se lo specchio gli mostrasse un individuo con sentimenti del tutto diversi. Le loro espressioni sembravano le due facce della stessa maschera, Commedia e Tragedia.
Il fischio nelle sue orecchie cresceva e cresceva.
"Beh? Che cazzo hai da ridere?" sputò, senza pensarci troppo. Non poteva essere altro che la solita allucinazione mattutina, un sintomo dei postumi come un altro.
"Cazzo ho da ridere? Ma hai visto la tua faccia?"
"Chi sei?"
"Sono quello che ti salverà."
Il sorriso era scemato fino a diventare uno sguardo gentile.
Non sapeva cosa fare.
Avrebbe voluto, avrebbe dovuto ridere a quella risposta, ma sentiva di potersi fidare. No, non si poteva fidare di se stesso, ma sentiva che quella di una salvezza era una promessa, non una presa in giro.
Abbassò lo sguardo. Aprì lentamente l'acqua, sciacquando la ceramica e bagnandosi viso e collo, cercando di recuperare quel tanto di lucidità che bastava a vederci chiaro.
Con l'acqua fredda, l'allucinazione se ne sarebbe dovuta andare, o almeno sbiadire.
"Vieni." Lanciò un'occhiata allo specchio, vuoto. Guardò alla sua sinistra; lui stesso si porgeva la mano. "Andiamo. Vieni a vedere cosa c'è, oltre tutta questa merda."

   
 
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