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Autore: Mark MacKinnon    02/10/2011    5 recensioni
La figura si mosse lentamente fra le steli, fermandosi finalmente di fronte a una di pietra nera. Nabiki guardò, scioccata, la figura cadere sulle ginocchia, gli occhiali da sole scivolarono a terra. Poi sentì un suono.
Un singhiozzo. Il singhiozzo di una donna.

Il PRIMO SEGUITO in due parti di CAST A LONG SHADOW
Traduzione: moira78
Betalettura: TigerEyes
Questa ff fa parte della serie The Shadow Chronicles.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles'
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Ringrazio innanzitutto tutti coloro che hanno commentato Cast a Long Shadow. Quello che vi apprestate a leggere è, più che il seguito, una sorta di interludio in due parti fra Cast a Long Shadow e quello che si può considerare il seguito vero e proprio della celebre ff, ovvero The Heart’s Reasons, composto da cinque capitoli e in corso di traduzione.
Il significato del titolo The Prodigal Mother, oggetto di discussione tra Moira e la sottoscritta, mi è apparso chiaro quando, correggendo una bozza per la casa editrice per cui lavoro, vi trovo un accenno alla parabola del figliol prodigo, per cui “la madre prodiga” è la madre di uno dei personaggi del manga che ritorna a casa dopo aver abbandonato la famiglia molti anni prima.
Moira e io, sua betareader, vi auguriamo buona lettura.
TigerEyes




LA MADRE PRODIGA


di
Mark MacKinnon



Traduzione
moira78



Parte Prima




Akane si svegliò con un gridolino, lottando debolmente contro le coperte che la imprigionavano. Le braccia di qualcuno scivolarono su di lei, calde e confortanti, e una voce bassa mormorò nel suo orecchio.
"Va tutto bene, Akane. Stai tranquilla. Sei al sicuro". Respirò affannosamente mentre il suo cuore fluttuava come un uccello intrappolato, raggomitolandosi contro la calda figura che era seduta sull'orlo del letto, tentando di prendere forza dalla sua solidità, cercando di bandire l'irrazionale timore che scivolava attraverso le vene. Tentando di ricordare che era nel proprio letto.
Al sicuro.
Un minuto…
Si tirò indietro improvvisamente, causando l’irrigidimento sorpreso della figura.
"Ranma?", sibilò. “Cosa... cosa stai facendo nella mia stanza?". Il suo cuore batteva per una ragione diversa mentre chiudeva ermeticamente il colletto già contegnoso del suo pigiama. Ora poteva vedere la faccia di Ranma, i suoi occhi spalancati si erano abituati alla luce fioca che filtrava attraverso la finestra aperta. Lui sembrava imbarazzato, e si grattava la nuca.
"Io, uh, ti ho sentita. Sembrava che stessi avendo un incubo, e sono entrato per controllare". Appariva preoccupato e sulla difensiva, e lei sentì la propria rabbia dissolversi rapidamente.
"Mi hai sentita? Ho fatto tanto rumore da svegliarti?", chiese turbata.
L'abilità di Ranma di dormire nonostante i rumori era leggendaria. Poi si ricordò della finestra aperta, solo che lei non l’aveva lasciata così.
"Non ero addormentato", ammise mestamente. "Ero sul tetto a pensare". Giusto. Rimuginare era da lui.
Era passata appena una settimana da quando Kodachi era morta salvando Ranko dal tunnel dimensionale che crollava e quasi una settimana da quando Ranko, la controparte di Ranma, era partito per luoghi ignoti, incapace o non disposto a stare con loro. Tutto sembrava ancora in qualche modo provvisorio, irreale, come se tutti fossero in attesa di qualcosa.
"Allora stai bene? Voglio dire...", le parole gli morirono goffamente sulle labbra, "vuoi parlarne o qualcosa del genere?".
Lei gli gettò uno sguardo, sorpresa. Fuori dalle situazioni pressanti che avevano attraversato e che li avevano costretti a confrontarsi finalmente con i loro veri sentimenti, le cose erano diventate alquanto forzate tra loro. Sentì un calore spargersi attraverso il petto al pensiero di Ranma preoccupato per lei. Beh, in quel modo così diretto, almeno. Notò che era vestito solamente con pantaloncini e una canottiera scura e desiderò che l’avesse di nuovo abbracciata. Bene, se non lo faceva lui poteva farlo lei. Avevano ammesso i loro sentimenti dopo tutto, no? Si inclinò contro di lui, facendo scivolare le braccia intorno alla sua vita magra, crogiolandosi nel calore dal suo corpo. Sorrise leggermente sentendolo finalmente ricambiare l'abbraccio, chiuse gli occhi e si strinse al suo petto.
Per lunghi momenti, nessuno di loro parlò.
"Ho sognato mia madre", disse finalmente Akane, e il suo sorriso svanì. "E Kodachi". Le braccia di Ranma si tesero leggermente, ma non disse niente. "Non sembrava stesse dormendo", aggiunse dopo altro silenzio. "Dicono sempre che pare stiano dormendo, ma lei non sembrava addormentata. Sembrava morta".
"Quale?", chiese Ranma, le sue mani che le accarezzavano la schiena in un ritmo calmante, ripetitivo. "Entrambe. Le uniche due persone morte che abbia mai visto".
Gli strinse le braccia intorno, e affondò ancora di più nel suo ampio torace, come se lui fosse l'unico luogo sicuro rimastole al mondo.
"Tutto quello che abbiamo passato, le cose pericolose, stupide e strane, e io non ho mai pensato...". Si fermò per un momento, cercando di inghiottire un nodo che le si stava formando in gola.
"Ehi", disse Ranma, preoccupato."Nemmeno io ho mai pensato che potesse accadere qualcosa di serio! E non ho mai pensato che qualcuno di noi potesse morire! Nulla lo faceva supporre, giusto?".
Lei sentì le lacrime pungerle gli occhi, e le cacciò indietro adirata."Ma non posso smettere di pensare a lei! È solo... solo INGIUSTO!".
Ranma annuì in silenzio mentre Akane si stringeva più ermeticamente a lui e un brivido l'attraversò. "Ingiusto", mormorò. Lo sentì sospirare, il suo alito le passò dolcemente tra i capelli. "Lo so. Lo penso anch’io". Percepì qualche cosa nella voce di Ranma che le diceva che probabilmente non era la sola a dormire male in quei giorni.
"E Kuno? Non viene a scuola da quando è accaduto. Nessuno lo ha visto. Odio dirlo, Ranma, ma lui non è stato mai precisamente... stabile, no? Chissà quello che sta passando ora… E non ha nessuno. Suo padre non gli è certamente utile in questo momento. Noi siamo le cose più vicine a degli amici che ha, dovremmo fare qualcosa!".
"Abbiamo provato, ricordi?", disse Ranma. "I servitori avevano istruzioni per non fare entrare nessuno. Che ci piaccia o no dovremo aspettare che per Kuno finisca il lutto".
"Ma...", cominciò Akane.
"Non puoi aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato", disse lui gentilmente. "Dovrà uscire da quella villa presto o tardi. Sii solo paziente". Rimasero silenziosi per un po’, rimanendo seduti, stando insieme nel modo che Akane aveva sempre sognato. Quella era la prima volta che rimanevano soli dalla lotta al Furinkan che così tanto era costata.
Lei si ritrovò a gioirne. Un po’. E si sentì colpevole per quello, una superstite colpevole. Poi avvertì Ranma tendersi leggermente.
"Cosa c’è?”.
"Nulla". Sospirò dopo un momento. "Pensavo di aver sentito un rumore, e cercavo di immaginare cosa farebbe tuo padre se ci trovasse qui così".
Akane sentì un sorriso formarsi sul volto. "Rilassati. Probabilmente si rallegrerebbe del fatto che stiamo insieme". Rise scioccamente.
"Non esserne troppo sicura", disse Ranma cupo.
Lei lo fece voltare verso di sé così da poterlo guardare negli occhi. "Ranma, papà non pensava davvero quello che ti disse quel giorno". Poté giudicare dalla sua espressione come non ne fosse convinto.
"Mi biasima ancora per quell’incidente sul terreno in costruzione, ed era abbastanza sicuro che io fossi la cattiva influenza che ti ha convinta ad andare al Furinkan a lottare contro quelle cose". Disse acidamente. "Mi lancia ancora delle occhiatacce, lo sai".
"Ha solo bisogno di tempo per abituarsi all'idea che io non sono più una bambina", gli disse. "Sai quanto diventa iperprotettivo. Se non ha noi ragazze da proteggere pensa di non avere nient’altro. Gli passerà, Ranma. Abbi fiducia in me".
Lui accennò col capo, poi si alzò in piedi. Akane fu sorpresa dall'intensità del tormento e del rammarico che provò al pensiero che andasse via.
"Si sta facendo tardi", disse Ranma alla fine. "Faremmo meglio a cercare di dormire. Abbiamo scuola domani".
Lei annuì di malavoglia, e aspettò di vedere se lui l’avrebbe baciata. Non si baciavano dal giorno della lotta, e la vecchia goffaggine minacciò di riemergere. Ranma esitò, e il suo cuore mancò un battito.
"Sogni d’oro", disse alla fine uscendo fuori dalla finestra. Lo guardò andare via, esasperata.
"Devo fare tutto io in questa relazione?", si disperò, prima di lasciarsi cadere con un tonfo sul letto, sospirando profondamente. Il calore dal corpo di Ranma sembrò essere rimasto, un formicolio le stuzzicava la pelle e il sonno tardò ad arrivare.


Bada a te, pensò Nabiki cupamente. Smettila di parlare con Kasumi.
Sedeva sotto un albero da sola, mangiando il pranzo e sentendosi molto combattuta. Dopo il suo confronto con Ranko, era crollata e aveva mostrato le sue emozioni alla sorella più grande. Quella conversazione aveva migliorato il suo umore, ma aveva dissotterrato delle brutte verità con cui non avrebbe voluto più confrontarsi. La sua tendenza a giocare con i sentimenti altrui per il conseguimento dei propri fini aveva provocato la lite, ed era d'accordo con Kasumi che fosse necessario valutare le conseguenze quando usava il suo talento per guadagnare soldi, e considerare più spesso la sensibilità degli altri.
E i Kami sapevano se ci stava provando. Ma metà del problema era che quando lei aveva l'opportunità di aprirsi realmente a qualcuno, le persone agivano come se stesse facendo qualcosa di sospetto. Tutti conoscevano la sua reputazione, e pensavano che stesse per fare qualcosa di sinistro, trattandola addirittura con più diffidenza del solito. L'altra metà del problema, chiaramente, era che le piaceva guadagnare denaro. Era brava in questo. Non poteva semplicemente smettere, anche se avesse voluto. E francamente, non voleva.
Non vedeva niente di sbagliato nel prestare soldi alle persone ad alti interessi. La gente andava da lei, dopo tutto. Non li stava costringendo a prendere in prestito denaro. Ma guadagnare soldi era solo un banco di prova per il suo talento di concepire ed eseguire piani sempre più complessi e migliori. Sfortunatamente, molte delle sue idee finivano per far del male a qualcuno.
Pensava a quello che era stato, negli ultimi tempi, un ritratto mentale molto chiaro dell'espressione che aveva assunto Ranko dopo che aveva venduto informazioni su di lui agli altri. Era stata crudele e meschina, e lo aveva riconosciuto. E dopo averci riflettuto era risultato che un numero sorprendente di piani poteva avere conseguenze del tutto simili.
Nabiki non era un mostro. Non voleva andare alla ricerca di modi per fare del male alle persone. Ma il suo talento era una parte di lei, una parte importante. La faceva sentire speciale, era un talento simile all'arte, alla scrittura o alla composizione musicale che rendeva uniche altre persone. Stava diventando matta, tentando di concepire un modo per fare soldi veramente buono che non facesse male a nessuno. Sembrava impossibile
Se solamente Kuno fosse stato nei paraggi… Tormentare Kuno era sempre stata la parte più divertente della sua giornata. Ma non era ritornato a scuola, dopo la morte di Kodachi. Infatti, nessuno l'aveva visto da quel giorno. Pensò a lei e il suo umore peggiorò ulteriormente.
Non le era mai piaciuta Kodachi. L'aveva sempre considerata un grosso fastidio o una minaccia, a seconda del suo umore, ma lei non le aveva mai impedito di guadagnare soldi, poveretta. E non si era mai augurata la sua morte. Da quello che aveva sentito su quella lotta, era stato un miracolo che la maggior parte di loro fosse ritornata viva.
Si girò a guardare il cortile della scuola, chiedendosi dove precisamente fosse morta. Non c'era nulla a evidenziare quell'avvenimento. Le sembrò in qualche modo sbagliato, considerando quale fosse stata la posta in gioco. Poche persone, al di fuori del piccolo gruppo che conosceva, sapeva la verità su ciò che era accaduto in quell'oscura domenica.
Sentì il mormorio di un gruppo di ragazze che camminavano lentamente vicino a lei, e ascoltò come sua abitudine.
"Io ho sentito che hanno trovato alcuni idraulici nella cantina, insieme al custode principale", stava dicendo una eccitata. "Sono stati tutti uccisi in un qualche genere di rituale!".
"Ho sentito che la polizia lo ha insabbiato per non creare panico!", disse un'altra parlando a bassa voce, con aria cospiratrice. Nabiki sbuffò. Se fosse stato insabbiato, come avrebbe fatto un gruppo di scolare a saperlo? Le persone potevano essere così ingenue certe volte.
"Bene, io ho sentito che la sorella del senpai Kuno era coinvolta in qualche modo, e che la polizia ha dovuto spararle!", confidò un'altra ragazza. Nabiki si irrigidì.
"Era sempre così inquietante", concordò la prima. "Non mi sorprenderebbe se fosse stata coinvolta in qualcosa di sovrannaturale come questo". Aveva sentito abbastanza. Si alzò in piedi e si diresse verso le ragazze, spaventandole.
"Perché non la smettete di dire cose di cui non conoscete niente?", chiese in tono glaciale. "Non è corretto spettegolare su qualcuno che è morto, sapete?". Le ragazze, consapevoli della reputazione di Nabiki per la sua spietatezza, furono momentaneamente atterrite dalla sua veemenza.
"Bene, se sai così tanto, Nabiki, perché non ci dici quello che è realmente accaduto", disse una di loro. "Sanno tutti che sua sorella è morta, ma nessuno sa come! Tu sai sempre tutto!".
"Sì, ti pagheremo!", aggiunse un'altra, i suoi occhi baluginarono di aspettativa. Nabiki provò una brutta sensazione allo stomaco. Pensavano davvero che avrebbe venduto informazioni su quello? Sul serio?
Chiaramente sì. Perché non avrebbero dovuto? Non era quello che faceva sempre? Qualsiasi cosa per il prezzo che stabiliva lei. Sentì il sangue defluire dal volto, il freddo che si insinuava nel corpo. È il mio lascito, pensò intontita. Questo è quanto. È tutto ciò che ho.
Le ragazze stavano tirando fuori una manciata di yen, ansiose di essere le prime ad avere lo scoop in anteprima sulla morte misteriosa di Kodachi. Dopo tutto, avrebbero potuto dire che lo avevano saputo da Nabiki Tendo, e le sue informazioni non erano sempre buone? Fissò i soldi, sentendo un grido salirle in gola.
Oh, questo è male, si disse. Griderò, proprio qui di fronte a queste idiote. Sto realmente per farlo...
"Ragazze", si intromise una voce. "C'è qualche problema?". Nabiki sbatté le palpebre. Le mani e i soldi sparirono rapidamente.
"Signorina Hinako! Nossignora, nessun problema!".
"Bene. Perché non andate, allora?", fece le fusa con la sua voce sexy. "Gradirei parlare alla signorina Tendo un momento". Le altre non persero un attimo e lasciarono Nabiki ad affrontare l'insegnante da sola. Notò che doveva aver combattuto recentemente con qualcuno, visto che era nella sua forma adulta. Le curve pigiavano provocanti contro il materiale leggero del vestito, la gonna era tirata su indecentemente sulle cosce e i bottoni sullo spacco minacciavano di scoppiare a ogni respiro.
Si ravviò in maniera elegante la capigliatura color caramello sulla spalla con una mano, e scorse una punta di disapprovazione nei suoi gesti altezzosi.
"Ehi, prof", disse Nabiki, sforzandosi di mantenere un tono leggero. "Cosa è successo? A parte il suo qi, ovviamente?"
"Signorina Tendo", sospirò Hinako. "Spero che non stesse facendo quello che penso. Tentare di guadagnare sul dolore di uno dei suoi compagni di classe sarebbe infimo, anche per lei". Nabiki si sentì gonfiare di rabbia e strinse improvvisamente i denti. No, si disse. Non far mai sapere quello che provi davvero. Sii fredda. Non perderti.
Sii solo fredda.
"Mi sento offesa da questa insinuazione", disse. Ecco, quella era freddezza, si congratulò con se stessa.
"Non era un'insinuazione, cara, era un avvertimento. Se sai qualsiasi cosa su quello che è accaduto alla sorella di Kuno Tatewaki, e non mi sorprenderebbe sapere che è così, tienilo per te. Sarebbe terribile se io scoprissi che stavi guadagnando soldi con una tale informazione. Mi sconvolgerebbe". Si chinò più vicino, guardando direttamente Nabiki negli occhi. "Moltissimo. Ci capiamo?".
"Certamente", rispose la ragazza gelidamente. La signorina Hinako era molto più facile da affrontare nel suo aspetto infantile. In questo stato, aveva troppa sicurezza di sé per poter deviare il discorso o essere facilmente evasivi. A Nabiki qualche volta sembrava che l'insegnante fosse due persone completamente diverse.
"Questo è quello che volevo sentire", disse Hinako, le sue lussureggianti labbra si curvarono in un sorriso che non raggiunse i suoi occhi. Si girò per andarsene.
"Signorina Hinako!".
"Sì?", chiese, girandosi di nuovo.
"È ritornato il direttore questa settimana?". La focosa insegnante aggrottò le ciglia.
"No".
"Bene, e Tatewaki? Ha qualche idea di quando ritornerà?". La donna le diede un'occhiata strana.
"Forse dovresti chiederlo a lui", suggerì acuta.
"Non risponde alle chiamate e chiunque si presenti ai cancelli di casa è mandato via. Nessuno di noi è riuscito a vederlo da...". La sua voce si spense.
"Non lo sapevo", disse Hinako, aggrottando le ciglia più severamente.
"Stavo pensando che, siccome lei è un insegnante, forse poteva riuscirci e, sa, assicurarsi che vada tutto bene". Nabiki attese, attenta a mantenere il volto inespressivo. Hinako pensò per un momento.
"Forse sarebbe una buon idea", annuì alla fine. Gettò uno sguardo a Nabiki. "Vedi di non dimenticare il nostro discorso, signorina Tendo", ammonì, poi ancheggiò via, raccogliendo rapidamente un gruppo di ammiratori intorno a sé. Nabiki si permise un piccolo, soddisfatto sorriso.
Aveva manipolato l'insegnante senza che lei lo capisse e il piano era rapidamente stato attuato. Avrebbe scoperto cosa stava accadendo a Kuno.
Poi il sorriso si affievolì quando una vocina urlò nella sua testa: Sei orgogliosa di essere riuscita a manipolarla?
Aggrottò le ciglia.
"Oh, zitta", mormorò.
Si chiese se fosse una coincidenza che la voce fosse simile a quella di Kasumi.


Quel pomeriggio il cortile della scuola era pieno di gruppi di persone, molti che ancora parlavano degli eventi della settimana passata a Nerima. Nabiki li ignorò tutti. C'era solamente una persona alla quale era interessata. La signorina Hinako. Vide l'insegnante, ancora una volta nella sua forma bambina, attraversare rapidamente la folla. Nabiki la seguì a lungo, la cartella gettata con noncuranza sulla schiena. Rimaneva indietro, senza preoccuparsi quando la perdeva di vista.
Dopo tutto, sapeva dove stava andando l'insegnante.
La folla si diradava rapidamente una volta attraversati i cancelli della scuola, e Nabiki rimase indietro ulteriormente onde evitare di essere scoperta.
Non le dispiaceva. La signorina Hinako non aveva guardato indietro nemmeno una volta, mentre saltellava vivace sulla via per la residenza dei Kuno. Il sole del pomeriggio era piacevolmente caldo, e si godé la passeggiata, mentre sbirciava i passanti.
Infine rallentò, vedendo davanti a sé i cancelli principali della tenuta.
Vide la signorina Hinako avvicinarsi ai due giovani e corpulenti uomini che stavano in piedi di fronte al cancello. Erano vestiti come servitori, ma non c'era dubbio che avessero i muscoli. Nabiki sapeva che avevano ordine di non far entrare nessuno; aveva già provato molti metodi per circuirli. Questo, in particolare, sembrava spassoso quanto efficace.
Indugiò all'angolo del muro guardando la minuta signorina Hinako che si avvicinava alle due guardie e diceva qualcosa che li fece scoppiare a ridere. Batté adirata il piede e disse qualcos'altro. Una delle guardie l'accarezzò sulla testa.
Pessima mossa.
Hinako fece un passo indietro, mentre tirava fuori qualcosa dalla sua mano destra. Nabiki sapeva che era una moneta con un buco in mezzo e cosa sarebbe accaduto dopo. Tenne la moneta tra l'indice e il medio, di fronte a sé. Le due guardie cominciarono a ridere anche più forte.
Poi i loro qi divennero visibili e cominciarono a fluire nella moneta, e smisero di ridere. Nabiki li guardò lasciarsi cadere sulle ginocchia mentre la forma della signorina Hinako ancora una volta si gonfiava nella sua forma adulta. Le due guardie si rovesciarono a terra, sbalordite, e l'insegnante li superò con grazia, passando attraverso il cancello.
Nabiki sorrise tra sé. Prof, lei è una pietra preziosa, pensò compiaciuta. Appena cominciò a muoversi dal suo nascondiglio, colse improvvisamente un movimento all'angolo della sua visuale, e indietreggiò di nuovo, curiosa. Una figura magra che portava un trench lungo e grigio e occhiali da sole si dirigeva disinvolta verso i cancelli ora incustoditi della proprietà dei Kuno. Fermandosi solo per gettare uno sguardo furtivo intorno, scivolò quietamente dentro.
Bene, pensò Nabiki. Sempre più curioso. Trotterellò verso il cancello, facendo una pausa per guardare le due guardie sbalordite.
"Oh, no", disse magnanima. "Non alzatevi. Vado da sola".
E lo fece.


Ninomiya Hinako camminò fino alla porta anteriore dell'opulenta casa della famiglia dei Kuno sentendosi stranamente osservata. Si era preoccupata sin da quando aveva sentito le voci sulla misteriosa morte di Kodachi Kuno. Il direttore non era ritornato ancora a scuola, e nessuno in amministrazione sapeva dove fosse o quando sarebbe tornato. Non avrebbe badato troppo all'assenza prolungata del giovane Tatewaki se non fosse stato per Nabiki Tendo che le aveva rivelato che nessuno l'aveva visto fin dalla morte di sua sorella. Non le sembrava normale.
Aggrottò le ciglia, pensando a Nabiki. Quella ragazza aveva il cuore di un mercenario, casomai ne avesse mai avuto uno. Sospettava che sapesse di più sulla morte di Kodachi, e forse su tutti gli strani eventi della settimana passata, di quanto dicesse. Comunque, l'esperienza le aveva insegnato che era quasi impossibile intimidire la ragazza, e lei non aveva prove, così aveva le mani legate. Pensò di nuovo alla conversazione che aveva udito per caso all'ora di pranzo, alle ragazze che avevano tirato fuori i soldi con impazienza. Nabiki era stata davvero sul punto di vendere informazioni sulla morte di Kodachi? Sarebbe davvero arrivata a tanto?
Hinako scosse la testa. Questo doveva aspettare. Ora aveva problemi più grandi da affrontare. Giunse alla porta anteriore e bussò vivacemente.
In quel momento, la porta si aprì. Hinako fu sorpresa di vedere Tatewaki in persona venire ad aprire. La fissò senza espressione, come se fosse solo una parte del lussureggiante giardino.
"I miei servitori avevano ordini di non permettere a nessuno di entrare", disse con tono piatto, senza inflessioni. Hinako sentì un brivido sottile muoversi dai capelli fino alla schiena. Il Kuno che aveva conosciuto era forte, espressivo e pieno di vita. Fra le altre cose. Questo era uno sconosciuto. Questo Kuno non lo aveva mai visto.
"I tuoi servitori erano molto maleducati", disse semplicemente. "Avevano un bisogno impellente e improvviso di un pisolino". La sua espressione non cambiò.
"Se è venuta a parlare con mio padre, ha sprecato un viaggio. Non è qui e non so dove sia, né quando tornerà. Se mai lo farà". Era sorpresa di sentire che il direttore aveva lasciato che suo figlio portasse il lutto da solo.
"Sono venuta perché desideravo parlarti", disse dolcemente. "Tatewaki Kuno, io capisco che sei addolorato per tua sorella, ma oggi sono venuta a sapere che rifiuti ogni conforto e compagnia. Il dolore è meglio condividerlo. Se tenuto per sé, può divenire un carico insopportabile".
"Questo fardello non può essere condiviso. È mio e mio soltanto", disse categorico. Lei aggrottò le ciglia.
"Non hai alcun amico?", chiese stizzita.
"Non si ha il dovere di proteggere i propri amici?”, chiese, mentre qualcosa scintillava sul suo volto. Hinako aggrottò le ciglia.
"Non capisco".
"Lo so. Né deve capire, sensei. Deve semplicemente andare. Qui non c'è niente per lei." Fissò il suo viso, cercando i segni del giovane bellimbusto che le era così familiare. Cominciò a chiedersi se quel ragazzo se ne fosse andato per sempre, bandito dal trapasso misterioso della sorella. Alla fine sospirò.
"Molto bene, allora. Me ne andrò. Per ora. Non hai idea di quando ritornerai a scuola?".
"Presto, sensei. Rimangono solamente poche cose che devo sbrigare". Annuì, anche se non era sicura di aver capito.
"Molto bene. Sono spiacente di averti disturbato. E Kuno. Mi è molto dispiaciuto per tua sorella. Ti faccio le mie più sentite condoglianze. Se c'è qualsiasi cosa che posso fare, qualsiasi cosa di cui hai bisogno apprezzerei se me lo facessi sapere". Un'altra emozione scintillò velocemente attraverso il suo viso.
Rammarico.
"La ringrazio per la sua preoccupazione, sensei", disse tranquillamente. "Mi scuso per la mia mancanza di educazione, ma non sono davvero preparato per ricevere visitatori". Lei accennò col capo.
"Capisco. Per favore ricorda quello che ho detto". Poi si girò, sentendo la porta dietro di sé chiudersi piano mentre camminava verso il cancello principale. La breve conversazione era stata strana. Kuno era cambiato così tanto. Si chiese malinconicamente se sarebbe mai tornato di nuovo il ragazzo che era una volta. E suo padre, scappare e lasciare suo figlio in un momento del genere! Che genere di uomo poteva farlo?
Sbuffò silenziosamente mentre raggiungeva il cancello. Un'altra cosa l'infastidì quando lanciò un'occhiata alle sue spalle. Per tutto il tempo che era stata nel giardino, aveva avuto una strana sensazione.
Come se fosse osservata.


Nabiki si appiattì tra i cespugli, mentre seguiva la figura misteriosa che scivolava discreta attraverso il giardino. Aveva lasciato il sentiero velocemente così com'era entrata, senza seguire la signorina Hinako. Infatti, sembrava sapere dove stesse andando. Curiosa, Nabiki la seguì, riuscendo appena a tenere d'occhio il trench grigio, fino a che arrivarono a un boschetto riparato nelle profondità del giardino. Nei pressi, poteva sentire il quieto sciabordio di un ruscelletto, un suono rilassante. Si acquattò dietro un fitto gruppo di alti arbusti e aspettò di vedere quello che avrebbe fatto. Poi osservò diverse steli sparse per tutto il boschetto. Lapidi.
Che DIAVOLO? La figura si mosse lentamente fra le steli, fermandosi finalmente di fronte a una di pietra nera. Nabiki guardò, scioccata, la figura cadere sulle ginocchia, gli occhiali da sole scivolarono a terra. Poi sentì un suono.
Un singhiozzo. Il singhiozzo di una donna.
Vide le spalle della donna misteriosa scuotersi con forza, le mani andare al viso. Anche se non poteva vedere cosa guardasse, perché era proprio dietro di lei, poteva scorgere una rosa intagliata nella superficie della lapide, e indovinò che probabilmente fosse di Kodachi.
Quindi i Kuno avevano il loro cimitero privato? Ma chi era quella donna, che si intrufolava da sola nella proprietà per vedere la tomba di Kodachi? Un'amica? Kodachi aveva davvero degli amici? Colse un leggero movimento con la coda dell'occhio, e vide Tatewaki che entrava lentamente nel boschetto. Si era mosso con una grazia leggera, senza fare rumore, e se non l'avesse visto non avrebbe mai saputo che era lì. La donna era ancora ignara.
Nabiki lo vide rinfoderare la katana che teneva in mano al posto del solito bokken. Aveva sentito parlare di una spada incandescente che lui aveva usato al Furinkan quel giorno quella che i demoni avevano temuto. C'erano molte cose su cui voleva saperne di più. Molte.
"L'ho seppellita vicino a Kazuhiro. Mi è sembrato opportuno". La donna sobbalzò al suono della voce di Kuno, le mani le salirono al petto. Si girò a guardarlo, e Nabiki vide il suo viso per la prima volta. Aveva i capelli scuri tirati indietro, e i suoi occhi erano spalancati, spaventati. Scioccati, anche. Nabiki non l'aveva mai vista prima, ma pensò che sembrasse stranamente familiare. Si alzò in piedi lentamente, voltandosi per fronteggiare Kuno, ed ebbe una migliore visione del suo volto. Zigomi alti, occhi a mandorla, una leggera curva sul dorso del naso...
Quindi era così.
Oh, mio Dio!, pensò. No!
La donna guardò Kuno camminare verso di lei, fermandosi a poco più di un braccio di distanza.
"Tatchi," disse a bassa voce, rauca. Il viso del ragazzo non mostrò emozione.
"Ciao, mamma", disse.


Kuno guardò sua madre con espressione piatta. Era invecchiata bene; non c'era un filo grigio nei suoi capelli, e il viso non recava traccia di rughe. Portava un trench grigio chiuso intorno alla vita magra, e il suo volto era rigato di lacrime. Allungò una mano verso di lui.
"Oh, Tatchi", bisbigliò.
"Non mi chiamare così", disse, con voce spigolosa. Lei si scosse, la mano oscillò, poi cadde di lato mollemente. Guardò in basso.
"Capisco che devi essere adirato...", cominciò.
"Adirato? Ti sopravvaluti. È da molto tempo che non penso a te. Da tempo, da quando ci siamo visti l’ultima volta. Continuò a fissarla, ma lei non lo guardava negli occhi, gettava invece uno sguardo verso il boschetto, alle lapidi sparse.
"Come l'hai scoperto?”, chiese infine. Lei guardò di malavoglia in su.
"Ho sempre sotto controllo quello che accade alle vostre vite", rispose tranquillamente.
"Molto materno", disse piatto. La donna fece una pausa, poi parlò di nuovo.
"Come? Come è accaduto?".
"Mostri", disse semplicemente. "L'hanno uccisa i mostri".
"Non mi prendere in giro!", gridò lei. "Non farlo! Lei era mia figlia, dannazione!". La faccia di Kuno si indurì.
"Sì, lo era", disse a denti stretti. "Era tua figlia, e tu l'hai abbandonata. Penso che sia un po' tardi ora per mostrare preoccupazione per lei".
Sua madre rimase in piedi, le mani si strinsero forte, la testa s'inarcò, colpita dalla verità delle sue parole. "Ha pensato spesso a te", disse lui improvvisamente, facendola irrigidire. "Non me lo ha mai detto, ovviamente, ma so che lo faceva. Nelle quiete ore prima dell'alba, qualche volta vagavo per le stanze, e la sentivo gridare nel sonno. La maggior parte delle volte, invocava sua madre. Ti invocava". Il suo sguardo fisso era glaciale, lo poteva sentire anche se non lo stava guardando. "Ma io non l'ho mai fatto. Non una volta". Alzò la testa nel sentirlo, il suo viso era rigato di lacrime appena versate.
"Tatewaki, mi spiace così tanto", mormorò.
"Spiacente? Sei DISPIACIUTA?". Si ritrasse dall'ira improvvisa sul suo volto mentre lui tentava di riguadagnare il controllo, il controllo che aveva lottato per mantenere da quando aveva seppellito sua sorella.
"Tu... tu non capisci...", disse lei debolmente.
"No, io penso che sia tu a non capire. Abbiamo vissuto ogni giorno in questo stato, prima noi tre, poi Kodachi e io. Abbiamo vissuto in un bagno acido di follia e incubo, guardando impotenti la patina di sanità mentale che lentamente scivolava via. Possiamo essere stati dei pazzi, ma almeno abbiamo trovato il modo di andare avanti. Io avevo le mie arti, la mia poesia, il mio tornare nel passato. E... altre ricerche. E Kodachi...". Si fermò, la mascella si strinse ermeticamente, e sua madre guardò timidamente in su, tentando di incontrare il suo sguardo fisso. "E Kodachi", continuò finalmente, "cercava quello che le era stato sempre negato. Amore, tenerezza, cura. Ma a quel punto, lo cercava con una tenacia ossessiva che era spaventosa da vedere e contraria alle cose che diceva di desiderare. Era arrivata a credere che avrebbe potuto essere salvata dal vero amore". Si girò a guardare verso la lapide di Kodachi, ma in verità il suo sguardo stava vedendo qualcosa di molto più lontano. "Il vero amore", disse, malinconicamente. "E chiaramente ha scelto proprio l'uomo sbagliato a cui donare il suo cuore. Ė arrivata a credere che se avesse potuto avere il suo amore, con tutti i mezzi necessari, allora sarebbe stata salva. Noi tutti potevamo essere salvati. Come potevo farle capire che lui era un codardo, senza onore, a cui non importava nulla dei sentimenti delle donne che lo desideravano così ardentemente? Ho tentato, ma lei non ascoltava. Negli ultimi giorni, non mi ha mai ascoltato, neanche quando ho tentato di lasciarla qui. E così, alla fine, si è sacrificata per l'amore di un uomo indegno, e l'abbiamo persa". Continuò a fissare in modo assente la lapide, perduto in quello che sarebbe stato, se solamente...
Se solamente.
"Tatewaki, non è tardi! Lascia anche tu questo posto. Oggi, con me". Lui sbatté le palpebre, la voce lo fece ritornare al duro presente. Si girò a guardare l’implorazione sul suo viso.
"Lasciare?", ribatté perplesso.
"Non c'è nulla se non pazzia qui, Tatewaki! L'hai detto tu stesso! Non hai bisogno di stare qui con tutti questi brutti ricordi, vieni via con me! Ora, oggi! Andremo in qualche luogo sicuro, noi...".
"TU!". L'ira nella sua voce la bloccò, e fece un passo indietro vedendo le mani di Kuno tremare, il controllo quasi perso. Quasi.
"Tu", ripeté più piano. "Non hai mai capito, vero? È sempre stato dovere del nostro clan proteggere questo posto. Non ti è stato spiegato quando ti sei sposata con mio padre?". Lei accennò col capo, indifesa.
"S-sì, ma... non è accaduto nulla per così tanto tempo, che non mi aspettavo...".
"Hai fatto un giuramento", disse, la sua voce carica di disprezzo, "perché pensavi che non saresti stata mai chiamata ad adempierlo?". Distolse di nuovo lo sguardo, incapace di guardare la ripugnanza sul suo viso.
"Io avevo paura!". Pianse, la voce colma di dispiacere. "Non capisci? Kazuhiro era solo un bambino, e loro l'hanno ucciso! Avevo paura di quello che sarebbe accaduto a noi!".
"E così sei fuggita!".
"Volevo prendervi entrambi con me! Lo volevo, ma tuo padre non l'avrebbe permesso! Lui aveva ricchezza e influenza, e io non avevo nulla! Non mi avrebbe permesso di portarvi via, e ora due dei miei bambini sono morti!". Avanzò più vicino a Kuno, accostandosi disperatamente, la mano che stringeva l'aria. "Vieni con me, Tatewaki. Non far sì che la maledizione di questa famiglia rivendichi anche te. Mettiamo fine a tutto ciò una volta e per sempre". Lui la fissò, la faccia sempre inespressiva, e vide un debole luccichio di speranza illuminare i suoi lineamenti, quegli stessi lineamenti che erano così simili a quelli della sorella. Una volta avrebbe dato qualsiasi cosa per avere sua madre di nuovo con sé.
Una volta, ma era molto tempo fa.
"Anche se io andassi via, sciocca donna, non sarebbe finita. Se io andassi via chi adempirebbe ai doveri del nostro clan? Mio padre non è più capace, non lo è da tempo. Se io vado via chi onorerà i loro ricordi e i loro sacrifici?". Allungò il braccio per indicare le lapidi che occupavano il giardino. "Vorresti che fuggissi, come un cane con la coda tra le gambe dopo tutto quello che ho subito? Sei pazza, donna. Io adempirò ai miei obblighi, alla memoria dei miei consanguinei e all'onore, anche se mi costerà la vita. Ma tu non capiresti. Non comprendi altri che te stessa. Vai via da qui". Si voltò verso di lei, l'espressione era rigida, di granito. "Non sei la benvenuta in questa casa". Con questo, si girò bruscamente e si allontanò, lasciandola lì, sbalordita e immobile. La sua mano, ancora alzata verso di lui, tremò e precipitò lungo il fianco.
“Io ho paura per te!". Per metà gridò, per metà singhiozzò alle sue spalle rigide. "Non lo capisci? Tatewaki, io sono tua MADRE!". Lui si fermò, non degnandosi di voltarsi.
"Io non ho madre", disse leggermente, la voce portata via dall'aria immota del pomeriggio. "L'ho persa, molto tempo fa".
Poi la lasciò fra i ricordi dei morti, unico segno d'emozione le nocche sbiancate nell'impugnare il fodero laccato della sua arma.


"Ehi!". Nabiki aveva aspettato finché la madre di Kuno non si era allontanata dai giardini della proprietà prima di tentare di avvicinarsi a lei. La donna non si era girata al suo richiamo, e Nabiki trotterellò per raggiungerla, l'ombra che le correva avanti nella luce del tardo pomeriggio. Non fu difficile raggiungerla. Stava camminando lentamente, senza meta, apparentemente ignara di ciò che le accadeva intorno, il suo trench grigio e lungo si agitava scompostamente contro le gambe, senza notare che Nabiki le si era avvicinata.
"Um, Sig.ra Kuno?", chiese Nabiki esitante. La donna finalmente si fermò, girando il viso rigato di lacrime per guardare la ragazza più giovane.
Da vicino, Nabiki fu stupita di quanto somigliasse a Kodachi. Le caratteristiche erano così simili, ma il viso della ragazza aveva portato sempre l'impronta della malizia, della rabbia. Questo volto era più gentile, ma triste. E bellissimo. Era il viso che probabilmente Kodachi avrebbe avuto se fosse vissuta abbastanza a lungo da diventare adulta, e se avesse mai trovato un po' di pace.
"Non ho più quel nome da tempo", disse cupamente la donna, e Nabiki rabbrividì alla disperazione nella sua voce. "Chi sei?".
"Nabiki Tendo, signora", disse. "Sono una compagna di classe di Kuno... di Tatewaki". La donna accennò vagamente col capo, e proseguì. "Stavo andando a trovarlo, e non ho potuto fare a meno di udire per caso un, ehm, un po' della vostra conversazione. Mi stavo chiedendo se lei potesse dirmi di che cosa si tratta".
La donna stette in piedi immobile, si volse a esaminarla, i suoi occhi scuri si acuirono leggermente. "Sei un'amica di mio figlio?”, chiese a un tratto. Nabiki si sentì presa alla sprovvista. Un'amica? La maggior parte delle sue relazioni con Kuno erano storicamente finite con un pagamento, che fosse per foto o informazioni. Non pensava che questo particolare sarebbe stato di interesse per sua madre. La sig.ra Kuno, forse interpretando male l'esitazione di Nabiki, insistette, l'emozione s'insinuò nella sua voce.
"Se tieni a Tatewaki, per favore aiutalo. Per favore. È in grave pericolo. Per favore".
Con quell'ultima dichiarazione, scattò giù dal marciapiede, lasciando indietro una spaventata Nabiki.
Pericolo? Lascia stare, la rimproverò una piccola voce interna. Non c'è alcun profitto qui, solo vecchi e complicati affari di famiglia. Stanne fuori.
Poi ebbe il flash, con dolorosa chiarezza, dell'immagine delle ragazze di poco prima, i soldi stretti nelle mani tese, le espressioni ansiose e affamate.
La bocca le si strinse in una linea sottile e si mise a seguire la madre di Kuno.


Hinako attraversò con lentezza l'oscurità incipiente. Era regredita alla sua forma più giovane, ma stava agendo con insolita serietà. Il suo incontro con Kuno l'aveva lasciata rattristata e arrabbiata. Il ragazzo stava evidentemente patendo la morte della sorella, e sembrava deciso per qualche ragione a soffrire da solo. E suo padre pareva l'avesse abbandonato.
La propensione del direttore di prendere il largo era leggendaria fra il personale e gli studenti del Furinkan. Lui era, dopo tutto, qualcosa di aleatorio, a dire la verità. Eppure, lasciare il suo unico figlio da solo in quella casa enorme dopo che la figlia era morta...!
E non aveva ancora idea di quello che era accaduto a Kodachi. Le voci abbondavano, ognuna più strana della precedente. Aveva la sensazione che la probabile causa della morte della ragazza avesse qualcosa a che fare con lo stato mentale di suo fratello. Si chiese come potesse scoprirlo. Forse avrebbe dovuto chiedere a Ranma o Akane. Facevano tutto parte dello stesso gruppo, forse sapevano qualcosa.
O Nabiki. Sentì un'espressione di disgusto attraversarle la faccia. Solamente se avesse pagato per l'informazione. Onestamente, quella ragazza...
Stava passando per un vicolo ombreggiato vicino al suo palazzo quando lo sentì. Un suono pietoso, lieve e spaventato. Si fermò, sbirciando intensamente nelle ombre.
"Ehilà?", tentò. Venne di nuovo, un miagolio acuto. Sembrava un gattino. Si diresse verso il vicolo, notando quante poche persone ci fossero su quel lato della strada. Doveva essere cauta, lo sapeva, ma l'animale sembrava nei guai, e lei non poteva resistere a un innocente in pericolo. Si fece più vicina di un altro passo.
"Qui, gattino gattino gattino", cantilenò, tentando di scorgere dettagli nell'oscurità.
Qualche cosa si mosse nel vicolo, un veloce e indistinto movimento, e fu gettata rudemente a terra, spinta in avanti nelle ombre. Lottò per respirare quando sentì una mano forte coprirle la bocca, soffocando il suo grido mentre veniva portata nelle profondità del vicolo, sempre più lontana dalla luce.
E la cosa che la trasportava rise, un suono arrabbiato, inumano.


Nabiki era confusa. Non era completamente sicura di quello che stava facendo, o del perché lo stesse facendo. Aveva speso metà del pomeriggio seguendo la madre di Kuno, localizzandola in un piccolo albergo poco costoso dove aveva determinato che la donna risiedeva. Non le sembrava fosse in grado di rispondere alle domande, così aveva deciso di aspettare e sperare che non andasse via prima che potesse parlarle di nuovo.
Ma di cosa voleva parlarle? Quale diavolo era la questione, insomma? Cimiteri privati, strani obblighi di famiglia e questo ragazzo morto, Kazuhiro. Perché si era cacciata in questa storia?

("Io non ho una madre", aveva detto, il dolore nascosto, ma chiaro se si sapeva dove guardare. Come lei aveva fatto. "L'ho persa, molto tempo fa".)

Entrambi, caro Kuno, pensò Nabiki con tristezza. Attraversò stancamente la veranda anteriore, lasciando cadere la borsa all'entrata e camminando a fatica verso casa. Poteva sentire Kasumi in cucina, ma non c'era alcun segnale di suo padre o del Sig. Saotome. Forti voci femminili le indicarono che Akane e Ranma-chan erano in giardino. Andò sulla veranda, sbirciando la coppia che litigava. Guardandoli, inosservata, i suoi pensieri ritornarono alla conversazione alla quale aveva assistito, e alla tristezza di Kuno per sua sorella. Aveva detto che lei aveva tentato di fuggire dal suo dolore alla ricerca dell'amore. L'amore di Ranma, pensò acidamente Nabiki.
Un codardo, Kuno l'aveva chiamato così. Un codardo, un cagnaccio senza onore, e un uomo indegno che non si curava delle donne che lo seguivano. Anche nel suo attuale umore nero, Nabiki sapeva che la valutazione di Kuno del suo concorrente era esagerata, contorta. Ma forse non completamente sbagliata.
Forse era ingiusta, ma Ranma poteva realmente essere un idiota talvolta. E non sembrava disposto a mettere un freno a tutta l'attenzione femminile che suscitava sempre, anche quando faceva del male ad Akane.
Gelosa, Nabiki?, cinguettò quella piccola voce. Aggrottò le ciglia, perché la voce aveva ragione. Odiava il modo in cui gli altri prendevano tutto per concesso, odiava il modo in cui si comportavano. Un'opportunità per migliorarsi, per amare, la trattavano con una leggerezza quasi stupefacente, come se non fosse qualcosa di incredibilmente prezioso. Come se non fosse importante perderla, perché sarebbe sorta subito un'altra opportunità. Probabilmente era così per gli altri, e questo la faceva adirare e ingelosire anche di più. Il suo segreto, quella gelosia. Nessuno lo sapeva.
Beh, non era vero. Ranko lo sapeva. Le mancò improvvisamente. Pensò di nuovo al giudizio di Kuno su Ranma, e rifletté che certamente aveva sofferto alla comparsa della sua controparte. C'era qualcosa nel dolore di Ranko che le aveva permesso di capire e di avvicinarsi al dolore degli altri.
Supponeva che fosse in parte per quello che gli aveva detto. Era rimasta sorpresa da quanto bene si era sentita, in qualche modo, ad ammettere che aveva cercato spesso di far sentire Ranma un miserabile per un po' di gelosia. Si era aspettata che si sarebbe adirato, ma lui era stato davvero molto comprensivo. E quello che aveva fatto, di fronte a tutti mentre stava andando via, era stato così dolce.
Avevano voluto tutti sapere cosa le avesse sussurrato, ma non voleva dirlo. Aveva ricordato le parole esatte che aveva usato, e gliele aveva ripetute. Sapeva che alcune delle ragazze sospettavano che avesse una cotta per Ranko, ma avevano torto.

("Nabiki Tendo, io devo averti")

Una frase in codice, solo tra loro. Non aveva dimenticato quello che era accaduto tra loro quel giorno. Voleva che lei lo tenesse a mente. Sorrise malinconicamente, ricordando quel momento. Un amico. Un vero amico. E poi, era andato. E ora aveva bisogno di lui, aveva bisogno di dirgli della situazione di Kuno, sentiva la necessità di dirlo a qualcuno che avrebbe ascoltato, qualcuno che poteva tentare di aiutarla a capire quell'insano impulso a sentirsi coinvolta nella faccenda.
Fu riscossa della sua fantasticheria quando Ranma-chan e Akane cominciarono a ridere di qualcosa. Non poteva immaginare di parlare con Ranma nello stesso modo con cui aveva parlato alla sua controparte. A lui mancava l'elemento della maturità che aveva trovato in Ranko. Eppure, qualcosa era cambiato in lui dalla morte di Kodachi.
È così?, si chiese silenziosamente. Ranko, Ranma, Kuno... io? Serve la morte per cambiarci, per farci crescere? Non c'è un modo più facile, un modo più pulito?
Le due ragazze risero di nuovo, e Nabiki si sentì davvero molto sola.


Akane era cautamente ottimista. Lei e Ranma stavano discutendo di qualche cosa, litigando, e poi, all’improvviso, la tensione era evaporata.. Quando era stato probabile che avrebbe gettato, solo fino a una settimana fa, uno sfortunato Ranma nello stagno, o che lui l'avrebbe chiamata un maschiaccio per niente carino, si erano guardati l'un l'altra e avevano cominciato a ridere. Sapeva che non sarebbe stato sempre così facile, ma ciò che era accaduto aveva rinforzato nella sua mente la convinzione che le cose fossero davvero cambiate tra loro.
Non l'avevano detto a nessuno, e qualche volta le faceva male che lui sembrasse ancora restio ad andare oltre o a dimostrare affetto per lei. Ma, si disse, questo è Ranma. Gli ci vorrà del tempo per cambiare del tutto. Solo un po' di tempo.
E in momenti come questo, ci credeva davvero.
"Vi divertite?". Si voltarono per vedere Nabiki in piedi all'ombra della veranda, a guardarli. Qualche cosa nel suo tono fece insospettire Akane.
"Ehi, Nabiki. Dov'eri? Hai saltato la cena".
"Avevo delle cose da fare", disse, piuttosto brevemente.
"Un giorno proficuo, Nabiki?", chiese Ranma-chan con finta allegria, evidentemente ignaro dell'umore della ragazza più grande.
"Non particolarmente", rispose tranquilla. "Ascoltate, mi stavo chiedendo cosa pensavate di fare con Kuno". Akane ammiccò incerta.
"Fare?", echeggiò, confusa.
"Non c'è nulla da fare, Nabiki", disse Ranma-chan. "Si è chiuso in quella stupida villa, e non vuole vedere nessuno. Ha messo anche le guardie al cancello anteriore". Nabiki sbuffò, derisoria.
"Come se questo ti fermasse se volessi davvero entrare, Ranma. Cielo, il ragazzo è tutto solo laggiù! Anche il suo latitante padre l'ha abbandonato, secondo le mie fonti. Non vi importa?".
"Ehi!", esclamò la rossa, pungente. "Da quando in qua sei una grande sostenitrice di Kuno? Cosa ne ricavi in tutto questo, Nabiki?". Akane prese un respiro sibilante quando vide gli occhi della sorella restringersi per la rabbia. Per qualche ragione, quel che aveva detto Ranma-chan l'aveva colpita davvero.
"Lui e sua sorella si sono messi in gioco per aiutarti, per aiutare tutti noi e ora lei è morta! E ti amava, non conta niente per te?". Lei fece un piccolo suono soffocato e arrossì.
"Nabiki!", gridò Akane. "Questo non è giusto!". L'impeto di Nabiki vacillò, e la minore delle Tendo vide scemare lentamente la tensione da lei.
"Hai ragione, sorella. Non intendevo questo, Ranma. È solo che il ragazzo è un disastro totale. Non hai idea".
"E tu sì?", chiese Ranma-chan.
"Io ero là oggi, in effetti. Kuno ha ricevuto una visita da sua madre. Non è andata bene". Akane e Ranma si scambiarono occhiate stupite.
"Kuno ha una madre?", chiese stupidamente Ranma-chan.
"Io ho sempre presunto che fosse morta!", disse Akane meravigliata.
"Avrebbe anche potuto esserlo. Kuno non vuole avere niente a che fare con lei. Dannazione, Akane. Non ricordi come fu dura quando morì la nostra, di madre? Ci trovammo in difficoltà, ma almeno avevamo papà. Kuno non ha nessuno eccetto noi che si curi di quello che gli accade". Akane incontrò lo sguardo fisso di Nabiki, sentendosi agitata. Dopotutto, sua sorella non stava dicendo nulla che lei non si fosse già chiesta. Ricordò Ranma che le diceva, la notte precedente, che non potevano aiutare Kuno se lui non voleva essere aiutato, e si chiese se fosse proprio così. L'avevano davvero abbandonato tutti?
"Forse hai ragione", disse con dolcezza. Nabiki accennò col capo.
"Forse sì. Pensa a lui, ok? Il ragazzo aveva una cotta per te, ricordi? È probabile che una visita da parte tua gli faccia bene". Si rivolse a Ranma-chan. "Vale anche per te, ragazza col codino". Poi si girò e scomparve in casa.
"Dannazione, che cosa succede a tutti?", chiese Ranma-chan, rabbia e confusione che si accavallavano.
"Non lo so", confessò Akane. "Ma potrebbe aver ragione. Forse Kuno non è nella forma migliore per decidere quello che è meglio per lui ora. Forse dobbiamo assicurarci che stia bene".
"Veramente non penso che sia una buona idea, Akane". La ragazza decise che era ora di diventare caparbia.
"Qual'è la verità, Ranma?".
"Cosa intendi?". Ranma-chan sembrava sulla difensiva, e Akane insistette.
"Quello che ha detto Nabiki ti ha infastidito, non è così? Solo perché Kodachi era innamorata di te non significa che quello che è accaduto sia colpa tua!". Ranma arrossì e guardò altrove, Akane sospirò. Quindi era quello. "Ranma, non hai fatto nulla di sbagliato. Non devi sentirti colpevole".
Ranma-chan mosse nervosamente i piedi. "Supponi che Kuno non lo veda così, eh?", domandò. "Io non voglio essere costretto a combattere contro il povero bastardo, non dopo tutto quello che ha passato". La fidanzata scosse la testa.
"Guarda, puoi andare come sei ora. Almeno, se lo vedi, gli parli, ti sentirai come se avessi fatto qualcosa per tentare di mettere le cose a posto. Kodachi è morta, Ranma. Kuno è come se non ci fosse. Non possiamo fare niente per lei, ora, ma possiamo ancora aiutare lui. Io ho deciso. Vado. Verrai con me?".
Ranma-chan sedette, la posa rigida e infelice, la testa inclinata. Akane aspettò pazientemente, non voleva pressarla ancora. Infine, la rossa accennò col capo, la treccia si dimenò leggermente contro il retro della camicia. "Io sono con te", disse.
"Bene. Andrà tutto bene, Ranma. Vedrai", disse Akane.
Desiderò sentirsene certa come aveva detto.


Chiamare o non chiamare.
Lo sguardo fisso di Nabiki si spostò dal telefono al quaderno aperto sulla scrivania.
Chiamare o non chiamare. Quelle due scelte stavano ripetendosi come un mantra idiota negli ultimi dieci minuti. Appoggiò il mento sul pugno e sospirò.
"Dannazione, Nabiki, che diavolo stai facendo?", gemette forte. Era già abbastanza grave che avesse fatto una tale uscita di fronte a Ranma e Akane. Ora si stava tormentando per procedere con un'azione che quasi certamente non le avrebbe fatto guadagnare nulla, e avrebbe potuto finire per costarle cara.
Chiamare o non chiamare.
Dopo tutto, perché doveva essere lei quella che doveva sgobbare per questa cosa? Era destino che dovesse essere coinvolta in tutti i generi di caotiche scene emotive, e trattare con le emozioni, le sue o di altre persone, non era proprio il suo forte. Lascialo solo. Non chiamare. Chiaramente la scelta migliore.
Non era un suo problema.

("Cosa penserebbe tua madre se fosse qui, Nabiki? Pensi che lei sarebbe orgogliosa di te? LO PENSI?")

Nabiki chiuse gli occhi, pizzicandosi il naso fra le sopracciglia.

("Perché io non penso. Io penso che si vergognerebbe di avere una figlia come te")

"Basta", mormorò. Comunque, i suoi ricordi non si facevano reprimere così facilmente.

("Ti stai chiedendo se puoi continuare come al solito con gli affari, mentre non conosci gli effetti che possono avere")

Si passò i palmi sul viso, facendo scivolare i capelli fra le dita.

("Nabiki, io penso che tu sappia precisamente cosa fare, solo che non vuoi farlo")

Si massaggiò i muscoli irrigiditi del collo con le dita lasciando cadere mollemente il capo in avanti.

("Sei un'amica di mio figlio?")

"Bella domanda", bisbigliò, appena consapevole che stava parlando da sola, e quello non poteva essere buono.

("Se tieni a Tatewaki, per favore aiutalo. Per favore. È in grave pericolo. Per favore")

A cosa tieni, Nabiki?, le chiese la piccola voce. Vide di nuovo le ragazze, soldi tesi impazientemente verso di lei, e sospirò. Lentamente, inclinò la testa all'indietro, ruotandola per allentare la rigidità del collo e i muscoli della spalla.
Chiamare. O non chiamare. Ma scegli, perché questo ti farà diventare matta se non lo fai.
Si strinse nelle spalle e stancamente tirò di nuovo su la testa. Se non lo faccio, non scoprirò mai la verità, si disse. Rimarrà un mistero. E io odio non sapere le cose.
Se lo dici tu, disse compiaciuta la sua voce interiore, sentendo quale fosse la sua decisione.
Prese il telefono, cercò un numero sul quaderno e lo compose.
"Shinji. Qui Nabiki Tendo. Che te ne pare di un'interruzione dei termini di pagamento del tuo debito? No, non sono febbricitante, spiritoso! Ti interessa o no? Bene. Ti costerà un favore. Compra un computer con quel soldi, si dice che sei un hacker abbastanza bravo. Non chiedermi come lo so. Ho bisogno di alcune informazioni...". Si mise in moto, sentendo il senso vago di un'emozione che non voleva ammettere.
Ma che sarebbe stata fondamentale.


I primi raggi dorati del sole illuminarono Tatewaki Kuno accovacciato lungo il muro interno della tenuta. Esaminò attentamente la custodia danneggiata che ondeggiava debolmente alla gentile brezza mattutina. Sembrava che le molte notti di ricerca avessero finalmente dato i loro frutti. Era consapevole dell'energia, era chiaro, ma non aveva fatto niente per riparare la custodia. Dopotutto, voleva che l'intruso fosse in grado di entrare nella proprietà. Non voleva però che fosse troppo facile.
Si drizzò lentamente, rivolgendo il viso al calore del sole che sorgeva, la katana stretta ermeticamente in una mano, il cuore pesante per il dolore della settimana passata, e con l'ultimo lavoro che gli si profilava innanzi.
"Stanotte, amico mio", disse, parlando piano nella quiete del primo mattino. "Sarà stasera".
E poi indurì il cuore contro il suo fato, perché piangere non si addiceva a un guerriero.






Fine prima parte.
   
 
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