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Autore: kaos3003    03/10/2011    2 recensioni
Dare a una donna quello di cui ha bisogno non significa degradarla al semplice sesso, anche una storia può realizzare il suo sogno.
[La storia si è classicata terza al concorso di Eylis "Il Morso e... il Nastro"]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Siamo una brutta confezione regalo di tè.'
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Titolo: Dei sorrisi coperti da nastri
Tipologia: one shot
Lunghezza: 6390 parole (contatore)
Genere: generale, vagamente erotico e romantico
Avvertimenti: nessuno
Rating: giallo
Credits: i personaggi e tutto ciò che compare nella storia mi appartiene, eccetto il nome Mary Douglas, mutuato da una nota antropologa. Ovviamente il personaggio non ha nulla a che spartire con la persona, ma mi sembrava giusto dirlo.
Nelle prime due righe si trova un citazione adattata da “La casa degli spiriti” di Isabella Allende, mentre ad un certo punto, credo a pagina sette, compare la frase “Tu non devi!”, traduzione di “Thou shalt not.”, parte di un verso della poesia “The garden of love” di William Blake.
Note dell'autore: la storia riprende le fila di “Requiem d'uccel migratore”, un racconto originale che scrissi tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. Ovviamente è perfettamente comprensibile senza averla letta.
Che dire, io a questi personaggi sono molto affezionata e ogni tanto ipotizzo nuovi sviluppi per la loro ricomparsa. Questo concorso è stato, alla fine dei conti, il pretesto per concretizzarne uno.
Introduzione alla storia: dare a una donna quello di cui ha bisogno non significa degradarla al semplice sesso, anche una storia può realizzare il suo sogno.


Sa, se fosse stato vero quello che le mie prozie raccontavano, ossia che mio padre, Robert Scott, avesse ereditato tutta la pazzia della famiglia, altrettanto si doveva dire della pazza serietà di suo cugino Ernesto. Non ho mai capito perché non lo facessero, ma per come la vedo il solo fatto di accettare un nome come Ernesto denota una grave mancanza affettiva.
Erny – non mi guardi male, tutti in famiglia lo chiamavano così – era, a detta di molti, un passivo nato. Non so se la cosa si riflettesse nel talamo nuziale, anche se, visto quanto sto per raccontarle, ne dubito, eppure sembrava veramente trascorrere la sua vita nella più completa apatia, quasi non gli importasse di essere stato messo al mondo e di cosa poteva fare per sdebitarsi.
Naturalmente c’erano opinioni discordi in materia: secondo sua madre, Erny aspettava qualcosa che lei, una buona contadina veneta arrivata e sposatasi per un treno sbagliato, non riusciva a capire, ma suo padre, saldatore con un contratto fisso e tre figli a carico, semplicemente lo riteneva uno stupido.
Be’, ora che ci penso, tutti ritenevamo Ernesto molto stupido e nessuno si preoccupava di nasconderlo. In fondo, certe occhiate pietose lanciate durante la cena non possono passare inosservate.
Ecco, pensi alla più classica delle cene di famiglia: la nonna che si lamenta perché la minestra è troppo salata, i bambini che bisticciano e si rincorrono intorno al tavolo, mentre i giovani discutono coi padri di politica; ecco, in un momento come questo Ernesto viene puntualmente etichettato come il ritardato della famiglia. Non ci sono referti medici che lo provino, ma è cosa certa: Erny è così, lo sanno tutti e ognuno si adegua alla cosa tra sospiri ottocenteschi e frasi di compassione.
Brutte le frasi di compassione, ne conviene? Sono lapidarie e disarmanti perché ti impediscono di rispondere senza sembrare stupido a tua volta. Eppure anche in quelle cene erano tutti nel torto, perché Erny leggeva, leggeva tanto e bene.
Devo ammettere che mi sono pentita di non averlo conosciuto meglio, ma quando ho potuto visitare la sua biblioteca ho avuto l’impressione che qualcuno avesse appeso un immenso striscione con scritto “vi ho fregati”, ed era un bello striscione, pieno di colori sgargianti e ricerca accurata per i rimandi della trama e l'intreccio...
Mi scusi, sto nuovamente divagano ed è un’abitudine veramente pessima.
Ad ogni modo, il cugino Ernesto non si curava nemmeno di rispondere a questi giudizi – l'avevo avvisata di questa sua apatia? Mi sembra d'averlo fatto, ma non ricordo bene – e continuava a spiluccare la sua minestra. Sì, nemmeno io avrei detto che si potesse spiluccare la minestra, eppure lui sembrava capace di farlo.
Comunque, spiluccava e, tra una cucchiaiata e l'altra, metteva in mostra il suo avambraccio fasciato, suscitando lo sdegno, i pianti e la disapprovazione di quelle ormai note prozie.
Ecco, quell'avambraccio era la cosa più singolare del povero cugino Erny, perfino più singolare della sua collezione di tappi di detersivo.
Lei deve capire che l'ultima volta che lo vidi avevo appena quattro anni ed ero imbottita di antidolorifici... ora che ci penso, doveva essere in una festa tenutasi pochi giorni prima che abbandonassimo il quartiere popolare che aveva segnato la nostra infanzia per trasferirci dai nonni materni nel centro della città.
Oh, mi scusi, questa storia la conosce già. Non si arrabbi, ora le racconterò qualcosa su quel 'singolare' cugino.
Dicevo, avevo solo quattro anni e quell'avambraccio era tale motivo d'imbarazzo e rimbrotti nella mia famiglia che non mi fu mai concesso vederlo scoperto della fasciatura e questo, come può immaginare, solleticò la mia fantasia di bambina, portandomi ad immaginare gli scenari più assurdi. Devo averlo anche creduto un pirata stupido, ad un certo punto.
Per anni mi domandai quale sfregio nascondesse e se fosse stato causato da qualcuno della famiglia, senza però ottenere risposta da alcuno. Solo alla sua morte, quando sola mi presentai alla chiusura della bara, scoprii il segreto, quando l'impresario delle pompe funebri, stranito, mi chiese spiegazioni per il morso nascosto sotto il raso.
Sì, ha capito bene. Sotto quella fasciatura di raso colorato, il buon cugino Ernesto nascondeva un morso. No no, non sempre lo stesso perché, come ben sa, il segno di un morso non può durare per anni, ma a quanto pareva si preoccupava di averne sempre uno da sfoggiare. O almeno ho interpretato così quanto insinuavano le nostre maliziose cugine durante i pranzi in cui non interveniva.
Lo so, sembra una cosa da pazzi autolesionisti, ma le giuro che non era così: Erny non si mordeva certo da solo, solamente chiedeva alle sue compagne di farlo e poi nascondeva il segno sotto un nastro colorato, legato con diversi giri ed adornato con un vistoso fiocco.
Be', effettivamente detta così sembra proprio l'atto di un pazzo, ma se mi lascerà raccontare capirà tutto.
Quello che mi risultava più strano, venuta a capo del mistero, era che potesse sempre sfoggiarne uno perché, sebbene nessuno dei parenti maschi lo ritenesse possibile, sembrava sempre trovare chi lo mordesse. Ed, a quanto si dice, spesso era pure qualcuno che aveva un uomo a casa, un uomo identico ai nostri parenti maschi gonfi e tronfi, che veniva puntualmente abbandonato per quell'individuo dalla faccia pulita.
Oh, sarà stato anche stupido, ma Ernesto, nonostante il nome, doveva essere sempre circondato da donne. In fondo, se ci penso meglio, come si poteva resistere a due grandi occhi verdi e ad un sorriso da timido topo di biblioteca stampati su un omone alto quasi due metri?!
Sa, dopo queste scoperte ho immaginato tantissime volte come dovesse svolgersi la loro scena madre e ogni volta loro due sono lì, distesi nudi su un letto, accaldati e sudati dopo aver fatto l'amore, persi in quel momento di torpore che segue la soddisfazione e precede il sonno. Non mi sono mai preoccupata di dare un volto a quella donna, Erny ne deve aver conosciute così tante che potremmo incollarle uno smile sopra senza troppi problemi, ma ho sempre pensato avesse un'espressione di pure benessere, la stessa del gatto che ha appena mangiato la crema ed ora vorrebbe solo sonnecchiare in un posto soleggiato.
Oh, non mi guardi con quel sorrisino ironico. Sì, purtroppo sono piuttosto orgogliosa della mia famiglia, o almeno di alcuni membri di essa, e credo che le sue compagne abbia sempre trovato la soddisfazione sotto le mani e la lingua di quello strano cugino, perché certamente un tipo simile non può certo limitarsi ad usare le mani e il proprio uccello. Mi crede una fanfarona? Nel nostro quartiere circolavano racconti mirabolanti e miracolanti sulle prodezze di quel rampollo strano della famiglia che voleva dimenticarsi cambiando nome e tutti avevano voci narranti femminili entusiaste.
Ad ogni modo, più o meno tutte le mie fantasie cominciano allo stesso modo: loro sono sul punto di addormentarsi, quando lui comincia a baciarle il collo e le spalle, tracciando con le dita la curva della clavicola e le corde visibile sul collo.
La pelle della ragazza è calda e salata per il sudore, eppure gli piace quel sapore perché sa di esserne il diretto responsabile – sì, Ernesto in fondo è un uomo, vuole che non sia affetto dal più grave peccato della sua specie, l'orgoglio? – e continua a scendere giù, oltre le ascelle e verso il fianco, mentre lei ridacchia per il solletico che le fanno i suoi baffi e la barbetta.
Non rida, gli imberbi non mi hanno mai interessata troppo: se volessi un ragazzino diventerei madre, non certo amante. Comunque, qui arriva la parte interessante, quella che le mie zie devono aver sempre temuto e, forse, desiderato dai loro mariti flaccidi: la ragazza sta per girarsi e baciarlo, quando lui finalmente glielo chiede. Ed è una richiesta strana la sua, ne converrà anche lei, eppure diretta e semplice: mordimi il braccio, appena sopra il polso.
Oh, avesse potuto vederlo la sua famiglia in quei momenti, certamente sarebbe stata orgogliosa di un tale elemento virile.
Lei arrossisce, un po' per l'imbarazzo, un po' per il timore e vorrebbe tanto dire di no perché ha una fottuta paura di ritrovarsi tagliata in un congelatore o nuda ai lati di un'autostrada, ma lui continua a baciarla sulla pancia, accarezzandole gentilmente il seno. Ha le mani calde, Ernesto, e la osserva appena attraverso le ciglia abbassate e lei sicuramente pensa che quella lunghezza sia imbarazzante perché per ottenere un effetto simile ha dovuto usare litri di mascara.
Erny le soffia appena sulla pancia, dandole i brividi. Non sembra cattivo, e poi ha quegli occhi da bambino e bacia bene... Ed è così che alla fine cede.
Su su, non c'è nulla di male in questo piccolo cedimento. Quell'uomo l'ha fatta godere come non le accadeva da anni e, per quanto strano possa essere, può certamente soddisfare un suo piccolo feticismo. Così, respirando a fondo per calmare il proprio cuore impazzito, gli afferra saldamente il braccio, graffiandolo con le unghie laccate di verde mela, e affonda i denti nella pelle, non abbastanza da romperla – sia mai che avesse qualche malattia –, ma con abbastanza forza da lasciarvi il segno.
Ed è un segno bello quello che lascia o almeno così pensa Erny, mentre lo contempla e le accarezza i capelli con riverente indifferenza. Si immagini uno spicchio di luna appena tratteggiato e ogni tratto leggermente incavato e rosso, il tutto circondato da una folta peluria scura. Detta così fa un po' impressione e la prego di non ridere, perché per il caro cugino era effettivamente una delle cose più affascinanti che esistesse al mondo.
E la ammirava, e la guardava e la studiava col fare dello scienziato innamorato dei suoi scarafaggi, mentre la sua compagna ridacchiava a disagio.
« E poi? »
Alzo appena lo sguardo e incontro gli occhi verdi della mia interlocutrice, febbricitanti per l'attesa. L'arancione vivo del suo maglione la invecchia terribilmente e cozza con la sua carnagione pallida, ma i suoi preziosi colori pastello freschi di boutique non possono varcare la soglia del carcere femminile e si è dovuta adattare a quanto passa il convento.
L'aria fredda di questo giorno di novembre penetra perfino fra quelle sbarre, sbattendo fra muri di cemento e porte di sicurezza, probabilmente facendo rabbrividire qualche detenuta particolarmente freddolosa e vorrei infilarmi il cappotto, ma temo darei l'impressione sbagliata a questa testarda donna che sono venuta a visitare e, vista l'opinione generale della mia redazione, non posso permettermelo.
Giorgio non capirebbe, nemmeno se provassi a spiegarglielo, perché sono qui: Mary Douglas è storia vecchia, direbbe, ha fatto a pezzi il marito ed è stata condannata, fine dello scoop. E per cosa lo avrebbe fatto? Perché non voleva fare l'amore, ridicolo, a chi interessa una cosa del genere?
Be', caro Giorgio, solo una donna può capire la frustrazione di un altra nel non essere desiderata e quanto uomini come Ernesto fossero una compensazione per il dilagante egoismo maschile e, con il processo d'appello alle porte, ogni corda deve essere pizzicata.
« E poi nulla » dico sorniona, accavallando le gambe, esattamente come aveva fatto lei quel pomeriggio davanti ad una tazza di caffè. « Immagino contemplasse per qualche minuto il suo nuovo distintivo, prima di nasconderlo alla vista ».
E in effetti riesco a figurarmelo. Vedo lo sguardo felice e soddisfatto di un bambino mentre traccia con dita tremanti il contorno dei molari e dei canini, avanti fino agli incisivi e poi giù a completare l'arcata, prima di poggiarvi un leggero bacio, uno schizzo veloce di quelli che aveva lasciato sulla sua compagna. Oh, ad Ernesto dovevano piacere i baci: nei rari momenti di attività familiare ne elargiva senza pudore, quasi guarissero da ogni male.
Solo quando si separa da quella sua reliquia, apre il cassetto del comodino ed estrarre un nastro colorato da una scatola sapientemente infilata in quell'anfratto. Mi chiedo se fosse sempre piena o se aspettasse d'averli terminati per rimpinguare la sua scorta, so che negli ultimi anni della sua vita una ragazza del condominio scendeva fino alla merceria del quartiere e comprava per lui una scatola da scarpe piena di nastri di ogni colore e fantasia, anche i più assurdi, come uno rosa con delle uova di Pasqua alternate a dei pulcini che aveva indossato il Sabato Santo durante la veglia pasquale. Ed era la stessa proprietaria a prepararla, memore degli anni passati in cui Ernesto varcava la sua soglia e srotolava ogni nastro almeno per tre volte, saggiandone la consistenza e descrivendolo con la passione e il gusto che si riserverebbero ad un Klimt.
Comunque, frugando fra i suoi tesori, Ernesto sceglie quello che pensa si adatti meglio alla sua compagna. Naturalmente per la ragazza dalle unghie verde mela un nastro dello stesso colore è d'obbligo, e così Ernesto comincia ad avvolgere la stoffa sul suo avambraccio in uno, due, tre giri, fino a quando non ha coperto il segno e lo può solo ricordare e, badi, è un bel ricordo, uno di quelli che si vorrebbe conservare per sempre chiusi in un cassetto, per quanto male può fare rivederlo e riviverlo.
« Speravo in qualcosa di meglio di un masochista ».
E non posso far a meno di ridere mentre lo dice perché il grugnito infastidito di Mary Douglas è lo stesso di chi non ha mai conosciuto quella meraviglia che era Ernesto, lo stesso delle mie prozie, di mia madre e, forse, mio fino ai vent'anni.
« Oh, no. Ernesto aveva una soglia del dolore bassissima » dico, asciugandomi una lacrima, consapevole di avere ormai il trucco completamente rovinato. « Pensi, non voleva nemmeno fare le analisi del sangue per il lieve pizzicore dell'ago e viveva con gli antidolorifici sottomano. Uno così non potrebbe mai essere un masochista ».
« E allora perché? »
Già, perché.
Perché un uomo avrebbe dovuto farsi mordere, benché non avesse nessun interesse per le pratiche sadomaso, o comunque non apprezzasse un minimo di dolore nel proprio letto?
Perché avrebbe dovuto venerare un marchio fino a nasconderlo perfino ai propri occhi? E perché esibire, poi, quello stesso nascondiglio al pubblico ludibrio e alla familiare disapprovazione in un eterno rimarcare un atto non proibito, ma certamente considerato da tenersi nel silenzio della camera?
Sarebbe senza dubbio difficile da spiegarsi, se non avessi passato gli ultimi mesi a leggere i libri del cugino di mio padre, sviscerando le note a penna che ne rubricano i margini. « Per il ricordo di un sorriso, immagino » rispondo con un'alzata di spalle.
Ed era semplice, chiaro, lampante, proprio come quella mezza luna arrossata e incavata che accarezzava quasi fosse un gatto. Chissà, forse la sentiva perfino fare le fusa.
Mary mi fissa con evidente aspettativa e mi sento quasi in dovere di continuare, esplicando quanto mi passa per la testa. E' così diversa dalla chiacchierata che abbiamo avuto nel suo salotto nemmeno sei mesi fa, ma anche i personaggi e i miei sentimenti sono diversi, quindi non potrebbe essere altrimenti.
« Ci pensi. Spesso facciamo foto per ricordare un particolare istante, ma quando le guardiamo partono i rimpianti ».
« I rimpianti? »
« Certo » dico concitata, alzandomi perfino in piedi. Alle mie spalle mi sembra di sentire la figura di Ernesto sorridere canzonatoria e vorrei potergli fare un breve cenno d'intesa, ma vorrei anche uscire di qui stasera senza dover passare per il centro psichiatrico, quindi è meglio desistere. « I rimpianti del tipo 'Oh, quanto eravamo felici'. Oppure 'Oh, come sorrideva all'epoca, perché ora è sempre triste? Non riesco più a farla sorridere?' ».
E percorro la stanza avanti indietro con veloci falcate, mentre Mary sorride, facendo appena ciondolare il piede contro la gamba della sedia. Lei ama il mio temperamento, ama il mio carattere di fuoco rispecchiato nel colore dei miei capelli e, forse, ama anche me.
« Minerva... »
« Mi lasci finire. Una foto è il ritratto di un istante e dell'istante si porta dietro tutto, compreso il tratto transitorio, passato e finito. No, la foto è rimpianto per definizione ».
« Ma la foto succede il ritratto. E il ritratto era stato pensato per consegnare qualcosa all'eternità ».
« Ad un'eternità di rimpianto » aggiungo perentoria, bloccandomi di fronte alla finestra e mettendomi le mani nei capelli. Non discutevo dai tempi dell'università di eternità e transitorietà, eppure le mie idee sono ancora tutte lì, pronte da eviscerare. « E' romantico considerare l'eternità come pura gloria, ma allo stesso tempo è estremamente limitante perché non considera le altre facciate della visione ».
« Le piace Pirandello ».
« Sono una figlia del Novecento » rispondo con sufficienza, conscia di scadere nella retorica, ma, andiamo, è retorica pura quella che stiamo facendo, retorica costruita e discussa intorno al sesso di un uomo e di una donna. « Anche se odiassi Pirandello, non potrei ignorare la rivoluzione che lui e la psicanalisi portarono ».
E la sala dei colloqui sembra allargarsi intorno a noi, mentre la mia avversaria lascia cadere un silenzio perentorio, è una situazione che mi mette profondamente a disagio. Lei si ostina a non parlare e io, presa da un panico, mi volto.
Dio, sono entrata nella gabbia della leonessa senza la bistecca e ora questa avrà solo il mio braccio per saziarsi.
I muscoli delle sue gambe sembrano tendersi, quasi fosse pronta a balzare su di me per attaccarmi, e posso vederla mentre si imbroncia e stringere le labbra in una linea sottile, mentre un dente perfettamente bianco spunta sul labbro inferiore. Sembra una fiera pronta a schiacciarmi e mi sento troppo piccola per il confronto con questa avversaria.
Dio, da quando Mary è diventata la mia avversaria? Sono venuta per raccontarle ancora qualcosa su qualche mio parente strano nella sola speranza di ingraziarmela per future interviste durante il processo d'appello, non posso mandare tutto in malora proprio ora prendendola sul personale.
Ernesto, se stai ascoltando, sappi che in questo momento ti detesto.
Il suo sguardo è ancora congelato sul mio volto e la guardia carceraria ci fissa stupita. Probabilmente quella mattina si aspettava un colloquio strappalacrime con qualche amica o un'intervista giornalistica sui particolari più scabrosi di quella vicenda, certamente non questa storia vagamente erotica e infarcita di riflessioni ancor meno filosofiche.
Sto giusto pensando ai possibili modi per coinvolgerla in quella discussione, giusto per fare qualcosa e non sembrare una completa idiota, quando Mary sbuffa. « Lei non mi piace ».
E questa frase mi suona come una doccia gelata. Ma come, proprio quel pomeriggio nel suo salotto continuava a dirmi quanto le piacessi per il mio carattere – approfittatore, a suo dire – e i miei modi diretti e ora... puff... tutto finito?
Devo avere lo sguardo del cucciolo sperso mentre il padrone urla senza motivo, ma non può fregarmene di meno. « Ma, Mary... »
« Lei non mi piace! » ripete con convinzione, tormentandosi un'unghia. E Mary Douglas non si tormenta mai le unghie: non lo aveva fatto nemmeno il giorno del processo, né davanti alla bara del marito, ha troppa classe per un atto da comuni mortali. « Ha il relativismo nel codice genetico ».
« Be', è normale. Sono figlia del... »
« Del paradosso. Ha talmente assimilato il relativismo da crederlo infallibile e lo ha fatto diventare un assolutismo, un paradosso culturale, indegno persino di una pensatrice vagamente accettabile ».
E forse è vero, penso, mentre la guardo lisciarsi la gonna nera e stringere le labbra in una smorfia contrita. Davanti a lei mi sento come la vecchia me delle elementari, immobile sull'attenti accanto alla maestra di italiano definita incapace di vestirsi dal buon gusto borghese: una profonda ignorante che deve solo vergognarsi.
Trattengo a stento un singhiozzo mordendomi il labbro inferiore e mi appoggio alla fredda parte di cemento, dondolando distrattamente sui talloni. Quasi quasi mi manca perfino il grande finestrone sulle ninfee del suo salotto, almeno aveva una parvenza di ospitalità e calore, cosa che questa stanza e la tensione cancellano.
Il tempo del colloquio sta quasi per scadere e mi sono quasi risolta ad allontanarmi sconfitta, quando lei sospira. « E così voleva ricordare un sorriso » geme, frugando nell'enorme tasca della gonna, forse in cerca di quel pacchetto di sigarette che ricorda di portare sempre con sé .
Be', almeno Ernesto per fortuna le piace. « Credo di sì, quello e la fiducia che queste donne gli davano » gemo a mia volta, passandomi una mano sul volto, mentre la nuca mi pulsa terribilmente. Questa sera avrò un mal di testa lancinante, ma dubito che a Mary interessi. « Ma forse non voleva ricordare l'attimo del sorriso. Una foto, in fondo, porta inevitabilmente il ricordo dell'attimo ».
« Ha idea del motivo? »
« Forse per non sentirsi un fallito come i suoi parenti, forse per sottolineare i loro insuccessi, forse per entrambe le cose. Il morso di una ventenne, se ci pensa, ha la stessa forma di quello di una cinquantenne ».
« Odontoiatri permettendo » insinua con un sorriso praticamente perfetto.
« Odontoiatri permettendo. Comunque, quello che intendevo era più generico. Donne diverse, momenti diversi, ma tutti con una caratteristica in comune: lui le aveva fatte sorridere » sentenzio, avvicinandomi al tavolo e lasciandomi ricadere sulla sedia.
Ed effettivamente poteva essere proprio questo che Erny cercava di dire alle prozie, mentre esibiva il braccio fasciato: fossi nato prima, avrei potuto farvi sorridere così, anche se solo per un momento. E non vi avrei mai tediate con foto e filmati, perché non vorrei ricordarlo ed essere consapevole di non saperlo più fare, ma avrei un segno a carattere eterno che mi sproni a farlo ancora e ancora. E, nonostante non lo crediate possibile, lo farei, perché sarei quello di cui i vostri uomini non saranno mai, per quanto li santifichiate nel matrimonio. Infatti, sotto questo nastro, non ho scritto un “Tu non devi!”, semmai un comando d'azione.
Povere prozie, nei loro commenti saccenti probabilmente lo sapevano e, per passare un momento con quel nipote stupido, avrebbero mandato a monte senza troppe esitazioni tutta la famiglia gerarchica che vantavano come fosse il traguardo più importante della loro vita. Forse la zia Germana lo aveva perfino fatto, visto come gli sfiorava lievemente il colletto della camicia in ogni momento utile con la scusa di sistemarlo.
Con l'immagine di quelle dita rugose e macchiate, osservo di sfuggita la mia conversatrice. Ha chiuso gli occhi, probabilmente persa nel desidero d'aver conosciuto un Ernesto negli ultimi anni del suo matrimonio, magari appena prima che suo marito venisse stroncato da un “misterioso infarto”, come avevano sostenuto i suoi avvocati nell'arringa.
Quando Mary riapre gli occhi mi sembra di scorgere una lacrima fermarsi sulle ciglia, un tempo perfettamente piegate. E' diversa senza quel trucco impeccabile, più vulnerabile e terrena. « E bravo il nostro Ernesto » sussurra, stringendo la manica del maglione nel pugno e portandosela alle labbra. Ha un sorriso lieve questa donna, lieve, sincero e aperto, un sorriso da donna innamorata, anche se solo di un'idea. « Ma non la sta un po' idealizzando? »
« Può darsi » dico, ridendo. Effettivamente ho taciuto la sua pancetta e la sua balbuzie, tutti quei tratti che rendevano l'Ernesto stupido e bibliofilo buffo e, forse, perfino amicone, piuttosto che sogno erotico di una casalinga frustrata. « Ma ci pensi, uomini come Ernesto sono o no creati per essere idealizzati? »
E in questo momento anche la guardia giurata ci guarda sognante, probabilmente immaginando il proprio Ernesto al posto del marito obeso e teledipendente che ha lascito quella mattina nel letto. Giorgio non ha proprio capito nulla delle donne: solo una donna può sapere cosa desidera un'altra donna in un uomo. Una donna o un omosessuale. Una donna, un omosessuale o Ernesto.
« Sì, ma magari la sua idealizzazione copre il suo fascino ».
La faccia della guardia carceraria a questa insinuazione è uno spettacolo: spaurita, ma pronta a combattere chi offendeva il suo uomo. Ah, Erny, hai trovato un'amazzone pronta a combattere per il tuo onore di malizioso fanciullo, anche se non l'hai mai conosciuta, nemmeno nel tuo letto così frequentato.
« Fosse così fingerei sul mio compagno o sul tuo povero marito » ribatto sorniona, avvicinandomi al suo volto. Mi sento una sgualdrina di un porno di bassa lega nel comportarmi così, ma è tremendamente divertente vedere la sua aria calcolatrice riapparire dietro quelle sbarre di metallo e sostituire la curiosità infantile. « Posso fingere sul suo aspetto, dipingendo l'Ercole o l'Achille ideale perché non c'è nulla di male nell'esagerazione in un racconto erotico, ma la sensibilità e la sapienza sensuale... oh, quelle non si possono inventare. Si assaporano, magari indirettamente, ma sono sempre esperienze reali e tangibili ».
« Aveva quattro anni... »
« I bambini non sono innocenti. Non conoscono e non potrebbero mai capire la sensualità raffinata e complessa di un adulto » e mi sento male nel dirlo, perché so quante volte questo mio discorso sia stato frainteso. Freud, carissimo, dovevi scrivere più chiaramente perché in milioni hanno letto il tuo libro, ma pochi lo hanno capito. « Ma sono nati e la sensualità viscerale, oh, quella la conoscono e la riconoscono ».
Ed ora, finalmente, potevo dare a Mary il secondo cioccolatino della serata, quello che avrebbe accompagnato l'immagine dell'Uomo. « Sa, fin da quando ero piccola sognavo di legargli quel nastro intorno al braccio ».
« Anche quando avete abbandonato vostro padre? »
« Sì, anche dopo che i miei si separarono » ribatto, scattando sulla difensiva. Io non ho mai abbandonato Robert, semmai fu il contrario, ma quella è storia vecchia e se non concluderò questo racconto, Mary si ritirerà nella sua cella senza una parola, annoiata, indispettita e pronta a rifiutarmi qualsiasi colloquio futuro, perfino durante il processo d'appello o quello in Cassazione.
Inspiro forte, lasciando che l'odore di disinfettante e polvere mi inebri per un attimo e mi calmi. E' una fortuna che quest'ala delle prigioni sia sempre molto pulita. « Robert, come ben sa, non fu un padre, ma figure come Ernesto possono sostituirlo, almeno nell'immaginario ».
« Un'estensione del complesso di Elettra? »
« Una specie » convengo, abbandonandomi nuovamente sulla sedia e concedendomi per qualche secondo la libertà di sentire il ticchettio dell'orologio senza dover scappare da qualche parte.
Il tempo probabilmente sta per scadere, o forse è già scaduto e nessuno dei presenti se ne è reso conto o vuole rendercene consapevoli. Incurante di tutti ridacchio, sentendomi una sciocca ragazzina, perché in questo caso la guardia, forse troppo presa dai nostri discorsi e dall'immagine del suo Erny in mutande leopardate e manette, ha probabilmente deciso di chiudere un occhio su quell'allungarsi scorretto, ma se non riusciremo a mantenere alto il suo interesse, mi caccerà senza dubbio in malo modo, facendomi sentire una discola per non aver rispettato il coprifuoco.
« Una specie » riprendo, fissando il probabile salto della mia carriera dritta negli occhi. Comincia ad avere delle piccole rughe sul lato e le sta spuntando un brufolo sulla fronte, cosa che un tempo non avrebbe permesso. « O forse semplicemente il risveglio della sensualità femminile che, si fidi, non poteva non farsi incantare da quegli occhi verdi e da simili atti romantici ».
E veramente, per come la penso, quello è il massimo del romanticismo a cui si possa aspirare. Sarei stata la prima e, forse, l'unica donna a compiere l'intero rito, dal morso alla formazione del fiocco, una commistione perfetta in quello che doveva essere un monito eterno. E andassero al diavolo la marcia nuziale e l'abito bianco, non è possibile per l'uomo concepire qualcosa di più intimo ed eterno di un simile atto.
Purtroppo Mary non deve essere dello stesso avviso, visto che mi fissa curiosa, quasi fossi un insetto mai conosciuto. « Non sarebbe stata più appropriata una rosa a gambo lungo? »
Una rosa?! Vorrei ridere ancora e più forte e con più gusto di quanto non abbia fatto questo pomeriggio, ma mi trattengo, non tanto per rispetto, quanto per la conoscenza del carattere permaloso di quella nobildonna civile.
Una rosa a gambo lungo?! Sì, e io sono Napoleone.
« Sa, una mia collega universitaria, a detta di tutti troppo sboccata, a parer mio troppo sveglia per il bene comune, sosteneva una cosa: la lunghezza del gambo di una rosa è inversamente proporzionale alle capacità amatoriali di un uomo ».
« Letterata? »
« Fisica. Comunque aveva ragione: le rose rosse arrivano sempre prima del letto o quando questo è dimenticato da troppo tempo » continuo, ricordando un enorme mazzo di rose rosse fresche che campeggiava sul tavolino del salotto di Mary durante la nostra intervista, avvenuta pochi giorni dopo il decesso del suo onorato e amato coniuge. « No, Erny ha usato, per la gioia delle donne, quel letto fino alla sua morte e di questo dovremmo rendere grazie a Dio ».
Oh, se almeno la metà delle voci di quel quartiere popolare erano vere, eccome se l'aveva usato. Ricordo ancora il donnone brasiliano dal seno immenso e col forte odore di marsiglia mentre lanciava sguardi languidi e baci a schiocco verso quel giovane Robin Hood della sensualità femminile e ragazze appena ventenni fissargli spregiudicate il culo.
Visto come si poneva, sono sicura che anche l'altera e algida Mary Douglas, potendo tornare indietro e conoscere quel ragazzo, lo avrebbe sequestrato e, probabilmente, ora suo marito sarebbe ancora vivo. Cornificato e umiliato, ma almeno vivo.
I minuti passano velocemente e non sento la fretta di continuare quella conversazione. Forse potrei perfino andarmene, se l'immagine delle unghie devastate di quella che, un tempo, era una delle donne più eleganti e perfette di Roma non mi devastasse.
Non c'è molto sole oggi e ogni minuto minaccia, eppure dalla piccola finestra provengono voci concitate e ordini ringhiati. Le signore dovevano essere uscite nel cortile e le sorveglianti faticavano a mantenere l'ordine, mentre nel parlatorio Mary fissa quanto rimane delle proprie unghie, cercando di recuperare in compostezza e controllo. « Parlava di una biblioteca, all'inizio ».
Mary Mary, che fai, ributti la palla al centro? Una volta saresti stata più prudente.
« Già, il manifesto ufficiale della fregatura ».
« E cosa c'era fra gli scaffali? » chiede, mentre un'aria saputa le illumina volto e le distende la bocca in un mezzo sorriso soddisfatto, quasi avesse già anticipato la mia risposta e se la stesse gustando.
Scusami, carissima carogna, ho sbagliato a sottovalutarti: sai certamente come riprenderti le situazioni, quando vuoi.
Cosa c'era, vuoi sapere? Be', è più semplice dire cosa non ci fosse. Filosofi, linguisti, trattati medici, i grandi narratori di ogni paese e di ogni tempo appoggiati su riviste di fotografia e modellini mai completati, tutto in un perfetto ordine e nascosto sublimemente dalla curiosità familiare e atavica.
« Di tutto, c'era veramente di tutto. E parlo di un tutto buono. Ma quello che bisogna ricordare sono certamente gli album ».
« Album? »
« Gli album dei suoi morsi. Erny, a quanto sembra, appoggiava un pezzo di carta sul suo braccio e con una matita anneriva i segni ».
« E' possibile? » mi chiede Mary perplessa. In effetti è comprensibile questo suo atteggiamento, perfino io sono dubbiosa sulla possibilità di un simile gesto, per non parlare dell'utilità e della coerenza, che avevo risolto solo dopo averli osservati per giorni.
Sollevo appena le spalle, fissando un brandello di cielo nuvoloso appena fuori la finestra. « Lui ci riusciva, ma non mi chieda come facesse. Comunque, li collezionava in questi immensi album ad anelli e accanto ad ognuno incollava un pezzetto del nastro corrispondente ».
E quegli album erano infatti un tripudio di nastri colorati e fantasiosi, un tripudio intessuto su falci di luna nere e tratteggiate senza un accenno di nome o memoria per la vera identità della miracolata: sorrisi, ma anonimi, attribuibili a chiunque.
« Quindi, in fondo, voleva ricordare ».
« Sì, ma le proprie capacità. Nessun attimo o donna specifica, solo la possibilità generale per un uomo di lasciare un sorriso su quei volti spesso imbronciati ».
« Ma come, era una narcisista?! » insinua Mary, con tono fintamente sorpreso. Ha di nuovo lo sguardo di Silvestro di fronte a Titti, esattamente come quel giorno nel salotto mentre comparavamo il mio papà con il mio padre biologico.
« Solo come i migliori amatori si permettono di essere » le rispondo a tono. Se fossimo in un vecchio film, ora il copione mi imporrebbe di sorseggiare un whisky on the rocks e di abbassare appena la sigaretta verso il piano del tavolo. « In fondo, un grande amante ama anche, e soprattutto, se stesso ».
Ed è la verità. Lo so io, lo sa Mary e lo sa la guardia che ci osserva visibilmente curiosa ed interessata.
Donne, sono facili da capire e catturare, se si è una donna.
« E poi aveva una collezione di trattati orientali su... »
« Cosa ci fa la signorina ancora qui?! »
L'urlo fa trasalire sia me che la guardia, ma non Mary che sbuffa, appena infastidita dall'interruzione. Probabilmente deve essere terminato il turno e la collega ha notato l'assenza della mia interlocutrice nel gruppo delle recluse.
Cavolo, avrebbe potuto lasciarmi ancora qualche minuto, speriamo che le mie imboccate bastino a solleticare la curiosità di una psicopatica come Mary.
Seccata e preoccupata, mi alzo, conscia del fatto che non mi conviene assolutamente inimicarmi la sorveglianza. Non se voglio tornare presto, almeno. « Non si preoccupi, agente. Me ne stavo andando » mormoro, recuperando la mia borsa. « Mi scusi per il ritardo, ma ero preoccupata per la signora... »
« Be', che non capiti più ».
Faccio un rapido cenno di assenso e mi volto verso Mary e l'altra guardia. La sorvegliante che ci ha tenuto compagnia per tutto il colloquio è rimasta in piedi accanto alla porta che conduce alle celle, ma ora ha lo sguardo basso, probabilmente pronta per un richiamo, mentre Mary sorride con quel suo fare da gatta, alzandosi a sua volta, senza però disturbarsi a fare il giro del tavolo per salutarmi. « Spero di vederla presto, Minerva » dice, dirigendosi verso alla porta che la riporterà verso la sua branda.
« Senz'altro signora Douglas » ribatto con finto sussiego, osservando la sua schiena. Nonostante quei primi mesi di carcere, il linciaggio mediatico e l'aspetto distrutto, ha conservato il portamento fiero e risoluto che avevo potuto ammirare quel lontano pomeriggio nel suo salotto. « Magari la prossima volta potremmo pensare ad un'altra intervista ».
« Non si disturbi. Il suo capo redattore mi considera caso chiuso e, a meno di una mia prossima assoluzione, i suoi lettori hanno interessi ben diversi dai miei guai ».
In altre circostanze avrei detto che quello fosse un addio, eppure Mary si ostina a non aprire quella porta, quasi a prolungare il nostro colloquio. La sola idea che possa farlo mi fa sorridere: in certi momenti sembra così diversa dalla fredda assassina che tutti descrivono. In altri no, è perfettamente plausibile in quel ruolo.
« Ma può tornare a trovarmi » aggiunge quindi, in un tono che sembra esitante, ma Dio non voglia assolutamente che lo sia. « Sono certa che avrà altre storie interessanti da raccontare » conclude, stavolta più fiduciosa, sparendo oltre quella pesante porta in ferro.
Certo, Mary Douglas, tornerò. Magari con storie inventate – o anche no. In fondo, gli anni di sottovalutazione continua mi hanno resa piuttosto abile nel riconoscere le assurdità nella mia famiglia – , ma per stanotte concentrati solo nel sognare un tuo Ernesto.
Ti dirò di più, sogna perfino il mio caro cugino Erny, se vuoi, mentre ti implora di imprimere il tuo sorriso da gatta sul suo braccio. Credo che sapere di riuscire ancora a far sorridere le donne, nonostante la morte, fosse la sua massima aspirazione.
La giornata è diventata, se possibile, ancora più fredda e mi sorprendo a stringermi nel cappotto, mentre i cancelli del carcere si chiudono alle mie spalle. Attraverso le sbarre decine di volti insoddisfatti mi scrutano, mentre mi allontano; sono sicura che stasera Mary condividerà con loro la mia storia durante la cena e stanotte, stese sulle loro brande, avranno un sorriso più rilassato, magari alcune saranno pure felici, perché si convinceranno che lì fuori potranno incontrare un uomo a cui importi di loro e, magari, imparare cos'è la felicità.
In fondo, non è l'ideale a cui ogni uomo tende?
Questa è, cosa, la novecentesima ovvietà della giornata e la cosa mi strappa un sospiro, mentre mi sistemo la borsa a tracolla. Avrò visto decine di volti con quell'espressione rassegnata durante le mie passeggiate e le mie interviste, eppure ora fra tutti spicca quello dello strano cugino durante uno dei troppi compleanni della famiglia.
Ero piccola, forse avevo appena tre anni, eppure ricordo vivamente quella festa. Quella sera aveva ben due nastri sul braccio, uno bianco e uno rosso, eppure per tutto il tempo aveva lanciato occhiate rassegnate ad un qualche amico dei fratelli, intervenuto puramente per sollevare il compagno di scuola dalla noia, inevitabile in una serata con quei matusalemme.
Il sole sta ormai tramontando e la portiera della mia auto si è nuovamente bloccata. Dovrò fare un bel discorsetto al carrozziere: va bene la verniciatura a nuovo, ma gradirei venissero anche sistemati guasti, la prossima volta.
E proprio mentre armeggio con le chiavi, mi sorprendo a chiedermi se Erny, dietro quella sua apatia apparente nel contesto familiare e quello spasmodico bisogno di aiutare le donne che incontrava, non nascondesse il bisogno di sorridere a propria volta, magari attorno al braccio di qualcuno per essere poi nascosto sotto un nastro color miele.
Un po' mi sembra sciocco, eppure in questi anni, quando la sua mania mi tornava in mente fra una lezione di danza e le ripetizioni di filosofia, mi sono sempre chiesta perché non avesse mai usato nastri di quel colore, visto che, in diverse occasioni, lo aveva descritto come il colore ideale delle unioni.
Già, è una buona domanda perché non lo avesse fatto; o perché non lo avesse fatto fino al giorno della propria morte: quella mattina infatti, mentre lo vestivano, gli addetti delle onoranze funebri trovarono sul braccio destro il segno di un morso, lasciato da qualcuno privo di un molare, nascosto sotto un nastro di raso rosa a pois bianchi. Tutto nella norma, insomma, se sul braccio sinistro privo di segni non fosse stato legato, giusto poco sotto la spalla, un nastro consunto color miele, o che almeno un tempo doveva essere di quel colore.
Il 24 febbraio del 1978, giusto poco prima di cena, Ernesto Scotti presentava i primi sintomi dell'infarto che, in poche ore, lo avrebbero portato alla morte. Proprio quei dolori all'arto sinistro, così simili a morsi particolarmente feroci, lo avevano spinto a legarsi con un piccolo, innocuo nastro. Se avesse incontrato qualcuno simile a lui, probabilmente, avrebbe usato quel nastro molto prima e non si sarebbe unito con quell'ultima donna.
Sì, penso, entrando finalmente in macchina e mettendo in moto questa vecchia Panda scassata che mi ostino a guidare, è un vero peccato non siano mai nati Ernesta o un Luigi particolarmente filantropo perché, anche se per un solo momento, probabilmente lo avrebbero fatto felice.
   
 
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