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Autore: fragolottina    03/10/2011    9 recensioni
Mia madre si fidava della Morte e la Morte le disse che 'lui' mi avrebbe fatto del male, mi avrebbe resa sua schiava, condannandomi ad una vita di umiliazioni e sofferenza.
Io mi fidavo di mia madre e mia madre era morta nella speranza che il suo gesto servisse a salvarmi.
Ma se 'lui' cercasse solo di mantenere una promessa fatta secoli prima?
A volto l'unico a conoscere la verità è il proprio cuore...
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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olivia
fragolottina's time
basta, proprio basta.
dopo questo mezzo capitolo la piantiamo con tutta questa devastazione...ok, che è una storia drammatinca e di per sè la trama è già bella triste...ma stiamo toccando punti di deprssione inimmaginabili! e che cos'è?!
sbraitò quella che scrive...si, bene.
dunque, ce la passiamo un po' meglio qui...almeno siamo proiettati in un futuro roseo, ma va beh, l'argomento è quello che è, non posso farci niente!
ci vediamo giù

ps. non sono proprio sensata in quanto a citazioni, ma questa ci stava troppo per non mettercela!


CAPITOLO 2.0 - seconda parte

Remember all the sadness and frustration
And let it go.
Let it go.


Sebastian era seduto ad un tavolo della sala comune della clinica. Era un bel posto e, a differenza di quello che aveva pensato all’inizio, non lo trattavano come un detenuto o un reietto. Poteva passeggiare, poteva guardare la tv, poteva unirsi ad una delle mille sedute giornaliere e parlare con psicologi o altre persone che erano stati dei ‘fottuti drogati’ come lui.
    Ma quel giorno era troppo freddo, quindi aveva scelto un tavolo davanti ad una finestra ed aveva iniziato a disegnare. Aveva scoperto che gli piaceva e che era anche abbastanza bravo; i medici incoraggiavano quelle attività, le ritenevano terapeutiche, quindi avevano fatto in modo di procurargli tutto quello che voleva. Era al sicuro lì dentro e non gli mancava niente.
    Era rimasto piuttosto sorpreso, quando suo padre si era seduto davanti a lui insieme ad una ragazzina. Quel mese era già venuto a trovarlo due volte, non si aspettava di vederlo prima di novembre.
    «Ciao.»
    Lo aveva fissato sorpreso e timoroso come sempre, suo padre lo faceva sentire in soggezione. Quanti soldi gli aveva rubato dalla cassa del ‘Draw cuts’? Se il locale era in declino, era anche colpa sua.
    «Se tu sei d’accordo vorrei riportarti a casa.»
    Aveva continuato a guardarlo di secondo in secondo più stupito, non aveva mai avanzato certe ipotesi ed alla fine Sebastian era giunto alla conclusione che non lo volesse più.
    «Non lo so.» voleva tornare a casa? «Potrebbe essere pericoloso, potrei ricaderci.»
    «I medici credono che tu possa farcela.»
    «Non lo credo io!» aveva sbottato a voce alta. C’erano persone lì che continuavano a raccontare della loro terza riabilitazione, della loro quarta riabilitazione, lui era soltanto alla prima: amaramente si aspettava di ricominciare a drogarsi almeno una seconda volta. Fuori di lì il mondo era uno schifo, ognuno dentro la propria bolla isolato dagli altri, suo padre che non si accorgeva della sua presenza. Era meglio stare lì. Non avrebbe rischiato di farsi sbattere in faccia da una puttana la sua superiorità.
    «Sono una veggente.» aveva lanciato un’occhiata scettica alla ragazzina. «Non succederà. L’ho visto, io so che funzionerà.»
    A quel punto aveva guardato suo padre con un aperto rimprovero, la prima espressione vera da quelli che gli sembravano secoli. Davvero? Aveva portato lì una sedicente veggente per convincerlo a tornare a casa?
    Ma lui si era stretto nelle spalle. «Dovresti crederle, sai? Mi ha fatto vincere tanti soldi da vivere di rendita per un anno all’ippodromo.» lei aveva sorriso orgogliosa di sé stessa, Sebastian aveva pensato che era una ragazzina, ma che un sorriso così bello non l’aveva mai visto nemmeno nei suoi migliori deliri da LSD. Il padre le aveva appoggiato una mano sulla spalla. «Ma noi non vivremo di rendita. Ci rimboccheremo le maniche. E visto che tu sei mio figlio, mi aiuterai.»
    «Tu non mi hai aiutato.» non era sicuro nemmeno di averlo detto, non ricordava di averlo pensato, ma era come se quella frase fosse sempre stata là, solo in attesa del momento migliore per scaricare la sua disperazione. Avrebbe potuto notare l’erba sul comodino, avrebbe potuto controllare cos’era quella polvere bianca sulla scrivania della cameretta, avrebbe potuto notare il sacchettino di quadratini di carta al posto dell’erba, avrebbe potuto vedere – perché erano così dannatamente evidenti – i segni rossi sulle sue braccia.
    «Lo so.» disse piano suo padre. «Mi dispiace. Ma ci sto provando ora, dammi una possibilità.»

Quando Diego aveva visto Maxi era rimasto per un lungo momento senza parole a guardarlo: era appoggiato ad un lampione e continuava a sfregarsi le mani. Quella sera l’aria non era particolarmente rigida per essere ottobre, ma sul tardo pomeriggio aveva piovuto di nuovo e l’umidità che era rimasta si incollava ai vestiti e penetrava nelle ossa.
    Aveva controllato di nuovo la foto che gli aveva dato Alyssa, non aveva dubbi che fosse il ragazzo giusto, ma il punto era proprio quello: era solo un ragazzo. Quanti anni poteva avere? Diciotto? Venti? Quale depravato pagava un ragazzotto per farsi fare certe cose?
    Sospirando aveva accostato la macchina davanti al lampione ed aveva abbassato il finestrino. Con triste abitudine, lui si era avvicinato ed aveva sbirciato all’interno. «Cento, una sega; duecento di bocca. Tutto il pacchetto cinquecento.»
    Diego era rabbrividito al solo pensiero, a volte non sapeva se il mondo era diventato incomprensibile per lui o se lui non riusciva più a capirlo. «Per venire a fare due chiacchiere con me quanto vuoi?» aveva chiesto con rimprovero. Se ne era pentito, insomma, il racconto di Alyssa era stato crudamente semplice e non lasciava alito ad interpretazioni: disperazione, solitudine, un ragazzo che si era ritrovato a fare l’uomo. Dio, non era colpa sua. Ma lo offendeva pensare che ai suoi occhi lui era uno schifoso porco, tale e quale ai suoi clienti abituali.
    Maxi aveva fatto un passo indietro sospettoso. «Tutto quello che vuoi, ma qui.» disse con decisione. «Non vengo da nessuna parte.» aveva continuato palesemente sulla difensiva. Si era guardato intorno con apprensione, aveva paura.
    Quante volte aveva avuto paura? Diego non voleva pensarci.
    «Non si parla di affari in mezzo alla strada.»
    Il ragazzo gli aveva scoccato un’occhiata velenosa e spavalda. «Sono un libero professionista, non ho bisogno di un ‘protettore’.»
    Diego aveva realizzato che di quel passo non sarebbe arrivato da nessuna parte: quel posto era una merda e quel ragazzo era abituato a trattare con tipi di merda. Non si sarebbe fidato di lui nemmeno se fosse stato una suora. Non in mezzo ad una strada, dove salire sulla macchina sbagliata avrebbe potuto significare farsi stuprare e poi, magari, uccidere.
    «Ho tua sorella.» aveva chiuso gli occhi vergognandosi di ricattarlo, di fare la parte del rapitore di bambine.
    «Non ho una sorella.» aveva risposto tranquillo, ma i suoi occhi lo fissavano con attenzione morbosa.
    Aveva sorriso spietato. «No? Carina, piccolina, mora…»
    «Come altre mille?» l’aveva deriso.
    «Come altre mille veggenti?»
    Aveva visto il panico scendergli addosso e si era sentito tremendamente in colpa, ma le aveva promesso che avrebbe fatto tutto il possibile e lui non aveva davvero rapito una ragazzina, era lì di sua spontanea volontà. Anzi, era stata proprio lei a cercarlo.
    Non aveva detto niente, aveva stretto i pugni ed era salito in macchina.

«Sta bene?» gli aveva chiesto serio, mentre guidava.
    «Si, è con mio figlio.»
    «Se tuo figlio la tocca gli strappo l’uccello a morsi.» aveva minacciato.
    Diego aveva deglutito affranto, quante volte aveva dovuto ingoiare? Quante volte aveva dovuto mordersi la bocca per non urlare? Quante volte si era fatto schifo, guardandosi allo specchio? Quante volte aveva fatto davvero l’amore?
    «Nessuno la toccherà.» aveva promesso. «E nessuno toccherà te.»
    Aveva abbassato il finestrino e si era acceso una sigaretta, non gli erano sfuggite le mani che tremavano. «Soldi? Ne ho quanti ne vuoi, ma solo dopo che la lasci.»
    «Non toccherei quei soldi nemmeno con le pinze.»
    Maxi aveva riso sarcaastico. «Perché? Ti faccio schifo? Mi dispiace…se lo avessi detto prima avrei trovato qualcosa di pulito da mettermi, invece di questi pantaloni luridi della sbobba d’altri!» aveva commentato.
    «Piantala, moccioso!» l’aveva ripreso e di nuovo i sensi di colpa lo avevano morso: se avesse sgridato Sebastian, se gli avesse dato delle regole, se si fosse aspettato che le seguisse, non avrebbe mai rischiato di morire. Era fortunato, poteva ancora rimediare. «Quello che sei costretto a fare fa schifo!»
    Si era zittito, un silenzio rabbioso dettato soltanto dal buonsenso: quell’uomo aveva sua sorella.
    «Che tu non ne abbia colpa è un’altra faccenda.» aveva aggiunto a voce più bassa.
    «Magari mi piace…» aveva commentato debolmente.
    «Se così fosse forse tua sorella non mi avrebbe supplicato di aiutarti.»

Alyssa e Sebastian erano seduti ad un tavolo del ‘Draw cuts’, mangiavano patatine e bevevano Coca-cola. Tutto abbastanza normale da sembrare sorprendente. Stava cercando di farle un ritratto e lei ne era entusiasta, ma non stava ferma un secondo.
    «Ma non mi somiglia!» si era lamentata.
    Allora il ragazzo aveva aggiunto un paio di baffi arricciolati sotto il naso del disegno. «Ecco, è perfetta!»
    Lei aveva assunto un’espressione oltraggiata che era di un buffo indescrivibile, dandogli uno schiaffo scherzoso sul braccio, che era riuscito soltanto a farlo scoppiare a ridere.
    Quando però era entrato suo padre seguito dalla puttana per la quale aveva passato sedute su sedute psichiatriche a parlare, Sebastian aveva smesso di ridere e si era fatto pensieroso. Si erano guardati entrambi sicuri di riconoscersi.
    «Bene, ora che siete tutti qui, vi dico come andranno le cose d’ora in poi.»
    Alyssa gli aveva preso la mano ed aveva sorriso. «Andrà tutto bene.» lo aveva rassicurato. Poi si era alzata e si era avvicinata al fratello, per dimostrargli che era sana e salva, nessuno le aveva fatto niente.
    «La prima cosa da fare è rimettere in sesto questa baracca.»
    Maxi aveva riso. «Non ho così tanti clienti da riempirti il locale, spiacente.» aveva spiegato ironico. «Ma conto di fare molte conoscenze la notte di Halloween.» Diego l’aveva guardato e gli era sembrato infinitamente stanco. «Che ti aspetti? Se avessi invidiabili capacità imprenditoriali non starei sul marciapiede.»
    L’uomo gli si era avvicinato e Maxi aveva fatto indietro, trascinandosi Alyssa con sé per un braccio. «Ho promesso a tua sorella che avrei fatto tutto il possibile per aiutarti. Grazie a lei abbiamo un sacco di soldi, abbastanza da provvedere a tutti e tre per qualche mese…»
    «Nessuno ha chiesto il vostro aiuto.» lo aveva interrotto senza smettere di indietreggiare, né di tenerela sorella.
    «Maxi! Non ci farà niente!» aveva protestato lei.
    «Sopra casa nostra c’è una specie di appartamento indipendente. È un buco, ma voi due ci starete fin troppo comodi. Domani mattina vai a fare tutte le analisi.»
    «Tuo figlio è un eroinomane e fai fare le analisi a me?» ma si era fermato: non cercava più di scappare. Era già qualcosa.
    Sebastian aveva sussultato, ma non aveva detto niente.
    «Mio figlio viene da una clinica di riabilitazione, ci si aspetta che sia pulito.» l’aveva fissato. «Tu vieni dalla strada, ci si aspetta che sia sporco. Ai virus sessualmente trasmissibili non importa che tu abbia il cuore d’oro.» il ragazzo l’aveva guardato con tanto di quell’odio da costruirci una casa, ma Diego non aveva mollato. «Basta, droga. Basta, scommesse. Basta, prostituzione.»
    «I soldi mi servono.»
    «Hai ancora il lavoro al fast-food e non voglio affitto. Se trovi il modo di recuperare questo posto avrai due stipendi onesti.»

All’inizio Maxi era stato solo scontroso, diffidente come un gatto randagio non abituato ad avere un padrone. Aveva fatto le analisi, ma non aveva preso la macchina. Gli avevano diagnosticato un’infezione di qualche genere, ma completamente curabile e che non avrebbe lasciato strascichi permanenti. Gli era andata decisamente bene.
    Si erano sistemati nell’appartamento sopra il loro. Alyssa aveva ripulito tutto in due pomeriggi e Sebastian l’aveva accompagnata ad un negozio dell’usato per comprare qualcosa che facesse arredamento; a Maxi non piaceva nemmeno un po’ che la sorella passasse tutto quel tempo con un ex tossicodipendente, ma ben presto era stato evidente che non si sarebbe lasciata influenzare dai suoi pregiudizi. Piena di spirito di iniziativa aveva cominciato a leggere le carte alle sue compagne di scuola per soldi.
    Diego li controllava da lontano, contento che la situazione sembrasse completamente sotto controllo. Le bollette arrivavano tutte a lui e finché i soldi della vincita bastavano non avrebbe avuto problemi a pagarle. Tutte le sere apriva il ‘Draw cuts’, aveva dieci clienti abituali che bevevano un bicchiere di birra e passavano ore a chiacchierare. Sebastian lo seguiva sempre e si dava un sacco da fare, anche se non ce n’era bisogno. Era silenzioso ed ancora poco abituato ad avere gente intorno, ma vedeva i progressi e se passare la scopa o pulire il bancone tre volte in una sera lo aiutava, chi era lui per opporsi?
    Maxi li aveva raggiunti una sera, tutti lo avevano guardato come se si trattasse di un alieno. Un faccia nuova in quel posto non si vedeva da parecchio tempo.
    «Questo posto è una topaia.» aveva detto senza cerimonie.
    Diego non si era scomposto, certo che era una topaia, ma tutto sommato fruttava qualcosa e lui aveva deciso di fidarsi della ragazzina senza timori. «Vuoi da bere?»
    «Birra.»
    Diego gli aveva servito una lattina di coca-cola ignorandolo.
    «Questo posto è una topaia ed è introvabile. Ci ho messo un quarto d’ora io che la cercavo!» si era seduto su uno sgabello ed aveva appoggiato sul piano del bancone un blocchetto iniziando ad appuntare cose, gli tremavano ancora le mani e la sua scrittura era tutta disordinata. Sovrappensiero Diego si chiese se non avesse bisogno di uno psicologo. «Bisogna comprare un’insegna più grande e bisogna motivare le persone a venire. I talent vanno forte, si potrebbero ospitare dei dilettanti con la promessa di dargli…boh, il venti per cento della serata?» si era stretto nelle spalle. «Saranno soprattutto ragazzini con sogni di gloria. I nuovi Nirvana, i nuovi Sex Pistols, i nuovi Pink Floyd…orrendi! Ma porteranno amici, parenti e li obbligheranno a spendere per ricavarne qualcosa e noi ci intascheremo i frutti dei loro sforzi.»
    Diego lo stava fissando da un po’, riflettendo che quel ragazzo aveva talento imprenditoriale, eccome. Anche i suoi abitué sembravano perplessi.
    «Hai chiesto un’idea.» si era lamentato, davanti alla mancanza di entusiasmo.
    «Alyssa lo appoggerebbe, papà.» gli aveva ricordato Sebastian.
    «D’accordo. Domani pomeriggio vi do le nuove regole.» aveva riempito di nuovo il boccale di un tizio. «Va a casa ora, domani mattina devi andare a lavoro.»

Erano tutti e tre seduti sul divano, Alyssa al centro ed i due ragazzi uno per lato. Tutti e tre in attesa che parlasse.
    «Dunque, la gestione, l’organizzazione e tutto quanto, sono compiti di Maxi. Sei mai stato dietro ad un bancone?»
    Il ragazzo aveva scosso la testa.
    «Bene, è ora che impari. Stasera vieni al locale e fai pratica con i miei clienti abituali, le cerimonie a loro non interessano.» aveva spostato lo sguardo sul figlio. «Sebastian, aiutalo.» lui aveva annuito senza incertezze. «Io provvederò a rendere la cucina praticabile.» un tempo il ‘Draw cuts’ era stato molto più di un bar e forse poteva tornare ad esserlo. Certo, erano qualcosa come dieci anni che non usava la cucina, ma in qualche modo avrebbe fatto in modo che potesse essere riutilizzata.
    «Ed io?» aveva domandato Alyssa. «Anche io voglio fare qualcosa.»
    «Tu, signorina, fai tutti i compiti e dopo vieni a mettere a posto i tavoli.» lei aveva annuito eccitata. «Ma poi torni di corsa a casa perché la mattina dopo hai scuola.»
    «E se non va?» Diego aveva guardato Maxi, aveva i pugni stretti nelle tasche della felpa, si era accorto che notava sempre quando gli tremavano le mani; l’uomo iniziava ad essere seriamente preoccupato che non smettesse più. «Che faccio torno sul marciapiede?»
    Aveva sospirato. «Non pensiamoci adesso.»
    «Voglio sapere se è un’eventualità.»
    L’aveva fissato negli occhi. «Se non va riproveremo. Non ci torni sul marciapiede.» gli aveva promesso. «Alyssa, funzionerà?»
    «Assolutamente si. Non ci possiamo aspettare immediatamente grandi guadagni, ma nel giro di tre mesi il ‘Draw cuts’ ci manterrà tutti e quattro.»
    «Vedi, ragazzo? Io mi fido di tua sorella, dovresti farlo anche tu.»

Mi fermai con una tovaglietta di carta tra le mani.
    Alyssa e Sebastian scherzavano poco distanti da me; studiai il sorriso del ragazzo, cercando qualcosa che mi confermasse tutto quello che avevo visto. Ma l’unica cosa che vidi confermata fu la sua straordinaria passione per il sorriso di lei. C’era stato dolore, aveva scavato fosse profonde, loro erano riusciti a salire in cima ed ora sbirciavano giù con due pale in mano e piano, piano stavano ricoprendo di nuovo quei buchi. Il passato andava lasciato andare e dimenticato.
    Guardai Maxi, stava riempiendo le scodelline di patatine ed altri stuzzichini per gli aperitivi. Vidi distintamente la sua mano tremare, lui scosse il pugno con decisione ed abitudine e quando tornò ad arrotolare il sacchetto di chipster, perché non si seccassero, era di nuovo fermo e tranquillo. Alzò il viso e mi lanciò un’occhiata.
    «Ti sei fissata ancora, Liv.» mi prese in giro.
    Sarei voluta andare da lui ed abbracciarlo, dirgli che ora andava tutto bene, che era tutto finito.
    Ma non lo feci.
    Io violavo un giuramento solenne a sbirciare il loro passato, anche se non ne ero del tutto colpevole. Ero migliorata, ma non era ancora completamente in grado di controllare le mie visioni. Alyssa diceva che a diciassette anni per me sarebbe stato come cambiare canale alla tv: avrei visto il mio rapimento in alta definizione, bello.
    Arrossii e distolsi lo sguardo, lui ridacchiò, spietatamente divertito da una ragazzina che arrossiva perché la beccava a guardarlo. Gli davo molte soddisfazioni.
    Alyssa mi si avvicinò sorridendo e mi strinse la mano, mentre con l’altra recuperavo quattro bicchieri da sistemare. Mi ero abituata alla sua passione per i contatti fisici, era tutta un toccare ed abbracciare.
    «È un pensiero carino da parte tua.» le lanciai un’occhiata. «Ma non gli piace parlarne.» lo immaginavo. «Tu gli piaci proprio perché non ne dovresti sapere niente!» rise tornando al tavolo che aveva interrotto per venirmi a parlare.
    Lanciai un’occhiata a Maxi, cercando di stare attentissima a non farmi vedere, ma lui stava guardando me, quindi, non mi rimase altro da fare se non sbuffare alla sua seconda risata.
    Ma restò un pensiero dolce a galleggiare nella mente: io gli piacevo.

fine...lasciamoci alle spalle questa cosa, per carità...
fatemi sapere che ne pensate, ça va?
bacichenonnepossonopiùdiscrivererobatantotragica!

ps. la canzone è Iridescient dei Linkin Park...bella, mi piace...

   
 
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