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Autore: _Serendipity_    03/10/2011    6 recensioni
"Roy Mustang, vuoi veramente sapere chi sono?"
La voce era calma, appena venata da un qualcosa che a Roy parve tristezza.
"Vuoi saperlo davvero?" chiese nuovamente.
Il Flame Alchemist puntò lo sguardo nelle iridi dorate dell'altro.
Erano così familiari... perché diavolo non potevano essere le sue?
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non ha alcuno scopo di lucro.





Il visitatore della sera






Da qualche tempo a questa parte, il Colonnello Roy Mustang aveva la netta sensazione di essere osservato.
Le prime volte si era voltato di scatto, inquieto e stranito come gli capitava di sentirsi solamente durante gli incubi che ancora faceva su Ishbar.
Il suo sguardo, però, non aveva colto nulla se non la strada deserta, illuminata dalla fioca luce dei lampioni.
Nonostante questo, ogni sera quando usciva dal Quartier Generale occhi invisibili s'incollavano alla sua schiena.
Li sentiva su di sé, insistenti, ed ogni volta doveva lottare contro il bisogno impellente di voltarsi a controllare se, effettivamente, ci fosse per davvero, quel qualcuno che lo stava osservando.
Scuoteva leggermente il capo, convincendosi di essere nel torto. Forse era stanchezza, forse stress.
Già, si trattava senz'altro di quello.


Quella bizzarra sensazione, però, rimaneva. Un piede fuori dall'ingresso principale, ed eccola di nuovo.
Mustang stava cominciando a temere per la propria sanità mentale.
Dopotutto non era fatto strano che un militare, reduce di guerra per giunta, avesse dei cedimenti a livello psicologico; ne aveva visti troppi di casi simili, e non era certamente così presuntuoso da ritenersi immune ad una tale eventualità...
Il timore che la propria mente stesse cominciando a vacillare, quindi, era più forte di quella d'esser pedinato da un eventuale malintenzionato e perciò proseguiva dritto per la propria strada come ogni sera, serrando i denti.


Stava piovendo. Dannazione, se c'era qualcosa che non sopportava era proprio la pioggia.
Prendendo un profondo respiro, varcò l'uscita del Quartier Generale, dandosi mentalmente dello sciocco.
Non c'era nessuno, nessuno lo scrutava nascosto nell'ombra, per cui non c'era davvero alcun motivo per essere così nervosi, no?
Cercò di convincersi di tutto questo mentre percorreva a passo svelto il tragitto verso la propria abitazione, stringendosi addosso il pesante cappotto nero.
Il fiato si condensava in piccoli sbuffi che gli fuoriuscivano dalle labbra, dandogli la sensazione di essere l'unico essere vivente al mondo in quell'istante di silenzio che sentiva pesare come piombo attorno a sé.
Gettò un'occhiata distratta alla strada buia e deserta, sovrappensiero, quando all'improvvisovide.
C'era una figura, immobile sotto il lampione più lontano della via.
La luce che pioveva debolmente su di essa, illuminando parte del cappotto scuro che indossava, non era sufficiente a renderne visibili i lineamenti.
Mustang corrugò la fronte, sforzandosi di cogliere almeno in parte l'identità dell'uomo, perché si trattava senz'altro di un uomo, sebbene l'eccessiva distanza impedisse di capire se fosse giovane o vecchio.
Mentre seguitava a camminare, sbirciò con l'unico occhio sano lo sconosciuto, osservando come questi continuasse a restare perfettamente immobile e silenzioso.
E Roy avrebbe potuto giurare che stesse guardando proprio lui.


Da quella sera il misterioso sconosciuto era sempre lì, ogni volta che Mustang alzava lo sguardo.
Sempre muto ed immobile, sempre presente, che fosse una serata piovosa o meno.
Roy si chiedeva spesso il perché, di quel comportamento.
Da parte sua, avvertiva dentro di sé l'impulso di starne lontano; ogni volta, però, come se non potesse farne a meno, tornava a cercare con lo sguardo quella figura solitaria.
Ogni volta cercava di avvicinarlesi un po' di più, aguzzando la vista per cogliere qualche particolare del volto; ma ecco che questa arretrava subito nell'ombra, rendendo vano ogni tentativo.
Ed ogni volta, il Flame Alchemist serrava la mascella, masticando tra i denti una muta protesta di cui non capiva lui stesso le motivazioni.


Roy gettò un'occhiata cupa verso il cielo, irragionevolmente contrariato dall'esistenza dell'inverno.
"Certo che questa sera sembra davvero più buia delle altre" mormorò tra sé e sé.
Mentre camminava a passi lenti e strascicati verso casa, tentando d'ignorare il gelo che sentiva penetrargli fin dentro le ossa, rifletté sulla giornata appena trascorsa.
Era stata tranquilla, il lavoro era proceduto in modo regolare e perfetto. Una buona giornata, insomma.
Come del resto lo erano tutte, da qualche anno a questa parte.
Da quando...
No.
Si fermò di colpo, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne.
Stette un attimo immobile, lottando contro quelle immagini che tentavano di farsi strada nella sua mente, dolorose ed insistenti.
Non doveva. Dannazione, lo sapeva che non sarebbe cambiato nulla, se anche ci avesse ripensato.
Chiuse l'occhio sano e cercò di calmare il proprio respiro, prendendo lunghe boccate d'aria.
Inspira. Respira. Facile, no?
Sollevò nuovamente la palpebra, e ad un tratto lo vide.
S'immobilizzò ancor di più, se possibile, e prese ad osservarlo lottando contro quello strano malessere che cominciava nuovamente ad assalirlo.
Sembrava attenderlo proprio come ogni sera, lontano ed allo stesso tempo così vicino che sarebbero bastati pochi passi per poterlo toccare.
Questa volta, però, la luce del lampione riusciva in qualche modo a penetrare l'oscurità circostante, andando a piovere calda sulla folta capigliatura.
Roy trattenne bruscamente il fiato.
I capelli dello sconosciuto sembravano brillare più dell'oro, fili preziosi raccolti in una coda alta.
Il viso, però, restava in ombra.
Distolse lo sguardo passandosi una mano sul volto, stancamente. Che stesse veramente impazzendo?
Ma perché diavolo doveva farsi del male in modo così patetico?
Quando tornò a guardare, era svanito.


Quel pensiero lo ossessionava.
Ormai, non era nemmeno più sicuro di essere in grado di distinguere la realtà dal sogno.
Lui sapeva cosa aveva visto. O meglio, cosa aveva voluto vedere.
Era la stessa cosa che sognava ogni notte, quando la lista di compiti e doveri finiva di sfilare faticosamente nel suo cervello, e si presentava infine quello a cui evitava disperatamente di pensare durante la giornata.
Una persona. Un ragazzo che, ora, doveva essere quasi un uomo.
Premette la fronte contro il freddo vetro della finestra del proprio ufficio, cercando di pensare lucidamente.
Era stanco.
Stanco di rimpianti, di parole rimaste in fondo alla gola, di sguardi rubati.
Stanco del vuoto accanto a sé.
Sarebbe stato bello potersi svegliare un mattino e dire "Bene, perché diavolo stavo così male fino a ieri? Accidenti, non ricordo"
Ma sapeva bene che ciò non sarebbe mai accaduto, o almeno, non nell'immediato futuro.
Forse avrebbe davvero dovuto ricominciare ad uscire con qualche donna...
Riza. Riza sarebbe stata l'ideale.
Lei era sincera, non aveva paura di contrastarlo... e la notte, accarezzandole i biondi capelli, avrebbe potuto ingannare sé stesso fingendo che fossero i suoi.
Ma sarebbe stato giusto? 
Dannazione. Non sapeva più nemmeno lui, quello che era giusto o sbagliato.
Sospirò, dando un veloce sguardo al proprio orologio d'argento.
Le venti.
Anche quella sera era riuscito a restare al lavoro oltre il proprio orario, studiando attento verbali, prendendo in esame i rapporti delle missioni dei suoi sottoposti, annotando formule alchemiche.
Grato per la quantità d'informazioni che andavano a colmargli la mente, relegando almeno per qualche istante tutto il resto in un angolo del cervello.
"Sarà meglio che me ne vada..." mormorò tra sé e sé.
Afferrando il proprio soprabito si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle e si diresse verso l'uscita, massaggiandosi stancamente la nuca.
Il freddo della sera lo accolse secco e deciso, facendogli portare la mancina a stringere maggiormente il colletto del pesante cappotto nero attorno alla gola.
"Perfetto... congelerò ancor prima di riuscire a tornarmene a casa" sospirò, osservando il cielo trapuntato di stelle.
Sbuffando leggermente s'incamminò verso il proprio appartamento, mentre il vento andava a scompigliargli i capelli corvini.
Man mano che si avvicinava alla fila di lampioni che illuminavano la via principale, sentì crescere dentro di sé un profondo senso d'inquietudine.
Dandosi mentalmente dello sciocco, imboccò la via principale, scorgendo il chiarore dei lampioni illuminare la sera.
Si fermò.
Era lì. Come ogni sera lo attendeva, immobile.
Mustang sentì crescere dentro di sé una sorda rabbia.
Adesso basta. Era giunto il momento di farla finita una volta per tutte, con quella faccenda.
Atteggiò il viso ad un'espressione dura, avvicinandosi con passo deciso allo sconosciuto.
Si trovarono all'improvviso faccia a faccia, sebbene quella dell'altro fosse ancora in ombra.
I suoi capelli, dorati, splendevano.
"Ehi, tu... voglio sapere perché mi spii - fece, rabbioso - E non negarlo, so bene che lo fai da mesi, ormai"
aggiunse.
Il silenzio dell'uomo lo fece innervosire ancor di più, se possibile.
"Ora basta! Esigo spiegazioni... cosa diavolo vuoi, da me?" proruppe.
Lo sconosciuto alzò il viso, lasciando che la luce calda dei lampioni ne illuminasse i giovani lineamenti.
Roy fece un passo indietro, serrando furiosamente la palpebra sull'occhio destro.
Sentiva i battiti del proprio cuore scuotergli il petto
così forte, che per un folle attimo temette fossero visibili ad occhio nudo.
"Non può essere..." mormorò, con voce rauca.
Riaprì l'occhio, fondendo il proprio sguardo onice con quello ambrato di Edward.
Talmente luminoso da rendere la notte giorno.
Era lui. Era sempre stato lui.
"Tu... sei... sei tornato?" chiese, in tono soffocato.
Quello sconosciuto che sembrava così tanto l'Alchimista d'Acciaio, gli rivolse una breve occhiata.
Di comprensione, di rammarico.
Sembrava che riuscisse a vedere fin dentro l'animo di Roy, dividendo il buio dalla luce, la rassegnazione dalla speranza.
Sorrise, dolcemente.
"No" disse soltanto.
Roy sbarrò l'occhio sano, incredulo.
Scosse la testa come un cane bagnato, respirando a fondo.
"Cosa dici... sei tu, sei Fullmetal! Dillo..." urlò.
La voce s'incrinò, supplichevole.
"Dillo..." mormorò.
Rimase a fissarlo, smarrito.
Il ragazzo si avvicinò, fermandosi ad un passo da lui.
"Roy Mustang, vuoi veramente sapere chi sono?"
La voce era calma, appena venata da un qualcosa che a Roy parve tristezza.
"Vuoi saperlo davvero?" chiese nuovamente.
Il Flame Alchemist puntò lo sguardo nelle iridi dorate dell'altro.
Erano così familiari... perché diavolo non potevano essere le sue?
Si passò la lingua sulle labbra riarse, e la voce che ne uscì non parve la sua "Sì... voglio saperlo..."
L'altro assentì leggermente, distogliendo per un breve istante lo sguardo e puntandolo al cielo.
Subito, però,  tornò a cercare l'occhio scuro del Colonnello "Roy, tu avevi ciò che ogni persona cerca per tutta la vita, una cosa preziosa... l'avevi, ma te la sei lasciata sfuggire, ed ora vorresti cancellarne perfino il ricordo"
Fece una pausa, chinando leggermente il volto.
Roy non fiatava.
"Chi sono io? Sono ciò che hai perso perché non hai avuto l'egoismo, o il coraggio, di allungare la mano e di cercare di afferrare quel che desideravi..."
Sollevò nuovamente il capo.
Nei suoi occhi, c'era una luce così intensa da ferire lo sguardo.
"Sono l'Amore non colto, che tu hai lasciato fuggire" mormorò.
Roy sentì il proprio cuore fermarsi, ma quando fu quasi convinto che non avrebbe mai più ripreso a battere, esso ricominciò la propria corsa con battiti tanto forti e ravvicinati da sembrare uno solo.
Sentì la minaccia delle lacrime bruciare pericolosamente agli angoli dei propri occhi.
Lo sconosciuto lo guardava, serio in volto "Non farlo, Roy. Non dimenticarlo, perché lui tornerà. Tornerà, ed allora dovrai essere capace di correggere gli errori commessi, che ti tormentano ogni notte..."
La sua espressione decisa si sciolse in un sorriso carico di dolcezza "... sono gli stessi che non danno pace nemmeno a lui, nel luogo in cui si trova ora"
Calde gocce salate presero a scorrere sulle guance di Roy, mentre serrava i denti per non lasciarsi andare al singhiozzo doloroso che premeva contro le sue labbra.
Vide l'immagine di Ed svanire piano, nella luce del mattino.
L'ultima cosa che scomparve, fu il suo sorriso.
Scoppiò in una risata irrefrenabile.
Acuta, spezzata, la risata amara di chi non ride ormai da troppo tempo.
Scosse la testa, lentamente.
Puntò lo sguardo verso il cielo.
"E' già mattino... com'è possibile?" si chiese, incredulo.
Il sole stava sorgendo, e tra poco sarebbe tornato a scaldare ogni cosa con i suoi dorati raggi.
Sì. Prima o poi sarebbe tornato per scaldare anche lui...
Di questo, ora, ne era certo.
Sorrise.





Note dell'autrice: Ed eccomi di nuovo qua a rompere le scatole! Beh, che dire... buon 3 Oct '11 a tutti!
Se state leggendo questo è per due motivi: 1 il mio pc e la mia connessione non hanno fatto i capricci, 2 io sono a casa in malattia, e mal di gola, orecchie, e intero corpo dolorante non mi hanno impedito di rispettare questa ricorrenza. Ora, so che probabilmente qualcuno mi vorrà tirare uno stivale in fronte, ma abbiate comprensione per una povera malata che piange ancora sul dvd de "Il Conquistatore di Shamballa" e sul destino di due dei più grandi idioti della storia dell'anime mondiale.
Spero di non essere stata troppo sul sentimentale... ma d'altra parte, Roy lo è sempre stato un po'.
Ancora me lo vedo davanti agli occhi nella Opening n.4, lui ed il suo bicchiere (di whisky?) in mano e quell'espressione malinconica... 
Adesso, voi penserete che io abbia finito di torturare Roy... tzè, poveri illusi...
Baci ^^ 



   
 
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