Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |      
Autore: Miss Demy    04/10/2011    20 recensioni
- TERZA CLASSIFICATA al contest 'NOTTE DI LUNA' indetto da VaniaMajor sul forum di EFP -
Un giovane uomo era seduto sullo stesso prato sul quale aveva dormito lei la sera precedente. Il vento faceva ondeggiare i ciuffi corvini che ricadevano, ribelli, sulla sua fronte; indossava un’uniforme blu come la notte, che gli donava un’aria tenebrosa, e un’armatura di metallo che la Luna rendeva dai riflessi argentei, facendolo splendere. Serenity sorrise osservando le sue mani grandi, rimase attratta dai gesti con cui impugnava un flauto di legno marrone che, poggiato sulle sue labbra carnose, emetteva quel suono ipnotizzante.
Era la visione più bella, il panorama più incredibile che la Terra avesse mai potuto offrirle. Non aveva paragoni.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Endymion, Serenity | Coppie: Endymion/Serenity
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic






Al centro della grande valle verde, il gorgoglio della limpida fonte era simile a una dolce melodia. Per Serenity fu come un richiamo alla realtà; si lasciò rapire, abbandonando gradualmente il Regno dei sogni.
Alzò lentamente le palpebre, specchiando i suoi occhi al cielo: sembrava che avesse rubato a esso le molteplici sfumature dell’azzurro. Nelle sue iridi il cielo sembrava ancora più cristallino.
Il Sole la abbagliò con violenza, si coprì gli occhi con le mani, giusto il tempo di abituarsi a quella luce dorata dopo un‘intera notte di tenebre.
C’era caldo, così tanto che la sua pelle diafana e delicata sembrò bruciare; capì che era giunto il momento di alzarsi da quel prato verde e profumato, umido di rugiada, che le aveva fatto da giaciglio. Spiegò le sue ali d’argento, che il sole rendeva dalle sfumature dell’arcobaleno, iniziando a volare con leggiadria, mentre il vento faceva ondeggiare le sue lunghe code bionde, sfilacciandole in tante ciocche fluenti.
«Venus, è già mattina!» esclamò dall’alto, guardando la fata ancora sdraiata e con un’espressione beata sul candido viso «Qualcuno potrebbe vederci.» 
Quel suono delicato, che il vento propagava, destò la creatura vestita da un corpetto bianco e una gonna color arancio; ella sì sfregò gli occhi con le dita prima di alzare lo sguardo verso la fata già alta nel cielo, osservando gli strati - giallo, rosso e blu - della sua gonna svolazzare.
Spiegò le sue ali bianche dalle sfumature dell’arancio, raggiungendo colei che rappresentava la Princess dell’intero Silver Millennium, e, soprattutto, una cara amica.
«Serenity, questa è l’ultima volta che mi faccio convincere;»  asserì con voce ancora assonnata, guardandosi intorno, sperando non ci fosse nessuno nei paraggi e beandosi del panorama incantevole che la verde valle e la fonte cristallina donavano, «se ci scopre sua Altezza la regina Selene per me è la fine.» 
Serenity ridacchiò, volando sempre più vicino alla fonte ed emettendo un piccolo, stridulo urlo quando uno schizzo d’acqua fresca la bagno del tutto.
«Dai, bagnati anche tu»  esortò la sua fidata Principessa di Venere nonché guerriera e confidente, «e stai tranquilla, mia madre non ci scoprirà.» 
Goderono della sensazione rigenerante che la sorgente era in grado di offrire, prima di sollevarsi ancora più in alto, guardando per l’ultima volta quel luogo isolato di quel bel Pianeta blu.
Era ora di tornare a casa. Sulla Luna.
Attraversarono il bosco, sbattendo le ali sempre più velocemente e ondeggiando tra gli alberi, mentre il profumo di muschio bianco e di pini inebriava le loro narici; stavano per lasciare definitivamente la Terra, percorrendo l’orizzonte, quando una melodia mai ascoltata prima, rapì l’attenzione della Principessa della Luna.
«Venus, hai sentito?» domandò per avere conferma, mentre gli occhi verso la grande distesa verde cercavano di capire da dove provenisse quel suono melodico, che amplificava i suoi sensi e le scaldava il cuore. Si bloccò a mezz’aria, ipnotizzata da quel richiamo.
La fata dai lunghi capelli biondi, legati da un fiocco rosso, la prese per mano cercando di attirare la sua attenzione. «Serenity, andiamo!» mentre l’amica continuava ad avere lo sguardo perso nel vuoto, «Potrebbe essere un terrestre, è pericoloso, dobbiamo andare via!»

Ci fu un solo attimo di silenzio prima che la principessa annuisse, ricordando quello che da sempre rappresentava la Terra per lei.
Era il pianeta ricco di splendori.
Il mare che con le sue onde e il suo odore salmastro sembrava cullarla, rilassarla e appagare i suoi sensi; le vaste vallate, rivestite da prati morbidi, suscitavano in lei sensazioni di benessere e serenità grazie ai fiori dai colori sgargianti ma anche delicati e dai profumi intensi.
Ma era anche un luogo pericoloso, pieno di insidie.
Da molti secoli, infatti, l’uomo cercava di dimostrare che il magico mondo delle fate non fosse soltanto qualcosa di fantastico, un argomento amato dalle ragazzine sognatrici. L’uomo voleva far capire agli scettici che le creature alate esistessero davvero, che non fossero soltanto il frutto della fantasia ma che rappresentavano la realtà. Una fantastica realtà.
C’erano stati già alcuni avvistamenti, soprattutto quando nelle tenebre della notte, le loro ali luminose avevano creato una scia colorata al loro passaggio. Le fate esistevano, stava all’uomo dimostrarlo, catturandole.
Serenity conosceva il rischio che correva tutte le volte che, attratta da quei luoghi così belli, quanto proibiti, volava di nascosto sulla Terra, riservandosi un momento tutto per sé, lontano da quel ruolo di Princess che troppe volte le stava stretto, che le impediva di essere se stessa, che la obbligava a formalità ed etichette non adatte a uno spirito libero come amava definirsi lei.
 
Capì che Venus aveva ragione; per quanto incantevole e ipnotizzante fosse quel suono, era troppo rischioso, dovevano tornare a casa, era giunto il momento di indossare di nuovo le vesti di Princess.
 
 
Arrivate a Palazzo si accorsero della fata dal corpetto bianco e la gonna azzurra che volava avanti e indietro, con aria preoccupata, dinnanzi alla stanza della principessa. Non appena ella le vide, lasciò uscire un sospiro di sollievo, passando una mano tra i folti capelli blu.
«Serenity, ma dove ti eri cacciata?» domandò con voce colma di tensione, «È da mezz’ora che ti cerco per iniziare la lezione.»
Ella non rispose, non poteva di certo rivelare la verità alla fata maestra Mercury; non avrebbe mai capito, mai approvato: era troppo razionale, dedita allo studio e proclamatrice delle norme da seguire e rispettare sul Regno.
«Perdonami Mercury, abbiamo solo fatto una passeggiata mattutina» cercò di essere abbastanza convincente, aprendo la porta della camera con lo sguardo basso, «a dopo Venus!»
Entrò nella stanza, seguita dalla fata dai colori turchesi e si sedette su una delle poltrone dal rivestimento di velluto bordeaux, aprendo il libro già posto sul tavolo di vetro. La lezione stava per cominciare.
 
Per tutta l’ora, aveva tenuto il gomito sul bracciolo dorato sorreggendo la guancia con il palmo, mentre con la mano destra aveva picchiettato la punta della matita sulla pagina del libro.
Mercury spiegava i procedimenti per risolvere problemi matematici ma la mente di Serenity vagava libera, pensando ancora a quella melodia ritmica e armoniosa che l’aveva incantata sulla Terra; era come se da quando l’avesse udita non riuscisse più a farla uscire dai suoi pensieri, come se le avesse catturato l’anima, scaldandole il cuore. Era stata una delle sensazioni più belle che avesse provato negli ultimi secoli della sua longeva vita. Doveva udirla di nuovo, sperava che, tornando sul bel pianeta blu, il suo desiderio potesse realizzarsi. Lo voleva tanto. Sentiva di averne bisogno.
«Serenity, mi ascolti?» La voce dell’insegnante la riportò alla realtà dai suoi pensieri; sbatté le palpebre ritornando con la schiena dritta e ben poggiata al morbido schienale.
«Sì, scusami, ti seguo» aveva risposto accennando un sorriso e fissando il libro.
«Sicura che vada tutto bene?» Dal tono dell’amica dotta, la principessa evinse preoccupazione, «Sai che puoi confidarti con me.»
Serenity apprezzò quel gesto gentile e premuroso, ma non poteva rivelare il motivo della sua disattenzione. Per quanto Mercury fosse un’amica sincera e leale, sapeva che l’avrebbe fatta preoccupare, mettendole addosso  sensi di colpa verso la Regina Selene, nei confronti della quale nutriva non solo ubbidienza ma anche uno strano senso di devozione.
«Ma sì, tranquilla» la rasserenò, «ho solo bisogno di riposare un po’, stanotte non ho dormito molto bene.»

A lezione terminata, Serenity salutò la fata osservandola lasciare la camera; si sdraiò sul maestoso letto a baldacchino, affondando la testa sul soffice guanciale e viaggiando di nuovo con la mente, fin quando decise che non poteva più rimanere in quello stato, non poteva non far qualcosa che la facesse stare bene, che la facesse sentire in pace con se stessa, con il proprio animo. Decise che sarebbe scesa di nuovo sulla Terra quella sera. Da sola, però; non avrebbe continuato a mettere Venus in pericolo: se le fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe perdonato mai.
 
 
Le tenebre avvolsero presto il satellite che, visto da lontano, con occhi esterni, era simile a un disco bianco da sempre considerato ineguagliabile per il suo candore, come se un velo di magia lo rivestisse, rendendo il chiaro di Luna lo sfondo perfetto per le favole più belle e le leggende più incredibili mai lette, scritte e narrate sulla Terra. 
Il palazzo reale del Silver Millennium era immerso nel silenzio; le fate avevano già raggiunto le loro case, attendendo l’arrivo di un nuovo giorno nei loro giacigli. Tutto taceva.
Serenity, a piedi scalzi, aprì la porta della sua camera, avviandosi cautamente, lungo il corridoio, scrutando i vari angoli oscuri e sperando che nessun domestico la scoprisse. Raggiunse il maestoso cortile reale e, approfittando che non ci fosse nessuno, spiegò le sue ali argentate, volando via, lontano, sentendo la leggera brezza accarezzarle il viso e le braccia scoperte, e avvertendo diminuire la tensione che aveva accumulato durante la giornata, in attesa di quel momento.

Attraversò lo spazio, sfiorando le stelle, venendo abbagliata da quelle luci così intense che, per qualche attimo, la obbligarono ad abbassare le palpebre. Respirò l’aria a pieni polmoni. Diede un odore alla Libertà.
La Terra diveniva una sfera sempre più grande, sempre più vicina; la perse di vista solo per un po’, affondando tra le soffici e vaporose nuvole che lo Spazio rendeva dalle tonalità più vivaci e intense mai ammirate prima.
Era un privilegio.
Fu soltanto quando riuscì a intravedere la grande vallata verde e profumata che il suo cuore mancò un battito.
Quella Melodia…” si sorprese, udendo nuovamente quel suono dolce che sembrava riuscisse a sciogliere il suo animo, in grado di donarle quella serenità interiore e, allo stesso tempo, infervorare la sua innata curiosità.
Volò sempre più vicino, nascondendosi tra i grandi abeti e richiudendo le ali per evitare di catturare l’attenzione di occhi indiscreti e pericolosi. Si sedette su un ramo, inclinando la testa e notando una figura sconosciuta.
Sussultò, mentre le gote si arrossavano e il suo piccolo corpo tremava: la dolce melodia non era nulla di così entusiasmante, di così emozionante e attraente, paragonata all’immagine davanti a sé.
Un giovane uomo era seduto sullo stesso prato sul quale aveva dormito lei la sera precedente. Il vento faceva ondeggiare i ciuffi corvini che ricadevano, ribelli, sulla sua fronte; indossava un’uniforme blu come la notte, che gli donava un’aria tenebrosa, e un’armatura di metallo che la Luna rendeva dai riflessi argentei, facendolo splendere. Serenity sorrise osservando le sue mani grandi, rimase attratta dai gesti con cui impugnava un flauto di legno marrone che, poggiato sulle sue labbra carnose, emetteva quel suono ipnotizzante. 
Era la visione più bella, il panorama più incredibile che la Terra avesse mai potuto offrirle. Non aveva paragoni.
Non aveva mai visto un uomo, mai ammirato i suoi lineamenti, mai osservato i suoi gesti e la sua corporatura così possente, soprattutto se paragonata a quella minuscola e leggiadra delle fate.
Era come se il suo corpo stesse ricevendo energia da quell’immagine, da quel suono; le sue ali brillarono, seppur richiuse, illuminando l’intero albero che la nascondeva. Non sfuggì al giovane uomo.

La melodia si fermò all’improvviso e Serenity tremò, temette di essere stata scoperta, di essersi messa nei guai e di aver appena messo in pericolo la sua gente, quando il ragazzo voltò lo sguardo verso quegli alberi rigogliosi e sempre verdi.
«Chi c’è? C’è qualcuno?»

 Anche la voce dell’umano mise in subbuglio il suo animo. Era pericolosa, rappresentava una minaccia, eppure era calda e vellutata, era così armoniosa da riscaldare il suo cuore e farla tremare di nuovo. Rimase immobile, con la schiena ben poggiata alla ruvida corteccia, mentre il cuore batteva all’impazzata nel suo petto.
“Ti prego, ti prego, va’ via”, ripeté tacitamente, sperando che la sua aura potesse salvarla. Così fu.
                                                              
«Principe Endymion, di nuovo qui? Vostra madre vi sta cercando!» Una voce distolse l’attenzione dell’uomo dal bosco, facendolo voltare dalla parte opposta, verso il ragazzo dai capelli argentei.
«Perdonatemi, Kunzite, è che le feste reali sono così noiose…»
Era un principe, pensò Serenity, osservandolo alzarsi, per poi allontanarsi con il giovane coperto da un mantello a cui la Luna donava riflessi cangianti.
 
Da quella notte di Luna piena, nulla fu più come prima per Serenity; tutti i giorni, all’imbrunire, lasciava il suo ruolo di Princess, i suoi affetti, le sue amiche, il suo regno, il suo mondo, e volava sulla Terra, si rifugiava tra gli alberi e osservava quel principe dallo sguardo serio e dagli occhi malinconici e blu come l’oceano.
Si incantava ad ammirarlo mentre si sdraiava sul prato e, con le mani a sorreggergli la nuca, osservava la Luna che, di rimando, illuminava, col suo chiarore, i suoi lineamenti rendendo argentei i riflessi dei suoi capelli corvini e impallidendo il suo viso sbarbato.
Il suo cuore puro si riscaldava, veniva avvolto da un invisibile abbraccio, mentre Endymion si portava seduto, tirando fuori il flauto e iniziando a suonare quella melodia magica, in grado di donarle energia.
E mentre lo udiva, le sue guance arrossivano e le sue labbra scarlatte disegnavano un sorriso sul suo etereo volto. Pensava a lui, a ciò che poteva provare, ai suoi sentimenti e alle sue emozioni. Sicuramente non erano allegri, di certo qualcosa lo rendeva triste e inquieto. E quella melodia era il suo modo per esternare ciò che provava dentro.
Dedusse che, forse, anche sulla Terra il ruolo di principe non era facile, che anche a lui a volte calzava stretto.
Comprendeva ogni suo sospiro, ogni suo movimento col quale passava nervosamente la mano tra i folti ciuffi, rendendo arruffati i capelli, e anche tutti gli attimi in cui il suo sguardo rimaneva fisso sulla Luna, possibilmente, desideroso di visitare quel satellite sconosciuto e misterioso. Era ciò che provava anche lei verso il bel pianeta blu.
Comprendeva lui, perché lui era come lei.
 
Era inevitabile. Sulla Luna, il suo cuore, la sua mente, la riportavano da lui: Endymion. Non c’era un solo istante che non pensasse a lui, al suo sguardo, ai suoi gesti, ai suoi respiri. Voleva tanto conoscere i suoi pensieri, confidargli i propri, udire la sua voce mentre si rivolgeva a lei, ammirare i suoi occhi profondi che con i raggi di luna sembravano abbagliare, mentre guardava lei. Immaginava il suono delle sue risate, le sue labbra mentre donava un sorriso a lei. Chissà com’era quando sorrideva, pensò. “Bellissimo…” ne era convinta.
Desiderò con tutta se stessa essere un’umana, una ragazza, una terrestre. Per lui, per Endymion, per poter realmente condividere tutto ciò che fino a quel momento aveva desiderato con tutta se stessa.
“Che sia questo l’amore?” rifletté. E se la risposta fosse stata positiva, si era innamorata di un umano? Di colui che da sempre dava la caccia alle fate?
Scosse la testa. “No, Endymion non farebbe mai una cosa del genere, non ci credo.”
Era consapevole però che fosse stato il suo cuore a indurla a un tale ragionamento, non la sua testa.
 
 
Mai e poi mai avrebbe pensato di andare contro i suoi principi, di comportarsi senza razionalità, di infrangere i buoni insegnamenti e gli autentici valori di lealtà e giustizia che da sempre, caratterizzavano il Silver Millennium sulla Luna, rendendolo il regno conosciuto come regno dell’amore e della serenità.
Mai e poi mai…
Eppure, una sera - dopo aver atteso che tutte le fate del Palazzo Reale fossero rientrare nelle loro camere - nella grande sala reale, accessibile solo a sua madre, la regina Selene, scorse il noto Silver Crystal: il cristallo d’argento illusorio.
Sussultò, mentre una strana forza interiore la induceva a prenderlo.
Entrò nella sala buia, alla quale le tende color amaranto donava una fioca luce rossastra, grazie alle lampade esterne che si riflettevano dentro. Al centro, in una teca di cristallo, adagiato su un cuscino quadrato di velluto bordeaux, il Silver Crystal sembrava splendere di luce propria.
Serenity conosceva l’enorme potere di quel piccolo oggetto dalla forma sferica, sapeva che esso, baciato dai riflessi della Luna, dai suoi pallidi raggi, era in grado di sprigionare tutta la sua forza, aiutando a compiere le   imprese più ardue, i desideri più impossibili da realizzare altrimenti.
Il suo cuore iniziò a scalpitare, il suo piccolo corpo a tremare sempre di più, mentre si avvicinava a quel cristallo. Sapeva che era sbagliato, che rappresentava un tradimento e che forse avrebbe avuto delle conseguenze negative. Ma se non lo avesse preso, se non lo avesse usato per poter parlare con Endymion, per farlo entrare nella sua vita, per entrare in quella di lui, sarebbe stato un tradimento per il suo cuore.
Sollevò la teca con cautela e, sospirando nervosamente, avvolse il Silver Crystal nella sua mano. Era caldo. Sentì tanta energia confluire nel suo corpo, la sua linfa vitale accrescere. “Wow”, pensò. 
 
 
E di nuovo sulla Terra, tra i boschi profumati, tra i prati verdi e il suono della fonte su cui la Luna si rifletteva rendendo l’acqua simile all’argento colato.
Serenity ripiegò le sue ali, avvertendo, sotto i piedi scalzi, la morbidezza dell’erba fresca.
Con il respiro affannato, e il cuore che batteva all’impazzata, aprì la mano destra, ammirando il bagliore di quell’oggetto potente e dal valore inestimabile; distese il braccio, permettendo ai raggi di Luna di accarezzare il Silver Crystal e sentì il fuoco addosso, il suo corpo venire pervaso da una sensazione nuova, rigenerante ma, allo stesso tempo, che la indeboliva sempre più. Fu avvolta da quella stessa luce che emanava il cristallo e che la Luna intensificava. Poi, perdendo il respiro, chiuse gli occhi. Nulla più.
 
 
«Fanciulla, fanciulla!» Una voce calda, e sempre più intensa e vicina, si fece presente nella sua mente; si sentì avvolgere da due braccia possenti e forti, riuscendo a percepire un calore nuovo e un odore speziato che pizzicò piacevolmente le sue narici.
«Svegliatevi, aprite gli occhi.» Lo fece, piano, un poco alla volta, mentre l’immagine davanti a sé, da sfocata, diveniva sempre più nitida. Sussultò alla vista di quegli occhi blu e profondi che avrebbero fatto invidia agli zaffiri più preziosi e lucenti.
Non c’erano paragoni. Temette di essere catturata da Lui, proprio da Lui che aveva rubato il suo cuore e la sua mente, e si sentì sciogliere come neve al sole quando lui, continuando a guardarla con un’espressione dolce, le donò un sorriso. Uno di quelli che aveva sempre desiderato, forse anche più bello.
Sbatté le palpebre più volte, guardandosi in giro e accorgendosi di essere sdraiata sul prato, mentre il giovane uomo, in ginocchio, le teneva sollevata la testa con le sue braccia.
Si portò seduta, rimanendo sorpresa, quasi incredula, notando che la sua altezza era aumentata; il suo corpo aveva dimensioni più piccole rispetto a quelle del principe dolce ma tenebroso, però non era più minuscola, non aveva più le ali, né la sua solita gonna dai tre strati colorati e il suo bustino bianco dalle maniche rosa.
Aveva un lungo abito bianco di seta preziosa che le scendeva morbido dai fianchi in giù, ricoprendo le sue lunghe gambe. Sorrise.
 
«Mi avete fatto prendere uno spavento.» Un tono gentile accompagnato da un sorriso la destò da quelle osservazioni su di sé; alzò gli occhi dai ricami dorati della sua scollatura e incrociò lo sguardo del giovane. Arrossì.
«Mi spiace, non era mia intenzione.» Un sussurro melodico, mentre il suo cuore batteva sempre più forte. Lui era lì, con lei, per lei, come aveva tanto sognato, tanto sperato.
Endymion si mise in piedi, «Permettete?» domando con garbo, porgendole una mano. Serenity sorrise ancora, prendendo quella mano così calda e grande che avvolgeva la propria, mentre sollevava il lungo abito e si alzava.
«Mi chiamo Endymion» ruppe il silenzio dopo pochi istanti in cui i loro sguardi erano rimasti attratti, incapaci di proferir parola, se non quelle che nascevano spontanee dalle loro anime e si manifestavano dai loro occhi, «è un piacere per me conoscervi.»
E mentre lui premeva le labbra sul suo palmo, Serenity rispose:
«Il piacere è mio, Endymion, il mio nome è Serenity.»
Le porse il braccio, piegandolo leggermente e poggiando la mano chiusa a pugno all’altezza del petto. «Posso invitarvi a fare due passi?»
Erano parole piene di cortesia, che la indussero ad annuire, istintivamente.
Poggiò la mano sul braccio di lui, avvertendo il bicipite tonico e muscoloso; forse era dovuto agli allenamenti di scherma, pensò dopo aver visto la spada lucente dall’impugnatura argentea che lui portava alla cinta.
Da quando Serenity aveva scoperto quella vallata, mai aveva provato una gioia e delle sensazioni di benessere come in quel momento. Guardava quel disco argenteo, dai raggi pallidi, e si sentiva in colpa. Era come se la Luna potesse osservarla, spiarla, giudicarla e, forse, ricordarle dove fosse il suo posto, quale ruolo l’attendesse. Guardò Endymion e, quando incrociò i suoi occhi profondi e luminosi, si ricredette: la Luna poteva solo benedire quell’incontro, approvarlo, esserne testimone fidata. Ne era certa.
«Non vi ho mai visto da queste parti» Endymion non  lasciò neppure per un istante il suo viso etereo, «di dove siete?»
Una garbata risata. «Un luogo lontano, molto lontano.»

Il principe non indagò oltre, non aveva importanza. Era come se da quando la Luna avesse illuminato la fanciulla distesa sul prato, come a fargli capire che doveva andare da lei, aiutarla, proteggerla, tutto il resto non contasse più. Gli importava solo di quella ragazza dagli occhi dello stesso colore del cielo in una limpida giornata di sole, e dai capelli simili a lunghi fili d’oro legati in due odango perfetti e rotondi.

Si fermò accanto alla fonte cristallina. «Vi andrebbe di sedervi?» domandò, «vorrei farvi ascoltare una mia composizione.»
“La Melodia…” sperò lei, annuendo e donandogli uno di quei sorrisi che fece battere forte il cuore del principe. Era così dolce quando sorrideva. Sembrava una fata, un essere magico. Anzi, no, Serenity era molto più bella.
Seduti sul prato fresco di rugiada, Endymion tirò fuori il piccolo flauto, intonando quella musica triste. Tutti i sogni di Serenity stavano diventando realtà mentre, con lo sguardo fisso di lui, lo osservava rapita dal suo modo di sfiorare lo strumento con le labbra, mentre gli occhi blu rimanevano chiusi e tenuti bassi.
Estasiata, accennò un applauso, battendo piano le mani, quando lui terminò di suonare. «Siete bravissimo» sussurrò, timorosa di spezzare quell’atmosfera magica che si era creata, «è… è divina.»

Quell’entusiasmo, quella voce ingenua, a tratti infantile, e delicata con la quale apprezzava lui, la sua musica, gli scaldò il cuore.
«Sapete, vengo qui tutte le notti» rivelò con gli occhi fissi su quelli di lei, «suono alla Luna questa melodia.»
Si voltò verso il satellite e sorrise, scuotendo la testa. «Sembrerà assurdo eppure sono convinto che lassù ci sia un mondo incantato!»
Era estasiato al solo pensiero, così tanto che i suoi occhi brillarono.
«Un mondo di fate?» ridacchiò lei.
«Probabilmente…»  alzò le spalle, portando entrambe le braccia sulle ginocchia piegate e unendo le mani, «Suono per le fate, ho letto su alcuni libri che amano la musica.»
Serenity sorrise dolcemente, capendo di non essersi sbagliata: lui non avrebbe mai fatto del male agli abitanti della Luna, anzi.
«Quindi voi non volete catturarle, giusto?» se ne assicurò.
Endymion allargò le labbra in un sorriso rassicurante mentre fissava il suo viso candido. «Se voi foste una fata, io vi giuro che vi proteggerei da chiunque.»
E lì, al chiaro di Luna, Serenity cercò di essere più sincera e fedele possibile. «Se io fossi una fata, vi giuro che adorerei la vostra melodia, Endymion,» confidò avvicinandosi un po’ a lui e posando entrambe le mani sulla gonna del bianco abito, «scenderei tutte le notti dalla Luna solo per sentire suonare voi.»
I suoi occhi azzurri e ingenui non mentivano, lui lo sapeva mentre specchiava i suoi su di essi.
 
D’istinto prese la mano della principessa portandola al suo petto.
«Chi siete Serenity?» Il suo tono era serio, il suo sguardo bramoso di conoscere la verità. «Mi avete rubato il cuore, chi siete, mia dolcissima Serenity?»
Lei non poteva dire la verità, anche se avrebbe tanto voluto essere sincera fino in fondo con lui: con lui che riscaldava il suo animo e faceva battere forte il suo cuore con un solo sguardo. Con la mano libera gli sfiorò la guancia, notandola leggermente ruvida al tatto.
«Sono una principessa di un regno lontano» era la verità, «sono venuta a donarvi il mio cuore.»
Lui sorrise, lasciando uscire una piccola risata di incredulità; il suo braccio libero avvolse la fanciulla in un caldo abbraccio, mentre la sua mano lasciò quella di lei, solo per accarezzarle il volto e trovarlo liscio come un velluto. Serenity abbassò le palpebre prima di percepire il caldo respiro di lui sul suo viso e sentire premere le labbra del ragazzo sulle proprie. Erano dolci, carnose, umide, sapevano di buono.
Gli cinse il collo con le braccia, intrecciando le dita fra le ciocche corvine dei suoi lisci capelli. Erano morbidi e setosi, non poteva più fare a meno di accarezzarli. Si lasciò andare, si abbandonò a lui mentre veniva fatta sdraiare su quel prato, coperta solo dal corpo di lui.  
«Resta con me, stanotte» la implorò in un bacio caldo, dolce e pieno di buoni sentimenti.
Lei annuì, stringendolo forte a sé, dimostrandogli quanto amore ci fosse in ogni suo caldo respiro, in ogni delicata carezza, in ogni bacio pieno di passione e in tutti i sorrisi amorevoli riservati a lui, solo a lui.
 
E poi…
Tra le sue braccia forti, che la tenevano stretta a sé, che la riscaldavano dalla brezza fresca di quella notte di Luna, Serenity chiuse gli occhi, avvertendo il proprio corpo perdere energia, divenire sempre più debole, così debole da non riuscire più ad accarezzare il suo principe, a percepire i suoi baci pieni di passione e desiderio, e guardare i suoi lineamenti morbidi. I muscoli delle sue braccia si rilassarono sempre di più, iniziò a non sentirli più, a non riuscire a muovere più le labbra e a emettere nessun suono, neppure una richiesta d’aiuto.
Sapeva che il Silver Crystal l’avrebbe indebolita, togliendole tutta la sua linfa vitale, ma Serenity non si pentì di averlo usato.

«Serenity, Serenity!» urlava Endymion con occhi sgranati e il respiro affannato mentre la scuoteva, speranzoso di destarla da quel sonno improvviso che aveva reso pallido il suo volto e bianche le sue labbra scarlatte, «Apri gli occhi, non mi lasciare!»
Per la prima volta in venticinque anni, Endymion lasciò che i suoi sentimenti, i suoi stati d’animo, fuoriuscissero senza l’uso del flauto; i suoi occhi si appannarono così tanto da bruciargli e da non permettergli di vedere nitidamente la fanciulla tra le sue braccia. La strinse forte, avvolgendola nel suo mantello dal rivestimento di velluto e baciandole il collo e le labbra. «Resta con me, amore mio» sussurrava tra i singhiozzi non riuscendo a capire cosa stesse accadendo. Sapeva solo che non voleva perderla, era certo che fosse proprio quella giovane creatura dai lineamenti angelici l’unica persona in grado di apprezzarlo, comprenderlo, amarlo, in un mondo – il suo mondo – fatto di etichette, regole, genitori troppo impegnati negli affari diplomatici e amici-servitori che badavano più a lui in quanto principe che come persona. Lei era diversa e, anche se l’aveva appena conosciuta, i suoi occhi non avevano mai mentito, neppure per un istante. Lei lo avrebbe reso felice.

Una luce abbagliante ricoprì il corpo della principessa della Luna; Endymion dovette abbassare lo sguardo e coprire gli occhi con una mano per evitare di venirne accecato, mentre il suo cuore scalpitava per la paura e per l’incredulità a causa di quegli avvenimenti surreali. Il corpo di Serenity divenne sempre più leggero da reggere e, un sussulto uscì spontaneo dalla bocca del giovane quando si accorse delle ridotte dimensioni della ragazza e di come il suo abito principesco venisse sostituito da uno corto e colorato, lasciando spazio a un paio di ali argentee. Deglutì a fatica, sbattendo le palpebre, incredulo.
Serenity lentamente aprì gli occhi, guardandolo con espressione triste e sofferente. «Mi dispiace, Endymion, avrei tanto voluto essere una di voi solo per te.»
Endymion pianse, lasciò uscire tutto il suo dolore; pianse anche per tutto ciò che stava accadendo e che continuava a non capire, a non accettare, sapeva solo che voleva stringere quell’essere fatato dalle dimensioni così piccole da poter essere avvolta completamente da entrambe le sue mani.
«Ti prego, non piangere,» lo implorò lei mentre perle d’argento rigavano le sue guance, «suona per me quella melodia, per favore.»
Osservò il volto spaventato del giovane, mentre annuiva; percepì quel calore fatto d’amore, che la fece sentire protetta e rassicurata mentre una sensazione di paura si faceva strada in lei, rammaricata per tutto quello che non aveva potuto fare e avere.

Avrebbe voluto dare un ultimo bacio a sua madre, ricordandole che una figlia, se non ubbidisce, in fondo ha sempre qualche motivo, e che esso non riguarda il non voler bene o non rispettare i genitori. L’amore, ad esempio.
Avrebbe voluto ascoltare con attenzione gli insegnamenti di Mercury e capire che forse, sui libri, qualcosa di utile c’era sempre, come aveva fatto Endymion scoprendo, grazie a un libro, l’amore delle fate per la musica. Lei poteva confermarlo.
Avrebbe detto a Venus che le voleva davvero tanto bene, e che non l’avrebbe ringraziata mai abbastanza per aver visto in lei solo Serenity, un’amica, e non la Princess da riverire.
Avrebbe voluto fare, dire, tante cose, ma non c’era più tempo.
Sorrise dolcemente, mentre stringeva la sua mano minuscola sul palmo del ragazzo. Voleva essere ricordata con quell’espressione serena sul volto. Chiuse gli occhi lentamente, vincendo la paura della morte col pensiero di lui che sorrideva a lei, che baciava lei, fino a quando non riuscì a vedere più nulla neppure nella sua mente.
 
Tutte le notti, Endymion tornò alla fonte, sedendosi sul prato, fresco e profumato, e suonando la dolce melodia con lo sguardo fisso sul pezzo di terra in cui giaceva il corpo fatato di Serenity. Suonava per lei, sempre e soltanto per lei, mentre i suoi pensieri la riportavano in vita e la vedeva lì con lui, a ballare con grazia, a sorridergli e applaudirlo prima di stringerlo forte e baciarlo con dolcezza, quella stessa dolcezza con la quale gli aveva rapito il cuore. E quando terminava di suonare quella triste melodia, si sdraiava, come a cercare di sentirla sempre vicino a sé, a farle percepire tutte le notti il suo calore, il suo amore che sarebbe appartenuto solo a lei, in eterno. Osservava la Luna e una sensazione di dolore e sconforto, unito alla rabbia, si faceva largo nel suo cuore. La luna: quel satellite dal chiarore ineguagliabile, lo sfondo perfetto per la storia d’amore più bella e romantica che l’uomo avesse mai desiderato vivere, e il luogo migliore dove ambientare leggende che poi, solo leggende, non erano. Per lui la Luna era tutt’altro: era il mondo di Serenity, quel mondo a cui lei apparteneva e che, invidiosa del loro amore, l’avrebbe per sempre tenuta lontana da lui.
E con questi pensieri chiudeva gli occhi e si addormentava.
 
 
 
 
Il giovane uomo aprì gli occhi, sussultando appena e respirando profondamente, mentre la sua fronte si imperlava di sudore. Il cuore sembrava stesse per uscirgli dal petto, portò una mano al torace per cercare di calmarlo.
«Tutto bene, Endymion?» La voce  preoccupata e impastata dal sonno lo fece voltare alla sua destra. Sorrise, rincuorato, stringendo forte a sé la ragazza dai lunghi capelli dorati che ricoprivano il lenzuolo.
«Ho sognato che eri una fata, Serenity…»
Lei rise di gusto, accarezzandogli i capelli corvini e baciandogli il collo, «E scommetto che abitavo sulla luna!»
«Mi prendi in giro?» si finse offeso, intrappolandola sotto il suo corpo caldo e desideroso di lei, «La colpa è di tutte le favole che leggi a Small Lady anche se è troppo piccola per comprenderle…»
«Povero il mio amore…» era sempre più divertita mentre il suo respiro si affannava e i suoi movimenti seguivano quelli lenti e passionali dell’uomo.
Un pianto fece sbuffare il ragazzo, che affondò la testa sul petto della moglie.
«Lascia, vado io,» lo tranquillizzò lei alzandosi e avvolgendosi in una vestaglia di seta bianca.
Entrò nella stanza adiacente, piegandosi verso la culla color panna e accarezzando i ciuffi rosei della neonata che, con le guance umide e calde, non intendeva smettere di piangere.
«Dormi bambina mia,» sussurrò dolcemente alzando il coperchio del carillon a forma di stella gialla e mettendo in moto la dolce melodia. Per la piccola fu un suono ipnotizzante, chiudendo gli occhi e calmandosi, si abbandonò al mondo dei sogni.

Serenity tornò in camera da letto trovando, in quella stanza illuminata dal chiaro di luna che filtrava dalla finestra lasciata aperta e che portava con sé l’odore dei prati fioriti, il giovane appoggiato allo stipite della porta.
«Solo tu ci riesci a calmarla, amore mio,» le posò le mani sui fianchi, spingendola a sé e premendo le sue labbra sulla fronte di lei.
«Non sono io, è quella melodia del carillon che la incanta…»
«Sai cosa incanta me?» quella notte era così dolce e il suo sguardo così pieno d’amore che a Serenity si scaldò il cuore.
«Cosa, amore mio?» domandò prevedendo la sua risposta dai suoi occhi blu come la notte.
«Tu, la tua bellezza, la figlia che mi hai dato e tutto l’amore che leggo nei tuoi occhi quando ti guardo,» dichiarò ripensando al sonno e alla paura avuta alla sola idea di perderla per sempre, di vederla morire tra le sue braccia e non poter più vivere insieme a colei che da un anno lo aveva reso l’uomo più felice della Terra diventando sua moglie, «Ti amo, Serenity.»
«Io di più, io sempre di più» sussurrò come una carezza calda sul suo collo mentre si stringeva a lui.
Lui le prese la mano, le baciò il dorso e la condusse a letto dove si amarono per tutta la notte, mentre i raggi di luna continuavano a filtrare dentro e a testimoniare quell’amore puro, leale a cui nessuno avrebbe mai posto fine.
 
 
 
«Apri gli occhi!»
Lo fece piano, sentendo il sole scottare la sua pelle diafana. Venus era già alta nel cielo. Ispirò profondamente, inebriandosi di quel profumo di muschio e di erba per poi spiegare le ali e raggiungere l’amica dalle ali arancioni e un sorriso sul volto.
Era ora di tornare a casa. Sulla Luna.
 

Fine

 

Il punto dell'autrice

Shot nata per un contest con protagonista la Luna, classificandosi terza.
Spero vi sia piaciuta; ho cercato di riprendere la favola di Serenity ed Endymion dando a Lei le caratteristiche di una fata per far notare meglio le differenze tra lunari e terrestri.
Il finale mi piaceva così, in grado di far sorgere qualche dubbio nei lettori. Scegliete la versione che più vi piace.
Grazie a Sun86, la mia Dolcina, per aver realizzato il logo per questa shot.
Attendo con ansia i vostri pareri!
Un bacio e a presto!

Demy

Image and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 20 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Miss Demy