Le
quattro stagioni
Era
arrivato
circa tre settimane addietro e, da allora, il ghiaccio non aveva
smesso nemmeno un secondo di scendere giù, come se avesse voluto
cancellare via quell'angolo sperduto di mondo fra i monti dello Jamir
che lui da sempre chiamava “casa”.
Se
durante
gli anni di addestramento era valsa la pena sopportare tante ore di
viaggio solo al fine di respirarne la pace per una misera manciata di
giorni, questa volta non si era potuto dire lo stesso.
Che
il
motivo della sua visita non sarebbe stato sereno lo sapeva anche prima
di partire; scorta la grafia troppo disordinata del monaco Avgan,
aveva intuito subito che quel dispaccio consegnatogli in tutta fretta
non portava buone notizie.
Aveva
continuato
a percepire il disastro imminente anche mentre si recava velocemente a
informare il Gran Sacerdote, per poi correre fuori dal Santuario sino
a raggiungere il punto in cui avrebbe potuto accomiatarsi
dall'assolata Grecia con un semplice battito di ciglia; l’aveva
palpato nell'aria non appena si era materializzato sulla soglia della
sua dimora, satura di un silenzio minaccioso.
Nonostante
tutto
questo, si era comunque trovato impreparato dinanzi alla verità: sua
madre non aveva retto alla fatica del parto e, dopo aver dato alla
luce il bambino, era spirata.
Mu
non
era giunto in tempo.
Per
colpa
del ritardo della lettera che annunciava complicazioni, forse, o per
colpa sua… oppure per colpa di nessuno, dopo tutto. Sempre troppo
tardi era stato.
«Grande
Mu!
Grande Mu!»
l'aveva chiamato con tono contrito la levatrice, una volta
accortasi del suo arrivo; sentendo quell’appellativo, la parte
irrazionale del suo cervello si era inorgoglita per un millesimo di
secondo – aveva ottenuto l'armatura d'oro da poco, e a tali deferenze
forse non ci si sarebbe mai abituato davvero.
Ma
la
soddisfazione era durata giusto un attimo, lasciando subito posto al
dolore e alla rabbia; avevano cercato di consolarlo mettendogli in
braccio quella creaturina indifesa che, ai suoi occhi, altro non era
che un piccolo, crudele assassino.
Quell'essere
l'aveva
privato della sua venerata madre, tanto semplice quanto saggia, tanto
minuta quanto forte: la calma, la pazienza e la costanza che lo
contraddistinguevano Mu li aveva appresi da lei – da Karma. La prima
stella della sua vita.
Aveva
cresciuto
il figlio da sola, riuscendo per amor suo a sopravvivere in quelle
terre inospitali; tuttavia, quando si era fatto evidente come Mu fosse
destinato a qualcosa di grande, aveva saputo mettere da parte
l'egoismo materno senza esitare.
Non
si
era abbandonata al pianto nemmeno dinanzi al delegato di Atene, salito
fin lassù per condurre il bambino in Grecia – migliaia di kilometri
lontano da lei.
Di
tale
grande donna ora non rimaneva che quel pupattolo, minuscolo fra le
braccia muscolose di Aries.
«Kiki
in
giapponese significa “terrificante”: senza volerlo, gli si addice
perfettamente»
aveva pensato lui, nel momento in cui gli avevano comunicato il nome
scelto per suo fratello.
Ora,
a
sette giorni di distanza, comprendeva quanto i sentimenti astiosi che
l'avevano animato all'inizio si addicessero più a un bimbo che non a
un cavaliere del suo rango; a dispetto di ciò, tuttavia, non riusciva
ancora a trovare dentro di sé la forza del perdono – facoltà invece
importantissima, per un saint d'Atena.
Si
alzò
dalla poltrona accanto al fuoco su cui era rimasto seduto per ore con
un sospiro, diretto nella stanza dove si trovava il neonato.
«Ciandra,
andate
a riposarvi un poco: resto io con Kiki» disse gentilmente alla vecchia
balia a cui l'infante era stato affidato, la quale si congedò in
fretta con un piccolo inchino.
Rimasto
solo,
fece qualche passo verso la culla, guardando l'occupante che si
agitava debolmente al suo interno.
«Cosa
dovrei
farne di te?» chiese al fratellino, senza aspettarsi risposta «Fra
poco il periodo di pausa che mi è stato concesso terminerà, e dovrò
rientrare ad Atene: sono l'unico legame parentale rimastoti. Chi si
occuperà della tua educazione, quando io non ci sarò? Chi ti darà
l'affetto che ti spetta? Non so se sarò capace di adempiere a questo
compito».
A
dispetto del suo poco tempo, il bambino lo stava fissando concentrato,
quasi capisse le sue parole.
Era
troppo
presto per dire con certezza di quale colore avesse gli occhi, ma Mu
aveva l'impressione che sarebbero stati azzurri come i suoi – e come
quelli di Karma.
Incapace
di
rimanere ancora lì fece per richiamare Ciandra, quando qualcosa
lo trattenne.
Si
voltò
lentamente, con cautela; era stata questione di un attimo, ma aveva
avuto la netta impressione che da Kiki fosse partito un tenue bagliore
di cosmo.
«No,
non
è possibile!»
si disse, sconcertato «Sono notti che non dormo bene: sarà stato
un abbaglio dettato dalla stanchezza».
Capitava
assai
di rado che due persone dello stesso sangue manifestassero il medesimo
potere: da quanto ne sapeva, gli unici due fratelli che erano divenuti
entrambi cavalieri erano Aiolos ed Aiolia.
Aveva
appunto
terminato di formulare il pensiero, che di nuovo avvertì la sensazione
di qualche attimo prima, stavolta più chiaramente: un debolissimo filo
di cosmo – tenue, quasi impercettibile – aveva toccato il suo.
Senza
pensarci
ritornò velocemente alla culla, prese in braccio il piccolo e
istintivamente cominciò a cullarlo, all’improvviso ebbro di gioia.
«Perdonami,
Kiki.
Non avevo capito nulla, sono stato uno sciocco. Avrei dovuto da subito
essere grato alle stelle per il dono che mi hanno fatto permettendoti
di nascere. Il sacrificio di nostra madre non andrà sprecato: mi
prenderò cura io di te. Ti insegnerò a divenire prima uomo, poi
cavaliere. Ti condurrò per mano lungo la strada più nobile che ci sia:
la strada della giustizia, della fedeltà alla dèa Atena – quella dèa
che, nonostante non me lo meriti, mi ha regalato un motivo in più per
lottare».
All’improvviso,
il
ricordo delle proprie fatiche adombrò i pensieri di Mu: la via della
Giustizia era sì la più nobile, ma anche la più difficile da
percorrere.
Lui
ricordava
bene i propri anni di sangue, sudore e rinunce, durati un’infanzia che
non era mai stata tale; augurava davvero il medesimo destino a quella
creatura, che ora gli sembrava così indifesa?
«Sì»
ammise
a voce alta.
Perché
Mu
aveva provato sulla sua stessa pelle cosa implicasse essere cavaliere
e, benché ancora giovane, già sapeva che nessun’altra vita più di
quella meritava di essere vissuta.
«E
poi
ci sarò io al tuo fianco» sorrise infine, rincuorato dal pensiero che,
con lui accanto, Kiki non sarebbe mai stato solo.
Sempre
dondolando
il fratello, Aries dette uno sguardo oltre il vetro della finestra: la
neve aveva cessato di cadere. Dietro le nubi si intravedevano i primi
timidi raggi di sole.
Il
vento
stava spazzando via la neve più superficiale, permettendo ai pochi
fiori sopravvissuti alla tormenta di fare capolino da sotto la coltre
bianca.
I
ghiacciai eterni, tutto intorno, brillavano di luce nuova – i primi
segni della primavera che quell'anno tanto aveva tardato ad arrivare.
«La
vita
genera morte, così come la morte genera vita... » sussurrò, recitando
un antico detto che gli pareva di aver sentito pronunciare a Shaka.
«…
nello
stesso modo, l'inverno genera la primavera» aggiunse poi, pensando a
sua madre e al bambino che gli si era addormentato sul petto.
Non avrebbe mai dimenticato quel giorno.
Note
dell’autore
L'ispirazione
per questa piccola raccolta di spaccati di vita mi è venuta una mattina
in treno, ascoltando le “Quattro stagioni” di Vivaldi: viste e
considerate le idee strampalate che mi vengono di prima mattina, non
garantisco nulla!
Come
è facilmente intuibile, la Primavera è dedicata al ricordo di Aries; per
questo capitolo mi sono rifatta alla serie italiana – l'unica che
consideri Kiki quale fratello di Mu.
Karma
significa "Stella".