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Autore: valentinamiky    09/10/2011    6 recensioni
4^Classificata al "Cluedocontest" indetto da Tifa Lockheart90
Dal cap.1 "Arthur alzò gli occhi al cielo: possibile che il padre non avesse il minimo senso dell’umorismo?
-Stavo scherzando, ovviamente. Merlin è il figlio di Hunith-[...]
Uther lo guardò torvo.
-E tu come fai a conoscerlo?-
Arthur chiuse gli occhi, sperando pur sapendo di illudersi, che il padre non scatenasse un uragano dopo la sua semplice e schietta risposta.
-Viviamo insieme-"
Dal Cap.4 "-Arthur! No...no, vi prego! Sono innocente! Arthur, diglielo, ti prego! Non ho fatto niente, sono innocente!- Merlin continuò a urlare in preda alla frustrazione, disperato, voltandosi per quanto gli fosse consentito dalla morsa dei due agenti che lo stavano trascinando lontano, verso un loculo freddo e buio.
Aveva paura. [...]
Paura che, alla fine, anche l’ispettore lo abbandonasse al suo triste destino.
Fu proprio Arthur a riportarlo alla realtà: lo aveva afferrato per una spalla, rallentando così il percorso degli agenti. Lo aveva abbracciato, stringendolo a sé, protettivo.
-Giuro che ti tirerò fuori di qui, fosse l’ultima cosa che faccio...- aveva sussurrato, affondando il palmo nei suoi capelli scuri."
Genere: Commedia, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Guilford Saga'
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Questa fic si è classificata 4^ al Cluedocontest, indetto da Tifa ^_^

Prompt: forcone(arma del delitto), strada di campo(scena del crimine), minaccia (movente)
Disclaimer: i soliti XD
Non scrivo a fini di lucro, non possiedo nessuno dei personaggi (a parte forse la rivisitazione di Kilgarrah XD) e comunque ogni singola parola non intende offendere nessuno. E se ho scordato qualcosa, perdonatemi, ma scalpito da mesi per postare e qualcuna di voi già lo sa, dato che vi ho tartassate via mp X°D
Il tempo di ricordare come si fa e caricherò anche il banner (A proposito, ringrazio ancora Kuroiren per averlo creato *_*)

Fatemi sapere che ne pensate (datemi un cenno, anche con la testa, capisco XD) ^_^

 

41 di sangue
 
Prologo

 

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La prima volta che lo aveva visto, aveva cinque anni. Era piccolo, proprio come lei, accovacciato su se stesso, mentre si dondolava avanti e indietro, intonando una ninna nanna con voce flebile. Sembrava che avesse paura, quindi si era  avvicinata senza fare rumore, temendo che sparisse così com’era apparso.
Strinse a sé l’orsacchiotto di peluche da cui non si separava mai e dopo un momento di esitazione, si decise a parlare.
-Sei un folletto?-
Lui l’aveva guardata, con quegli occhi blu come l’oceano, rattristandosi leggermente.
-È per le orecchie, vero? Anche a scuola mi prendono tutti in giro-
-A me piacciono! Te l’ho chiesto perché mi sembravi una creatura magica, come quelle delle favole!- lo aveva quasi gridato. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma sapere che qualcuno aveva osato dire delle cattiverie su di lui solo per quelle sue orecchie buffe, l’aveva infastidita.
La rabbia sciamò via, appena quello strano bambino le rispose con un sorriso riconoscente.
Si sistemò la gonnellina, quindi s’inginocchiò di fronte a lui.
-Perché non ti ho mai visto, qui?-
-Oggi il mio papà non poteva venirmi a prendere, allora quella signora mi ha portato qui. Dice che posso aspettarlo finchè non torna- spiegò il piccolo, indicando una donna dai capelli castani, lunghi fino ai fianchi.
-Quella è la mia mamma, è buona, sai? Se vuoi, mentre aspettiamo, posso farti vedere i cavalli-
Lui s’illuminò.
-Tu hai dei cavalli?-
La bambina annuì, alzandosi in piedi con un saltello.
-Ce ne sono tanti in quei box! Papà dice che un giorno ne avrò uno tutto mio!-
I due rimasero per un bel pezzo ad osservare quelle magnifiche e maestose creature, che ricordavano loro paesaggi incantati e leggende di fate, principesse, draghi e tanto altro ancora.
-Perché eri triste?- chiese improvvisamente la bambina, mentre con la mano lisciava il muso di un destriero dal manto corvino.
-Il mio papà non ha mai fatto tardi a scuola. E se poi non viene più a prendermi?-
La piccola gli diede un pizzicotto, gonfiando le guance con fare arrabbiato.
-Non devi pensare certe cose del tuo papà! Lui verrà sicuramente a prenderti! E se non dovesse farlo, puoi sempre diventare il mio fratellino! A proposito! Io sono Freya-
Il bambino sorrise raggiante, per la prima volta in quel lungo pomeriggio di settembre.
-E io Merlin!-
Freya gli si avvicinò, gli occhi castani illuminati dal sole o, forse, dalla gioia di aver conosciuto un nuovo amico. Quando fu abbastanza vicina a lui, si chinò leggermente e posò un bacio sulla guancia nivea di Merlin.
-Vuoi essere mio amico?-
-Sì!- annuì convinto.
-Allora possiamo giocare insieme, vero? Per favore, la mia mamma e il mio papà non hanno mai il tempo per farlo- lo supplicò.
-Allora facciamo che tu sei la principessa!- suggerì Merlin. Nella sua fantasia, il maglioncino e la gonna della bimba vennero immediatamente sostituiti da un ben più consono abito da cortigiana, elegante e sfarzoso. Era assolutamente perfetto per i lineamenti esili della bambina.
-E tu sei il mio principe! E mi salvi con un cavallo bianco!- proseguì lei, animata dalla stessa immaginazione del coetaneo.
-Ma questo è nero!- protestò.
-Perché è sporco, ma quando arriviamo a palazzo lo laviamo!- rispose Freya, con ovvietà.
I piccoli si scambiarono uno sguardo e scoppiarono a ridere.
 
-Avrei tanto desiderato che le cose restassero così per sempre. Mi dispiace, Merlin. Devo farlo. Non ho altra scelta, capisci?-
Il ventitreenne guardava Freya con aria assente. Gli occhi spenti, la bocca dischiusa in un misero tentativo di dire qualcosa, di fermare quella follia. Ma non ci riuscì. La ragazza che da anni considerava una sorellina, improvvisamente, appariva come una sconosciuta.
In un momento, venne colto dalla consapevolezza che tutto stava per finire. Il suo mondo era stato sconvolto troppo velocemente, crollato a pezzi in pochi secondi.
Incredulo, appena venne colpito dall’oggetto che la giovane teneva in mano, cadde all’indietro, mentre la ragazza spariva dal suo campo visivo, che lentamente si offuscava.
Il respiro mozzato, l’aria si rifiutava di raggiungere i polmoni, nonostante la leggera brezza che gli carezzava il viso. Si sentiva solo, ora più che mai.
Un solo, flebile nome uscì dalle sue labbra, lo stesso che lo aveva tormentato in quei giorni d’inferno.
Il nome di una persona di cui non poteva più fare a meno.
“Arthur”.
 

*** 
 

La sveglia trillò squillante, puntuale come ogni mattina, con l’intenzione di tirar giù dal letto un riluttante ragazzo: Arthur Pendragon, ventiquattro anni, biondo, occhi azzurro cielo. Figlio di Uther Pendragon, da alcuni giorni commissario della polizia locale di Guilford*, il giovane in questione era stato addestrato sin da piccolo a risolvere i casi più complicati. Attualmente lavorava presso lo stesso dipartimento del padre, come ispettore.
Amava parecchie cose, tra cui esercitare il proprio fascino sulle belle ragazze e compiacersene, i giorni di riposo e le focaccine ripiene di crema alla nocciola, oppure il pollo allo spiedo.
Non sopportava le beffe e il carattere eccessivamente civettuolo della sorellastra. Questa era una delle tante ragioni per cui aveva cercato un appartamento vicino al commissariato ma distante da quell’arpia e dalla sua nevrotica madre, Katrina. Odiava le ingiustizie e detestava i lecchini, ma spesso aveva a che fare con essi, sia per la propria posizione sia per quella del padre, che rendevano entrambi temuti e rispettati nonostante il biondo desiderasse essere considerato un “comune mortale”. Ovviamente, le circostanze cambiavano, se poteva approfittare del proprio nome per farsi servire e riverire. In fondo, poteva anche essere divertente delegare qualche mansione.
Disponeva di poco tempo libero, ma quando capitava l’occasione, amava giocare ai videogame o andare in palestra per tenersi in forma.
Borioso, arrogante, capriccioso e orgoglioso. Ma anche altruista, generoso, giusto e pronto ad ammettere i propri errori.
Insomma, un controsenso umano!
L’ispettore sbadigliò, stiracchiandosi tra le lenzuola, desideroso di rimanervi ma impossibilitato a farlo. Aprì pigramente gli occhi, posandoli sul letto alla sua sinistra. Del coinquilino non c’era nessuna traccia, le lenzuola non erano state nemmeno toccate.
Sbuffò, alzandosi controvoglia dal confortevole giaciglio, non propriamente pronto per affrontare una nuova, tremenda giornata al commissariato. Percorse in catalessi il corridoio, sbadigliando un altro paio di volte ma si svegliò completamente quando vide un ragazzo moro in piedi di fronte al lavandino della cucina.
Merlin Emrys, ventitre anni, capelli corvini e iridi blu come l’oceano, sorriso dolce e orecchie “assurde”. Così le definiva Arthur: il biondo le avrebbe paragonate a quelle di un esserino uscito da chissà quale favola per bambini. In effetti, sotto l’apparenza di idiota goffo e imbranato, l’ispettore percepiva un alone di mistero intorno al coinquilino e spesso si chiedeva se sarebbe mai riuscito a comprenderlo pienamente.
 Sapeva poche cose di lui: i suoi genitori, Belinor e Hunith, possedevano una piccola azienda agricola e gestivano il maneggio Wildwoods** a est della città. Il moro vi era cresciuto fino all’anno prima, quando si era trasferito nell’attuale appartamento perché a metà strada tra il maneggio e l’università, dove frequentava il corso di medicina, sperando di diventare veterinario. Aveva anche una sorella adottiva, Freya. Una ragazza carina ma piuttosto timida
Amava gli animali, in particolare i cavalli. Era persino vegetariano, quindi il biondo si divertiva un mondo a fingere di dimenticarlo e offrendogli, tutte le volte che poteva, ogni sorta di carne. Altra cosa che il moro adorava, era l’impicciarsi degli affari del biondo, spesso facendogli notare cose che, per orgoglio, Arthur non stava mai ad ascoltare. Nove volte su dieci, l’ispettore era poi costretto ad ammettere di essersi sbagliato.
Piatto preferito: la torta salata di suo padre.
Odiava i giorni che precedevano gli esami e le situazioni soffocanti.
Anche lui disponeva di poco tempo libero, ma ogni volta che ne aveva l’opportunità adorava leggere sul terrazzo o camminare all’aria aperta.
Goffo e maldestro aveva portato una ventata di allegria nella vita del biondo, che nonostante i continui battibecchi lo considerava, pur non ammettendolo mai apertamente col diretto interessato, un vero amico.
Arthur notò immediatamente che il coinquilino non era vispo e pimpante come al solito: un paio di profonde occhiaie facevano bella mostra di sé sul viso magro. I capelli scompigliati e l’espressione stravolta erano una palese prova del fatto che, per l’ennesima notte, non avesse chiuso occhio.
-Dovresti ricordarti di dormire, ogni tanto- commentò, aprendo la dispensa per afferrare ogni schifezza possibile per la loro colazione.
-Sai, ormai credo che i miei occhi restino aperti per inerzia. Parola mia, mi basterebbe superare l’esame col diciotto, pur di non vedere più il professore di chimica!-
Il biondo ridacchiò, pensando che, in effetti, non invidiava affatto l’amico. In condizioni normali lo avrebbe punzecchiato un po’, ma ora era davvero troppo assonnato e quel poverino di Merlin assolutamente troppo vulnerabile perché potesse davvero trovare gusto nel farsi beffe di lui. Quindi optò per una rara manifestazione di gentilezza.
-Resisti fino a mezzogiorno, allora. E dormi un po’, altrimenti ti appisolerai durante l’interrogazione-
-Non se ne parla!- Merlin scattò su come una molla, come se l’ispettore avesse appena detto un’eresia. –E se non riuscissi a svegliarmi? Se recandomi all’esame non riuscissi ad evitare un sasso appuntito, per la fretta e mi si forasse una ruota della bici? Dovrei rimandare l’esame a settembre, non posso farlo! Devo essere in università per le undici, dobbiamo rispondere all’appello, altrimenti salterò il turno e dovrò corrodermi nell’ansia mentre gli altri verranno interrogati al posto mio. E quando toccherà a me, i professori saranno così stanchi da considerare sbagliata ogni risposta che darò, quindi tutta la fatica fatta fin’ora  sarà stata inutile! Capisci?-
Arthur gli rivolse un’occhiata basita: i livelli di isteria del suo coinquilino avevano davvero raggiunto le stelle in quell’ultima settimana, evento più unico che raro, considerando che Merlin era la pazienza fatta persona. Evidentemente, questo esame lo stava davvero devastando.
-Merlin, calmati...- il biondo scosse il capo, trattenendosi a stento dal chiedere all’amico se per caso non volesse una camomilla: il moro lo avrebbe sbranato. –Hai studiato quei libri per mesi, non c’è fenolo o benzene che tu non conosca, anche se personalmente non vorrei mai incontrarne uno per strada. Sapresti eseguire una nomenclatura a occhi chiusi! L’esame andrà benissimo e tornerai a casa con un trenta, come sempre, devi solo essere ottimista!-
Merlin sbuffò rassegnato, prima di abbozzare un dolcissimo sorriso. I suoi occhi blu si illuminarono: Arthur aveva dei modi davvero strani per tirargli su il morale, ma riusciva sempre nel suo intento, magicamente.
-Grazie, asino-
-Preparami la colazione, secchione. Devo andare subito in commissariato per finire il rapporto sul caso Mallory- borbottò il più grande, afferrando svogliatamente un biscotto scuro e contemplandolo schizzinoso, prima di assaggiarlo. La sua prima reazione fu una faccia disgustata. –Che cos’è questa roba?-
-Ah, quelli sono i biscotti alla crusca, li manda mia madre- rispose il moro distrattamente, mentre armeggiava con pentolino e bustine di tè.
Arthur decise di astenersi dal commentare: non voleva offendere le doti culinarie di Hunith. Quella donna era una vera salutista, utilizzava solo prodotti naturali per le sue ricette, meglio ancora se coltivati nel proprio orto. Ma alcune pietanze erano davvero immangiabili per lui, abituato a cibi raffinati e soprattutto molto conditi.
Tanto, riusciva sempre a smaltire ogni cosa, quindi perché preoccuparsi?
Merlin infilò i guanti da cucina, aprì il forno e ne tirò fuori una meravigliosa focaccia: il profumo inebriò l’olfatto dell’ispettore, ricordandogli per quale motivo non avesse cacciato di casa il moro, nonostante la sua goffaggine e propensione a cacciarsi nei guai.
Il profumo di pane o focaccine calde lo svegliava ogni mattina donandogli il buonumore e facendogli perdonare qualsiasi pasticcio.
-A proposito!- Merlin tagliò una fetta abbondante di focaccia, porgendola al coinquilino che la afferrò impaziente di assaggiarla, non prima di aver spalmato su di essa una buona dose di crema alle nocciole. –Oggi pomeriggio, quando avrò terminato l’esame andrò al maneggio di mio padre. Sai, devo dargli una mano, ormai siamo a maggio ed è ora di mettere l’erba ad essiccare per la maggese, ma i miei saranno senz’altro troppo presi dalle selezioni della contea per farlo da soli.-
Il biondo, per poco non si strozzò e l’amico, preoccupato, gli versò velocemente una tazza di tè caldo. Purtroppo, nella fretta ne rovesciò una parte sui pantaloni dell’ispettore, che gridò di dolore.
-Merlin! Insomma, vuoi stare più attento? Brucia!-
-Mi dispiace, davvero-
-Sei il solito idiota! Dà qua- il biondo afferrò lo strofinaccio che l’altro ragazzo gli porgeva, alzando gli occhi al cielo, esasperato. –Comunque non credo sia una buona idea-
Il moro spalancò gli occhi blu, confuso.
-Secondo me ti addormenterai sul manubrio- spiegò, approfittandone per prenderlo in giro. Quando vide in coinquilino sorridere compiaciuto, si domandò cosa stesse pensando.
-Arthur Pendragon, vi state preoccupando per me?- domandò, retorico.
-Io mi preoccupo per me!- ribatté prontamente il biondo. –Qualcuno ti porterebbe in commissariato con l’etichetta “oggetti smarriti” e prima di poterti ritirare dovrei compilare un mucchio di scartoffie, sarebbe una seccatura!-
Merlin scosse il capo, divertito, prima di allontanarsi in direzione del bagno. La sua voce raggiunse l’ispettore dal corridoio.
-Lascia stare i piatti, li laverò dopo-
-Non avevo alcuna intenzione di farlo- precisò il biondo, sorseggiando placidamente la sua tazza di tè e spalmando un’altra abbondante dose di crema sulla sua focaccia.
 
Un ragazzo di colore osservò nervosamente il semaforo rosso, ticchettando con il piede sull’asfalto, impaziente. Elyan White, venticinque anni, moro, occhi castani. Suo padre era morto un paio d’anni prima e da allora aveva cercato di mettere la testa a posto per il bene della sua sorellina, rinunciando a frequentare le compagnie discutibili che, comunque, non gli mancavano. Ora lavorava insieme alla ragazza nel negozio lasciatogli dal padre, il “Break Time”.
Amava la sua nuova vita: aveva conosciuto tante persone degne di stima e lavorare nella ristorazione gli consentiva di stare a contatto con moltissimi ragazzi della sua età. Adorava Gwen, sua sorella, anche se spesso si dimenticava di dimostrarlo. In compenso, sapeva sempre farle tornare il buonumore quando le sue storie d’amore finivano. Cosa che, purtroppo, accadeva molto spesso, visto che lei non sapeva proprio decidersi. Fortunatamente, da un po’ di tempo, sembrava aver finalmente trovato il ragazzo in grado di farle perdere la testa. Quando Elyan aveva scoperto che il ragazzo in questione era uno sbirro, per poco non era svenuto tra le fette di prosciutto imbrattate di maionese, ingredienti fondamentali per il suo panino preferito, in particolare se accompagnati da insalata fresca.
Odiava le persone che si arrendono in partenza, senza nemmeno fare un tentativo. Alcuni anni prima, anche lui era tra queste, poi aveva capito che, se lo si desidera veramente, voltar pagina non era un’impresa impossibile.
Si alzava sempre la mattina presto, per fare un paio d’ore di corsa e di recente aveva conosciuto dei ragazzi che si davano appuntamento per studiare break dance, quindi di tanto in tanto, si allenava con loro la sera. Se aveva qualche ora libera, spesso la trascorreva semplicemente oziando e facendo zapping comodamente seduto sul divano.
L’incoscienza e l’impulsività erano i suoi maggiori difetti, che la sorella non esitava a criticare in ogni circostanza. Ma sapeva essere anche premuroso e protettivo. Indubbiamente tenace e scaltro, sapeva tirarsi fuori dagli impicci con facilità.
Anche se dubitava di riuscirci anche quella mattina: Gwen lo avrebbe ucciso con una mannaia per il ritardo stratosferico.  Quando entrò in negozio, trovò una piccola folla di studenti già radunati davanti al bancone; aguzzò la vista, per vedere oltre l’esposizione di brioche, piadine e panini, notando così che la sua cara Gwen, stava andando in panico. L’ulteriore prova, fu lo sguardo che lanciò al ragazzo di colore, come se avesse appena assistito all’apparizione della Madonna.
Aveva la carnagione e i capelli più chiari rispetto al fratello, ma gli occhi erano del medesimo colore. Lavorava in quel locale insieme a lui ed era quindi costretta a frequentare una scuola serale per proseguire gli studi. Poteva apparire una ragazza assolutamente ordinaria. Ma la nobiltà del suo animo era una qualità davvero rara da trovare, nelle sue coetanee.
Nonostante le mille delusioni che le aveva procurato, adorava Elyan ed ora poteva dirsi orgogliosa di lui, tralasciando i battibecchi in cui spesso andavano a cozzare. Per sua sfortuna, il ragazzo sapeva sempre come spuntarla e farsi quindi perdonare, conoscendo il suo punto debole: i plumcake ai mirtilli.
Odiava le prepotenze, i bulli e la sporcizia. La sua era una vera e propria fissa: tutto doveva essere pulito, splendete e possibilmente profumato.
Sincera, schietta, pratica e responsabile era però una frana nelle sue relazioni, instabili e poco durature.
-Elyan, ma dov’eri finito? Muoviti, non posso fare sempre tutto da sola!- la giovane gli lanciò un grembiule, prima di correre ad affettare del prosciutto per una ragazza del terzo anno.
I due avevano aperto una caffetteria-piadineria da pochi anni, ma gli affari andavano a gonfie vele, grazie alla posizione estremamente favorevole: a pochi metri di distanza c’era un college e spesso gli studenti si davano appuntamento prima dell’inizio delle lezioni per la colazione o all’ora di pranzo, per ristorarsi prima di fare un giro in centro o correre a casa per fare i compiti. Qualcuno ordinava anche delle piadine per l’intervallo, quindi avevano sempre un mucchio di faccende da sbrigare.
-Un cornetto alla marmellata!-
-Per me alla crema e una ciambella, senza glassa. Oh! E una sprite!-
-Una piadina piccola primavera, da portar via!-
-Ehi, tu col cappellino! Rispetta la fila!- Elyan guardò truce un ragazzo del primo anno, che tentava di fare il furbo, spintonando due ragazze.
Gwen sbuffò. Suo fratello era il solito: sperava di far colpo sulle ragazze, anche a costo di cacciarsi nei guai.
-Se i bulli ti prendono a pugni, non voglio saperne niente- sbottò, acida, guardando torva il fratello maggiore, che piagnucolò, alzando le spalle, sostenendo che, semplicemente, odiava chi faceva baccano nel proprio negozio.
La discussione andò avanti finchè un silenzio innaturale cadde nel locale: tutti gli studenti fissavano ammutoliti il capo indiscusso della scuola, Cenred e la sua bellissima, quanto altezzosa ragazza, Morgause. Elyan era assolutamente certo che quei due fossero una coppia perfetta: lui un imbecille borioso e lei una megera collerica e vendicativa. Gwen non poteva sopportare la loro presenza, ma essendo clienti, si vedeva costretta a servirli con un sorriso cordiale e una pazienza da santa.
Eppure, si trovò involontariamente a storcere il naso e una smorfia sfuggì al suo proverbiale controllo, costatando che i due non avevano alcuna intenzione di rispettare il proprio turno.
-Vi pregherei di mettervi fila- fece loro notare, spazientita.
Cenred guardò divertito Morgause, che scoppiò a ridere; avanzò verso Gwen, facendo ondeggiare i fianchi ed i lunghi capelli, biondi e mossi, puntando gli occhi castani in quelli della ragazza mulatta, con aria di sfida. Bella, sfrontata e sicura di sé.
-Vogliamo due focacce farcite, e che siano calde. Poi una brioche alla marmellata e una al cioccolato. Non scordarti delle bibite: una fanta e una coca cola-
Elyan non poteva resistere oltre a quella scena.
-Ma chi vi credete di essere? Quei ragazzi sono arrivati prima di voi, quindi ora aspetterete!- gridò, indignato davanti a una simile prepotenza. Che diamine, quello era il loro locale, non il college e quei due bulletti da strapazzo non avrebbero certamente dettato legge nel negozio che aveva tanto faticosamente mantenuto aperto con la sorella.
Nel sentirlo, la ragazza si portò le mani alla bocca, preoccupata: era assolutamente certa che ora Cenred avrebbe picchiato suo fratello. Il moro, in effetti si stava già avvicinando al bancone, pronto a menare le mani, ma venne bloccato da una mano forte e decisa.
-Calmati, amico. Sai, credo che prima di tutto dovresti fare lo scontrino. Alla cassa-
Il bullo si voltò iroso, per scoprire che il folle che aveva osato bloccarlo, era un ragazzo dai capelli castani, un principio di barba, la camicia fuori dai jeans logori. Osservò di sfuggita il ciondolo a forma di mezza luna argentata e l’anello d’oro che pendevano dalla collana, oltre ai vari braccialetti tribali, visibili grazie alle maniche tirate su.
Alzò un sopracciglio, infastidito per una simile dimostrazione di irriverenza.
-Chi diavolo saresti?- domandò, scocciato e già pronto ad aggredire il nuovo arrivato.
Il castano si limitò a stringere maggiormente la presa, ruotando poi il polso in modo tale da bloccare Cenred tra il proprio corpo e il bancone.
-Non credo che tu lo voglia davvero sapere-
Il moro si liberò dalla presa, dandogli una gomitata nel costato, che costrinse l’altro a piegarsi per il dolore. Il bullo cercò di colpirlo nuovamente, ma il castano fu veloce a scansare l’attacco e spostandosi rapidamente di lato andò a scontrarsi con la bionda, che lo fissò schifata.
-Ehi, bellezza! Non sarebbe ora di lasciar perdere quel babbuino e dare un appuntamento allo splendente sottoscritto?- il suo sorriso intraprendente si gelò quando fu costretto a indietreggiare per evitare un calcio nei “piani bassi”. –Ehy, che caratterino! Pensandoci bene, non credo che tu sia il mio tipo. Troppo violenta-
Di lì a poco si scatenò un putiferio: lattine che volavano, persone che scivolavano, ragazzi che facevano a botte, altri che spingevano terrorizzati per tentare di uscire dal locale. Gwen si era rintanata dietro il bancone con alcune clienti e di tanto in tanto passava degli oggetti afferrati a caso al fratello, oltre la vetrina. Per lo più si trattava di formine di rame, per i dolci: non avrebbe mai immaginato che, un giorno, li avrebbero utilizzati in quel modo e se glielo avessero predetto, avrebbe certamente rinunciato ad aprire una caffetteria.
Passando una bottiglia d’acqua a Gwaine, il ragazzo castano, notò che Morgause abbandonava il locale a dir poco stizzita, con una grossa macchia di coca cola sul maglioncino e dell’insalata tra i capelli, probabilmente residuo di un panino che qualcuno doveva averle lanciato addosso nella baraonda. La sua espressione era il ritratto dell’odio e la mulatta ringraziò il cielo di non essere lo sventurato che aveva osato farle un simile affronto.
In quella baruffa, Gwaine era riuscito a rifarsi per i colpi incassati ed ora li stava restituendo con gli interessi. Cenred sembrava quasi un ragazzino alla prima rissa e il castano iniziava a stufarsi: se inizialmente gli era sembrata una situazione disperata ed era intervenuto per salvare Elyan e Gwen, ora si stava decisamente annoiando, poiché il moro non gli stava dando alcuna soddisfazione.
Quindi, lo scaraventò fuori dal locale, ammonendolo.
-Se ti becco ancora una volta a far casino nel locale dei miei amici, non sarò così clemente- disse solenne, scuotendo il capo per scostare un fastidioso ciuffo dagli occhi.
-Te la farò pagare!- sbottò il bullo, digrignando i denti con fare vendicativo.
-Direi che hai già fatto abbastanza: rissa, minacce e per finire in bellezza, aggressione a un pubblico ufficiale, che sarei io. Se vuoi un consiglio da amico, sparirei, prima che il mio collega si accorga di quello che è successo-
Solo allora Cenred voltò il capo, notando così una volante della polizia parcheggiata poco distante. Sulla vettura un solo ragazzo, con i capelli corti, castani, intento a leggere un quotidiano. A quella vista, il bullo si alzò, incespicando, affrettandosi ad allontanarsi dalla piadineria sotto gli sguardi entusiasti della piccola folla di studenti ammaccati.
Gwaine Orkney, ventiquattro anni, chioma fluente castana e occhi nocciola. Viceispettore al commissariato di Guilford, non poteva fare a meno di gettarsi a capofitto nelle imprese disperate: erano una sorta di calamita, per lui. Adorava trascorrere le serate precedenti il suo giorno libero nei pub, con gli amici, nonostante fosse costretto a trattenersi con gli alcolici.
Detestava le prepotenze e gli abusi di potere.
Allegro per natura, spirito libero, indipendente e intraprendente, donnaiolo sfortunato ma amico sincero. 
-Elyan, un irish coffee normale e uno con caramello. Ora vado di fretta, quindi mettili pure sul mio conto, saldo a fine mese- sorrise, soddisfatto: si era svegliato solo da due ore ed aveva già compiuto la sua buona azione quotidiana.
Il ragazzo di colore annuì, facendo cenno alla sorella di preparargli una busta, in cui sistemò i due bicchieri con la bevanda, prima di porgerla al loro cliente fisso. In altre circostanze avrebbe certamente fatto storie, visto che Gwaine aveva approfittato del trambusto per saltare la fila (ebbene sì, era fissato. Si trattava di una questione di principio!) ma dato che l’aveva appena salvato dall’ennesima rissa, poteva chiudere un occhio. In fondo, anche gli altri studenti sembravano non aver nulla da ridire: grazie al castano, Cenred aveva finalmente ricevuto una sonora lezione e per un po’ non avrebbe alzato la cresta.
-Chi è il tuo partner, oggi?- domandò curiosa Gwen, lanciando un’occhiata vispa al castano.
-Spiacente per te, principessa- rispose questi, afferrando la busta che Elyan gli stava porgendo. –Non è il tuo amato Lance, ma se vuoi posso dargli un bacio da parte tua, quando arriverò in commissariato-
-Non credo che Lancelot sarebbe felice, ricevendo un tuo bacio!- il ragazzo di colore scoppiò a ridere, prendendolo in giro.
-Ma che hai capito? Era una scusa per farmene dare uno da tua sorella- sbuffò Gwaine, con una smorfia al solo pensiero di baciare il collega.
-Sparisci dal mio locale, prima che ti faccia arrestare per molestie- Elyan si finse minaccioso, scuotendo divertito il capo al gesto di resa dell’amico, che si dileguò con i caffè sotto gli sguardi ilari di tutti i presenti. 
L’agente Perceval, totalmente ignaro del trambusto che si era scatenato nel locale a pochi metri di distanza da lui, ringraziò il collega con un sorriso, prima di sorseggiare il suo caffè e mettere in moto la macchina dopo aver riposto il bicchiere nel porta bibite.
 
Morgana osservò per un momento la sveglia, senza vederla realmente: anche quella notte non era riuscita a chiudere occhio, per colpa degli incubi. Appena i suoi neuroni si misero in moto, inviando l’immagine delle lancette al cervello facendole così realizzare che ora fosse, la giovane cacciò un grido spaventoso.
Scattò in piedi con una spinta forse eccessiva, che rischiò di farla cadere distesa sul tappeto ma riuscì a mantenersi in equilibrio, correndo come una forsennata in bagno: se non si fosse data una mossa, avrebbe fatto tardi. Quello era un giorno molto speciale per lei e dopo le lezioni avrebbe partecipato alla selezione per i campionati regionali femminili di salto all’ostacolo, ormai prossimi. La settimana successiva, sarebbe toccato ai ragazzi.
Morgana le Fay, vent’anni, occhi verdi e capelli scuri dai riflessi ramati, lunghi e ondulati. Studentessa all’ultimo anno del college, si divertiva un mondo a punzecchiare e far infuriare il fratellastro, Arthur. Peccato se ne fosse andato di casa: senza di lui, le giornate potevano essere davvero lunghe e tediose. Per fortuna, grazie al patrigno, reperiva facilmente informazioni riguardo ai suoi turni di riposo, presentandosi spesso a casa del povero biondino senza preavviso anche perché, ultimamente, trovava davvero gratificante sfruttare il suo nuovo punto debole: il coinquilino. Era oltremodo divertente contare le sfumature di rosso che il suo volto poteva esibire, ogni volta che la ragazza insinuava quanto fossero carini insieme.
Amava studiare, andare in centro con le amiche per dedicarsi a un po’ di sano shopping, fare scherzi e battute maliziose; era l’unica persona sul pianeta in grado di tener testa a quel testone del patrigno, che stravedeva per lei.
Andava matta per la frutta, soprattutto per l’uva e le ciliegie.
Odiava la testardaggine di Uther, che spesso si impuntava su un’idea rifiutando di vedere altre opzioni e gli incubi che la tormentavano la notte.
Schietta, sicura di sé e intelligente, tendeva ad essere civettuola e indisponente. Ma con stile ed eleganza, uniti a un sorriso vispo e sguardo birichino, che la rendevano una rompiscatole adorabile.
Dopo essersi lavata e pettinata, legò i capelli in una comoda treccia ed afferrò lo zaino e il borsone, contenente la divisa che utilizzava durante gli allenamenti. Quindi, dopo aver controllato che la sua immagine fosse come sempre impeccabile, raggiunse il patrigno in cucina, trovandolo intento a sorseggiare un tè leggendo un giornale, come ogni mattina.
Uther Pendragon, quarantasette anni, capelli corti brizzolati e occhi azzurri tendenti al verde come la figliastra. Aveva prestato servizio a Scotland Yard per alcuni anni, ma da pochi giorni aveva ottenuto un trasferimento nella contea di Surrey, come commissario al distretto di Guilford e andava molto orgoglioso dell’operato dei suoi agenti, in particolare del figlio che, in sua assenza, era diventato ispettore.
La sua apparenza di uomo burbero era dovuta alla perdita della compianta moglie Ygraine, dopo la nascita di Arthur: quell’evento aveva segnato profondamente il commissario. A questo dolore si era poi aggiunto quello per la morte del suo carissimo amico Gorlois le Fay, padre di Morgana, morto in servizio: i due stavano inseguendo un assassino e quest’ultimo, durante una sparatoria, aveva ferito gravemente il collega, morto alcuni giorni dopo in ospedale. Prima di morire Gorlois, aveva affidato Morgana e sua moglie Katrina a Uther, chiedendo al commissario di prendersi cura di loro.
Quella bambina vivace e pestifera, crescendo, era diventata una delle sue ragioni di vita, ovviamente insieme a Arthur. Li amava, ogni suo gesto era volto a difenderli. Perfino il suo lavoro. Il commissario dava sempre il massimo per rendere la città più tranquilla e sicura possibile, soprattutto per il benessere dei suoi adorati figli, di cui andava estremamente fiero.
Ciò che desiderava più di qualunque altra cosa, era far sparire i malviventi dalla faccia della terra.
Severo, impulsivo, cocciuto e inflessibile, sapeva rivelarsi anche un padre dolce e premuroso, un punto di riferimento per i due ragazzi, sebbene i due fossero spesso contrari alle sue idee.
Sorrise gentilmente alla vista della giovane, porgendole un frollino alla marmellata che tanto adorava.
Lei rifiutò cordialmente, ricordandogli che era meglio non abbuffarsi prima di una gara.
Una durissima giornata di fatiche attendeva entrambi.
 
*L’Inghilterra è suddivisa in regioni a loro volta divise in contee; Guilford, il dipartimento di polizia citato nella fic, si trova nel Surrey, una contea della regione Sud-Est e confinante anche con Greater London (l’area metropolitana di Londra). Non ho voluto citare la più nota Scotland Yard per due motivi: primo, svolge per lo più ruoli amministrativi e, in secondo luogo, si trova nella contea di Greater London. Per ragioni paesaggistiche, ho preferito ambientare la storia nel Surrey, più verdeggiante (nonostante sia stata in pieno centro a Londra e non in questa contea ^^’ Mi sono comunque informata il più possibile, scoprendo, tra le altre cose, che il centro Epson Meteo si trova lì vicino XD).

**Il maneggio Wildwoods è realmente esistente, è abbastanza vicino a Guilford

 

  
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