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Autore: Nike93    09/10/2011    0 recensioni
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà giorno, mia rosa, verrà giorno
che gli uomini si guarderanno l'un l'altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.

N. Hikmet, “I tuoi occhi”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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I tuoi occhi

 

   I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

    che tu venga all'ospedale o in prigione

    nei tuoi occhi porti sempre il sole.

 

Luca aveva sempre provato grande rispetto per la Chiesa. Non era una questione di facciata, di timore, o chissà cos’altro: era proprio rispetto, un sentimento sincero e di lunga durata, derivato dagli insegnamenti ricevuti fin da bambino e dalla naturale inclinazione a prendere molto sul serio determinate faccende.

Essendo il più piccolo di sei fratelli, non aveva ricevuto in tal senso una vera e propria educazione, dal momento che la sua famiglia non avrebbe potuto permetterselo, ma i suoi genitori si recavano a messa ogni domenica, e lui vi aveva partecipato non appena era stato in grado di capire di cosa si trattasse. Con gli anni, l’abitudine non era andata perdendosi, anzi si era radicata: ormai lontano dallo stupore di un bambino riempito di tante parole spesso troppo difficili, ora Luca trovava confortevole sapere che, ogni domenica, c’era un posto riservato anche per lui, come in famiglia. Che sedesse in un angolo, o tra le prime panche, o che seguisse la funzione in piedi, provava sempre questa piacevole sensazione che quel posto fosse stato tenuto pensando a lui.

Di fatto, l’unico periodo – comunque abbastanza lungo – in cui non frequentò Chiese fu quello del servizio di leva, dal 1947 agli inizi del ‘50. A suo modo, non ne sentì la mancanza. Aveva trovato Walter, la cui presenza suppliva a tutto quello che poteva mancargli.

Walter. Walter e la sua pretesa di essere privo di sentimenti. Walter e la sua postura rigida, quasi ridicola, alle volte. Walter e i suoi occhi verdi come un prato sconfinato. Luca vi avrebbe passato il resto della sua vita, disteso su quel prato, coccolato dal suo calore, rassicurato dal suo abbraccio. Si era sentito talmente perso, in certi momenti, da aggrapparsi a lui come un bambino ad un genitore, e tra le sue braccia, con il suo fiato caldo tra i capelli, si era sempre sentito al sicuro. Questo era il motivo per cui Luca amava la propria numerosa e chiassosa famiglia, per cui trovava conforto nell’omelia domenicale, per cui si era innamorato senza riserve di Walter, il giovane tenente sempre pronto a tirarlo fuori dai guai: perché, fuori da quei nidi, difficilmente si sentiva protetto.

Sembrava una storia sempre in bilico, sempre pronta a cadere, la loro. Troppa gente, troppi occhi, troppa paura. Ma anche tante ferite sanate e tanti demoni scacciati. Walter era il suo pezzetto di Paradiso, il suo angelo custode, la conferma di una fede fino ad allora salda, ma ora incrollabile. Lui no, non aveva fede, non credeva a niente. “Sei tu, l’unica cosa di cui sono sicuro,” gli aveva detto, lui che parlava così poco e con così tanta difficoltà. Come poteva non credergli? Per Walter era faticoso dire “Ti amo”, “Ho bisogno di te”, “Non lasciarmi”, ma… i suoi occhi. Quanto parlavano, i suoi occhi, che mondo celavano dietro il silenzio! Luca credeva che nella vita avrebbe affrontato di tutto, al solo pensiero di quegli occhi. Che sarebbe bastato ricordare il suo sguardo distrutto quando lo vedeva soffrire, pacifico quando lo stringeva, devoto quando lo osservava dormire accanto a sé.

Sembrava una storia sempre in bilico, ma quegli occhi erano la risposta, il segreto, la conferma: Walter lo avrebbe amato per sempre, di un amore ricambiato fino all’ultimo.

Luca pensava che questa fosse la dimostrazione di tutto quello che gli era stato predicato, per anni, ogni domenica: un amore eterno, disinteressato, capace di ricucire le ferite più profonde. Un amore quieto, caldo, rassicurante, immune da qualunque malattia.

Sapeva che per Walter era lo stesso, con l’unica differenza che lui, questa magia, l’aveva scoperta più tardi, stringendolo al cuore e ascoltando il suo respiro. Non se l’era mai aspettato, non gli era stato insegnato: per questo, per lui, Luca era qualcosa di sacro.

Luca sperava che, un giorno, anche Walter si convincesse ad accompagnarlo in Chiesa, che provasse ad ascoltare le parole nelle quali lui trovava tanto conforto, ma probabilmente era una questione che andava oltre la buona volontà: il tenente aveva visto troppo perché adesso dei semplici discorsi lo convincessero che da qualche parte un Dio misericordioso avesse a cuore la sua vita. Per lui era tutto privo di senso, ma non aveva mai osato discuterne con Luca più di tanto. Si era reso conto già da tempo di non volere che il suo compagno crescesse sradicando una ad una le proprie speranze o illusioni che fossero. Luca era il suo raggio di sole, e senza di quelle si sarebbe oscurato. Walter aveva bisogno della sua luce.

Per cui, era diventata ormai un’abitudine che alle dieci e mezza di ogni domenica mattina Luca uscisse per recarsi alla Chiesa di san Lorenzo, e che Walter impiegasse quel breve tempo d’attesa occupandosi d’altro. Raramente, al ritorno di Luca, ne parlavano.

Quello era forse l’unico momento che li separasse.

 


Era una mattina di settembre del 1954, nessuno dei due l’avrebbe mai dimenticato. Luca era uscito un po’ più presto del solito, perché gli piaceva percorrere le strade ancora silenziose e godersi il fresco non ancora pungente di quella Torino che da qualche anno sentiva già sua. Era una delle tante cose che lo faceva sorridere. Anche solo incontrare i vicini di casa gli sembrava piacevole, e nemmeno gli sguardi cupi e un po’ diffidenti di qualche passante riuscivano a smontarlo: tutt’al più gli dispiaceva che alcune persone non trovassero un motivo per sorridere.

Quando arrivò in piazza Castello, si fermò per un attimo ad inspirare l’odore di pane caldo e fiori freschi che lo accompagnava ogni domenica. Lo percepiva come una sorta di buon augurio.

La Chiesa di san Lorenzo era ancora quasi del tutto vuota, fatta eccezione per alcune anziane signore sedute tra le prime file a recitare il rosario: mancava quasi mezz’ora alle undici. Luca prese posto in fondo, silenzioso e leggero. Sarebbe rimasto lì a contemplare gli splendidi interni barocchi dell’edificio, come faceva sempre da quando era arrivato a Torino, tre anni prima. Aveva finito col conoscere la città meglio di Walter, che vi abitava da poco più tempo, ma che non amava andare in giro per il semplice gusto di farlo.

Stava lisciandosi distrattamente la giacca scura quando vide il parroco di san Lorenzo, don Luigi Alberti, uscire dalla sagrestia e soffermarsi un momento nel richiudersi la porta alle spalle. Lo vide guardarsi attorno come cercando qualcosa, salvo sbattere le palpebre un paio di volte, come stupito, quando lui chinò la testa e gli sorrise in segno di saluto.

In un certo senso lo affascinava, don Alberti, e gli dispiaceva non conoscerlo da più tempo. Gli incuteva un po’ di timore, ma già con Walter aveva imparato che proprio chi suscitava quel genere di reazione spesso si rivelava del tutto diverso da ciò che le apparenze lasciavano supporre. Come gli occhi freddi e distanti di Walter gli avevano fatto intuire quanto dolore e quanta amarezza vi si celasse dietro, così le rughe e l’espressione accigliata di don Alberti lo incuriosivano, permettendogli solo di indovinare quali pensieri avessero reso le sue sopracciglia così spioventi e le sue labbra così sottili.

- Buongiorno, Luca.

Lo aveva appena sussurrato, e il ragazzo non si era neanche accorto della sua presenza al proprio fianco, intento com’era ad osservare i due chierichetti disporre i paramenti sacri sull’altare.

Ecco cos’altro c’era ad incuriosirlo: con tutta la gente che seguiva le sue messe, chissà come faceva a ricordarsi i nomi di tutti i fedeli, come il genitore di una prole numerosa…

- Buongiorno, padre, – lo salutò a sua volta, spostandosi di qualche centimetro per lasciargli più spazio. Il religioso non parve accorgersene: in realtà non lo aveva più guardato in faccia, dopo il loro primo saluto.

- Mi dispiace venire a disturbarti adesso, ma, vedi, non è ancora arrivato quasi nessuno e io… dovrei parlarti. – Quell’attimo di esitazione non preoccupò Luca. Lo spinse solo a guardarlo incuriosito.

- Parlarmi? Di cosa?

Don Alberti parve ancora una volta non udirlo, tanto che Luca stava quasi per ripetere la domanda, quando si sentì finalmente rispondere: - E’ una questione un po’… complicata, ma sono sicuro che capirai.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e lo incitò a proseguire con un breve cenno del capo. L’uomo si schiarì discretamente la voce, poi si decise finalmente a guardarlo. Per la prima volta, Luca sobbalzò: i suoi occhi grigi erano taglienti, addolorati. – Luca, vorrei chiederti di non tornare più in questa Chiesa.

Gli occhi dorati di Luca ebbero un lampo. Non era sicuro di aver capito bene. Don Alberti gli aveva rivolto la parola sì e no tre volte, e adesso gli stava dicendo una cosa simile?

- Non… non credo di aver capito, padre…

Lo sguardo del parroco si fece ancora più addolorato. – Stai attento a ciò che dici, Luca. So che capisci perfettamente cosa voglio dirti. Sai che se dipendesse solo da me, mi sarei limitato a parlartene e a cercare di risolvere il problema… ma il problema è della gente che frequenta questo posto. – Luca continuò a fissarlo vacuo, incapace di trovare un significato alle sue parole. – Pensaci bene. Tu sei sicuro di essere nelle condizioni di partecipare alla santa messa, di ricevere il corpo di Cristo… di essere chiamato cristiano? Rispondimi sinceramente.

…Ma perché quell’aria da genitore ferito dalla mano del figlio?

- Io… sì… Sono sempre stato credente, ho sempre seguito la messa e…

- Credi di poterlo fare anche adesso? – Luca ammutolì, continuando solo a fissarlo sperduto. – Io non credo alle voci, ragazzo mio. Credo ai miei occhi e a quelli dei miei figli. E nei tuoi non vedo purezza né vergogna.

- …Vergogna?

Don Alberti gli posò una mano su una spalla. – Luca, andare a messa ogni domenica non fa di un uomo un buon cristiano, se questi infrange le leggi di Dio.

- Padre, io… davvero, non capisco…

- La tua anima è corrotta, figlio mio. Non posso accettare un… – L’uomo si fermò un istante in cerca di parole che Luca era incapace di suggerirgli. – …una persona che vive come vivi tu, nella mia Chiesa. Non posso farlo io, non possono farlo le buone famiglie che la frequentano. Non ti sei neanche mai confessato, Luca. Davvero non provi pudore?

Per un lunghissimo istante, al ragazzo parve di essere precipitato in una qualche dimensione parallela, nella quale tutto gli ruotava vorticosamente intorno, come se lui stesso fosse diventato il perno di una gigantesca, folle trottola. Vergogna, corruzione, pudore… Una persona che viveva come viveva lui… Ma lui era fedele al suo credo, onorava la propria famiglia, amava e rispettava il suo compagno…

La trottola si fermò, lasciandolo immobile e stordito, come se si trovasse sott’acqua. Si sentì come se dovesse rispondere ad un enigma e la soluzione fosse proprio lì, a portata di mano, ma così pazzesca e incredibile da rifiutarsi lei stessa di emergere.

Il suo compagno. Walter. Il suo compagno.

Walter.

Don Alberti sospirò di fronte al suo sguardo vacuo, all’immobilità innaturale che lo aveva colto all’improvviso. – Per oggi puoi seguire la messa, se te la senti. Spero che ti serva a fare chiarezza nella tua anima e a comprendere fino in fondo il tuo peccato. Ma fino a che non vorrai espiarlo, Luca, ti prego di non tornare più qui.

In quello stesso momento Luca sentì qualcosa che gli si spezzava dentro. L’umiliazione di ricevere quella cortese concessione era dilaniante almeno quanto il dolore di quella rivelazione impensata, e lo rendeva incapace di proferire parola.

La mano di don Alberti gli strinse la spalla. Non aveva neanche notato che non si era mai spostata da lì. – Pregherò per te, Luca. Ma, ricordalo, la preghiera da sola non basta di fronte ad abissi troppo profondi.

Non lo sentì nemmeno alzarsi. Non sentì la sua mano nodosa lasciargli andare la spalla. Non sentì i suoi passi, non sentì il proprio respiro accelerato, non sentì gli occhi bruciare. Solo un dolore indescrivibile, e una vergogna profonda, mai provata, come se quell’abisso di cui parlava il religioso avesse spalancato di botto le fauci e l’avesse ingoiato, trascinandolo nel buio.

Credeva di potercela fare, ma quando don Alberti prese posto dietro l’altare Luca provò l’orribile sensazione che tutti i santi alle pareti, insieme con il parroco, avessero preso a fissarlo con disprezzo.

Abbandonò la panca, e si concesse un breve, smarrito segno della croce prima di voltare le spalle all’altare e correre fuori.

 


Persino infilare la chiave nella serratura risultò difficoltoso, con il tremore che lo aveva assalito da quando aveva abbandonato la Chiesa. C’era da stupirsi che non gli battessero i denti, per come tremava, quasi come se avesse la febbre.

Quando richiuse la porta, le chiavi gli scivolarono dalle mani, ma Luca continuava a guardare fisso davanti a sé.

Cacciato. Cacciato come un cane, anzi peggio: cacciato con la finta condiscendenza di chi non ha nessuna intenzione di riprenderti indietro, con la pretesa di capire una ragione mai contemplata.

Quella fede che era stata uno dei suoi punti fermi non gli era più permessa.

Luca deglutì, sfilandosi il cappello e recuperando le chiavi. Si impose di darsi un tono: Walter non doveva venirlo a sapere. Era l’ultima persona che dovesse saperlo. Che almeno lui restasse fuori da quell’orrore.

Ma darsi un tono si rivelò quasi più difficile che accettare l’idea di non essere più gradito in quella che considerava come una seconda casa: Walter aveva sentito lo scatto della serratura e aveva messo da parte il giornale. Il fruscio dei fogli si sentiva benissimo dall’ingresso. Si sentì anche il click dell’interruttore quando spense la luce del soggiorno. E Luca non era ancora riuscito a staccarsi da lì: inchiodato alla porta come un condannato a morte al muro della fucilazione.

- Luca?

Tentò di schiarirsi la voce per rispondere, ma gli venne fuori un mormorio rauco. Walter si affacciò all’ingresso e gli sorrise, contento di rivederlo, stupito per quell’entrata non annunciata. Luca si sentì mancare. Quel sorriso che gli dava la fede, e che gliela negava.

Walter non disse niente, ma quel sorriso scomparve. Lo vide lì, immobile e spaurito, e per un attimo si sentì attanagliato da un vago senso di angoscia. – Luca, cosa c’è?

- N-nulla…

 Ma il balbettio sommesso che gli uscì fuori diceva ben altro. Walter gli venne incontro e gli sollevò il viso, aggrottando le sopracciglia. Lo vide cinereo, con uno sguardo atterrito che non ricordava di aver mai visto. – Ehi… - mormorò. – Tesoro, è successo qualcosa?

Per Luca fu troppo. Le lacrime che aveva represso fino a quel momento, maledette lacrime bollenti e traditrici, gli rigarono le guance prima ancora che riuscisse a dire qualcosa. Scosse la testa, respingendo il suo tocco gentile e oltrepassandolo rabbiosamente, deciso a non dirgli nulla, a nascondergli l’accaduto con una bugia qualsiasi, per quanto stupida. Una maledetta, lurida bugia, se solo gli fosse venuta in mente…

La stretta forte di Walter gli impedì di varcare la soglia del soggiorno e ridusse in pietosi grumi quei pochi pensieri che era riuscito a racimolare. – Luca, che diavolo…?

- Mi ha mandato via, – gli uscì fuori con un singhiozzo. Semplicemente, il suo cuore dolorante scoppiò in quelle quattro parole. La prostrazione, l’impressione di essere stato squadrato dalla testa ai piedi da ogni singolo passante, l’insopportabile senso di colpa, il crollo di ogni sicurezza, era tutto troppo forte e schiacciante perché riuscisse a tenerselo dentro un secondo di più.

- Mandato via? Ma chi…?

- Mandato via dalla Chiesa, Walter, mandato via, via! – Lo gridò, perché gridava il suo cuore. – Non… non posso più entrarci. Non mi vogliono. Dio mio… non mi vogliono più lì dentro, – farfugliò. Le parole si impastavano di lacrime, lacrime che gli mozzavano il respiro. Walter era immobile dietro di lui.

- Cosa… cosa stai dicendo Luca, perché?

Non riusciva a dirlo, Luca. Singhiozzava e si copriva la faccia con le mani, si sentiva affogare lentamente, in agonia. Non poteva dirlo.

Walter gli afferrò il volto, costringendolo a guardarlo in faccia, ma non vi fu bisogno di altre parole. Vide i suoi occhi gonfi e arrossati guardarlo con afflizione, le labbra assumere una piega orribile nel tentativo di reprimere un singulto, e capì.

Capì, e la rabbia affiorò repentina così come era esplosa la disperazione di Luca. Per un attimo non si soffermò nemmeno a valutare le parole che non erano state ancora pronunciate: vide solo il suo piccolo singhiozzare senza ritegno, e gli parve persino di sentire il cuore martellargli con violenza inaudita. Questa era una spiegazione più che sufficiente. – …Io li ammazzo, – gli sfuggì in un sibilo appena accennato.

Il pianto di Luca si arrestò di fronte a quell’espressione inferocita, ma le lacrime non smisero di scorrergli lungo le guance. Il lampo che aveva attraversato gli occhi di Walter non gli era nuovo, conosceva quel sintomo di rabbia violenta, la rabbia di chi è impotente di fronte alle avversità. E sapeva anche quanto Walter detestasse sentirsi impotente.

- Walter, per favore! – singhiozzò. – Cosa… cosa vuoi che me ne importi di loro?! – Tentò di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano ancora tremante. – Cosa importa di chi lo ha detto, di chi lo ha pensato? Io… io credevo di poter vivere la mia fede e il mio amore, Walter… Io non credevo che sarei stato cacciato via da una famiglia per come vivo, non… non credevo di fare un torto a Dio, amandoti.

Ricominciò a piangere al solo pensiero, ed era un pianto così disperato che Walter sentì la rabbia sbriciolarsi di fronte al dolore. Lo strinse così forte da fargli male, ma Luca non lo avvertiva neanche, quel dolore. Era debole e avvilito come un fiore calpestato, senza nemmeno la forza di aggrapparglisi, di chiedergli aiuto. Walter lo strinse ancora più forte, premendo le labbra sui suoi capelli scuri.

- Non pensarlo nemmeno, Luca. Non facciamo un torto a nessuno, hai capito? A nessuno. – Il ragazzo non rispose, il volto affondato nel suo petto, le lacrime che gli inzuppavano la camicia. – Amore, ti prego, non piangere. Ti prego.

Era inutile, non riusciva a fermarlo. Sembrava che qualcosa di terribile lo sconquassasse dentro, impedendo alle lacrime di esaurirsi una volta per tutte. Gli baciò la fronte, premendogli le mani sulla schiena nel tentativo di calmarlo. – Andrai da qualche altra parte, Luca, troverai un’altra Chiesa. Staremo più attenti …

- Non voglio.

- Ma se per te è così importante devi…

- Certo che lo è, Walter, maledizione! – sbottò il ragazzo. – Ma che senso avrebbe?! Questa o quella Chiesa, un prete o un altro, cosa cambia? – Tentò ancora, rabbiosamente, di asciugarsi le lacrime col dorso della mano, mentre il biondo lo guardava immobile, sconfitto. – Io credevo solo che i punti fermi della mia vita non si ostacolassero a vicenda. Non mi sono mai sentito in colpa, entrando in Chiesa, non ho mai sentito parole che condannassero qualcosa che facessi. Oggi… oggi mi sono sentito come se tutti lì dentro mi guardassero come un abominio, e non mi era mai successo. Non pensavo di dare fastidio a qualcuno. Mi sento… mi sento come se mi fossi perso troppi passaggi…

I singhiozzi erano adesso più deboli, ma Walter non sopportava più di vederlo in quello stato. Gli prese il volto tra le mani, scacciando via le ultime lacrime con i pollici. Stava compiendo uno sforzo terribile per non dire ciò che pensava in quel momento: che aveva ragione, che la fede in quell’entità astratta e falsamente buona che chiamavano Dio era solo un’illusione, un pericolo. Luca aveva venticinque anni, e a cosa erano servite innumerevoli domeniche passate ad ascoltare menzogne scritte secoli prima? Qualunque cosa lo riducesse in quello stato era malvagia. – Tesoro, mi dispiace. Avrei… avrei dovuto immaginarlo. Dannazione… qualcuno deve aver sospettato che…

- Io non volevo tenerlo nascosto, – mormorò Luca, – non volevo che ce ne fosse bisogno.

Walter si sentì mancare. Quelle parole lo ferivano nel modo più doloroso. – Luca, ti amo. Non me ne vergogno. Io… sono orgoglioso di te. Non voglio che tu ti vergogni di noi.

- Non l’ho mai fatto, lo sai. – Eccome se lo sapeva, Walter. Non avrebbe mai dimenticato la leggerezza meravigliosa con cui Luca aveva vissuto quell’amore fin dai tempi dei primi incontri segreti, quando proprio lui, Walter, aveva avuto paura. Luca non aveva mai avuto nessun dubbio sul loro rapporto, e l’idea che ora potesse cominciare a farlo lo distruggeva. – Ma è come se… come se avessi ferito un mio familiare, come se i miei genitori mi avessero messo alla porta. – Tirò su col naso, scuotendo la testa sconsolato. – Sarebbe come se tu mi avessi lasciato, dicendomi di tornare solo a patto di non entrare più in una Chiesa. E’… è la stessa cosa. Io non voglio scegliere, non posso scegliere.

Suo malgrado, Walter si sentì quasi sollevato. Luca era ancora sicuro di amarlo, di volerlo amare. Nessuno si sarebbe messo in mezzo. Tuttavia, ancora non riusciva a darsi pace al pensiero di quello che il suo compagno aveva dovuto subire, di come doveva essersi sentito. Il solo pensiero di quanto stesse soffrendo gli faceva male in modo insopportabile. – Non devi scegliere, Luca, – gli mormorò, – fai passare un po’ di tempo. Vedrai che le cose si sistemeranno. E’ inutile che ti tormenti a rimuginarci su, adesso.

Il bruno non disse più niente, ma scosse ancora la testa. Tutto gli sembrava inutile e inconcepibile. Non esisteva una soluzione che lo tranquillizzasse. L’abbraccio di Walter era caldo, ma non bastava, non bastava più.

Aveva fallito. Questo era tutto.

 

    I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

    quante volte hanno pianto davanti a me

    son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,

    nudi e immensi come gli occhi di un bimbo

    ma non un giorno han perso il loro sole.

 

Per giorni, Walter ebbe quasi paura a parlare davanti a Luca. Le lacrime, alla fine, le aveva esaurite, ma era rimasto pallido e con quell’espressione smarrita che tanto lo angosciava. Walter sospettava che non riuscisse neanche a chiudere occhio la notte, tormentato dalla consapevolezza, che fino ad ora non lo aveva mai oppresso, di dividere il proprio letto con un uomo.

Quante volte si erano amati, in quegli anni, con rinnovata fiducia, alimentando quel sentimento che sembrava immortale. Quante promesse si erano scambiati, con la speranza di bambini e la sicurezza di uomini. Quante ne avevano passate, insieme, tanto da pensare di essere corazzati contro qualunque male, insensibili al mondo esterno. E invece no, c’erano ancora prove durissime da affrontare, e loro non erano preparati.

La verità era che Walter non aveva idea di cosa fare, e non lo sopportava. Non sapeva cosa avrebbe voluto lui se gli fosse capitato quello che era capitato a Luca. Così, semplicemente, la notte lo stringeva a sé, affondando il viso nel suo collo e sperando che sentisse il proprio cuore battergli contro la schiena, sperando che bastasse. Lo stringeva anche dopo che lo vedeva scivolare in un sonno agitato, ma quando arrivava il mattino, nulla era cambiato. Luca era distrutto, sfiduciato come non mai, sfibrato da un colpo troppo violento. Walter non voleva altro che vederlo sorridere, ma sembrava chiedere troppo.

Un giorno erano venuti a trovarlo un gruppetto di ragazzi e ragazze che frequentavano la stessa Chiesa. Evidentemente avevano capito cosa era successo, forse vedendolo scappare via all’inizio della funzione, quel dannato giorno, ma non ne fecero parola e non gli portarono altro che sorrisi e manifestazioni di sincera amicizia. Walter si era un po’ irrigidito, temendo che lo stato di Luca sarebbe peggiorato, ma quella visita fu come una breve boccata d’aria fresca. Gli avevano promesso che sarebbero tornati, e sicuramente l’avrebbero fatto: bastò osservarli per pochi minuti per capire che erano sinceri, che non c’entravano con ciò che era successo. A loro non importava che un amico dividesse il proprio tetto con un uomo o con una donna, ma che fosse felice, come era logico pensare che dovesse fare una persona mossa da un affetto sincero.

Ma Walter odiava, odiava pensare che non sarebbe riuscito a risollevare il suo piccolo. In qualche modo era anche colpa sua, se adesso si trovava in quello stato: Luca non lo diceva e sicuramente non lo pensava nemmeno, ma lui sì, e non riusciva a darsi pace per questo. Ogni giorno gli sembrava di vederlo allontanarsi sempre di più, come se si fosse assuefatto a vivere in quel baratro che mai lo avrebbe portato ad una soluzione. Avrebbe preferito piuttosto vederlo ricominciare a piangere, a singhiozzare di cuore fino ad esaurire davvero tutte le lacrime, e poi risollevarsi, darsi una rinfrescata al viso e sospirare di sollievo, pronto a ricominciare a piccoli passi.

E invece Luca taceva. A suo modo, per Walter era peggio che sentirsi respinto. Continuava a tenerlo stretto, ma Luca non reagiva. Quella sera come tutte le altre.

E il biondo sentiva la sua mancanza. Gli mancava ogni cosa, persino il modo infantile in cui Luca ridacchiava appena sveglio, quando Walter lo svegliava ricoprendogli il viso di baci. Gli mancava così tanto…

Quella volta, decise di tentare. Non voleva più sentirlo così distante.

- Luca. – Mormorò il suo nome a bassa voce, accompagnandolo con un bacio discreto posato sulla nuca. Il ragazzo si scosse appena, mugugnando un “Mh?” appena accennato. – …Luca, guardami.

Il moro voltò la testa quel tanto che bastava a far incrociare i loro occhi. E i suoi erano cerchiati di scuro. – Cosa? Che c’è…?

L’altro esitò, prima di posare per un attimo le labbra sulle sue. Non lo baciò: si toccarono soltanto.

- Ho bisogno di te, Luca.

Il ragazzo ebbe un sussulto, schiudendo appena le labbra per lo stupore. Nell’oscurità della sua disperazione ricordò che Walter, quelle parole, non le aveva mai pronunciate, e sapeva che frasi del genere riusciva a tirarle fuori solo quando il suo cuore era a un passo dal traboccare. Si strinse a lui, chiudendo gli occhi. – Anch’io, – mormorò appena. Walter sospirò di sollievo al solo contatto. Osò baciarlo piano, attardandosi solo di qualche secondo. Sentì le spalle di Luca chiudersi e il suo corpo irrigidirsi appena quando lo baciò di nuovo, poco più a lungo. Gli poggiò una mano sul petto, ma non lo spinse via. – Walter…

- No. Ti prego, – sussurrò il biondo, come se lo avesse già respinto. Gli prese la mano e ne baciò il palmo, con una devozione e un amore tali, in quel solo piccolo gesto, che Luca si sentì stringere il cuore. Come poteva trascinare la persona che amava nello stesso vortice nero in cui sentiva di essere precipitato? Come poteva condannarlo? Adagiò la fronte contro la sua, lasciando che Walter gli coprisse di baci il dorso della mano, poi le dita, una ad una. Se la accostò al viso, cercando una carezza che, per giorni, Luca non gli aveva più concesso. Il ragazzo si commosse al punto che sentì le lacrime pronte ad affiorare per l’ennesima volta. Walter lo vide, e fraintese quel moto di tristezza improvvisa. – Non voglio che per te sia peccato, – gli uscì detto in un soffio.

- Non lo è mai stato, – gli rispose a mezza voce. Sulle loro labbra si fece strada un sorriso stentato, che sopravvisse solo pochi istanti al bacio che seguì. Walter gli afferrò il viso e lo baciò senza trattenere nulla, né la disperazione né l’impeto. Luca si aggrappò ai suoi polsi, sentendosi goffo come se quello fosse il primo bacio, un bacio che preannunciava un contatto proibito. Si odiò per questo, e cercò di restituirgli lo stesso trasporto, sforzandosi di dimenticare tutto il resto.

Le mani di Walter lo accarezzarono come non facevano da giorni che sembravano anni, e il corpo di Luca si fece come di sabbia, pronta a disperdersi e volare via. Non riusciva a rifiutarlo, non voleva. Il contatto con la sua pelle gli provocò un senso di colpevole sollievo, quando Walter gli sollevò la maglietta e la sua mano grande cominciò a vagare sul suo petto. Affondò ancora di più nel cuscino e sospirò pesantemente quando quella mano fu sostituita da labbra calde, le labbra che conoscevano ogni angolo del suo corpo, che lo avevano fatto sentire amato e sicuro, mai colpevole.

Il biondo lo sovrastò e si premette contro di lui con un’urgenza e un desiderio che abbassarono ancora di più le difese di Luca.

- Mi ami? – mormorò, il respiro accelerato, premendo baci caldi e affannosi sulle sue labbra.

Non gli aveva mai chiesto conferme.

- Ti amo più della mia vita, – quasi singhiozzò Luca, aggrappandosi al suo collo. Walter gemette, ricominciando ad accarezzarlo bramosamente, come se sentisse l’impellente bisogno di ricordarsi quanto fosse morbida e fresca la sua pelle. Scese con le mani fino ai suoi fianchi, lottando per spogliarlo in fretta, perché il bisogno di farsi avvolgere pienamente dalle sue gambe, dalle sue braccia, dal suo calore era troppo forte. Fece aderire pesantemente i loro corpi quando Luca rimase solo con la maglietta e le calze addosso, e il sollievo di sentirlo gemere e chiamare il suo nome fu talmente improvviso da privarlo delle forze per un unico lunghissimo attimo. Poi lo strinse a sé, sollevandolo dal materasso, e Luca accolse quell’abbraccio come la luce di cui aveva avuto bisogno in quei giorni, senza mai vederla. Si aggrappò ai suoi pantaloni e li forzò a scendere, con l’impellenza insopportabile di sentirlo come prima, e rilasciò un lungo gemito di sollievo quando, finalmente, si toccarono.

Quella notte si amarono con una passione e una tenerezza che a stento ricordavano, diversa da qualunque altra volta. Erano loro ad essere diversi. Walter scoprì in sé una rudezza derivata più dalla nostalgia che dal desiderio fisico, e Luca… Luca era così lontano da quel ragazzino malizioso solo per gioco, che rideva e arrossiva e lo mordicchiava nei punti più nascosti. Luca era creta da plasmare, creta bollente, e Walter voleva riempirsene le mani e gli occhi, voleva stringerlo così forte da fondere i loro corpi, in modo da proteggerlo in eterno. Le sue mani vagavano avide sulle gambe del ragazzo, e le labbra cercavano le sue, smaniose come non mai, ansiose di trasmettergli amore, amore e ancora amore, un amore pulito, non un peccato di cui vergognarsi. Ad ogni bacio, Luca si sentiva come rinato, grato al suo amante come uno schiavo ad un padrone che lo avesse appena liberato. E chiamò il suo nome all’infinito, fino a perderne il senso, ma nient’altro aveva senso, solo Walter, Walter, Walter… Walter che col viso premuto sul suo collo gemeva parole sconosciute, tra le quali si distingueva quell’unica che gli importasse di sentire, Luca, Luca, Luca…

E si persero. Si persero nell’unico universo dove avrebbero voluto trovarsi, che odorava di erba fresca e frutti di bosco, o forse di qualcosa di ancora più buono, e nel quale l’unico suono era quello dei loro respiri, delle loro voci, dei loro cuori.

Luca lo sentì così leggero, il proprio cuore, quando Walter si abbandonò con la testa sul suo petto, che gli parve quasi un sogno. Per un attimo fu come se tutto quello che c’era stato prima non fosse mai esistito.

Ma perché amare non bastava?

Walter cercò la sua mano, le loro dita si intrecciarono. Luca se la portò al viso, stringendola e premendovi le labbra. Con la mente tornò agli anni dell’esercito, quando ogni problema aveva una sola risoluzione: Walter. Con la sua presenza e la sua protezione. Il loro amore aveva sempre avuto il potere di rendergli le idee chiare.

- Cosa senti? – gli mormorò appena, la mano ancora stretta tra le sue. Luca non rispose subito, ma socchiuse gli occhi, continuando a posare piccoli baci sulle sue dita.

- Vorrei poter spiegare a qualcuno quello che provo, – disse infine, portando una mano tra i capelli scompigliati di Walter. – Se capissero… anche solo una minima parte di quello che mi lega a te… non ci sarebbe bisogno di altre spiegazioni. – Carezzò leggermente le ciocche dorate. – …E tu?

- …Io vorrei che ti avessero guardato negli occhi anche solo una volta.

- Cosa?

Walter sollevò la testa dal suo petto e gli chiuse le labbra con un bacio leggero. – I tuoi occhi mi hanno salvato tanto tempo fa, raggio di sole. – Entrambi sorrisero a quel soprannome che ogni tanto il biondo tornava ad usare. – Molti altri avrebbero bisogno di essere salvati dal proprio mondo. – Per un attimo si guardarono e basta, e Luca si sentì scaldato dal suo solo sguardo. – Magari un giorno lo desidereranno, e accetteranno cose che adesso sembrano inconcepibili, – mormorò infine Walter, carezzandogli il viso e posando un bacio sulla sua fronte. Poi tornò con la testa sul suo petto, chiudendo gli occhi.

Luca giacque sveglio ancora per molto, anche dopo che lo sentì addormentarsi, ma smise presto di interrogarsi sul significato di quelle parole. Lui e Walter si erano salvati a vicenda, poco alla volta, ma non poteva pensare che lui sarebbe stato sempre la sua corazza, che lo avrebbe protetto da ogni male.

La sua medicina, questo sì. Sapeva che Walter lo avrebbe curato da qualunque malattia, dandogli anima e corpo. Chi era, lui, per negargli di vederlo rialzarsi in piedi? Chi era, chiunque, per imporgli di scegliere? E cos’era il tempo di fronte all’eternità che aveva davanti per scoprire altri infiniti cammini da percorrere?

Chiuse gli occhi e strinse Walter più forte, sospirando con il naso premuto tra i suoi capelli. Adesso, tutto quello di cui aveva bisogno era un lungo sonno che scacciasse via qualunque pensiero. Solo così la mattina dopo, nei suoi occhi, sarebbe tornato a risplendere quel raggio di sole che aveva illuminato la vita del suo compagno.

 

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

    verrà giorno, mia rosa, verrà giorno

    che gli uomini si guarderanno l'un l'altro

    fraternamente

    con i tuoi occhi, amor mio,

    si guarderanno con i tuoi occhi.

N. Hikmet, “I tuoi occhi”


Note: Dopo anni di silenzio, avevo semplicemente bisogno di ricominciare a picchiare un po' sulla tastiera. Nulla da dichiarare, a parte che i personaggi sono fittizi, proprietà mia e di Egittofona. I fatti narrati sono del tutto inventati.

  
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