Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaea    10/10/2011    2 recensioni
Sono forse le divinità esseri puri e senza macchia, granitici nelle proprie scelte, inflessibili nelle decisioni? È quello che loro stessi credono, ma non quello che in realtà è.
Mai avrei potuto osservarti così da vicino, con i miei occhi scintillanti, senza fermare il tuo fragile cuore. E ti ho osservata. E ti ho amata ancora di più, anche nell’immensa pena in cui giacevo. Quello che ho fatto dopo sembrava perfetto. Risolveva tutto. Avresti potuto vivere ancora. Lavorare. Dare sfoggio del dono che ti è stato dato e che eguaglia, o meglio, supera perfino il mio.
È l’orgoglio che di ha dannata, non io!

Classificata seconda al contest "Supernatural Beings" di Erica e Herms
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Titolo: Invidia
Nickname: Gaea
Essere sovrannaturale: Divinità (sì, ma quale? :D ) 

Rating: Verde giallastro

Genere: Introspettivo, Monologo.

Invidia

 

Ti osservo mentre lavori, mentre ti affaccendi per far sì che la tua tela sia, ancora una volta, migliore della mia. Con agilità insospettabile tiri i fili, completi l’opera e rimani ferma, in ammirante attesa. Cosa provo guardandoti? Senso di colpa? Oh, sì. È un baratro infinito quello in cui mi sono gettata per te, profondo forse più del tuo, perché molto più lungo è il tempo che intercorre fra la mia fine e quella che tu hai scelto. La colpa mi tormenta e mi morde, cammina su di me come essere dalle molte zampe, vola in cerchi sulla mia testa come le Arpie vendicatrici.

Ho sbagliato, amica. Ho sbagliato e lo riconosco. Ho fatto il possibile – ho pregato mio zio di restituire a me la tua anima spezzata. Ma non ha voluto. Mi sono dovuta ingegnare, allora, e cos’altro potevo fare io, che son la Dea dell’ingegno? Ho preso il tuo corpo esanime, facendoti cadere fra le mie braccia di marmo. Mai avresti potuto sopportare un simile contatto nella tua precedente vita…ora potrei invece carezzarti e forse sarei io a soffrirne, non più la tua carne morbida costretta alla morsa di fiamme e ghiaccio della mia. Mai avrei potuto osservarti così da vicino, con i miei occhi scintillanti, senza fermare il tuo fragile cuore. E ti ho osservata. E ti ho amata ancora di più, anche nell’immensa pena in cui giacevo. Quello che ho fatto dopo sembrava perfetto. Risolveva tutto. Avresti potuto vivere ancora. Lavorare. Dare sfoggio del dono che ti è stato dato e che eguaglia, o meglio, supera perfino il mio.

È l’orgoglio che ti ha dannata, non io!

No, non voglio mentirmi. Sì, la tua arroganza ti ha rovinata, dolcissima fanciulla: la tua linguaccia è ciò che mi ha condotta a te. Se tu fossi stata zitta, se ti fossi accontentata di essere la migliore fra tutte le mortali, mai avrei dirottato su di te la mia ira. O la mia invidia. Invidia? Già, ne ho provata così tanta. Ti ho detestata come solo un dio può farlo, ho odiato la tua abilità e le bianche mani tue veloci quanto le mie. La tua sfrontatezza nel creare un arazzo che dileggiasse mio padre – mio padre! – proprio di fronte a me. E nel farlo in maniera così incredibile, che perfino io ho dovuto riconoscerne la maestria, davanti a una folla di persone che battevano le mani e congratulavano entrambe, ma nei cui cuori albergava solo derisione per la Dea beffata. Ti ho amata profondamente vedendoti lavorare, vedendo la tua destrezza. Ho odiato altrettanto profondamente il tuo esserti voluta ergere al di sopra di tutto e tutti: non lo sai che la folgore del padre mio adorato si abbatte sempre sugli alberi più alti? Non sono i cespugli a provocare la nostra ira, non coloro che sono migliori fra i pari, ma quelli che svettano sopra tutti, incuranti della tempesta.
E io ero lì a vederti, orgogliosa e sorridente, camminare a testa alta, più alta di quanto un umano dovrebbe fare.
Cosa avrei dovuto fare? Sono la Dea della saggezza e la ragione mi diceva di dirti quanto tu fossi stata brava e quanto ti meritassi la vittoria, benché la tua arroganza dovesse necessariamente essere punita.

 

E invece no – dannata sia per sempre tu, Eris, che il Tartaro ti accolga!

 

L’eredità di Zeus ha preso il sopravvento. Sono balzata in piedi, rifulgendo di rabbia. Tutti, spaventati, sono fuggiti. Non tu. Tu sei rimasta in piedi, ammutolita certo, ma con ancora quell’aria di sfida negli occhi. Ho afferrato il tuo arazzo, distruggendolo, strappandolo, facendone minute briciole. E lo stesso avrei fatto del tuo corpo se tu, improvvisamente, non ti fossi resa conto del pericolo e divisa fra terrore e angoscia non ti fossi lanciata fuori dalla porta. Recavi ancora in tasca i fili necessari al tuo lavoro. Ancora una volta la tua velocità ha avuto del divino. Hai intrecciato i fili, ne hai fatto una corda mentre i tuoi piedi ancora battevano ritmiche sulle rocce, mentre scappavi da me e, forse, dalla tua stessa arroganza finalmente rivelatatisi. Ho gridato per chiamarti, ma forse hai scambiato la mia angoscia per il rombo del tuono. Sei entrata nel tempio- nel mio tempio- e gettata la fune al di là della trave portante, ti sei appesa e lasciata morire. La tua anima è fuggita subito, prima ancora che il corpo si freddasse.

Non puoi capire la mia pena Aracne! Non puoi capire quale calderone di sentimenti sia l’animo divino, e quanto possano essere immense le nostre sofferenze e infiniti i nostri tormenti!

Non potevo ridarti la tua forma, non potevo infondere la vita nel tuo corpo inanimato: ho potuto solo raccogliere la tua essenza e mutarla in qualcosa di più piccolo. Qualcosa di più umile. Qualcosa che, in ogni caso, sia ancora in grado di tessere con maestria assoluta.

Ed ora eccomi qui, accanto al mio altare, a guardarti tessere una nuova tela, non contenta del risultato ottenuto con la precedente, con le tue otto agili mani e la tua instancabile bocca, finalmente troppo occupata dal filo per poter parlare. Ti guardo e, ancora una volta, ti ammiro Aracne.

E non mi sfugge una certa ironia: tanto ti ho invidiata quando eri donna, tanto ti ammiro ora che sei un piccolo, fragile insetto.

Io, Atena, ammirata da un semplice ragno!

 

 

_________________________________________

Il monologo prende le mosse dal mito di Aracne e dalla sua sfida con la Dea Atena. Potete trovare la storia qui http://guide.supereva.it/miti_e_leggende/interventi/2005/03/200928.shtml. Naturalmente, ai fini del mio racconto, la vicenda è stata “piegata”: qui Atena trasforma la giovane per il suo senso di colpa, non come punizione. E la chiama amica per quell’ammirazione per le sue opere che, nonostante l’invidia, non può non provare. Grazie di averla letta!
e grazie alla mia Zeta :D

Aggiungo i giudizi di Herms e Erica :
2 CLASSIFICATA: Gaea
Giudice: Herms
Grammatica e sintassi: 9/10
-0,20= spazio. Nel periodo: “Mai avresti potuto sopportare un simile contatto nella tua precedente vita…ora potrei invece carezzarti e forse sarei io a soffrirne, non più la tua carne morbida costretta alla morsa di fiamme e ghiaccio della mia.”, dovresti inserire uno spazio dopo i tre puntini e prima di ora. -0,20x3:0,60= distrazione. “È l’orgoglio che di ha dannata, non io!”, dovrebbe essere “ti” e non “di”. Per “Cosa comportarmi?” che credo dovesse essere un: “Come comportarmi?”. E la terza è quando dici “ Sei entrata nel tempi- nel mio tempio- e gettata la fune”, in cui ha dimenticato una o in “tempio”. 0,20=virgola. Nel periodo “Ti guardo e, ancora una volta, ti ammiro Aracne.”, hai omesso una virgola importante perchè quel “Aracne” è un vocativo.

Lessico e stile: 9/10 Il lessico mi è piaciuto, non è banale ed esprime bene i pensieri della dea. Ho trovato una sola ripetizione quando scrivi “ la ragione mi diceva di dirti”, ovviamente del verbo “dire”. Per il resto scorre ed è vario.
Caratterizzazione: 9/10 Allora, premetto che io sono una vera amante della mitologia greca, della serie che da piccola mi leggevano i miti invece delle favole. Comunque mi piace come rappresenti Atena, come esprimi i suoi pensieri, anche se non credo che una Dea ammetterebbe mai così palesemente la sua invidia, visto quanto erano pieni di sé queste splendide divinità. Comunque riesci bene a tracciare la sua personalità, la lotta dentro di lei, tra lo ammetto e non lo ammetto, e mi è anche piaciuto molto il richiamo ad Eris. È proprio interessante il modo in cui riesci a esprimere il suo contrasto interno come detto sopra, riesci veramente a spiegare il profondo delle sue motivazioni, le rendi non solo comprensibili ma anche condivisibili.
Originalità: 7/10 Ecco, l'originalità è un po' l'unica pecca, nel senso che l'unica cosa innovativa e che comunque ho apprezzato è l'introspezione, per il resto non c'è nulla di nuovo sotto il sole, il mito è sempre quello, pur essendoci numerose variazioni alla storia. Forse se avessi fatto una riflessione più generale della Dea, con richiami al mito o anche ad altri, saresti stata più innovativa, ma forse allo stesso tempo non avrebbe avuto la stessa efficacia. È un buon lavoro per la rilettura in chiave più personale, ma è la base a non essere molto innovativa.
Gradimento personale: 4,5/5 Nel complesso la storia mi è piaciuta, così come la scelta della divinità e la sua introspezione, l'unica pecca rimane sempre l'originalità del tema di partenza che lascia un po' a desiderare. Ribadisco però i complimenti per la caratterizzazione, in particolare per l'idea della lotta interiore della dea, la sua riluttanza ad ammettere i suoi errori, e il pentimento che la pervade. Brava.
Totale: 38,50/45

Giudice: Erica
Totale: 40,10/45
Grammatica e sintassi: 9,30/10 Nella frase: “Mai avresti potuto sopportare un simile contatto nella tua precedente vita…ora potrei invece carezzarti e forse sarei io a soffrirne, non più la tua carne morbida costretta alla morsa di fiamme e ghiaccio della mia.”, tra i tre puntini di sospensione e la parola “ora” dovresti mettere uno spazio. Infatti i tre puntini sono sempre attaccati alla parola che li precede, ma separati da uno spazio da quella che li segue (“vita… ora”). Poi fai un errore di battitura scrivendo: “È l’orgoglio che di ha dannata, non io!” dove scrivi “di” invece che “ti”. Scrivi: “Cosa comportarmi?” che credo sia una svista. Penso tu volessi dire: “Come comportarmi?” Poi nel periodo: “Sei entrata nel tempi- nel mio tempio- e gettata la fune al di là della trave portante, ti sei appesa e lasciata morire.”, fai un errore di battitura (“tempi” invece che “tempio”) e i trattini dovrebbero essere separati da uno spazio sia dalla parola precedente che dalla seguente. Quindi sarebbe dovuto essere: “Sei entrata nel tempio – nel mio tempio – e gettata la fune…” Infine, nella frase: “Ti guardo e, ancora una volta, ti ammiro Aracne.”, manca una virgola. “Aracne” è un vocativo, e in quanto tale va diviso dal resto della frase con una virgola (“Ti guardo e, ancora una volta, ti ammiro, Aracne.”) Pt.: -0,05x3=0,15 per spazi mancati; -0,20x2=-0,40 per errori di battitura; -0,15 per mancata punteggiatura. Totale: -0,70 pt.
Lessico e stile: 9,50/10 Quando scrivi: “Sono la Dea della saggezza e la ragione mi diceva di dirti quanto tu fossi stata brava e quanto ti meritassi la vittoria, benché la tua arroganza dovesse necessariamente essere punita.”, fai una ripetizione del verbo “dire” (“la ragione mi diceva di dirti”) in un tempo brevissimo. Avresti potuto mettere un sinonimo nel primo caso come “consigliava, suggeriva, …” Poi, nel periodo: “Qualcosa che, in ogni caso, sia ancora in grado di tessere con maestria assoluta.”, ti consiglierei di sostituire il verbo essere congiuntivo presente con un potere in congiuntivo imperfetto (quindi: “qualcosa che, in ogni caso, fosse ancora in grado di tessere con maestria assoluta”) per rendere meglio il concetto. Difatti stai narrando un avvenimento passato e per mantenere una maggiore fluidità della lettura secondo me sarebbe migliore renderla in questo modo. Per il resto, ho apprezzato molto il tuo stile. È particolarmente concerne al monologo che hai usato come genere di storia; non ricade nel banale e, addirittura, sembrano proprio essere tutte parole fuoriuscite da una divinità, per come contrapponi le parole e i concetti in modo abile. Sembra proprio di trovarsi dentro alla mente del personaggio in modo perfetto e incontrastabile. Complimenti di cuore. Pt.: -0,20 per ripetizione di termini; -0,30 per errata scelta lessicale. Totale: -0,50 pt.
Caratterizzazione: 10/10 Credo che sia proprio il punto forte della One-Shot, la caratterizzazione. Il stile che hai utilizzato ha anche aiutato moltissimo in questo punto: difatti, come ho già detto, ti sei adattata benissimo ai pensieri del personaggio rendendoli con delle parole e delle frasi che sono facilmente riconducibili ai pensieri di una divinità. Voglio citare un pezzo del tuo monologo: “Ti ho amata profondamente vedendoti lavorare, vedendo la tua destrezza. Ho odiato altrettanto profondamente il tuo esserti voluta ergere al di sopra di tutto e tutti: non lo sai che la folgore del padre mio adorato si abbatte sempre sugli alberi più alti? Non sono i cespugli a provocare la nostra ira, non coloro che sono migliori fra i pari, ma quelli che svettano sopra tutti, incuranti della tempesta.” Mi è piaciuto veramente moltissimo e secondo me rendono perfetta la caratterizzazione della Dea Atena. Il suo spiegare cosa la porta ad invidiare Aracne, i suoi sentimenti contrastanti che paiono sempre giustificati e comprensibili sono proprio come si immaginano i pensieri di una divinità, come ho già detto. Senza volerlo ti ritrovi a capire cosa l’ha portata fino a lì e a provare quasi pena per lei. Insomma, dicono che gli dèi siano degli abili oratori e che ti possano convincere di essere sempre dalla parte del giusto… Nel tuo monologo questa abilità traspare con efficacia e senza forzature. Insomma, una caratterizzazione eccellente per quel che mi riguarda. Sono davvero colpita.
Originalità: 7/10 La pecca della tua storia, secondo me, sta proprio nell’originalità. Questo perché hai ripercorso un tema che già si conosce: quello del mito della Dèa Atena e di Aracne. Hai esattamente riportato il mito raccontandocelo sottoforma di monologo, semplicemente. Questo ti ha un po’ penalizzata perché non hai cercato di raccontare una cosa tua originale, ma hai semplicemente rivisitato un mito già conosciuto. Con questo non voglio dire che non si notino le tue “innovazioni”: ho infatti veramente apprezzato il sentimento che avvolge tutto il monologo: non è rabbia, non è una punizione quella che Atena infligge ad Aracne, ma l’invidia. Vedere un dio che ammette di essere così invidioso e allo stesso tempo ammirato da cotanta abilità è veramente qualcosa di originale e simpatico da leggere. Nella tua storia si rileva come sia difficile non provare un’invidia verso chi è più bravo di te, specialmente se sei un dio e quindi hai sulle spalle una “reputazione” da difendere. La rivisitazione del mito, insomma, è stata una bella idea. Non particolarmente originale, ma mi sono piaciuti gli elementi che hai inserito, esclusivamente tuoi, che il mito non presuppone. Quindi, nonostante tutto, un lavoro buono sotto questo punto di vista.
Gradimento personale: 4,3/5 Se non fosse stato che il mito lo conoscessi già – studiato e ristudiato al liceo – credo avrei apprezzato maggiormente questa storia, che invece è semplicemente stata un rileggere qualcosa di già conosciuto attraverso un monologo. Secondo me infatti l’unica pecca permane l’originalità, purtroppo. Nonostante questo, sappi che la storia l’ho davvero apprezzata. I sentimenti espressi, l’invidia repressa, la presa coscienza della dea di aver sbagliato, la rabbia, l’amore alternato all’odio, sono particolarmente violenti e resi con efficacia. Senza contare che la caratterizzazione è alle stelle. Complimenti, di cuore.
MEDIA TOTALE: 39,30/45

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Gaea