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Autore: Moony3    10/10/2011    6 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo Decimo

Teddy Lupin e la Chiave del Tempo




La Tana, 31 luglio 2012 A.D.


Un assordante gracidare si levò improvviso quando un nutrito battaglione di ranocchie si tuffò - con ammirevole sincronia - nelle acque verdi e melmose dello stagno.
Teddy scosse il capo, mesto: a quanto pareva non era il solo a non potersi godere fino in fondo quella calda serata estiva, rischiarata da una limpida luna quasi piena e ingentilita dal profumo dolce e intenso dei Cespugli Farfallini. E a pensare che quel mondo, che tutti dicevano migliore, avrebbe potuto esserlo un po' di più...
Quando il gracidare si placò, acuti strilli infantili raggiunsero Teddy che, sospirando, si rannicchiò ai piedi di uno dei grossi alberi che circondavano lo stagno.
Un superbo esemplare di Tortotronco, constatò, studiando interessato le folte fronde che frusciarono frenetiche attorno a lui quando l'albero, disturbato dalla sua presenza, si contorse con sdegnata energia.
Appoggiandosi con cautela al massiccio tronco nodoso, Teddy osservò i ragazzini che, davanti all'ingresso della Tana illuminato a giorno da nugoli di lanterne variopinte, saltellavano in preda all’eccitazione più sfrenata: per loro quel mondo era sicuramente il migliore possibile. E lo dimostravano con appropriato entusiasmo.
Le loro grida assordanti sovrastavano persino le fiere rimostranze che nonna Andromeda stava propinando a una mortificata Molly Weasley.
Teddy, provando una certa compassione per la povera Molly - sapeva per esperienza quanto potessero essere terrificanti le fiere rimostranze di nonna Andromeda - distolse lo sguardo, concentrandosi sulla lanterna fluttuante che lo aveva seguito e ora illuminava con la sua calda luce dorata le acque placide dello stagno.
Un po' sorpreso, il ragazzo si chiese chi fosse stato a incantarla perché, in genere, le lanterne non avevano la lodevole abitudine di seguire la gente di loro spontanea volontà.
Nemmeno quelle fluttuanti.
Osservando con più attenzione la scena che si stava svolgendo davanti all’ingresso della Tana, Teddy notò che non tutti erano occupati a saltellare entusiasti e a prepararsi per assecondare la brillante idea avuta da Molly.
Harry, infatti, se ne stava un po’ in disparte, la bacchetta stretta in pugno e decine di lanterne variopinte che gli fluttuavano attorno come sciami di fate indispettite. Teddy lo vide fare un passo esitante verso lo stagno per poi fermarsi, rinfoderare la bacchetta e permettere a un James più saltellante del solito di trascinarlo via. Con tutto il suo luminoso seguito di lanterne.
Teddy sorrise grato: Harry aveva compreso che, in quel momento, lui desiderava soltanto stare un po’ in disparte - da solo, lontano dalla frenesia che aveva assalito gli altri e dalla brillante idea avuta da Molly - e si era limitato a fargli sentire la sua presenza dotandolo, premuroso, di una discreta lanterna fluttuante.
Harry, del resto, sapeva sempre quello che Teddy provava.
Lo sapeva da prima che Teddy medesimo si rendesse conto di provarlo, in genere.
Per anni il ragazzo aveva avuto l’inquietante sospetto che il padrino sapesse leggergli nella mente.
Quando però, dopo estenuanti elucubrazioni e arditi esperimenti, si era deciso ad affrontare apertamente la spinosa questione con l’interessato, Harry si era limitato ad abbozzare uno di quegli strani sorrisi - sospesi tra tenerezza e malinconia - che riservava solo a lui per poi confidargli, mesto, la molto meno esoterica verità: sapeva sempre cosa Teddy provava semplicemente perché lo aveva provato prima lui.
Notando, con un certo sollievo, che nonna Andromeda aveva finalmente smesso di riprendere la povera Molly, Teddy si sistemò più comodamente contro il tronco e - godendosi divertito lo sdegnato vorticare di fronde che seguì all'operazione - estrasse da una tasca un pupazzetto a forma di drago osservandolo con interesse: un Petardo Cinese, dedusse con sicurezza, ammirandone il corpo snello e sinuoso ricoperto da minuscole, perfette scaglie scarlatte.
Affascinato, il ragazzo sfiorò con cautela le punte dorate che il drago aveva attorno al muso e trasalì, sorpreso, quando il modellino, che fino a quel momento se ne era stato comodamente acciambellato sul palmo della sua mano, emise una specie di basso ringhio.
Dopo essersi concesso un languido stiracchiamento, il minuscolo drago si alzò in piedi sollevando le punte dorate che, assumendo la forma di una stravagante criniera, lo fecero assomigliare a un piccolo leone arruffato.
Teddy sorrise e soffiò con gentilezza sul giocattolo - come gli aveva mostrato Charlie - osservandolo poi, deliziato, dispiegare le ampie ali di un intenso rosso cupo e alzarsi in volo per planare aggraziato attorno alla lanterna fluttuante.
Quando, qualche ora prima, Charlie aveva tolto dalla sua vecchia sacca un po’ bruciacchiata una manciata di piccoli draghi giocattolo, gli altri ragazzini gli si erano subito stretti attorno, litigando fra loro per accaparrarsi i modellini di Ungaro Spinato.
Teddy era stato l'ultimo ad avvicinarsi - incitato da una soddisfatta Victoire che brandiva vittoriosa un minuscolo Grugnocorto Svedese - e aveva preso l'unico modellino rimasto: il Petardo Cinese.
Non aveva riscosso molto successo, il Petardo Cinese, e Teddy poteva anche capire il perché: era strano come drago.
Diverso da tutti gli altri.
Ma a Teddy la cosa non importava, anzi... a lui piaceva chi era diverso da tutti gli altri.
Probabilmente perché anche lui era - per svariati motivi - diverso da tutti gli altri.
Sospirando, il ragazzo distolse gli occhi dal drago giocattolo - ancora intento a svolazzare impavido attorno alla lanterna - e, stringendo le ginocchia tra le braccia, osservò malinconico i ragazzini saltellanti che, contenendo a stento l'entusiasmo, assillavano implacabili i rispettivi genitori.

«Uhm, stai meditando di continuare la festa in compagnia delle ranocchie dello stagno, Teddy?» chiese una voce allegra alle sue spalle.

Teddy sollevò di malavoglia lo sguardo sul nuovo arrivato, conscio che il suo momento di solitudine era terminato: purtroppo nessun Weasley sembrava essere un estimatore della solitudine. Charlie non faceva eccezione.
«Non sono molto interessanti le ranocchie come compagnia» disse l’uomo accoccolandosi al suo fianco e osservando il vivace vorticare di fronde causato dal suo arrivo. «Ma devo ammettere che il Tortotronco un certo fascino lo esercita. Dovresti vederlo a fine giugno, quando oltre che a vorticare i rami si diverte a bersagliarti con i suoi frutti deliziosamente mollicci e appiccicosi».
Teddy scrutò scettico le folte foglie lanceolate dell'albero e affermò con pacata convinzione: «Penso proprio che riuscirò a sopravvivere anche senza questa avvincente esperienza, Charlie».
«Mmm. Anche Fleur era intenzionata a provarci, credo. Ma George e Ginny erano di diverso parere e hanno generosamente rimediato a questa grossa lacuna del suo personale bagaglio di esperienze» affermò Charlie, scrutando pensoso la superficie placida dello stagno per poi aggiungere complice: «Ma, forse, tu non eri interessato a improvvisare una festicciola anfibia, e stavi semplicemente studiando un piano per buttarci mia madre, nello stagno con le irritabili ranocchie...»
Teddy, escludendo che Charlie si fosse potuto accorgere che l'idea lo aveva davvero fugacemente sfiorato, rispose sfoggiando quell'aria angelica che convinceva tutti ad eccezione di Harry e di nonna Andromeda: «No, naturalmente! Non sarebbe stato carino».
Charlie sogghignò. «No. Non sarebbe stato carino, hai ragione. Non per le ranocchie, almeno. Ma a me l'idea sarebbe venuta, sai? E anche Harry deve essere stato sfiorato dalla tentazione. E lui se lo sarebbe anche potuto permettere. E' il festeggiato, in fondo. Tutto dovrebbe esserti concesso il giorno del tuo compleanno, non credi?»
Teddy sgranò gli occhi, sorpreso, e Charlie gli scompigliò i capelli, poi sospirò: «Se solo Harry non fosse così assurdamente educato... a mia madre non avrebbe fatto male rinfrescarsi un po'. Solo un colpo di sole potrebbe spiegare la sua brillante proposta. O quello o un incantesimo Confundus ben assestato».
«Voleva solo animare la festa».
«Oh, può darsi. Ma anche un suo tuffo nello stagno la avrebbe animata. Sono sicuro che James lo avrebbe adorato, ad esempio».
Teddy riportò lo sguardo sui ragazzini elettrizzati che incitavano gli adulti a spostare tavoli e sedie e mormorò: «L’idea di una corsa a tre gambe genitori-figli è carina in sé, Charlie. Gli altri ragazzini l'hanno gradita molto, infatti... è solo che...»
«E' solo che mia madre ha il tatto di un Ungaro Spinato, a volte» concluse l’uomo, scrutando triste il ragazzino.
Teddy si strinse nelle spalle e abbozzò un sorriso. «Non importa. Non è giusto che gli altri non possano fare una cosa solo perché non la posso fare io, in fondo. E poi neppure mia nonna scherza in quanto a mancanza di tatto, quando ci si mette. Credo che Molly si sia pentita amaramente di avere esposto la sua brillante idea».
Charlie sorrise. «Penso tu abbia ragione: un’Andromeda Black contrariata è molto peggio di un tuffo in uno stagno abitato da ranocchie dal pessimo carattere» tacque un istante, quindi aggiunse: «Harry sarebbe felice di correre con te, se tu glielo chiedessi, sai?»
Teddy annuì con decisione. «Lo so. Ma non sarebbe giusto. James vuole partecipare... e ha tutti i diritti di farlo».
«Ma...»
«Ma niente, Charlie» tagliò corto Teddy, accarezzando distratto il dorso del modellino di drago che, perso interesse per la lanterna, gli si era posato sulle ginocchia.
Charlie sospirò. «Hai ereditato la cocciutaggine di tua madre, noto».
«Lo dice anche nonna. Quindi suppongo sia vero».
Charlie scosse il capo e, indicando il drago giocattolo, esclamò soddisfatto: «Vedo che hai già imparato a farlo volare. Non è facile come sembra: James ha rischiato di distruggere la torta fatta da Fleur, nel tentativo. Credo che gli sfugga il concetto di soffiare delicatamente».
Teddy si strinse nelle spalle. «Probabile. O magari la sua intenzione era proprio quella di distruggere la torta di Fleur» guardò titubante l’uomo sedutogli accanto e aggiunse, un po’ imbarazzato: «Insomma... le torte di Fleur sono molto... er... come dire…»
«Ricercate
«Mmm. Sì. Davvero molto ricercate, ecco. Non tutti riescono ad apprezzarle».
Charlie ridacchiò e prese con delicatezza tra le mani il modellino di drago studiandolo con interesse.
«Mi dispiace che non ci siano stati Ungari Spinati per tutti».
Teddy si strinse nelle spalle. «A me no. Mi piace il Petardo Cinese. Davvero. Lo trovo bellissimo».
Charlie fissò Teddy con quell’aria di pensosa malinconia che gli adulti avevano, talvolta, quando lo guardavano e a cui il ragazzo aveva fatto l’abitudine, ormai, poi aggiunse, con quel tono di voce un po’ particolare che seguiva sempre gli sguardi di pensosa malinconia: «Tua madre pensava la stessa cosa».
Teddy gli si avvicinò, interessato. Era sempre curioso di conoscere aneddoti sui suoi genitori, e Charlie era la fonte a cui poteva attingere con minor frequenza in assoluto, quindi i suoi aneddoti avevano ancora il fascino della novità. «Davvero?»
«Sì, oh, sì. A tua madre piacevano i draghi... be’, in realtà le piacevano un po’ tutte le creature... uhm, come dire... diversamente graziose, ecco».
Teddy sorrise, ripensando a Manfred la Manticora e Charlie continuò: «Quindi le piacevano anche i draghi. E il Petardo Cinese era senza dubbio il suo drago prediletto. Perché era strano. Diverso. E perché era colorato, non nero e ordinario come un banale Ungaro Spinato. Parole sue, eh...»
Teddy ridacchiò divertito, poi si fece improvvisamente serio; c’era una cosa che aveva chiesto a tutti e a cui nessuno aveva saputo dare una risposta… ma a Charlie non l’aveva chiesta, ancora.
«Charlie…» esitò, non era mai facile porre quella domanda. Nessuno la prendeva bene. «Come è successo? Come sono morti mamma e papà?»
Charlie trasalì e il Tortotronco, disturbato dal brusco movimento, si contorse con energia. L’uomo, ignorando l’improvviso agitarsi delle fronde, trasse un aspro respiro e si sfregò mesto la fronte. «Io... non lo so, Teddy».
Il ragazzino si accigliò, scagliando rabbioso un grosso ciottolo tondeggiante nello stagno. «Ma com’è possibile che non lo sappia nessuno!»
Charlie si strinse nelle spalle e chiese con dolcezza: «E' davvero così importante?»
«Sì che lo è!» esclamò brusco il ragazzino, poi serrò i pugni, abbassando lo sguardo e sussurrò: «Perché a volte penso che la loro morte sia stata inutile. Che loro avrebbero dovuto starsene a casa, quella sera. Con me».
«Capisco. E quando pensi questo provi rabbia nei loro confronti, vero?»
Teddy fissò corrucciato i cerchi concentrici che il sasso aveva lasciato sulla superficie della stagno.
«Già» mormorò Charlie senza attendere risposta. «E questo ti fa stare male, perché ti fa sentire tremendamente fuori luogo e abbastanza colpevole, anche».
Teddy alzò di scatto il capo, osservando l'uomo ad occhi sgranati.
Charlie abbozzò un sorriso triste e disse: «Succede anche a me, a volte, quando penso a Fred. Anch'io vengo assalito dall'idea che avrebbe potuto starsene a casa, quella sera. E anch'io mi sento malissimo dopo essermi concesso simili pensieri. Ma è umano farli, Teddy. E in fondo tu sai che loro non avrebbero potuto starsene a casa, quella sera. Proprio perché erano le persone che erano. E che no, la loro morte non è stata inutile perché se loro fossero rimasti a casa, quella sera, la storia avrebbe potuto seguire un altro corso e a vincere potrebbe essere stato Voldemort».
Il ragazzo annuì. «Sì, però vorrei ugualmente sapere come sono morti. Avrei tanto voluto incontrare qualcuno in grado di dirmelo. Pensavo che tu...»  
«Io? Oh, io sono l'ultima persona che potrebbe saperlo, Teddy» confessò Charlie con amarezza. «Non c’ero quella notte. Mentre divampava la Battaglia di Hogwarts io ero in Romania, a fare da balia a quattro uova di Opaleye. Quando sono arrivato al Castello era praticamente già tutto finito. Non ho potuto neppure tentare di aiutare Fred e i tuoi genitori».
«E questo ti fa stare male, perché ti fa sentire tremendamente fuori luogo e abbastanza colpevole, anche».
Charlie scrutò il ragazzino, allibito e Teddy si strinse nelle spalle. «Succede anche a me».
«A te? Ma tu non potevi di certo essere al loro fianco quella notte! Eri un neonato!»
«E tu eri in Romania».
«Ma... non è la stessa cosa! Io avrei potuto esserci! Avrei dovuto esserci! Avrei dovuto tornare prima in Inghilterra».
«E io avrei dovuto nascere qualche anno prima!»
«Ma... Teddy, ti rendi conto che è un ragionamento del tutto privo di senso, vero?»
«Certo. Come il tuo».
Charlie sbuffò esasperato, poi scosse il capo, sconfitto. «Sei identico a tua madre, talvolta. Ugualmente snervante!»
Teddy sogghignò: «Lo dice anche la Professoressa O'Sullivan».
«O'Sullivan? Erin O'Sullivan?»
«Sì. Si ricorda di mamma ai tempi della scuola... e ha persino conosciuto il mio nonno paterno, sai? Sostiene di avergli insegnato i rudimenti della lotta Babbana...»
Charlie ridacchiò. «Sì, deve essere proprio lei, allora. Il Battitore più attaccabrighe della storia di Tassorosso, credo. Non ho mai conosciuto nessuno in grado di ammaestrare i Bolidi come lei! E cosa insegna?»
«Difesa contro le Arti Oscure».
Charlie annuì soddisfatto. «Appropriato, direi».
«Già» Teddy scagliò l'ennesimo sasso nello stagno, studiando pensoso i preparativi che fervevano nel pezzetto di prato davanti all'ingresso della Tana. «Pare che tutto sia pronto per la disputa».
«Pare. Mi dispiace davvero Teddy, non so che sia preso a mia madre...»
Teddy si strinse nelle spalle. «Nulla. Ha solo avuto un'idea brillante e carina. Sarebbe piaciuta anche a me se… credi che mio padre vi avrebbe partecipato?»
Charlie corrugò la fronte, pensoso. «No, non credo ci sarebbe riuscito».
Teddy scrutò la luna quasi piena. «Ma non è una notte di plenilunio».
Charlie sogghignò. «Non ci pensavo neppure al plenilunio. Solo che sarebbe stata sicuramente Tonks a partecipare alla corsa con te. A costo di Schiantare Remus!»
«Ah, ecco. Mi sarebbe piaciuto molto, sai Charlie? Non che mamma Schiantasse papà, sia chiaro, ma partecipare alla gara con uno dei due...»
Charlie si sistemò più comodamente contro il Tortotronco e sospirò. «Sarebbe piaciuto molto anche a me, Teddy. Soprattutto perché questa gara non avrebbe avuto un vincitore annunciato. Perché sappiamo tutti come andrà a finire questa gara, vero? Bill e Victoire l'hanno già vinta. Sono anche abbastanza sicuro che Bill stia già meditando su come assillare tutti noi con la sua eclatante vittoria. Come se non sapesse che tutti gli altri saranno intralciati dai rispettivi nanerottoli - certo, a Percy e Hermione non serviranno neppure i nanerottoli, visto che sono già bravissimi a intralciarsi da soli - non c'è scampo» concluse mesto.
«Già» convenne Teddy, rassegnato.  
«A meno che...» Charlie si alzò di scatto, facendo sussultare Teddy e provocando una vivace reazione del Tortotronco. «Ci sarebbe un modo per rendere meno scontata la vittoria di Bill, Teddy» esclamò ispirato, ignorando il minaccioso vorticare di fronde. «Dipende solo da te».
«No, ti ho già detto che non chiederò a Harry di gareggiare con me. Non sarebbe giusto».
Charlie lo gratificò di uno di quei sorrisi inquietanti che, a volte, illuminavano anche il viso di George. «Io non pensavo a Harry, infatti, ma...» si accovacciò di fronte al ragazzo, fissandolo serio  negli occhi e, dopo un istante di esitazione disse: «Io non ho un figlio con cui partecipare alla gara, Teddy. Così mi chiedevo: mi faresti l'onore di gareggiare in squadra con me? Sono sicuro che i tuoi genitori approverebbero, in fondo...» indicò con un gesto vago Bill e Victoire che si stavano avviando alla linea di partenza sfoggiando la sicurezza tipica di una compagine sicura della propria innegabile superiorità. «E' per una nobile causa: prevenire gli autoincensamenti con cui Bill assillerà chiunque gli capiterà a tiro per i prossimi sei mesi».
Teddy si alzò con cautela, senza disturbare il Tortotronco. «E' per il Bene Superiore, insomma. Sì, mamma e papà approverebbero di sicuro. Anzi...» sorrise malandrino afferrando una mano dell'uomo inginocchiato e costringendolo ad alzarsi. «Mi sa proprio che si arrabbierebbero se non accettassi questa tua ragionevole e brillante proposta, Charlie!»
«Sa anche a me!» convenne Charlie alzandosi. «E non è mai stata una cosa saggia fare arrabbiare Tonks, sai?»
Teddy rise e, sotto lo sguardo soddisfatto di un battaglione di ranocchie gracidanti, trascinò senza tanti complimenti Charlie verso la Tana.



Casa Tonks, 31 luglio 2012 A.D.

Teddy, appoggiandosi al davanzale della finestra, osservò assorto le stelle che punteggiavano il limpido cielo color inchiostro.
Teddy amava scrutare la volta stellata. Lo trovava piacevole. E rassicurante.
Probabilmente perché anni prima, in una tiepida sera di maggio, al ritorno dalla celebrazione della sconfitta di Voldemort, Luna Lovegood lo aveva preso da parte e gli aveva raccontato una fantasiosa - e rassicurante - storia sulle persone che, quando morivano, si trasferivano sulle stelle.
Gli aveva persino indicato quella abitata dalla signora Lovegood.
Teddy l'aveva ascoltata rapito, e aveva subito cominciato a cercare quella dei suoi genitori - era certo che si fossero trasferiti sulla stessa stella, una stella molto luminosa e non troppo vicina alla luna, secondo i suoi calcoli - identificandola con estrema sicurezza nella più brillante di tutte: Sirio.
Da quella sera, ogni volta che Teddy si sentiva solo, si trovava istintivamente a scrutare la volta stellata e, anche se ora sapeva che i suoi genitori non si erano affatto trasferiti su una stella, questo semplice gesto bastava a calmarlo.
Sospirando, il ragazzo distolse lo sguardo dal cielo spostandolo sulla strada illuminata dalla luce aranciata di un lampione: un uomo lacero e scarno camminava frettoloso lungo la via, il capo chino, le spalle curve e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
Quando una grossa civetta lo sorvolò, posandosi silenziosa sul davanzale della finestra di Teddy, l'uomo si fermò, sollevò il viso nascosto dai lunghi capelli arruffati, e riprese il suo faticoso cammino, come se trovasse normale vedere una civetta appollaiarsi su un davanzale.
E Teddy sospettava fosse proprio così.
Conosceva quell'uomo: era un tipo stravagante che da sempre - per quanto Teddy riusciva a ricordare - deliziava i ragazzini della zona con le sue fascinose storie popolate da sdegnose chimere e da lupi mannari singolarmente gentili. E, spesso, guardava Teddy con lo stesso sguardo triste e colpevole con cui lo guardavano, a volte, un po' tutti gli adulti che avevano conosciuto i suoi genitori. Teddy era quasi certo che fosse un mago... anche se non lo aveva mai visto fare magie e non era tra le conoscenze di nonna Andromeda.
Non che nonna Andromeda ne avesse poi molte, di conoscenze...
Quando la civetta gli beccò sdegnata una mano, il ragazzo si riscosse e, accarezzandole gentilmente le soffici piume argentate, prese la pergamena arrotolata sulla zampa destra della bestiola.
Era indirizzata a nonna Andromeda e il ragazzo riconobbe l'elegante calligrafia con cui era vergata.
Teddy non sapeva di preciso chi le mandasse, ma arrivavano spesso lettere scritte con quella calligrafia.
Sempre indirizzate alla nonna che si rifiutava regolarmente di aprirle.
Sospirando, il ragazzo aspettò che la civetta ripartisse, sollevato dal fatto che nessuno si trovasse nei paraggi per assistere al suo volo, quindi scese silenzioso le scale, intenzionato a lasciare la lettera nello studio del nonno e ad approfittare dell'occasione per saccheggiare la libreria: non aveva sonno, quella notte, e qualcosa di interessante da leggere era proprio quello che gli serviva.

«Non riesci a dormire neppure tu, tesoro?»

Teddy trasalì al suono di quella voce.
Aveva dato per scontato che la nonna fosse già andata a letto.
Non si aspettava certo di trovarla ancora lì, seduta sulla sua poltrona preferita, in penombra, intenta a scrutare assorta una rigogliosa aspidistra.
«No, sono troppo eccitato per avere sconfitto Bill e Victoire» rispose, sperando che la nonna gli credesse. Era davvero contento del successo riportato, in fondo. Tutti alla Tana lo erano. Tranne Bill, naturalmente...
«Comprensibile» mormorò Andromeda, posando sul tavolino la grossa cornice d'argento che teneva in grembo. «Sei stato molto bravo, tesoro. Loro...» indicò con un lieve cenno del capo la cornice. «Sarebbero molto fieri di te».
Teddy annuì, non aveva bisogno di guardare la fotografia contenuta nella cornice per sapere di chi stesse parlando la nonna.  
«E anch'io lo sono» affermò la strega, sollevando su di lui uno sguardo intenso e triste.
Teddy sapeva cosa cercava la nonna quando lo guardava in quel modo. E sapeva cosa fare per aiutarla a trovarlo.
Gli bastava ricorrere ai suoi poteri di Metamorfomagus.
Non amava farlo, di solito. Oh, era orgoglioso e felice di possederli - erano qualcosa che gli ricordava sua madre - ma non amava esibirli in pubblico con disinvoltura. Perché, fondamentalmente, non amava essere notato. Preferiva passare inosservato, senza nessuno che lo indicasse agli altri. E non era facile passare inosservati quando si sfoggiavano capelli di uno sfolgorante turchese. Era un po' come essere l'unico, coloratissimo Petardo Cinese in un branco di banali Ungari Spinati. Teddy non lo trovava particolarmente piacevole.
Ma, quando la nonna lo guardava in quel modo, non esitava a ricorrere alle sue capacità.
In fondo era una piccolo sacrificio, ampiamente ripagato dalla serenità che addolciva lo sguardo della nonna in quei momenti.
Quindi socchiuse gli occhi, virò i suoi capelli castano chiaro a una brillante tonalità di turchese - la nonna avrebbe preferito un bel rosa cicca, lo sapeva, ma che diamine, anche lui aveva una sua dignità - e, avvicinatosi alla donna, le si accoccolò davanti, godendosi l'improvviso, tenero sorriso che le distese il volto.
«Lo so, nonna» disse con tono allegro, nel tentativo di dare un ulteriore scossone alla momentanea malinconia della strega. «Anche Charlie era al settimo cielo... suppongo che un po' tutti lo fossero. Bill è un po'... stancante quando si esalta per qualcosa».
«Sì, non che Charlie lo sia meno, però».
Teddy corrugò la fronte, pensieroso. «No, ma Charlie tornerà presto in Romania... dovremo sopportarlo per meno tempo, se non altro!»
Andromeda rise, scompigliando affettuosa i capelli del nipote poi, scorto il plico che il ragazzo stringeva in mano, si accigliò nuovamente. «Ti ha scritto ancora Simon? Quel ragazzo è un vero grafomane! Cos'ha scoperto di fantasticoso, questa volta?»
Teddy sogghignò: Simon, il suo migliore amico nonché compagno di dormitorio, era davvero un grafomane... e un grafomane pieno di entusiasmo, anche. Era figlio di Babbani, ed era letteralmente incantato dalle fantasticose (oltre che grafomane, Simon era anche un fantasioso coniatore di neologismi) cose da maghi. E Teddy adorava ascoltarlo - o leggerlo - mentre parlava trasognato delle meraviglie del mondo magico, perché trovava davvero fantasticoso guardare cose per lui scontate attraverso gli occhi di Simon!
«Allora, Teddy, quale messaggio di irrinunciabile importanza si è sentito in dovere di comunicarti a quest'ora di notte il nostro Simon?»
Teddy - che sospettava che la nonna adorasse quanto lui l'entusiasmo di Simon - scosse il capo. «Oh, no... Simon non c'entra questa volta. E' per te, nonna».
La strega si alzò di scatto dalla poltrona, prese la lettera e la fece Evanescere con un gesto rabbioso. Faceva sempre così con le lettere scritte con quella calligrafia.
«Nonna, ma chi...»
«Nessuno, Teddy. Nessuno».
Teddy inarcò un sopracciglio, scettico. E la donna sospirò, lasciandosi cadere sulla poltrona. «Nessuno di cui valga la pena parlare, almeno».
«Ma sono anni che questo Nessuno ti manda lettere, forse deve dirti qualcosa di importante».
«Non credo. Questo Nessuno non ha mai avuto nulla di importante da dirmi. Non ha reputato abbastanza importante neppure comunicarmi di avermi fatta diventare zia...»
«Ti ha fatta diventare zia
Andromeda fissò il nipote con intensità, quindi mormorò con amarezza: «Questo Nessuno era mia sorella... una volta».
Teddy sgranò gli occhi, sconcertato. «Pensavo non ci fosse più nessuno della tua famiglia d'origine, nonna!»
«E' così. La mia famiglia sei tu, Teddy. E la famiglia di Harry... non certo la famiglia di Vermicolo Malfoy!»
«Vermicolo Malfoy?»
«Il marito di questo Nessuno».
«Ah... un nome... insolito, non credi?»
Andromeda rise abbracciando il nipote. «Sì, be', non è proprio il suo nome... è più una specie di soprannome - adattissimo a mio parere - affibbiatogli da mio cugino Sirius. Harry ti ha parlato di Sirius, vero?»
Teddy annuì. «Sì. Era il suo padrino! Ed era uno dei migliori amici di papà…»
«Esatto. Uno dei pochi parenti che davvero considero tali».
«Uno dei pochi?»
«Uno dei due, in effetti. Ti ho mai parlato di zio Alphard?»
Teddy scosse il capo, incuriosito.
«Ah, un uomo affascinante. Un po' stravagante, se vogliamo. L'unico della mia famiglia oltre a Sirius a non avermi allontanata dopo il mio matrimonio con nonno Ted... anzi, mi fece persino un regalo di nozze, sai? Un regalo stravagante quanto lui. Neppure tua madre ha mai voluto indossarlo».
Sorrise alzandosi dalla poltrona e, circumnavigando la rigogliosa aspidistra, si avvicinò all'antico armadio di legno intarsiato che occupava un angolo della stanza, aprì con delicatezza le antine di cristallo, estrasse qualcosa e tornò dal nipote.
Teddy osservò incuriosito lo strambo aggeggio che la nonna stringeva tra le mani: sembrava una specie di incrocio tra un antiquato medaglione e un orologio da taschino. Il coperchio era delimitato dall'immagine di un serpente acciambellato su se stesso, mentre, al centro dell'oggetto, una piccola fenice color corallo sorgeva maestosa da vivide fiamme argentate .
Affascinato, il ragazzo prese l'oggetto dalle mani della nonna e trattenne il respiro, incredulo, quando ricordò dove aveva già visto quello stravagante gingillo: durante una punizione con la professoressa O'Sullivan - seguita a un ardito esperimento che coinvolgeva un Molliccio un poco anarchico e Mastro Gazza - Teddy aveva avuto l'incarico di sistemare la caotica libreria della professoressa (nessuno gli avrebbe mai tolto il sospetto che la professoressa O'Sullivan avesse in realtà apprezzato l'ardito esperimento, visto che sapeva perfettamente che per Teddy trafficare con i vecchi libri era tutt'altro che una punizione) e si era imbattuto in un decrepito diario scritto da una tale Althea.
Lo aveva sfogliato distrattamente, non molto interessato a sfornare deliziosi dolcetti al miele e, meno che mai, a conquistare un misterioso Grifondoro dai languidi occhi da randagio, ma era rimasto affascinato da un disegno schizzato su una pagina fittamente vergata a caratteri runici. Teddy aveva appena cominciato il corso di Rune Antiche, quindi aveva compreso solo che l'oggetto ritratto era una delle leggendarie Chiavi del Tempo.
«Tranquillo, tesoro» disse Andromeda, una sfumatura divertita nella voce. «Non ho alcuna intenzione di costringerti a indossarlo. Zio Alphard aveva gusti molto particolari... ma nemmeno lui ha preteso che lo portassi. Mi disse solo che lo avrei trovato utile se mai mi fossi pentita di avere sposato il nonno. Non ho mai capito come, ad essere sinceri. E' un oggetto di un gusto discutibile, certo, ma non abbastanza discutibile da spaventare nonno Ted».
Tacque un istante, pensierosa, poi si diresse nuovamente all'armadio e tornò reggendo una vecchia pergamena.
«Assieme al medaglione mi consegnò anche questa, io non so decifrare le rune ma tu sei molto bravo in questo, mi dicono. Se ti va di svelare il mistero di questo aggeggio di gusto particolare dando un senso ai deliri di zio Alphard, fai pure».
Teddy afferrò la pergamena con mano un po' tremante, scorse frenetico le rune, sgranando gli occhi, sempre più incredulo. Non poteva essere... forse aveva capito male.
Era probabile, in fondo.
Era da un bel po' che non ripassava le rune.
E lo sapevano tutti che le Chiavi del Tempo esistevano solo in una fiaba per bambini. Non erano più reali di Baba Raba.
Però la maggior parte della gente pensava che anche i Doni della Morte esistessero solo in una fiaba per bambini, e Teddy sapeva che non era così.
In preda a una crescente euforia strinse con forza il medaglione e la pergamena tra le mani e, dopo avere abbracciato con irruenza la nonna, che ridacchiò mormorando qualcosa a proposito di slanci tonksiani, tornò di corsa in camera sua, cercando disperatamente di ricordare dove avesse abbandonato il libro di Rune Antiche.
Perché, se quello stravagante dono di zio Alphard era davvero una Chiave del Tempo lui avrebbe potuto...



*****


Casa Tonks, 2 maggio 2018 A.D.


Dopo avere posato l'antica pergamena sul comodino, Teddy si sedette sul letto, fissando il massiccio medaglione dorato che teneva tra le mani e sfiorò con delicatezza la piccola fenice scarlatta che ne occupava il centro.
Forse, grazie a quello stravagante oggetto, avrebbe potuto rendere il mondo ancora un pochino migliore… almeno per lui.
Forse.
Ma doveva agire velocemente.
Vent'anni. Non uno di più.
La pergamena era molto chiara in proposito: quello che aveva sempre sognato di fare andava fatto quella notte o mai più.
E quel mai più suonava malissimo per Teddy.
Ma ora era pronto. Forse.
E avrebbe agito quella notte. Forse.
Perché, prima di potersi buttare in quell'avventura, doveva chiarire una questione fondamentale con Harry.
E, cosa probabilmente più complicata, doveva convincere la propria coscienza che non si stava comportando come un egoista insensibile.
Doveva convincerla che salvare due vite era meglio che non salvarne nessuna e che Molly avrebbe capito. Perché anche Molly amava Ninfadora Tonks e Remus Lupin.
Victoire, per lo meno, ne era sicura.
Teddy era ancora sorpreso dalla facilità con cui Victoire si era lasciata convincere della bontà di quell'intenzione.
Anzi, forse era più corretto dire che era stata proprio la reazione di Victoire a convincere lui che quell'intenzione, forse, non era poi così deprecabile.
Peccato che la sua bisbetica coscienza ponesse ancora qualche resistenza. Oh, era davvero bravissima a porre resistenze, la sua bisbetica coscienza... e molto meno facile da convincere di Victoire.
Erano quasi sei anni - dalla notte in cui nonna Andromeda gli aveva mostrato lo stravagante dono di nozze di zio Alphard, per la precisione - che Teddy si domandava con una punta di irritazione perché proprio a lui doveva essere toccata in sorte una coscienza tanto bisbetica... e tanto talentuosa nel generare ostinati sensi di colpa.
Sospirando, il giovane si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e sbirciò l'orologio che portava al polso: si stava facendo tardi.
Ed erano attesi da Harry per cena, strano che la nonna non lo avesse ancora convocato con urla che avrebbero fatto impallidire la Banshee più vocalmente dotata del Vecchio Continente.
Un po' sconcertato, Teddy si alzò dal letto, afferrò il giubbetto di jeans abbandonato sul vecchio scrittoio - niente vesti da mago quella sera, meglio optare per discreti abiti Babbani - recuperò la vecchia pergamena sistemandola con cautela in una tasca e indossò il vecchio medaglione.
Nonna Andromeda sarebbe stata sorpresa da quella decisione insolita: finalmente qualcuno avrebbe indossato lo stravagante regalo di zio Alphard.
Non era nemmeno così brutto, a parere di Teddy.
Certo, non era raffinato come il vecchio portaombrelli di ceramica bianca, decorato con paffuti puttini e rigogliose ghirlande di frutta, andato distrutto in un increscioso incidente provocato da Teddy e da un misterioso incantesimo letto su un vecchio libro polveroso. Increscioso incidente che nonna Andromeda non dimenticava di raccontare in ogni occasione possibile, rimpiangendo la devastante perdita di quel raffinato portaombrelli.
Teddy non l’aveva mai considerata tanto devastante, quella perdita.
Ma, del resto, lui non era dotato di gusti particolarmente raffinati
Un po’ preoccupato dalla mancata convocazione della nonna, Teddy scese in salotto e, aggirandosi tra delicati tavolini di cristallo e rigogliose aspidistre, intraprese una scrupolosa ricerca della strega.
Non trovandola da nessuna parte si sedette sul divano, scrutando pensoso il lucente portaombrelli di indistruttibile acciaio che aveva sostituito il suo raffinato predecessore. Sperava  ardentemente che nonna Andromeda non fosse ancora andata a protestare con lo scarno, lacero cantastorie che spesso e volentieri si accoccolava sul muretto che  delimitava il perimetro di Casa Tonks, intrattenendo ciurme di ragazzini incantati dalle sue storie fantastiche.
Era bravo a raccontare storie e Teddy lo trovava simpatico - da ragazzino si fermava spesso ad ascoltarlo, coinvolgendo anche Simon quando veniva a trovarlo - ma la nonna non riusciva a comprendere perché dovesse sempre posizionarsi davanti all'ingresso di casa, quasi si fosse preso la briga di improvvisarsene guardiano. Tra l'altro, secondo la nonna, era anche poco credibile come guardiano...

Un improvviso colpo sordo proveniente dalla cantina, seguito da un grido soffocato, fece sobbalzare il giovane mago che, allarmato, scattò in piedi e scese di corsa le scale fermandosi sbigottito davanti alla scena che lo accolse: Nonna Andromeda, con la schiena appoggiata alla parete, osservava pietrificata il corpo senza vita di un giovane uomo dall'aspetto familiare disteso al centro della stanza, accanto a un vecchio baule socchiuso.
Prima che Teddy potesse dare un senso alla scena, la nonna agitò debolmente la bacchetta magica, mormorando con poca convinzione qualcosa di incomprensibile.
L'unico effetto ottenuto dall'incantesimo fu che i capelli castano chiaro del giovane uomo dall'aspetto familiare virarono a un turchese acceso.
E Teddy, sempre più sconcertato, si rese conto che quel corpo non gli era solo familiare... era proprio il suo.
Nonna Andromeda singhiozzò, lasciando cadere la bacchetta e Teddy, comprendendo cosa stava succedendo, impugnò la propria accostandosi al corpo e scrutandolo scosso: che situazione surreale.
Con un secco Crack il cadavere si trasformò in un uomo tarchiato, vivo e vegeto, che si avvicinò minaccioso a Teddy brandendo una bacchetta nodosa.
«Riddikulus» esclamò Teddy con sicurezza e il sobrio mantello nero che avvolgeva l’uomo tarchiato si dissolse, sostituito da un vezzoso tutù rosa confetto.
L’uomo cominciò a volteggiare, più o meno leggiadro, per la stanza per poi dissolversi in uno sbuffo di fumo.
Teddy rinfoderò la bacchetta e si avvicinò alla nonna mormorando desolato: «Nonna...»
La donna lo azzittì con un cenno e, sedendosi su una vecchia seggiola un po' traballante, disse: «Sto bene, tesoro. Era solo un banale Molliccio che ho disturbato aprendo quel baule. Mi ha colto alla sprovvista, ecco tutto. Non me lo aspettavo e da una ventina d'anni a questa parte non è più così semplice sconfiggere un Molliccio, per me» sollevò sul nipote uno sguardo triste. «Non è facile renderlo divertente».
Teddy fissò assorto la macchia umida lasciata sul pavimento di ceramica dal Molliccio e scosse il capo, mesto. «No. Non lo è».
«Il tuo era davvero molto divertente, invece. Un po' raccapricciante... ma molto divertente».
Teddy sorrise, ricordando come era nata l'idea per sconfiggere il suo Molliccio.
Si era molto preoccupato quando, una luminosa mattina di ottobre, la Professoressa O'Sullivan era entrata nella Sala Grande annunciando euforica che, durante la lezione di Difesa del giorno successivo, avrebbero avuto il piacere di esercitasi con un vero Molliccio.
Teddy sapeva perfettamente cosa era un Molliccio - adorava immergersi nella lettura dei vecchi libri appartenuti al padre - e sospettava che il suo sarebbe stato più difficile da sconfiggere del calabrone gigante e peloso che popolava gli incubi di Simon.
Perché la cosa che Teddy temeva di più erano i Mangiamorte. O meglio, i Mangiamorte che avevano ucciso i suoi genitori. Figure senza un’identità precisa, senza un volto, e questo non faceva che renderli ancora più inquietanti… come si poteva rendere divertente qualcosa che ti terrorizzava e che non conoscevi?
Era stato Neville a suggerirgli l’idea per sconfiggere il Molliccio, consigliandogli di immaginarsi il soggetto in questione strizzato nel vestito più buffo e inadatto che poteva immaginare.
Teddy aveva colto con scetticismo quel consiglio, all'inizio, ma Neville aveva assicurato che con lui quella tattica aveva funzionato alla perfezione. E che era stato proprio Remus a suggerirgliela.
Teddy si era quindi fidato e, al momento cruciale, aveva visionato il vezzoso tutù indossato dalla sorella di Simon nella foto che campeggiava sopra il letto dell'amico (Neville aveva parlato di vestiti della nonna… ma i vestiti di nonna Andromeda erano troppo sobri per servire allo scopo. Nessun cappello dotato di volatile impagliato soggiornava nell'armadio di nonna Andromeda). Ma quel vezzoso tutù… oh, alla sorella di Simon stava d'incanto, tutti i ragazzi del dormitorio passavano ore in contemplazione del vezzoso tutù della sorella di Simon (o della sorella di Simon, per essere precisi, ma questa cosa era sempre stata accuratamente nascosta a Simon medesimo) ma sul Mangiamorte… l’effetto era davvero molto differente.

«E anche un Mangiamorte non è facile da rendere divertente» affermò Andromeda distogliendo Teddy dai suoi ricordi.

Il ragazzo le si avvicinò, socchiudendo gli occhi per virare i capelli verso un colore tonksiano, come era solito fare nelle rare occasioni in cui sorprendeva la nonna in un momento di malinconia, ma la strega lo fermò con una carezza e sussurrò: «No, Teddy, non farlo. Lasciali del loro colore naturale. Sono come quelli del tuo papà» sorrise divertita «io e tua madre glielo avevamo detto che eri identico a lui... ma lui insisteva nel dire che eri identico a Ninfadora. E' sempre stato parecchio cocciuto...» tacque un istante, poi sospirò. «Mi manca anche lui, sai? Mi piaceva molto... se solo avessi avuto il tempo di dirglielo...»
Teddy l'abbracciò stretta, rattristato dall'amara tristezza che vibrava nella voce della nonna. Sapeva che il rapporto della nonna con suo padre era stato faticoso, all'inizio. Era, però, sicuro che il mago aveva capito i motivi della nonna. Ma non sarebbe mai riuscito a convincere lei: era cocciuta almeno quanto sosteneva lo fosse Remus Lupin. E solo Remus Lupin in persona sarebbe riuscito nella disperata impresa di convincerla di quella cosa.
La fiera resistenza posta dalla sua bisbetica coscienza stava vacillando, constatò Teddy un po' sorpreso, indebolita da una semplice constatazione: se quella notte lui fosse davvero riuscito nella sua impresa, il mondo sarebbe stato un pochino migliore anche per nonna Andromeda.



Casa Potter, 2 maggio 2018 A.D.

Teddy era immerso nei propri pensieri, non era facile trovare il modo più adatto per porre a Harry quella domanda.
Era una domanda delicata.
Ma Teddy proprio non poteva evitare di farla. Doveva sapere se l’eventuale mancanza di Remus tra le quattro Anime che avevano accompagnato Harry nella sua difficile camminata nella Foresta Proibita, proteggendolo dal manipolo di Dissennatori in attesa e sostenendolo nel momento della resa a Voldemort, avrebbe cambiato la scelta di Harry.
Teddy, conoscendo il padrino, pensava di no… ma non poteva non chiedere.
Harry rispondeva sempre con sincerità e chiarezza alle domande che Teddy gli poneva. Da sempre. E Teddy era sicuro che avrebbe risposto con sincerità e chiarezza anche a quella domanda.
Ma voleva pensare bene a come porla, perché Harry non amava parlare di quell’avvenimento e Teddy non amava mettere in difficoltà Harry.
Ma non era facile pensare a come affrontare un argomento tanto delicato mentre due ragazzini esagitati parlavano frenetici tra di loro coinvolgendolo nelle loro chiacchiere spensierate.
Teddy, non volendo rattristarli, anche se con la testa era da tutt'altra parte, fingeva grande interesse e, di tanto in tanto, annuiva con estrema partecipazione.
Era rischioso come comportamento, e lo sapeva. L’ultima volta che aveva finto grande interesse e annuito con estrema partecipazione mentre era immerso nei propri pensieri, si era ritrovato arruolato in una spedizione di ricerca spinta dall’ammirevole intento di trovare una colonia di Nargilli.
Ma ora non era Natale e non c'era vischio nei paraggi. I Nargilli non avrebbero dovuto costituire un problema, al momento…

«Teddy? Tu quanti anni avevi quando lo hai fatto per la prima volta?»

Il giovane mago si riscosse dai suoi pensieri, scrutando allibito la ragazzina dai capelli ramati che gli sedeva accanto.
«Io... temo di essermi perso qualcosa, Lily, di cosa stiamo parlando, esattamente?» indagò, giocherellando distratto con la grossa fetta di crostata al rabarbaro che aveva nel piatto e sperando ardentemente che la prima volta in questione non riguardasse in nessun modo Victoire Weasley.
«La prima volta che hai volato su una vera scopa, naturalmente» precisò la piccola, scoccando un’occhiata infuocata alla madre.
Sollevato, Teddy posò la forchetta e corrugò la fronte. «Oh... sì... otto anni, credo. Più o meno»...


... Continua ne “La Chiave del Tempo”



Ed eccoci arrivati alla decima tappa del nosto Viaggio.
L'ultima tappa.
Ebbene sì, il nostro avventuroso viaggio sulle tracce dei Custodi delle Chiavi del Tempo è giunto al termine.
L'Ultima Chiave, concluso il suo tortuoso cammino, è giunta nelle mani dell'Ultimo Custode - almeno per il momento - Teddy Remus Lupin.
Se volete sapere come Teddy la userà dovete solo leggere "La Chiave del Tempo" (comincia esattamente dal punto in cui si conclude questa storia).
Se lo farete, l'Ultimo Custode ne sarà contento. E io con lui! ^^
E voi potrete scoprire cosa accomuna un ragazzino romano vissuto nella Britannia del I secolo D.C. a un giovane mago che vive nell'Inghilterra di venti secoli dopo.
Ora le ultime "Note di Servizio" di questa storia:
Il Tortotronco è una mia invenzione, J.K. Rowling non ce ne ha mai parlato... ma a me serviva qualcosa del genere.
Spero ardentemente di non aver offeso troppo i puristi del Mondo della Rowling con la sua opinabile invenzione... ^^
Il lacero Cantastorie citato di sfuggita in questo capitolo avrà un importante ruolo ne "La Chiave del Tempo", quindi mi pareva carino accennare a lui anche qui.
Infine, so che il "mio" Teddy è piuttosto distante dal Teddy medio delle fanfiction. Non è una specie di irresistibile cataclisma dai capelli cangianti, ma un ragazzo normalissimo, forse un po' più maturo dei suoi coetanei, e soggetto anche a (rari, per la verità) momenti di malinconia.
Questo potrà forse sembrare strano a molti, ma io Teddy lo immagino così (lo vedo molto più simile a Harry che a Ron o ai gemelli, per intenderci, vista e considerata la sua storia personale) e non ci posso fare nulla. ^^

Per concludere: un ringraziamento a tutti coloro (sono tantissimi e non me lo aspettavo tenuto conto della particolarità di questa storia) che hanno letto "I Custodi delle Chiavi del Tempo", a quelli che l'hanno inserita tra le preferite o le ricordate e, soprattutto, a coloro che sono stati tanto carini (e pazienti) da farmi conoscere i loro pareri.
Sappiate che sto già pensando a una sorta di Epilogo (che temporalmente si va a posizionare prima dell'Epilogo de "La Chiave del Tempo").
Prima o poi troverò il tempo di scriverlo... e, magari, il modo di pubblicarlo! Fatevene una ragione. ;)


  
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