Senza luce, il buio
By: Mistress Lay
Plot: Tre passi al tavolo, cinque alla credenza... dov'è il
miele? Ah, eccolo qui. Cinque passi al tavolo... la sedia, un passo. Oggi
dev'essere una giornata ventosa, le foglie stanno turbinando fuori. La finestra!
Devo ricordarmi di andare a chiuderla dopo colazione... dov' il tea? Ah,
eccolo... si sta raffreddando. Ora lo alzo e brindo: quattro anni. Sono quattro
anni che sono cieco
Disclaimer: personaggi e situazioni appartengono a J. K.
Rowling, nuovi personaggi, nuove situazioni e le conseguenti elucubrazioni
malate appartengono purtroppo alla sottoscritta che si scusa già in anticipo
Notes: Dopo tanti annunci rimandati parte la mia nuova fic.
Lo so che ho altre fic da continuare e non dovete preoccuparvi, nessuna sarà
abbandonata, inoltre di qst fic sono già pronti per il postaggio quattro
capitoli… ora, il programma sarebbe di aggiornare una volta alla settimana ma
non ne sono sicura visto che poi a luglio parto. Sicuramente prima della
partenza tutte le fic verranno aggiornate, don’t worry! XD
E ora, buona lettura e mi raccomando… lasciate una traccia,
anche minima, del vostro passaggio! ^^
Dedicata a te, P.S.
L’hai detto anche tu: ogni mia fic è scritta dal cuore ed è
vero, è un pezzetto di me.
E ti dedico questa, affinché tu possa ascoltare il battito
del mio cuore vicino a te, perché non esiste solamente il dolore.
Asciugati le lacrime
Capitolo Primo - Tutto il mondo in un passo
- E tuttavia quello che [gli uomini] cercano potrebbe
essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua -
- Certo - risposi. E il Piccolo Principe soggiunse: - Ma
gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare con il cuore -
Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe
"Tre passi al tavolo, cinque alla credenza... dov'è
il miele? Ah, eccolo qui. Cinque passi al tavolo... la sedia, un passo. Oggi
dev'essere una giornata ventosa, le foglie stanno turbinando fuori. La
finestra! Devo ricordarmi di andare a chiuderla dopo colazione... dov' il tea?
Ah, eccolo... si sta raffreddando. Ora lo alzo e brindo: quattro anni. Sono
quattro anni che sono cieco"
Primi giorni di ottobre. Fuori il sole risplende nel cielo
terso emanando ancora un lieve calore, il vento scuote le fronde degli alberi e
alza le foglie in un turbinio senza fine, il cancelletto sbatte in lontananza,
un cane abbaia, cominciando a rincorrere la pallina lanciata da un bambino che
ride, la voce della madre lo redarguisce, uno stormo di uccelli di alza,
stridendo, il ragazzo che porta il giornale augura buongiorno, lancia il
giornale e colpisce sulla fronte l'uomo più burbero dell'isolato, l'uomo lancia
un imprecazione seguita dal giornale, il ragazzo scappa, si sente da lontano la
macchina della donna che abita in fondo al rione, va a lavorare, lo fa ogni
mattina.
Tutto come una tranquilla mattina di ottobre, come una
delle tante, o almeno per le persone che lo circondavano.
Per lui quel giorno era l'inizio, l'inizio e la fine, era
l'inizio della sua condizione: non c'erano più i colori, non esistevano più le
forme, c'era solo buio, un baratro scuro.
La luce si era spenta quattro anni prima, in quella radura
deserta e non poteva evitarsi di ripensarci ogni giorno, di sognarla ogni
notte, quella maledetta sera: era ottobre e pioveva, era buio, c'erano tante
persone e c'era LUI.
Non ricordava il dolore che aveva provato ma quello che
aveva sentito agli occhi non lo avrebbe mai abbandonato: era lancinante,
perforante, era stato così forte che aveva gridato come mai nella vita, in un
istante aveva visto abbassarsi un pesante telone che lo separava dai colori,
dalle persone, e tutto era sagoma, ombra scura in movimento.
L'ultima forma che aveva visto era un viso bianco
stupefatto e l'ultimo colore era il verde, le ultime parole che aveva gridato
prima di cadere a terra e tenersi gli occhi erano state due, l'ultima frase
sussurrata era stata 'Dio...' poi era caduto, la pioggia gli batteva contro con
violenza.
Si era risvegliato dal limbo bianco aprendo gli occhi sul
nero.
Ed era iniziata la sua nuova vita, una vita da incubo, nel
baratro, nell'oscurità.
Per la sua nuova vita aveva voluto una nuova identità, una
nuova casa a cui tornare, una nuova città dove abitare: aveva scelto la Scozia,
aveva scelto una sperduta cittadina nel freddo e nella nebbia dove la gente credeva
nei folletti e stava attenta a non mettere piede in fallo in un cerchio di
funghi.
Aveva scelto una casetta semplice, non troppo grande, con
un piccolo giardino. Aveva trovato lavoro e tante persone accanto. Aveva
ricominciato la sua nuova vita con il nome di Harold Black, lui che era stato
Harry James Potter, il Salvatore,
Colui-che-è-ruscito-a-sconfiggere-Colui-che-non-deve-essere-nominato.
Era cominciata per lui una nuova vita: era stata difficile
all'inizio ma a poco a poco l'abitudine era diventata l'unica cosa che lo
salvava dall'impazzire, l'olfatto e il tatto e l'udito avevano preso forma di
ricordi che rendevano tutto più vivo, gli occhi solo misero strumento sempre
chiusi, serrati. Aveva imparato a mettere tutto in una posizione, di sistemare
tutto metodicamente, di dare ad ogni oggetto un posto ben preciso, di
memorizzarlo, di stare attento a non spostare nulla.
E aveva vissuto. Fino ad allora, fino a quando al quarto
anniversario della morte della luce.
Harold si sistemò la pesante sciarpona di lana attorno al
collo mentre raccoglieva la cartellina da sopra la sedia accanto all'ingresso.
Aprì la porta e la richiuse dietro di sè, dando tre giri di chiave.
"Un passo, un gradino... un passo, un gradino...
dodici passi, il cancello" era tutto come ogni mattina. Tirò il
chiavistello e si diresse verso destra, costeggiando i paletti bianchi delle
staccionate. Rivolse come ogni mattina lo sguardo al cielo, senza aprire gli
occhi, e poi alla casa di fronte, dove abitava la babbana più stramba che avesse
mai conosciuto, quella che le aveva cucito la sciarpona.
- Buondì, signor Black - la vicina di casa, una corpulenta
signora con la fissazione per il tè.
- Buongiorno a lei, signora Cook - rispose cortesemente
Harold.
- Splendida giornata, non trova, signor Black? - l'amica
pettegola della signora Cook. Probabilmente aveva utilizzato come scusa lo
zucchero che mancava per andare a sedere al tavolino del tè della signora Cook
- Mi raccomando, caro, copriti, il vento è tremendo! E passa qualche giorno, caro,
una fetta di crostata è sempre pronta per te! -
Harold poteva immaginarsi la signora magra canticchiare
vecchie canzoni degli anni cinquanta mentre sfornava una crostata ai mirtilli.
Poteva persino immaginarsi che colore poteva avere.
- Troppo gentile, signora Middlewest - altri passi, poteva
sentirle Harold, cominciare a confabulare del 'caro signor Black. Così
gentile... lo sa che l'altra volta mi ha risistemato il tubo che perdeva? Mi ha
risparmiato moltissime seccature con l'idraulico! Quell'incapace!'
Harold si strinse ancora un po' la sciarpa prima che un grido lo distrasse dal suo abituale conteggio inconsapevole: - SPOOK! SPOOKY! - e prima di ritrovarsi aggrappato al paletto della staccionata mentre un enorme labrador strusciava il muso contro il cappotto.
- Calma, Spook! - Harold sorrise mentre il cane tornò con
piedi per terra, guaendo felice. Poteva immaginarlo scodinzolare.
- Harold! - la voce del bambino lo investì - Ciao Harold!
Spook ti adora! Sa sempre quando passi di qui! - era Timmy Crawford, il figlio
dei signori Crawford, di due case più avanti dell'abitazione Black.
- Timmy! Quante volte ti devo dire di tenere a bada Spook?
Lo sai quanto sia scalmanato! - la signora Crawford redarguì il figlio minore -
Signor Harold! Buongiorno! -
- Buongiorno Dana. Ehi, Timmy, non dovresti essere a scuola
oggi? - Harold non poteva smettere di sorridere. Era una famiglia così felice.
- Il signorino Timmy fa i capricci! - replicò Dana - E se
Henna non si sbriga a fare colazione faranno in ritardo tutti e due! -
Harold continuò ad accarezzare il capo di Spook con carezze
dolci. In quel momento uscì di casa la figlia maggiore dei Crawford: Henna
Crawford, diciassette anni.
Harold sapeva che tutta la famiglia avevano i capelli
castani e gli occhi verdi ma per Dana e Henna era leggermente diverso: gli
occhi erano più chiari mentre i capelli tendevano al rossiccio.
Tutti e quattro formavano la famiglia più felice che Harold
conoscesse e spesso si ritrovava a cena da loro, nella spaziosa cucina tra le
parole ammirate di Timmy che lo adorava, i guaiti di Spook, i sorrisi
silenziosi di Henna con le sue premure, le voci cordiali di Dana e Richard.
- Sono pronta! E se
questa piccola peste mi fa ritardare... - la voce di Henna si alzò e Harold
capì dalla pausa che la ragazza si era accorta di lui, la poteva sentire
arrossire e socchiudere gli occhi giada per l'imbarazzo al di sotto del pallido
ombretto rosato - Oh... Harold... non... è una splendida giornata, non trovi? -
- Ottima anche se un po' ventosa. Vi lascio, a presto. Su,
Spook, ora lasciami - e si allontanò salutando mentre veniva ricambiato. Dana
fece salire in macchina cane e figli e partirono per la scuola cittadina,
salutandolo.
"Trentacinque passi al prossimo cancello..."
ripetè mentalmente come un automa. Sentì il campanile della chiesa battere le
ore e un rombo di macchina che si avvicinava con grande velocità.
Ghignò quando lo stridio di freni gli annunciò che la
macchina si era fermata accanto al marciapiede, fiancheggiandolo: - Buongiorno
Gary - Harold poteva immaginare i suoi biondi capelli tirati indietro dagli
occhiali da sole con le lenti chiare, i suoi occhi ambra e la mascella
pronunciata.
- Ehilà, Harold! - lo salutò l'altro - Come faccio a farti una sorpresa quando sai esattamente quando esco dal garage? Sei assurdo! Vabbè, salta su, ti accompagno io al polo! -
Harold sapeva che era inutile discutere: Gary era più
cocciuto di un mulo e non abbandonava finchè non otteneva quello che voleva,
era fatto così, forse dipendeva dal fatto che era figlio unico di un vedovo
facoltoso e che era abituato ad averla sempre vinta.
"Due passi... portiera" Gary l'aveva
aperta prima e Harold si sedette, chiudendola.
- Perchè non mi aspetti direttamente di fronte casa? Ti devo sempre inseguire! - protestò Gary, ingranando la marcia.
Harold sospirò: - Realmente, Gary, fare una passeggiata al
mattino non è male -
- Fa freddo - replicò Gary - Ti prenderai un malanno,
stanne certo -
- Ogni volta che mi incontri perdi un sacco di tempo - cercò
di ribattere Harold poco convinto. Era sempre la solita discussione, iniziava e
cominciava sempre alla stessa maniera.
- Harold, stai diventando monotematico! Se arrivo in
ritardo in fabbrica non se ne accorge nessuno e se anche lo facessero non mi direbbero
niente - Gary era il capo dell'industria più importante della regione. Abitava
in fondo al rione, in una grande villa con un grande giardino e una piscina al
coperto, circondato dalla servitù e dall'arredamento vittoriano.
- Là! - esclamò poco dopo Gary, fermando la macchina -
Visto? Ci abbiamo messo poco! -
Harold sorrise: - Grazie del passaggio, Gary - aprì la
porta e uscì, prendendo la propria cartellina.
- A proposito, papà ti vuole a cena da noi. Per stasera ti
va bene? Ha bisogno della tua consulenza per un affare di vendita di
antiquariato - Gary si sporse leggermente, anche se Harold non poteva vederlo
aveva l'impressione che 'sentisse' le sue mosse.
- Va bene, vada per stasera. Ci vediamo dopo -
- A dopo bel moretto - rispose ridendo Gary e se ne andò a
tutta birra.
- Cos'è, si è deciso finalmente? - la voce allegra maschile
che aveva alle spalle fece sorridere Harold. Non aveva bisogno di voltarsi, era
semplicemente Bob.
- A fare cosa? -
- Certo, certo, fai il finto tonto - Bob rise. Harold
poteva immaginarsi i capelli lunghi alle spalle, raccolti in una coda bassa, il
suo accento irlandese e le lentiggini sul viso, sparse, che gli andavano
un'aria allegra, anzi, tutto di lui indicava quanto fosse una persona sempre di
ottimo umore - Ma tanto tutti l'hanno capito tranne te - gli passò una mano
sulla spalle - Su, andiamo, ho lezione tra venti minuti -
Bob era un collega di Harold, era docente di letteratura
antica mentre Harold insegnava Folklore, ed era il migliore in quel campo,
forse anche perchè aveva visto dal vivo le creature di cui parlava.
Il vento scosse i capelli ebano di Harold che sorrise. Gli
piaceva la sua vita là, era una vita tranquilla e senza eccessive
preoccupazioni, l'unica cosa che odiava era non poter aprire gli occhi e vedere
i colori.
Quando raggiunse l'aula docenti si posizionò dove sapeva
esserci lo specchio, proprio due spanne sopra il lavandino. Si tolse con le
mani bagnate gli occhiali dalle lenti scure e li ripiegò con cura nella tasca
del giaccone lungo che portava. Aveva tolto la sciarpa poco fa ma tentennava a
togliere il cappottone.
Appoggiò le mani al lavabo mentre l'acqua continuava a
scorrere, fredda, il suo capo era abbassato, gli occhi chiusi. Alzò la testa
all'altezza dello specchio.
Aprì gli occhi.
Non vide nulla, solo buio. Come sempre.
Lo specchio rimandava l'immagine di un giovane ventenne
affascinante, labbra carnose e capelli scompigliati neri, naso regolare e occhi
fissi a guardare qualcosa che non c'era, a scrutare nel buio una lieve
fiammella che non esisteva, a ricercare nel baratro senza fine una luce alla
quale aggrapparsi prima di lasciarsi sopraffare.
Non la trovò.
Chiuse gli occhi. Lo specchio rimandò l'immagine di un viso
di ventenne stretto in una smorfia di sofferenza.
"Un passo indietro..."
*
Era un giorno come un altro, lo stesso sole pallido, stesso
vento freddo, stesse foglie sulle strade… un giorno come gli altri mille
precedenti.
Ma era un giorno speciale invece.
Quattro anni. Quattro anni alla battaglia finale tra il
Lord Oscuro e Harry Potter, l’ultimo giorno da trascorre nel terrore di non
veder tornare i propri cari, l’ultimo giorno di soffrire per molti, l’inizio di
un calvario per alcuni.
Sì, perché erano quattro anni che Harry Potter era divenuto
cieco.
Ricordava la sua veemente disperazione quando aveva appreso
che non avrebbe più visto nulla e l’unico colore che avrebbe potuto carpire era
il nero…
- Pahaà! -
Ronald Weasley alzò lo sguardo dalla ‘Gazzetta del Profeta’
odierna per fissarlo, divertito, sul suo primogenito Lytton Harry che stava
spargendo su tutto il seggiolone e il tavolo della cucina la sua pappa.
Il ragazzo fissò con dolcezza il frugoletto dagli occhi
nocciola prima di alzarsi, appoggiando il giornale sul tavolo, e prenderlo in
braccio: - Che cos’hai Ly? Lo sai che la mamma si arrabbia se non mangi la
pappa… e si arrabbierà con me, mica con te - Lytton rise alzando le braccine e
scotendole.
Ron scosse la testa: - Imparerai crescendo che non bisogna
contrariare la mamma! - e proprio in quel momento entrò nella stretta cucina
una giovane donna.
- Ron! - esclamò Hermione Granger - Cosa ti ho detto in
proposito di Lytton? Lo sai che deve magiare tutta la pappa, non spalmarla sul
tavolo! -
- Ma Herm! È un bambino, cosa pretendi? - protestò Ron.
Lytton battè le mani, divertito alla consueta schermaglia dei genitori.
- Pretendo, Ron, che tu ti occupi del bambino quando non
posso farlo! - Hermione lanciò un’occhiata al marito di avvertimento che lo
fece immediatamente balbettare - Certo, ‘Mione, hai ragione - Hermione,
soddisfatta nella capitolazione del marito, prese in braccio il piccolo Weasley
e cercando di fargli mangiare almeno un boccone. Naturalmente il bambino non le
diede retta.
- Va bene, va bene, Ly! - sbuffò Hermione - Mangerai dalla
nonna, va bene tesoro? Ron, io vado, cerca di essere puntuale stasera a cena! -
gli schioccò un bacio sulla guancia prima di smaterializzarsi alla Tana per
portare il figlio dalla nonna Molly.
Ron scosse la testa e fece per tornare a leggere la
gazzetta quando qualcuno suonò il campanello con quieta insistenza.
Attraversò il vestibolo e raggiunse la porta tutto in pochi
passi, non è che lui e sua moglie navigassero nell’oro quindi non si erano
potuti permettere una casa troppo grande, poi, con il bambino, la convivenza
era divenuta un po’ più problematica. Ora stavano pensando di traslocare in un
appartamento più grande, sempre nel centro londinese.
Ron aprì la porta con un sorriso prima che questo morì al
riconoscere la persona che aveva suonato il campanello di casa sua.
Era la persona che meno di aspettava di rivedere dopo due
anni, era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere, una delle prime che
avrebbe voluto dimenticare, la persona meno benvenuta in casa Granger- Weasley.
Era Draco Malfoy.
Sembrava non esser cambiato molto in quei due anni: era
sempre il solito biondissimo furetto bastardo che sempre conosceva con i suoi
vestiti raffinati ed eleganti, il portamento fine e strafottente. “Insomma,
sempre il solito stronzo!”
- Che diavolo vuoi da me? - lo assalì immediatamente Ron,
senza nemmeno celare la sua espressione di disgusto che gli aveva deformato il
viso.
- Risparmiati le domande, Weasley - rispose con tono
urgente Malfoy - Non sono qui per salutarti, sono qui per Potter -
- E lo vieni a cercare qui? - Ron rise amaramente - Sono
quattro anni che non lo vedo - cercò di dirlo neutrale ma proprio non ci
riusciva. Gli uscì un tono di voce triste.
Draco Malfoy si tolse gli occhiali da sole che avevano
celato i suoi occhi grigi e lo fissò duramente: - Io sono quattro anni che lo
cerco -
Continua...
Mistress Lay