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Autore: Mistress Lay    18/06/2006    38 recensioni
Tre passi al tavolo, cinque alla credenza... dov'è il miele? Ah, eccolo qui. Cinque passi al tavolo... la sedia, un passo. Oggi dev'essere una giornata ventosa, le foglie stanno turbinando fuori. La finestra! Devo ricordarmi di andare a chiuderla dopo colazione... dov' il tea? Ah, eccolo... si sta raffreddando. Ora lo alzo e brindo: quattro anni. Sono quattro anni che sono cieco
Genere: Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza luce, il buioML

Senza luce, il buio

By: Mistress Lay

Plot: Tre passi al tavolo, cinque alla credenza... dov'è il miele? Ah, eccolo qui. Cinque passi al tavolo... la sedia, un passo. Oggi dev'essere una giornata ventosa, le foglie stanno turbinando fuori. La finestra! Devo ricordarmi di andare a chiuderla dopo colazione... dov' il tea? Ah, eccolo... si sta raffreddando. Ora lo alzo e brindo: quattro anni. Sono quattro anni che sono cieco

Disclaimer: personaggi e situazioni appartengono a J. K. Rowling, nuovi personaggi, nuove situazioni e le conseguenti elucubrazioni malate appartengono purtroppo alla sottoscritta che si scusa già in anticipo

Notes: Dopo tanti annunci rimandati parte la mia nuova fic. Lo so che ho altre fic da continuare e non dovete preoccuparvi, nessuna sarà abbandonata, inoltre di qst fic sono già pronti per il postaggio quattro capitoli… ora, il programma sarebbe di aggiornare una volta alla settimana ma non ne sono sicura visto che poi a luglio parto. Sicuramente prima della partenza tutte le fic verranno aggiornate, don’t worry! XD

E ora, buona lettura e mi raccomando… lasciate una traccia, anche minima, del vostro passaggio! ^^

 

 

 

Dedicata a te, P.S.

L’hai detto anche tu: ogni mia fic è scritta dal cuore ed è vero, è un pezzetto di me.

E ti dedico questa, affinché tu possa ascoltare il battito del mio cuore vicino a te, perché non esiste solamente il dolore.

Asciugati le lacrime

 

 

 

Capitolo Primo - Tutto il mondo in un passo

 

- E tuttavia quello che [gli uomini] cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua -

- Certo - risposi. E il Piccolo Principe soggiunse: - Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare con il cuore -

Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe

 

 

"Tre passi al tavolo, cinque alla credenza... dov'è il miele? Ah, eccolo qui. Cinque passi al tavolo... la sedia, un passo. Oggi dev'essere una giornata ventosa, le foglie stanno turbinando fuori. La finestra! Devo ricordarmi di andare a chiuderla dopo colazione... dov' il tea? Ah, eccolo... si sta raffreddando. Ora lo alzo e brindo: quattro anni. Sono quattro anni che sono cieco"

 

Primi giorni di ottobre. Fuori il sole risplende nel cielo terso emanando ancora un lieve calore, il vento scuote le fronde degli alberi e alza le foglie in un turbinio senza fine, il cancelletto sbatte in lontananza, un cane abbaia, cominciando a rincorrere la pallina lanciata da un bambino che ride, la voce della madre lo redarguisce, uno stormo di uccelli di alza, stridendo, il ragazzo che porta il giornale augura buongiorno, lancia il giornale e colpisce sulla fronte l'uomo più burbero dell'isolato, l'uomo lancia un imprecazione seguita dal giornale, il ragazzo scappa, si sente da lontano la macchina della donna che abita in fondo al rione, va a lavorare, lo fa ogni mattina.

Tutto come una tranquilla mattina di ottobre, come una delle tante, o almeno per le persone che lo circondavano.

Per lui quel giorno era l'inizio, l'inizio e la fine, era l'inizio della sua condizione: non c'erano più i colori, non esistevano più le forme, c'era solo buio, un baratro scuro.

La luce si era spenta quattro anni prima, in quella radura deserta e non poteva evitarsi di ripensarci ogni giorno, di sognarla ogni notte, quella maledetta sera: era ottobre e pioveva, era buio, c'erano tante persone e c'era LUI.

Non ricordava il dolore che aveva provato ma quello che aveva sentito agli occhi non lo avrebbe mai abbandonato: era lancinante, perforante, era stato così forte che aveva gridato come mai nella vita, in un istante aveva visto abbassarsi un pesante telone che lo separava dai colori, dalle persone, e tutto era sagoma, ombra scura in movimento.

L'ultima forma che aveva visto era un viso bianco stupefatto e l'ultimo colore era il verde, le ultime parole che aveva gridato prima di cadere a terra e tenersi gli occhi erano state due, l'ultima frase sussurrata era stata 'Dio...' poi era caduto, la pioggia gli batteva contro con violenza.

 

Si era risvegliato dal limbo bianco aprendo gli occhi sul nero.

Ed era iniziata la sua nuova vita, una vita da incubo, nel baratro, nell'oscurità.

 

Per la sua nuova vita aveva voluto una nuova identità, una nuova casa a cui tornare, una nuova città dove abitare: aveva scelto la Scozia, aveva scelto una sperduta cittadina nel freddo e nella nebbia dove la gente credeva nei folletti e stava attenta a non mettere piede in fallo in un cerchio di funghi.

Aveva scelto una casetta semplice, non troppo grande, con un piccolo giardino. Aveva trovato lavoro e tante persone accanto. Aveva ricominciato la sua nuova vita con il nome di Harold Black, lui che era stato Harry James Potter, il Salvatore, Colui-che-è-ruscito-a-sconfiggere-Colui-che-non-deve-essere-nominato.

Era cominciata per lui una nuova vita: era stata difficile all'inizio ma a poco a poco l'abitudine era diventata l'unica cosa che lo salvava dall'impazzire, l'olfatto e il tatto e l'udito avevano preso forma di ricordi che rendevano tutto più vivo, gli occhi solo misero strumento sempre chiusi, serrati. Aveva imparato a mettere tutto in una posizione, di sistemare tutto metodicamente, di dare ad ogni oggetto un posto ben preciso, di memorizzarlo, di stare attento a non spostare nulla.

 

 

E aveva vissuto. Fino ad allora, fino a quando al quarto anniversario della morte della luce.

 

Harold si sistemò la pesante sciarpona di lana attorno al collo mentre raccoglieva la cartellina da sopra la sedia accanto all'ingresso. Aprì la porta e la richiuse dietro di sè, dando tre giri di chiave.

"Un passo, un gradino... un passo, un gradino... dodici passi, il cancello" era tutto come ogni mattina. Tirò il chiavistello e si diresse verso destra, costeggiando i paletti bianchi delle staccionate. Rivolse come ogni mattina lo sguardo al cielo, senza aprire gli occhi, e poi alla casa di fronte, dove abitava la babbana più stramba che avesse mai conosciuto, quella che le aveva cucito la sciarpona.

- Buondì, signor Black - la vicina di casa, una corpulenta signora con la fissazione per il tè.

- Buongiorno a lei, signora Cook - rispose cortesemente Harold.

- Splendida giornata, non trova, signor Black? - l'amica pettegola della signora Cook. Probabilmente aveva utilizzato come scusa lo zucchero che mancava per andare a sedere al tavolino del tè della signora Cook - Mi raccomando, caro, copriti, il vento è tremendo! E passa qualche giorno, caro, una fetta di crostata è sempre pronta per te! -

Harold poteva immaginarsi la signora magra canticchiare vecchie canzoni degli anni cinquanta mentre sfornava una crostata ai mirtilli. Poteva persino immaginarsi che colore poteva avere.

- Troppo gentile, signora Middlewest - altri passi, poteva sentirle Harold, cominciare a confabulare del 'caro signor Black. Così gentile... lo sa che l'altra volta mi ha risistemato il tubo che perdeva? Mi ha risparmiato moltissime seccature con l'idraulico! Quell'incapace!'

Harold si strinse ancora un po' la sciarpa prima che un grido lo distrasse dal suo abituale conteggio inconsapevole: - SPOOK! SPOOKY! - e prima di ritrovarsi aggrappato al paletto della staccionata mentre un enorme labrador strusciava il muso contro il cappotto.

- Calma, Spook! - Harold sorrise mentre il cane tornò con piedi per terra, guaendo felice. Poteva immaginarlo scodinzolare.

- Harold! - la voce del bambino lo investì - Ciao Harold! Spook ti adora! Sa sempre quando passi di qui! - era Timmy Crawford, il figlio dei signori Crawford, di due case più avanti dell'abitazione Black.

- Timmy! Quante volte ti devo dire di tenere a bada Spook? Lo sai quanto sia scalmanato! - la signora Crawford redarguì il figlio minore - Signor Harold! Buongiorno! -

- Buongiorno Dana. Ehi, Timmy, non dovresti essere a scuola oggi? - Harold non poteva smettere di sorridere. Era una famiglia così felice.

- Il signorino Timmy fa i capricci! - replicò Dana - E se Henna non si sbriga a fare colazione faranno in ritardo tutti e due! -

Harold continuò ad accarezzare il capo di Spook con carezze dolci. In quel momento uscì di casa la figlia maggiore dei Crawford: Henna Crawford, diciassette anni.

Harold sapeva che tutta la famiglia avevano i capelli castani e gli occhi verdi ma per Dana e Henna era leggermente diverso: gli occhi erano più chiari mentre i capelli tendevano al rossiccio.

Tutti e quattro formavano la famiglia più felice che Harold conoscesse e spesso si ritrovava a cena da loro, nella spaziosa cucina tra le parole ammirate di Timmy che lo adorava, i guaiti di Spook, i sorrisi silenziosi di Henna con le sue premure, le voci cordiali di Dana e Richard.

- Sono pronta!  E se questa piccola peste mi fa ritardare... - la voce di Henna si alzò e Harold capì dalla pausa che la ragazza si era accorta di lui, la poteva sentire arrossire e socchiudere gli occhi giada per l'imbarazzo al di sotto del pallido ombretto rosato - Oh... Harold... non... è una splendida giornata, non trovi? -

- Ottima anche se un po' ventosa. Vi lascio, a presto. Su, Spook, ora lasciami - e si allontanò salutando mentre veniva ricambiato. Dana fece salire in macchina cane e figli e partirono per la scuola cittadina, salutandolo.

"Trentacinque passi al prossimo cancello..." ripetè mentalmente come un automa. Sentì il campanile della chiesa battere le ore e un rombo di macchina che si avvicinava con grande velocità.

Ghignò quando lo stridio di freni gli annunciò che la macchina si era fermata accanto al marciapiede, fiancheggiandolo: - Buongiorno Gary - Harold poteva immaginare i suoi biondi capelli tirati indietro dagli occhiali da sole con le lenti chiare, i suoi occhi ambra e la mascella pronunciata.

- Ehilà, Harold! - lo salutò l'altro - Come faccio a farti una sorpresa quando sai esattamente quando esco dal  garage? Sei assurdo! Vabbè, salta su, ti accompagno io al polo! -

Harold sapeva che era inutile discutere: Gary era più cocciuto di un mulo e non abbandonava finchè non otteneva quello che voleva, era fatto così, forse dipendeva dal fatto che era figlio unico di un vedovo facoltoso e che era abituato ad averla sempre vinta.

"Due passi... portiera" Gary l'aveva aperta prima e Harold si sedette, chiudendola.

- Perchè non mi aspetti direttamente di fronte casa? Ti devo sempre inseguire! - protestò Gary, ingranando la marcia.

Harold sospirò: - Realmente, Gary, fare una passeggiata al mattino non è male -

- Fa freddo - replicò Gary - Ti prenderai un malanno, stanne certo -

- Ogni volta che mi incontri perdi un sacco di tempo - cercò di ribattere Harold poco convinto. Era sempre la solita discussione, iniziava e cominciava sempre alla stessa maniera.

- Harold, stai diventando monotematico! Se arrivo in ritardo in fabbrica non se ne accorge nessuno e se anche lo facessero non mi direbbero niente - Gary era il capo dell'industria più importante della regione. Abitava in fondo al rione, in una grande villa con un grande giardino e una piscina al coperto, circondato dalla servitù e dall'arredamento vittoriano.

- Là! - esclamò poco dopo Gary, fermando la macchina - Visto? Ci abbiamo messo poco! -

Harold sorrise: - Grazie del passaggio, Gary - aprì la porta e uscì, prendendo la propria cartellina.

- A proposito, papà ti vuole a cena da noi. Per stasera ti va bene? Ha bisogno della tua consulenza per un affare di vendita di antiquariato - Gary si sporse leggermente, anche se Harold non poteva vederlo aveva l'impressione che 'sentisse' le sue mosse.

- Va bene, vada per stasera. Ci vediamo dopo -

- A dopo bel moretto - rispose ridendo Gary e se ne andò a tutta birra.

- Cos'è, si è deciso finalmente? - la voce allegra maschile che aveva alle spalle fece sorridere Harold. Non aveva bisogno di voltarsi, era semplicemente Bob.

- A fare cosa? -

- Certo, certo, fai il finto tonto - Bob rise. Harold poteva immaginarsi i capelli lunghi alle spalle, raccolti in una coda bassa, il suo accento irlandese e le lentiggini sul viso, sparse, che gli andavano un'aria allegra, anzi, tutto di lui indicava quanto fosse una persona sempre di ottimo umore - Ma tanto tutti l'hanno capito tranne te - gli passò una mano sulla spalle - Su, andiamo, ho lezione tra venti minuti -

Bob era un collega di Harold, era docente di letteratura antica mentre Harold insegnava Folklore, ed era il migliore in quel campo, forse anche perchè aveva visto dal vivo le creature di cui parlava.

Il vento scosse i capelli ebano di Harold che sorrise. Gli piaceva la sua vita là, era una vita tranquilla e senza eccessive preoccupazioni, l'unica cosa che odiava era non poter aprire gli occhi e vedere i colori.

 

 

Quando raggiunse l'aula docenti si posizionò dove sapeva esserci lo specchio, proprio due spanne sopra il lavandino. Si tolse con le mani bagnate gli occhiali dalle lenti scure e li ripiegò con cura nella tasca del giaccone lungo che portava. Aveva tolto la sciarpa poco fa ma tentennava a togliere il cappottone.

Appoggiò le mani al lavabo mentre l'acqua continuava a scorrere, fredda, il suo capo era abbassato, gli occhi chiusi. Alzò la testa all'altezza dello specchio.

 

Aprì gli occhi.

 

Non vide nulla, solo buio. Come sempre.

 

Lo specchio rimandava l'immagine di un giovane ventenne affascinante, labbra carnose e capelli scompigliati neri, naso regolare e occhi fissi a guardare qualcosa che non c'era, a scrutare nel buio una lieve fiammella che non esisteva, a ricercare nel baratro senza fine una luce alla quale aggrapparsi prima di lasciarsi sopraffare.

 

Non la trovò.

 

Chiuse gli occhi. Lo specchio rimandò l'immagine di un viso di ventenne stretto in una smorfia di sofferenza.

 

 

"Un passo indietro..."

 

 

 

*

 

 

 

Era un giorno come un altro, lo stesso sole pallido, stesso vento freddo, stesse foglie sulle strade… un giorno come gli altri mille precedenti.

Ma era un giorno speciale invece.

Quattro anni. Quattro anni alla battaglia finale tra il Lord Oscuro e Harry Potter, l’ultimo giorno da trascorre nel terrore di non veder tornare i propri cari, l’ultimo giorno di soffrire per molti, l’inizio di un calvario per alcuni.

Sì, perché erano quattro anni che Harry Potter era divenuto cieco.

Ricordava la sua veemente disperazione quando aveva appreso che non avrebbe più visto nulla e l’unico colore che avrebbe potuto carpire era il nero…

 

- Pahaà! -

 

Ronald Weasley alzò lo sguardo dalla ‘Gazzetta del Profeta’ odierna per fissarlo, divertito, sul suo primogenito Lytton Harry che stava spargendo su tutto il seggiolone e il tavolo della cucina la sua pappa.

Il ragazzo fissò con dolcezza il frugoletto dagli occhi nocciola prima di alzarsi, appoggiando il giornale sul tavolo, e prenderlo in braccio: - Che cos’hai Ly? Lo sai che la mamma si arrabbia se non mangi la pappa… e si arrabbierà con me, mica con te - Lytton rise alzando le braccine e scotendole.

Ron scosse la testa: - Imparerai crescendo che non bisogna contrariare la mamma! - e proprio in quel momento entrò nella stretta cucina una giovane donna.

- Ron! - esclamò Hermione Granger - Cosa ti ho detto in proposito di Lytton? Lo sai che deve magiare tutta la pappa, non spalmarla sul tavolo! -

- Ma Herm! È un bambino, cosa pretendi? - protestò Ron. Lytton battè le mani, divertito alla consueta schermaglia dei genitori.

- Pretendo, Ron, che tu ti occupi del bambino quando non posso farlo! - Hermione lanciò un’occhiata al marito di avvertimento che lo fece immediatamente balbettare - Certo, ‘Mione, hai ragione - Hermione, soddisfatta nella capitolazione del marito, prese in braccio il piccolo Weasley e cercando di fargli mangiare almeno un boccone. Naturalmente il bambino non le diede retta.

- Va bene, va bene, Ly! - sbuffò Hermione - Mangerai dalla nonna, va bene tesoro? Ron, io vado, cerca di essere puntuale stasera a cena! - gli schioccò un bacio sulla guancia prima di smaterializzarsi alla Tana per portare il figlio dalla nonna Molly.

Ron scosse la testa e fece per tornare a leggere la gazzetta quando qualcuno suonò il campanello con quieta insistenza.

Attraversò il vestibolo e raggiunse la porta tutto in pochi passi, non è che lui e sua moglie navigassero nell’oro quindi non si erano potuti permettere una casa troppo grande, poi, con il bambino, la convivenza era divenuta un po’ più problematica. Ora stavano pensando di traslocare in un appartamento più grande, sempre nel centro londinese.

Ron aprì la porta con un sorriso prima che questo morì al riconoscere la persona che aveva suonato il campanello di casa sua.

 

Era la persona che meno di aspettava di rivedere dopo due anni, era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere, una delle prime che avrebbe voluto dimenticare, la persona meno benvenuta in casa Granger- Weasley.

 

Era Draco Malfoy.

 

Sembrava non esser cambiato molto in quei due anni: era sempre il solito biondissimo furetto bastardo che sempre conosceva con i suoi vestiti raffinati ed eleganti, il portamento fine e strafottente. “Insomma, sempre il solito stronzo!

 

- Che diavolo vuoi da me? - lo assalì immediatamente Ron, senza nemmeno celare la sua espressione di disgusto che gli aveva deformato il viso.

- Risparmiati le domande, Weasley - rispose con tono urgente Malfoy - Non sono qui per salutarti, sono qui per Potter -

- E lo vieni a cercare qui? - Ron rise amaramente - Sono quattro anni che non lo vedo - cercò di dirlo neutrale ma proprio non ci riusciva. Gli uscì un tono di voce triste.

Draco Malfoy si tolse gli occhiali da sole che avevano celato i suoi occhi grigi e lo fissò duramente: - Io sono quattro anni che lo cerco -

 

 

Continua...

Mistress Lay

  
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