Hopeless
La vita è troppo breve per non credere in un futuro abbraccio.
Per
l’ennesima volta mi rigiro nel letto. I pensieri che si susseguono nella mia
testa sono confusi, pieni di interrogativi e di immagini che mi si parano
davanti come una processione.
Sospiro,
poi faccio un rapido conto sulle dita: manca pochissimo tempo a quel giorno e
Nick starà dormendo pacificamente nella stanza accanto alla mia. So di non
avere speranze, ma l’accetto: ho fatto l’errore di perdere la fiducia in me
stessa e di abbandonare le ultime energie che mi sono rimaste.
In
questo mese sono sempre stata un po’
incostante. Nonostante dica continuamente a Nick che quelle passate sono le
settimane più belle, non riesco a non segnare ogni giorno il calendario con
quel dannato pennarello: so che posso contare sul suo abbraccio ogni volta che
lo faccio, è forse per questo che non smetto. Mi sembra sempre che stia andando
al patibolo.
Da
una parte sono fortunata, però. Contrariamente a molti casi, il mio tumore non
mi ha mai fatto così male e l’ho sempre ignorato pensando ad altro. Quando ne
sono venuta a conoscenza l’anno scorso, però, sono caduta nell’angoscia in una
fase che è arrivata fino alla rassegnazione e poi alla rinascita.
Mi ero appena
sentita male a scuola ed Emy, nella sua falsa preoccupazione, mi fissava mentre
mi piegavo in due dal dolore. Sapevo che non era qualcosa di positivo e i
dolori persistevano da tempo ormai, ma non ne avevo fatto parola con nessuno:
né con i miei genitori, né con quella che consideravo la mia migliore amica.
Quando la
professoressa si chinò a darmi una mano, la tranquillizzai.
“Non ho niente,
signora Kein, davvero. Sto bene.” le mie parole però risuonavano inverosimili
anche alla sottoscritta.
I miei genitori
furono chiamati dal preside e mia madre, presa dal panico per ciò che mi era
successo, mi portò dal medico: fu qui che lei fu buttata fuori dalla stanza
perché non credeva alla diagnosi. Si mise a urlare, piangere e strepitare,
incapace di credere che la sua unica figlia fosse malata.
In un attimo mi
trovai da sola con il dottore che mi fissava dalla sua sedia in pelle; non mi
tremavano neanche le mani nonostante la sgradevole notizia.
“Brittany, da
quanto tempo senti questi dolori?”
Avrei voluto
mentire ancora una volta, ma cedetti alle pressioni che quell’uomo continuava a
esercitare sul mio animo: pareva che sapesse tutto, ogni singola cosa.
“Tanto tempo, non
so quanto di preciso” bisbigliai, rendendomi poco udibile anche per me.
Non ero scossa,
affatto… solo sorpresa. Ma non c’era niente che poteva realmente impedirmi di
prendere le mie decisioni, e il medico parve capire il mio stato d’animo
relativamente tranquillo. Sapevo che appena uscita di lì sarei esplosa.
“Non l’avevi mai
detto a nessuno?” chiese il dottore, guardando gli spiriti bollenti che si
agitavano dentro di me oltre le lenti degli occhiali riquadrati. Scossi la
testa. “Sarò sincero con te, Brittany. È grave, ormai alla metastasi. Sai che
vuol dire? Che il tumore si è ormai propagato ad altri organi; possiamo provare
a curarti, ci sono tecniche avanzate al giorno d’oggi”
Non c’era
minimamente il bisogno che lui mi dicesse il significato di metastasi: la
probabilità di sopravvivenza era pari a zero, soltanto un miracolo avrebbe
permesso la mia salvezza. Sia la radioterapia che la chemioterapia potevano
solamente allungare la prospettiva della mia vita, ma non curarmi. E allora a
cosa serviva?
Essendo stata in
silenzio per la maggior parte del tempo, il medico non si fece scrupolo di
elencarmi le varie opzioni. Opzioni che non avrei preso neanche in
considerazione.
“La radioterapia e
la chemioterapia possono aiutarti. Ci sono state alcune persone che sono
guarite grazie a queste due tecniche, poi le conseguenze variano da individuo a
individuo. Il tuo corpo potrebbe reagire in meglio; c’è una buona probabilità
che succeda, Brittany” proseguì il medico. La dolcezza con cui mi chiamava mi
faceva sentire una bambina piccola e indifesa, e in quel momento non avevo
bisogno di compassione. “Oppure potresti operarti per rimuoverlo dalla parte
centrale, ma sarà comunque esteso ad altri organi”
“Non farò nessuna
cura, stiamo parlando della qualità della vita non di un modo per cancellare il
tumore che ho dentro di me. So che non posso prendere questo tipo di decisioni
perché non ho ancora diciotto anni compiuti, ma i miei non ostacoleranno la mia
scelta.” dissi più convinta che mai.
Il dottore parve
stupito dalla maturità con la quale avevo risposto: a diciassette anni non
molti erano come me e accettò la mia decisione senza commenti, accennando solo
un movimento con la testa.
Il silenzio che
riempì quella stanza gravò pesantemente in quel momento. Mia madre aveva smesso
da un po’ di urlare, ormai non c’era più niente da dire: quanto mi sarebbe
rimasto ancora? Un anno, mesi, settimane? O giorni? In quel caso mi strinsi le
braccia turbata, meravigliandomi di quante cose non avessi fatto ancora. E che
probabilmente non avrei mai fatto.
“Quanto manca?”
L’espressione del
dottore fu indecifrabile. “Non siamo in grado di stabilire quanto tempo occorrerà
affinché il tumore prendi il sopravvento, le persone variano.”
Le frasi, il
periodo che aveva costruito, era un facile modo per dirmi che avevo un anno e
qualche mese. Contrariamente a tutto, non feci in modo di stendere una lista
con i miei obbiettivi.
Aspettai
passivamente, da sola. Finché Nicholas non sconquassò tutto.
Sono
fortunata: il tumore non si manifesta così fortemente, non mi sento né debole
né priva di energie, a volte solo un po’ sconsolata. In molti casi le persone
muoiono nei loro letti, quando la malattia ha preso il sopravvento: da una
parte spero che mi spenga nel sonno, non con dolori ovunque.
Non
c’è molto altro da dire, tranne che ora ho tanti rimorsi e tanti rimpianti, ma
tanto li dimenticherò presto. Dimenticherò quelli, le poche persone a me care,
la mia famiglia, i miei amici, ciò che ho vissuto, ciò che ho fatto, ciò che ho
condiviso, il pianoforte, la musica. Anche quelle dimostrazioni d’affetto con
Nick si dissolveranno, magari poi rinascerò sotto forma di gatto o cactus. O
forse, se esiste il paradiso, potrò un giorno rincontrarlo e sperare di nuovo
che tutto si ripeta come un film.
La vita è troppo breve per non credere in un futuro abbraccio.
L'angolo di Mari
Buonasera, Donzelle!
Sono io, sì, sono tornata con questo tristissimo MM che avevo anticipato in Hopeless qualche tempo fa e che avrebbe spiegato le circostanze in cui Brittany aveva saputo del cancro. La storia della qualità della vita la attribuisco a Nicholas Sparks nella sua Ultima Canzone, da cui ho preso solo la frase: "stiamo parlando della qualità della vita" il resto è mio; l'ultima frase che è quella del titolo appartiene a delle persone che conosco e a cui sono molto vicina in questi momenti.
Ah, con questo dico addio alla sezione dei Jonas Brothers. Sono felicissima di essere stata qui e di aver conosciuto persone meravigliose a cui devo molto, quindi vi voglio molto bene :') Se volete trovarmi, sono nella situazione One Direction temporaneamente e poi mi sposterò nella sezione Originale Romantico per sfidare me stessa... voglio vedere come va. Grazie mille a tutti per avermi accompagnata fin qui :)
Mari