Libri > Novecento
Ricorda la storia  |      
Autore: EffieSamadhi    12/10/2011    9 recensioni
Ero stato a scuola, da bambino, per un po’. Nell’insieme mi piaceva, era bello imparare cose che non sapevo, e mi ricordo che il maestro ci diceva che nessuno poteva fregarti sulle cose che sapevi. L’unica cosa che non sapevo erano le tabelline, proprio non mi entravano in testa. Mia sorella diceva che era per colpa della musica, che avevo in testa solo quella, e aveva riempito tutto lo spazio e per questo non ci stava più la matematica. Pensai che forse per Novecento era la stessa cosa: forse la musica gli aveva riempito tutto lo spazio, e quando cercavi di spingergli dentro qualcosa di nuovo, qualcos’altro usciva. Decisi di tirar fuori i modi di dire. “Lascia perdere i cavalli.”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '(Buone?) Storie in attesa di qualcuno a cui raccontarle.' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
10 Songs Challenge

Sala macchine del Virginian, Oceano

Gennaio 1927

 

“Ma tu te lo chiedi mai, ti chiedi mai da dove sei arrivato?”

“Da una scatola di cartone. Nel salone da ballo della prima classe, sopra il pianoforte.”

“No, questo lo so. Intendo, ti chiedi mai chi ti ha lasciato lì? Non ti viene mai voglia di sapere chi è lo stronzo che ti abbandonato?”

“No.”

La semplicità di Novecento era disarmante. Quasi trent’anni prima qualcuno lo aveva abbandonato, e mai una volta, non una sola volta in quei fottutissimi anni a lui era venuto in mente di chiedersi chi fosse stato, o perché, o a se qualcuno, magari, in tutti quegli anni, gli si fosse mai stretto il cuore dal rimorso.

“No?”

“No.”

No. Scemo io a far certe domande. Quasi trent’anni su quel fottuto piroscafo, come faceva a sapere che cosa fosse una famiglia, che cosa fosse un padre? A volte mi sembrava di non saperlo neanche io, eppure dei genitori li avevo avuti, per un po’.

“Quindi niente papà, niente mamma, nessuna fottutissima famiglia, e a te va bene così?”

“Credo… credo di sì. Che cos’è un papà?”

“Come sarebbe a dire che cos’è un papà?”

“Beh, cos’è una mamma lo so. Me l’ha spiegato Danny. Che cos’è un papà?”

“Beh, un papà è uno stronzo che mette incinta tua madre, e a volte si prende cura di te e a volte no. Direi che il tuo non l’ha fatto.”

“Ah, quindi è un cavallo.”

“Eh?”

“Se la mamma è un cavallo, e il papà se la fa con la mamma, allora per forza anche lui deve essere un cavallo.”

“La mamma è un… ma chi cazzo te l’ha detta una stronzata del genere?”

“Danny.”

Sugli occhi di Novecento calò un sipario, come sul palcoscenico di quei teatri in cui non avevo mai potuto mettere piede. Danny era stato suo padre, in un certo senso, e tutto ciò che gli aveva detto era vero quanto uno dei fottutissimi comandamenti del Signore. Chi cazzo ero io per distruggere quell’idea che aveva di lui? “Beh, non è che ti abbia detto proprio una stronzata, in fondo” cercai di correggermi. Però forse non si è spiegato proprio bene. Una mamma non è un cavallo. È come se lo fosse, ma non lo è.”

“E che cos’è, allora?”

“Beh, una mamma… una mamma è una donna, tutto qui.”

“Quindi tutte le donne sono mamme.”

“Non esattamente. Insomma, una donna diventa una mamma quando ha un figlio.”

“E per fare un figlio… serve un papà, giusto?”

“Giusto.”

“Nemmeno un papà è un cavallo, allora.”

“No, un papà non è un cavallo. Un papà è un uomo.”

“Ma non tutti gli uomini sono papà.”

Novecento cominciava ad entrare nel discorso. “Esatto. Un uomo diventa un papà soltanto quando ha figli.”

“Tu… tu hai figli?”

“Cielo, no, ho soltanto diciassette anni!”

“Ah. Che età ci vuole per diventare papà?”

“Che ne so? Immagino che sia una questione di testa, più che altro. Se ti funziona l’impianto, sei a cavallo.”

“Ma non hai detto che i cavalli non c’entravano?”

Ero stato a scuola, da bambino, per un po’. Nell’insieme mi piaceva, era bello imparare cose che non sapevo, e mi ricordo che il maestro ci diceva che nessuno poteva fregarti sulle cose che sapevi. L’unica cosa che non sapevo erano le tabelline, proprio non mi entravano in testa. Mia sorella diceva che era per colpa della musica, che avevo in testa solo quella, e aveva riempito tutto lo spazio e per questo non ci stava più la matematica. Pensai che forse per Novecento era la stessa cosa: forse la musica gli aveva riempito tutto lo spazio, e quando cercavi di spingergli dentro qualcosa di nuovo, qualcos’altro usciva. Decisi di tirar fuori i modi di dire. “Lascia perdere i cavalli.”

“Capisco. E a te l’impianto funziona?”

Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, signore e signori. Il più grande pianista del mondo, la persona più semplice e indelicata che abbia mai incontrato. “Sì” gli risposi, un po’ incazzato, “sì, a me l’impianto mi funziona benissimo. E a te?”

“Credo.”

“Come credi? O ti funziona, oppure no.”

“Non saprei, non ho mai controllato. Magari se mi spieghi come…”

“Ah no, caro mio, queste non sono cose che si spiegano.”

“E allora come si fa a capire?”

“Trovati una donna, Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, o come cazzo ti chiami. Te lo spiegherà lei.” Iniziai a ridere e lo guardai, e guardandolo vidi che Novecento aveva il mare persino negli occhi. Non poteva essere diversamente, per uno che era stato tutta la vita su una nave, e suonava soltanto quando sotto il culo aveva l’oceano. Aveva il mare dappertutto: nel cuore, nella voce, nelle gambe e anche negli occhi. Pensai che non mi sarebbe sembrato strano, se avesse avuto il mare anche nelle vene, al posto del sangue. Il problema, se di problema vogliamo parlare, era che Novecento era il mare. “Insomma, non è che puoi andare da una donna e chiederglielo proprio, come se chiedessi l’ora a qualcuno. Prima devi trovare la donna giusta, capire se ti piace e se tu piaci a lei, e poi, se tutto va bene e non fai cazzate, succede.”

“E poi?”

“E poi, se hai fortuna, restate insieme tutta la vita, e continuate ad amarvi come il primo giorno. E se no, finisce, e ognuno va per la sua strada.”

La bufera continuava a suonare la sua musica, la nave continuava a ballare. Io mi aggrappavo a ciò che potevo per non finire sballottato di qua e di là come quel fottuto pianoforte contro quella fottuta vetrata, e guardavo con invidia Novecento, quello che era vero veramente che non era mai sceso dalla nave, che non si muoveva di un millimetro, e che sarebbe rimasto fermo immobile pure se la nave si fosse all’improvviso trovata con tutto il culo per aria.

“E la cosa delle donne, come funziona? Ce n’è una per ogni uomo?”

“Più o meno sì, più o meno tutti gli uomini hanno una donna. Certo, qualche maledetto stronzo fortunato ne ha anche più di una…”

“Tu ce l’hai?”

“No, non ce l’ho. Ma so che ne incontrerò una, prima o poi. Tutti incontriamo una donna, prima o poi.”

“E sarà quella giusta?”

“Non lo so. Il punto è che non puoi saperlo, finché non la incontri.”

“Come dovrebbe essere la tua donna giusta?”

“Non lo so. Credo che dovrebbe saper ridere, perché a me ridere piace un sacco. Quindi non voglio ritrovarmi con una donna che non sa farlo.”

“Sì, credo che la troverai. Ho visto tante donne su questa nave, in questi anni. Tante donne che ridevano, voglio dire. Credo che la troverai.”

Aspettai il favore dell’oceano, prima di parlare. “E tu, Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, come pensi che sarà la donna giusta per te?”

“Non lo so.”

“Secondo me dovrebbe avere una bella memoria, per ricordarsi tutto quel tuo cazzo di nome.”

Novecento scoppiò a ridere, e scoprii che anche nella sua risata c’era il mare. Era come ascoltare le onde che si infrangevano sugli scogli di una piccola baia, una dopo l’altra. La risata di Novecento era un’onda che dalla gola saliva rapida e sbatteva contro i denti, facendo un gran casino in quella sala macchine vuota.

“Penso che dovrebbe, sì.”

“Davvero, Novecento, come ti piacerebbe che fosse, la donna che incontrerai?”

“Non lo so. Non me lo sono mai chiesto.” Seduto contro quella parete, con la faccia illuminata soltanto a metà da una fottuta lampadina mezzo bruciata, pensai che sembrava un nobile, uno di quei ricchi nobili inglesi che erano venuti in America a costruire ville coloniali e a sfruttare i negri e a rubare terra agli indiani. Chi lo sa, magari era uno di quei fottuti ricchi nobili del cazzo il padre di Novecento, magari uno che si era scopato una ragazza qualunque di qua o di là dall’Oceano, magari proprio su questa nave del cazzo che non la smette di rollare, e magari lei per una fottuta coincidenza del cazzo era venuta a partorirlo proprio lì, su quella nave del cazzo, in qualche angolo buio, da sola o aiutata da qualche altro disperato come lei. Il bello, con Novecento, era che potevi pensare tutto quello che volevi di lui, perché lui non sapeva niente di sé, tranne che era nato su quella nave, e che da quella nave non era mai sceso.

“Secondo me dovrebbe essere una proprio come te. Una che è sempre stata su una nave e che non è mai scesa, come te. Una del genere sarebbe proprio giusta.”

“C’è una donna che non è mai scesa da una nave?”

“Non lo so. Però non credo. Ne avrebbero parlato, come parlano di te. Sei famoso, Novecento, lo sai?”

“Ma allora vuol dire che non c’è una donna per me.”

“No, allora no. Però forse per te potrebbe anche andare bene una che su una nave non è mai salita, mai una volta in vita sua. Una che è nata sulla terra, e che il mare l’ha sempre solo visto da lì.”

“Ecco, questo potrebbe essere possibile.”

“Eh sì, ce ne sono di donne che non sono mai salite su una nave.”

“Ma allora come farei ad incontrarla?”

Anche i suoi ragionamenti filavano lisci come il mare in un giorno di bel tempo. E bravo Novecento, avrebbe trovato il peccato nel breviario del Papa. “Eh, hai ragione. Dovrebbe salire sulla nave.”

“Ma allora non sarebbe più la donna giusta.”

“O magari dovresti scendere tu.”

Lo guardai riflettere, rimasi incantato a guardare quegli occhi di mare – cazzo, quanto erano belli – schizzare di qua e di là, cercando un compromesso. “Non sarebbe più quella giusta. E io non sarei giusto per lei. Forse potremmo… la scaletta. Potremmo stare sulla scaletta, proprio a metà. Saremmo tutti e due un po’ sulla terra e un po’ sul mare. Saremmo uguali.”

Scoppiai a ridere all’idea di Novecento che faceva l’amore con una donna sulla scaletta, in mezzo al porto, con la gente che viene e che va e i bagagli da scaricare. Anche se l’idea di principio non era male, non potevo lasciarlo immaginare qualcosa che non sarebbe successo. “Potrebbe anche andar bene per un po’, ma mica per sempre. La nave dovrebbe ripartire, prima o poi. O lei su, o tu giù.”

“Oppure lei sulla terra e io sul mare, come prima.”

“Oppure lei sulla terra e tu sul mare, come prima.”

“Sarebbe bello comunque. Credo. Stare con lei sulla scaletta, aspettando che la nave salpi.”

Pensai a Novecento, alle sue dita e alle sue mani piene di note che accarezzano una donna come i tasti del pianoforte, e vidi i suoi occhi di mare guardarla come non avevano mai guardato nulla, e sentii la sua voce profonda sussurrarle ti amo, ti amo, ti amo lì sulla scaletta, tra i bagagli da scaricare e il capitano che fa i complimenti all’equipaggio, e gli emigranti che scendono e baciano l’America, e quelli che guardano e pensano tra due giorni tocca a me, prendo il mare e vado in Europa, e pensando a Novecento e alla sua donna, che sarebbe stata bella, con gli occhi pieni di terra e un cuore grande, e una bocca rossa aperta come una O quando lo sente suonare per lei, quando lui prende il mare e se ne va, ed ecco, pensavo a Novecento e alla donna che avrebbe avuto, e improvvisamente non avevo più voglia di ridere, ma di piangere, perché era come se in fondo al mio cuore di ragazzo sapessi che non ci sarebbe mai stata una donna per lui. Chiusi gli occhi, senza più capire se era la nave a ballare la musica del mare, o se ero io a ballare la musica di Novecento.

“A che pensi, ragazzo?”

Aprii gli occhi, e la nave aveva smesso di ballare. L’oceano non suonava più. Nemmeno Novecento suonava, adesso. Quando Novecento aveva suonato, prima, prima che quel cazzo di pianoforte prendesse in pieno quella cazzo di vetrata, quando Novecento aveva suonato mi ero sentito indifeso e solo, come se avessi dovuto dire sempre e solo la verità, perché Novecento avrebbe smascherato le mie bugie. Ma non c’era musica, adesso, né del mare né di Novecento, e non ero proprio obbligato a dire la verità. Strinsi le spalle, come facevo a scuola quando il maestro mi chiedeva le tabelline e io non le sapevo. “Pensavo che sarà un gran giorno, quando sarai su quella scaletta.”

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

Missing moment ispirato dall’incredibile “Novecento” di Baricco, che da sempre ho ritenuto sopravvalutato, e che invece sta diventando il mio autore preferito. E ne ho solo letti due ^^

Comunque.

Ho letto “Novecento” in poco più di mezz’ora, rapita da ogni singola pagina, e appena concluso ho deciso che avrei dovuto scriverci su qualcosa, ed è per questo che adesso sono qui.

Ho cercato di riprendere un po’ lo stile dell’autore, dunque se trovate errori, ripetizioni ecc., non prendete a bastonate me, ma lui.

Per quanto riguarda il contesto, la one-shot è ambientata durante la prima notte del trombettista Tim Tooney sul Virginian: ricordate quando Novecento lo porta nel salone da ballo della prima classe, toglie i fermi al pianoforte e inizia a suonare mentre vengono sballottati di qua e di là finché finiscono contro la vetrata? Ebbene, questa pagina è ambientata durante la notte che trascorrono chiusi in sala macchine, come punizione. Tim dice di essere salito sul piroscafo a diciassette anni, Novecento dovrebbe avere all’incirca ventisette anni.

Aspetto con tutto il cuore dei commenti.

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Novecento / Vai alla pagina dell'autore: EffieSamadhi