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Autore: u n b r o k e n    14/10/2011    5 recensioni
And our daddies used to joke about the two of us, growing up and falling in love, and our mamas smiled, and rolled their eyes.
«E' buffo pensare che gli avvenimenti che noi prima spergiuravamo erano accaduti, proprio come dicevano i nostri genitori. Mai, a quell'etą, avrei pensato che io ed Harry saremmo arrivati a questo punto.
Ma la vita ci riserva sempre le sorprese pił strane».
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lucky I'm in love with my best friend.'
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Destiny.

La fine dell'estate non è mai tanto pesante come nel primo giorno di scuola. O almeno questa è la mia opinione. E' proprio nell'istante in cui il rumore assordante della sveglia ti cava le orecchie e apri gli occhi di scatto che ti accorgi che siamo in autunno. E autunno vuol dire scuola. E allora rimani a fissare impotente il soffitto della tua camera, chiedendoti se esiste un modo per ripartire da capo, tornare a giugno e rivivere l'estate di nuovo. Perché adesso è come se l'estate non ci fosse mai stata: una volta che è finita, svanisce nel bagaglio di ricordi, completamente schiacciata dall'anno scolastico precedente e quello successivo: e a quel punto ha la stessa utilità che può avere una corsa di dieci minuti prima di un bigné alla crema. Pari a zero, insomma. La tua estate svanisce così, ed è come se non fosse mai esistita: e ti chiedi per quale motivo allora c'è stata, se non è servita a un bel niente.
E anch'io, come ogni teen-ager che si rispetti, facevo questa riflessione, avvolta tra le lenzuola del mio letto, più perché mi sentissi protetta che perché effettivamente avessi freddo. Ci sono certe estati che ti cambiano la vita e hanno ripercussioni anche sulla tua vita "invernale": e poi ci sono quelle estati che sono capitoli a parte, situazioni estranee a tutto il resto e che non incideranno mai sulla tua vera vita. La mia estate non era stata nessuna delle due: sarebbe stato un po' presuntuoso dire che era stata buona a nulla, ma non ci avevo fatto niente di buono, sostanzialmente. Quei tre mesi pieni di calore e ghiaccioli avevano fatto da segnalibro alle pagine della mia vita: avevo smesso di scriverne una parte, mi ero presa una pausa, e adesso ecco che cominciavo con l'altra.
Che cosa voglio dire, in poche parole? A giugno mi ero trasferita a Los Angeles, e considerato che avevo passato buona parte della mia vita a New York, nella costa opposta, era un grande cambiamento per me. Cogliendo l'occasione degli studi universitari di mio fratello, avevo convinto mia madre a far trasferire tutta la famiglia, liberandomi finalmente della mia vecchia scuola.
Perciò eccomi qui. Nuovo anno, nuova vita, giusto? Cercavo di vederla con positività, almeno.

Mi guardai intorno un po’ spaesata: il corridoio era deserto e silenzioso, e avevo come l’impressione che la campanella fosse suonata già da un pezzo.
Merda, pensai. Era davvero così indispensabile per me arrivare in ritardo anche il primo giorno di scuola?
C’era solo un ragazzo qualche metro più in avanti, che camminava con calma e disinvoltura, come se fosse addirittura in anticipo. Diedi una rapida occhiata all’orologio, e sì, eravamo entrambi abbastanza in ritardo. Senza indugiare più di tanto lo raggiunsi e richiamai la sua attenzione.
«Scusa, sono in ritardissimo» dissi alle sue spalle. In quell’esatto istante lo vidi voltare la testa e fronteggiarmi: mi scontrai con i suoi occhi verdi, quasi trasparenti, che in quel momento mi scannerizzavano dall’alto verso il basso. Aveva i capelli ricci ed arruffati che gli conferivano un’aria un po’ disordinata, ma non trasandata. «Potresti dirmi che lingua è questa?» ripresi porgendogli il fogliettino degli orari «credo che la vostra segretaria sia straniera, o analfabeta».
Per qualche strano motivo però, non riuscii facilmente a distogliere l’attenzione dalla sua figura. Feci correre lo sguardo lungo i suoi lineamenti, alla disperata ricerca di qualche dettaglio che avrebbe potuto far scattare la campanella nella mia mente: perché io lo avevo già visto. Non riuscivo a capire dove, né quando, né come, ma man mano che lo scrutavo realizzavo sempre più che quegli occhi si erano già posati su di me altre volte, e che avevo già avuto occasione di avere a che fare con lui. Da qualche parte.
Per qualche istante anche lui sembrò totalmente disinteressato alla domanda che gli avevo posto, ed era rimasto a fissarmi con un’espressione che vagava tra il perplesso ed il sorpreso. Poi lo vidi scuotere leggermente la testa, e concentrò la sua attenzione sul foglio che aveva tra le mani.
«Sei a chimica la prima ora» spiegò decifrando i geroglifici del mio orario. Lo guardai per un attimo stupita, domandandomi come diavolo avesse fatto a capire cosa c’era scritto lì. Forse sarebbe stato così gentile da tradurmi il resto dell’orario.
Sollevò lo sguardo per poi guardarmi da capo a piedi un’altra volta. «Sei fortunata, ci vado anch’io. Ti accompagno» disse, e senza aggiungere altro si avviò verso quella stessa direzione, con le mani in tasca e un’aria svogliata. E fu con la stessa aria svogliata che biascicò un “mi scusi” poco interessato al professore per il ritardo di dieci minuti alla sua lezione. Lo seguii fino all'interno dell'aula e sostenni sicura lo sguardo del professore: sebbene non volessi deludere le aspettative di mia madre, non volevo neanche fare la brava bambina. Quella non ero io, e per qualche minuto di ritardo non sarei diventata una pecorella pentita che abbassava lo sguardo innocentemente. Non ero proprio fatta così. 
«Penso di doverti dare il benvenuto nella scuola» disse noncurante dell’occhiataccia che in quel momento gli stava lanciando il professore dall’altra parte dell’aula. «Sono Harry, piacere» aggiunse mentre ci accomodavamo in uno dei banchi all’ultima fila.
«Sono Destiny» risposi mentre tiravo fuori dalla mia borsa il libro di chimica nuovo di zecca, ancora impacchettato. Avevo avuto così tanto da fare con la casa e i preparativi per la scuola che non ero riuscita a riservarmi neanche cinque minuti per spacchettare i libri. Poco male. Cominciai a spacchettarlo, causando un rumore un po’ fastidioso all’interno della classe; vidi un qualche paio di occhi posarsi su di me, fissandomi in maniera diffidente. «Beh?»  domandai con tono provocatorio, continuando il mio lavoro in serenità. Nel frattempo sentivo Harry sghignazzare al mio fianco.
«E… si vede tanto che sono nuova?» domandai scrollando le spalle con disinvoltura, mentre aprivo il libro ad una pagina a caso.
«Se ti metti a spacchettare qui i libri lo rendi piuttosto evidente» rise lui leggermente.
«Tu dici?» domandai con un sorriso sarcastico «Beh non mi interessa più di tanto. Ieri non ho avuto tempo di farlo, perciò lo faccio adesso».
«Come vui tu. Io non ho niente in contrario» lo vidi fare spallucce, noncurante. «In ogni caso io conosco tutti in questa scuola. Tu sei una faccia nuova. Non del tutto... ma nuova in questa scuola, sì» commentò pensieroso.
«Che vuoi dire?» domandai curiosa. Che la pensasse anche lui come me?
«Non lo so» disse lui mentre scarabocchiava disegni indecifrabili su una pagina del suo libro. Poi distolse lo sguardo e si concentrò per qualche secondo su di me, restando in silenzio. E, ancora una volta, mi ritrovai investita da quella terribile sensazione di de-ja vu, come se quell’incrocio di sguardi fosse già capitato altre volte. C’era qualcosa di tremendamente familiare in quei tratti, ne ero sicura. «Ho la sensazione di averti vista da qualche parte. O meglio, di conoscerti già»
«Certo, è strano» mormorai perplessa mentre tiravo fuori una mela dallo zaino e l’addentavo. «Hai idea di dove possiamo esserci visti?» ma lui non fece in tempo a rispondere, perché il professore si era fermato proprio davanti al mio banco, e mi fissava con disapprovazione.
«Non si mangia in classe, signorina…»
«Miller, signorina Miller. E non ho fatto colazione stamattina» lo interruppi impertinente. Dopo tutto mia madre si era anche raccomandata che mangiassi, no? E in ogni caso era sempre stato più forte di me avere un brutto voto in condotta.
«Se un certo liquido inizia a bollire a 100° C ed è completamente trasformato in vapore a 108° C, a che temperatura inizia a bollire?» domandò lui incrociando le braccia al petto, mentre mi fissava con un’aria saccente.
A quelle parole allargai un grande sorriso prima di rispondere. «A 104° C» dissi con serenità.
«Com’è chiamato un passaggio di stato da un solido ad un vapore?»
«Sublimazione. Avanti, questa è chimica per bambini!» quasi lo schernii, evitando però di ridacchiargli in faccia. In effetti sarebbe stato esagerato. Lui chinò il capo in segno di resa e girò i tacchi per tornare poi alla cattedra. Non ero mai stata una studente modello, ma ero brava a scuola: i professori non potevano lamentarsi dei miei voti, considerato che studiavo e ottenevo degli ottimi risultati; certo, c’era sempre stata quella pecca della condotta… ma non potevo farci nulla. Erano i professori che mi provocavano, ed io, per il carattere che avevo, non potevo certo star zitta e lasciarmi maltrattare. Sorrisi vittoriosa, per poi girarmi verso Harry alla mia sinistra. «Allora?» domandai.
Notai che lui mi fissava con un’aria divertita e sorpresa, e quando il professore fu abbastanza lontano ridacchiò di gusto. «Sei stata grandiosa» disse in un’ampia risata. «Ti sei appena guadagnata la mia stima, e il posto accanto a me a pranzo».
Sollevai un sopracciglio. «Cos’è, ci stai provando?» dissi schietta.
Lui per tutta risposta rise di più e scosse la testa. «Decisamente no» si morse il labbro inferiore «ma se ti va puoi sederti con me a pranzo. Magari scopro pure dove ti ho vista prima» propose scrollando le spalle.
Feci anch’io spallucce con noncuranza ed annuii. «Oh, d’accordo»
«Styles, Miller» ci richiamò all’attenzione la voce del professore, adirata «se avete intenzione di fare così per tutta l’ora potete benissimo recarvi nell’ufficio del preside»
Sentii Harry sbuffare al mio fianco, e feci lo stesso, prima di alzarmi e prendere la mia tracolla. «Bene, dovevo conoscerlo prima o poi» mormorai tra me e me, attraversando l’aula con il ragazzo alle mie spalle.
«Che bel modo di cominciare l’anno, neh?» commentò lui non appena fummo in corridoio.
«Fantastico. Ma ci sono abituata, in realtà» osservai pensierosa, con un leggero sorrisetto sulle labbra. Nella vecchia scuola il preside era diventato ormai il mio migliore amico: passavo ore nel suo studio a discutere con lui sulla mia disciplina e condotta ma, logorroico com’era, finivamo per farci delle chiacchierate sugli argomenti più vari davanti ad una tazza di tè. Ecco un altro motivo per il quale mia madre aveva accettato di farmi cambiare scuola: non ero mai stata uno stinco di santo e in qualche modo sperava che un nuovo inizio mi avrebbe fatto mettere la testa a posto, ma io ero dell’idea che, come si suol dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio. E io non potevo cambiare da un modo all’altro in un batter d’occhio; l’indisciplina sta a me come il pane sta alla nutella.
«Meglio così» disse lui abbassando lo sguardo con un sorriso, evidentemente doveva aver capito a cosa mi riferivo.
Non sapevo esattamente come fosse il preside della nuova scuola, ma mi erano giunte voci sul fatto che fosse parecchio severo con i suoi studenti, e che fosse solito convocare i genitori per un nonnulla. E francamente avrei preferito che mia madre non venisse a sapere di questo mio piccolo diverbio con il professore.
Ma purtroppo dovetti ricredermi quando l’uomo in carne seduto dietro alla scrivania ci accolse nel suo ufficio con un cenno del capo, come se ci stesse aspettando da un pezzo, con un «Il professor Williams mi ha avvisato per telefono. Ho già chiamato i vostri genitori, stanno arrivando»
Deglutii rumorosamente, immaginandomi la faccia di mia madre, delusa e incazzata allo stesso tempo, che mi fissava. E poi ovviamente sarebbe arrivata la ramanzina, che non tardava mai ad arrivare: e possibilmente qualche punizione.
«Styles, è un piacere rivederla. Signorina Miller, già qui?»
 «Salve, preside!» disse Harry calorosamente, noncurante del tono freddo e distaccato dell’uomo. Si andò ad accomodare ad una delle poltrone che stavano di fronte alla scrivania, e io feci lo stesso. «Come sta? Passata bene l’estate? Ma aspetti, è abbronzato! E’ stato a mare? Veda, sono venuto a trovarla appena ho potuto!» continuò sarcastico, con la voce di chi incontra un amico di vecchia data. Mi morsi il labbro inferiore, nel tentativo di trattenere le risate. Il preside tuttavia mantenne il suo atteggiamento composto e distaccato.
«Ho passato una bellissima estate, sfogliando i tuoi fascicoli e chiedendomi per quale motivo ti abbiamo promosso» al che Harry arricciò il naso in una specie di smorfia, ma non ebbe il tempo di ribattere. «Allora, avete intenzione di continuare così?» disse l’uomo tamburellando con le dita sul tavolo. Harry sollevò leggermente le spalle, come a dire “sì, molto probabilmente sì” ma io intervenni.
«Veramente io ho solo mangiato una mela e risposto alle domande del professore» mi giustificai.
«In maniera arrogante, mi è stato riferito» ribatté lui.
«E allora? E’ colpa mia se sono intelligente?»
«Già. Le sembra qualcosa di oltraggioso?» intervenne Harry «Siamo… siamo chiaramente vittime di un complotto»
Stavo per dire che concordavo con lui, ma in quello stesso istante una quarta figura entrò nella stanza. Era un uomo di mezza età, dai capelli ricci come quelli di Harry, solo più ordinati e definiti: portava una giacca che gli conferiva un’aria piuttosto seriosa, ma non aveva nessuna cravatta al collo. Al suo ingresso vidi Harry drizzarsi a sedere e allargare lo sguardo.
L’uomo sospirò leggermente, sconsolato, e fece balenare lo sguardo su Harry, poi si rivolse al preside. «Buongiorno signor Preside. Mi dispiace per mio figlio…» cominciò.
«Oh, non si preoccupi. Non è mica colpa sua» lo interruppe l’uomo da dietro la scrivania. Un nuovo scatto della porta mi obbligò a distogliere lo sguardo dal padre di Harry, perché era ormai matematico che quella che stava per varcare la soglia era mia madre. E infatti eccola, in tutto il suo splendore.
E ovviamente, preferisco specificare per le povere anime prive di senso dell’umorismo, sono ironica: non c’era niente di splendente in mia madre quella mattina. Aveva le sopracciglia corrugate, lo sguardo assassino, le spalle contratte e i pugni chiusi: ecco, aveva assunto quella che io chiamavo la posizione Destiny-sei-morta. Sin dal piccola avevo imparato a guardarmi bene da quel suo sguardo omicida, e ogni qualvolta la vedevo serrare i pugni o contrarre le spalle mi affrettavo ad allontanarmi dal suo raggio d’azione nel più breve tempo possibile. Solo che adesso non potevo scappare.
Poi però qualcosa cambiò nel suo sguardo. La vidi scambiarsi per un attimo un’occhiata con il padre di Harry e rimanere di stucco: quasi non mi calcolava, in pratica. E non lo fece per un po’, rimanendo a guardarsi con l’uomo di fronte a lei, che la fissava di rimando.Inarcai un sopracciglio aguzzando gli occhi per seguire meglio la scena.
«Megan? Sei tu?» disse lui, sconvolto.
«Nick? Nick Styles?»  rispose lei di rimando, allargando un enorme sorriso. «Non ci posso credere».

u n b r o k e n corner;
Hi everyone!
Qui è Carla che vi parla u.u (?) fa rima! *-* okay basta u.u
dunque, ci tenevo a dire che questa fanfiction significa davvero molto per me perché ha una lunghiiiiiissima storia che magari un giorno vi racconterò. Sappiate solo che non è tutta farina del mio sacco, e anche se adesso io la sto "mettendo insieme" il merito non è solo mio, ma anche di Manuela, l'originaria in possessione di quest'account u.u ecco, io mi sono intrufolata insomma!
Va beh spero che vi piaccia e sarebbe carino se recensiste *-* grazie mille gente! bye bye <3
P.S. Un giorno riuscirò a rendere il layout più carino, magari quando prenderò confidenza con i codici ç.ç per adesso è così, sorry çç
P.P.S.S. Edit: sono riuscita a sistemare il font e la dimensione, alleluja *-* 

   
 
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