Anime & Manga > Card Captor Sakura
Ricorda la storia  |       
Autore: Angemon_SS    16/10/2011    2 recensioni
Il mio primo giorno di scuola superiore fu alquanto movimentato. Mi accusarono di omicidio, mi ruppero il naso e feci una visitina al pronto soccorso. Ci furono anche rimpatriate con vecchie facce come quella di merda di Shaorang e la mia vecchia amica Tomoyo. Potevo lasciar perdere le accuse di omicidio ma quando la polizia cercò di arrestarmi dovetti correre verso il luogo dove accadde tutto. Se non sbaglio il colpevole torna sempre sul luogo del delitto, ed oltre l'avventura da Road Movie non dimenticherò mai che ho rischiato di morire e di cancellare un'intera città dalle cartine mondiali. La storia spero vi piaccia però va letta solo da chi è in grado di credere davvero alle carte di Clow Reed e all'esistenza dell'esoterismo del sud Europa. Vostra Sakura
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Primo

 

            Non sono molte le persone in grado di credere che possa esistere qualcosa di sovrannaturale. Quando intendo che non sono in grado è perché guardare un film su maghi e streghe, ed ogni tanto lanciare qualche incantesimo impugnando un cucchiaio, è molto differente dal tenere nascosto nella propria scrivania un antico libro contenente misteriose carte, delle quali nemmeno io ancora conosco tutto il potenziale.

            Quando finalmente completai l’intera collezione, se si può chiamare così, delle carte di Clow Reed, ero molto felice, soprattutto alla fine di quell’ultima impresa contro la carta dell’ombra, quando potei finalmente dire “ti amo” a Li Shaoran; ovviamente quelle due parole, dette da una me 11enne, mi fanno ancora sbellicare delle risate. Dirle, però, fu una scelta molto grossa, quasi quanto quella di decidere di tenere le carte, per evitare futuri problemi.

            Essere in grado di credere a queste carte è certamente molto più facile che credere in una relazione tra me e Shaoran. Quando hai undici/dodici anni, pensi che tutto sia per sempre. Anche quando lui partì per Hong Kong a tre mesi dalla fine della raccolta delle carte, credi che sia solo un piccolo periodo del per sempre; a tredici ragioni sul fatto che fosse la fine; a quindici pensi che quel primo amore sia stato meraviglioso e incredibilmente platonico, dato che oltre il bacio a stampo non si andava; al giorno d’oggi poi riderci su specchiandoti poco prima di andare a lavoro.

            Beh, si!

            Lui tornò ad Hong Kong, il porto profumato, ho bei ricordi di quel posto, per continuare gli studi sia di mago che di ordinario studente sotto la severa mirata della madre ed io, fui straziata dal dolore. Tre mesi belli ed intensi vennero offuscati dal sapere che aveva una fidanzatina nella città profumata. Ancora oggi trovo appropriato associare la parola “Merda” alla sua faccia.

            Arriviamo così ai miei primi 15 anni. Fu l’anno nel quale dovetti prendere le mie prime decisioni di vita importanti, quelle dalle quali non si torna indietro. Avevo ancora le carte sotto chiave in un doppio fondo della libreria, ovviamente erano l’ultimo dei miei pensieri dato che mi accingevo a frequentare il primo giorno di scuola media superiore. I tre anni che ti formano e cambiano per tutta la vita; eccome se mi hanno cambiato. In primis perché per me furono quattro, e come secondo fattore, perché mi ritrovavo ad andare in un luogo dove tutti erano degli sconosciuti.

            Tomoyo non aveva scelto il mio stesso istituto; penso che sia stato a causa del nostro ultimo litigio. Quando Shaoran partì, lei mi fu molto vicino, troppo vicino, avevo capito che provava per me qualcosa che andava oltre l’essere amica del cuore; chiamatemi pure cuore di pietra ma io non provavo i medesimi sentimenti e dovetti dirglielo. Non fui molto gentile e la ferii profondamente. Bastarono poche settimane perché si calmassero le acque e tornammo ad essere delle amiche che vanno a fare commissioni insieme. Mi sbagliavo! Quando mi disse che aveva scelto un istituto diverso dal mio capì: le cose non erano per niente tornate alla normalità.

            La mia scuola non era molto grande ma alquanto rinomata. Aveva un club del baseball tra i migliori del Kanto ed una squadra di basket molto famosa, a me interessava solo il club di pattinaggio; non lo avevo mai preso in considerazione come un possibile sport, da praticare in modo agonistico ma, una volta provato scoprii che metteva in circolo la stessa adrenalina che attraversava il mio corpo durante le notti passate a caccia di carte.

            Tornare indietro con la mente mi riporta proprio al primo giorno, quando fummo tutti in fila nella palestra, in attesa del solito discorso del preside e del nuovo rappresentante degli studenti. Il primo parlò per quasi venti minuti e le gambe cominciarono a manifestare il loro assoluto disprezzo per quella grassa figura; fortunatamente il rappresentante degli studenti fu più magnanimo e si limito ad un “salve ragazzi” e “spero che tutti darete il meglio, nei club come nello studio, a tutti buon lavoro”.

            Quando finalmente ci lasciarono liberi di uscire dalla palestra, come un gregge di pecore senza meta, fu allora che apparve lei. Incredibilmente più alta di me, livida in volto e pugni serrati. Uno di quei pugni affondò nella mia guancia mentre il gemello fece scrocchiare il mio naso come un ramoscello, il tutto accompagnato dal grido “Assassina!”

            Non tutti ebbero la prontezza di riflessi del professor Kawashima, il rappresentante degli insegnati che fortunatamente passava li accanto, di afferrare quella montagna di capelli scuri e schiacciarla contro il suolo, per evitare che potesse infierire sul mio naso. Ci fu letteralmente una pozzanghera di sangue, quello che sgorgava dal mio naso, non fece così male come ci si può aspettare ma rimasi molto disorientata dalla situazione. Quando capì di essere finita da terra, notai la ragazza che si dimenava come un cavallo e il professore che la teneva saldamente premuta contro il terreno sabbioso. Attorno alla scenetta fuori programma erano già accorsi numerosi studenti, i cui volti non mostravano sorpresa, bensì rassegnazione; altri professori accorsero e ce ne vollero tre per riuscire ad allontanare quella belva. Uno dei curiosi mi aiutò a rialzarmi e mi porse dei fazzoletti per tamponare il naso, solo quando cercai di tapparmi le narici capì che era rotto.

            Senza pensarci su, il vice preside mi caricò sulla sua auto diretto al pronto soccorso più vicino, durante il viaggio cercavo di non sporcare i sedili della macchina mentre ripensavo alla parola in allegato ai pungi: “Assassina!”

            Sicuramente, anzi, senza dubbio doveva avermi scambiato per qualcun altro. Al nostro arrivo al pronto soccorso più vicino, barcollai fino alla sala d’aspetto dove il sangue finalmente smise di colarmi dal naso.

            “Mi spiace che sia successo! Sei del primo anno vero? Non credo che ora avrai una buona opinione della scuola.” Dal tono del professore capii che non era la prima volta, sicura di una lunga attesa in quella sala affrontai il discorso: “Non si preoccupi, piuttosto, dal suo tono rassegnato, mi sembra di capire che non sono la prima vittima di questi avvenimenti.”

            “La nostra scuola, a differenza di altre, non ha fama di risse o studenti indisciplinati, il problema resta isolato a questa ragazza: qualche tempo fa ha perso il padre durante una vacanza in Italia, sembra che sia caduto da una scogliera, lei invece, afferma di aver visto una donna colpirlo e spingerlo di sotto.” Il professore aveva il tic di grattarsi ripetutamente il polso.

            “Quindi si sfoga con gli ultimi arrivati nella scuola, non mi sembra molto giusto”

            “Si sfoga con chiunque gli capiti a tiro, ma la maggior parte delle volte finisce in infermeria.”

            “Mi ha gridato contro che sono un’assassina!”

            Il professore rimase in silenzio per alcuni istanti. Il suo sguardo faceva la spola tra le mani e il pavimento, poi finalmente mi guardò: “Sei mai stata in Italia?”

            “No!” Ero sicurissima di non aver mai messo piede neanche in Europa.

            “Allora non so proprio spiegarmi il perché ti abbia chiamato in quel modo, spero solo che la cosa non si ripeta.”

            “Mi scusi professore, ma lei parla proprio con rassegnazione, se questa studentessa è una noia per alunni e insegnati basterebbe allontanarla.”

            Il professore grattò con più intensità. “La compagnia della sua famiglia sostiene il nostro istituto. Non è consigliabile buttare fuori la figlia di chi ci paga le bollette. Dobbiamo fare l’interesse dell’istruzione e perdere questo sostenitore ci costerebbe molti club e laboratori.”

            “Non sono molto d’accordo.”

“Ha perso da poco il padre e quindi il suo comportamento così ostile e violento, secondo lo psicologo della scuola, è più che normale, le serve per scaricare lo stress causato dalla perdita improvvisa.”

Io annuì poco convinta e stetti in silenzio finché non mi fecero entrare e, con un colpo secco e tanto dolore, mi raddrizzarono il naso rendendolo, secondo molti, tanto carino.

 

Il giorno dopo mi presentai al regolare inizio delle lezioni accompagnata da mio padre, e questo per una quindicenne è molto imbarazzante. Fortunatamente filò dritto nell’ufficio del vice preside mentre io, mi rintanai in classe dove riconobbi alcune facce che mi avevano aiutato a rialzarmi il giorno prima. Erano delle ragazze molto socievoli e si interessarono a ciò che mi era successo; era impossibile non farlo dato che avevo il naso fasciato ed ero obbligata a respirare – rumorosamente – con la bocca. La professoressa Kisame fu la prima insegnante che conoscemmo, nonché la nostra coordinatrice, anche lei s’interessò al mio povero naso, così come altri professori durante l’intervallo del pranzo. Ammetto che la situazione cominciava a diventare pesante.

Notai però, che la mia assalitrice era seguita da un professore, e non fu un caso sporadico ma per tutti gli intervalli successivi venne sorvegliata da molto vicino; questo non bastò a tenerla lontano e più volte cerco di aggredirmi. Cominciò ad accumularsi molto stress ma dopo due settimane potei finalmente uscire di casa senza la fasciatura e ricominciare a respirare dal naso; dopo tre, i professori smisero di seguirla e sembrò che smettesse anche di importunarmi finché, a un mese esatto dalla prima aggressione la incontrai nel bagno del secondo piano.

Fu più veloce di me, quando capì che eravamo sole scattò e chiuse la porta impedendomi di lasciare i servizi. Il suo viso da bianco passo per tutte le tonalità di rosso fino ad arrivare al paonazzo.

Rika Suzuki, così si chiamava, si scagliò contro di me con tutta la rabbia che aveva in corpo e mi getto verso i lavandini, un dolore atroce mi percorse tutto il corpo ma non caddi; riuscì ad evitare un altro spintone e mi allontanai cercando di arrivare alla porta, ma un terzo tentativo andò a segno e caddi a terra. Il naso ricominciò a farmi male.

Decisi che si era andati troppo oltre ed evocai il mio scettro riuscendo a rialzarmi e ribaltare la situazione, le feci lo sgambetto con un colpo secco, gettandola a terra e senza titubare, puntai l’estremità al suo collo evitando che si potesse rialzare.

“E ora dimmi che diavolo vuoi da me!” Fui molto teatrale ma ciò che ottenni fu solo una lunga bestemmia che non credo sia il caso di riportare. Quando ripetei la domanda ebbi una risposta un po’ più educata: “Hai ucciso mio padre, bastarda!”

“Errore! Ho sentito la storia e non sono mai stata in Italia.”

“Oh, ed invece sei stata proprio tu, non mi sbaglio, come potrei? Eri lì e l’hai spinto di sotto durante i fuochi d’artificio, ridevi come una iena mentre cadeva. Impugnavi questo stesso…bastone, hai riso anche mentre il suo sangue sporcava le rocce e quando mia madre si disperò.”

“Io non ho ucciso tuo padre!” Potevo gridarlo all’infinito ma non voleva sentire ragioni, anzi, cominciò a piangere e questo mi destabilizzò. Indietreggiai di alcuni passi e proprio in quel momento entrò un’altra alunna: rimase senza parole per quella scena e corse a chiamare un insegnante.

Durante il resto delle lezioni non riuscii a togliermi dalla mente quelle parole. Il sangue sulle rocce e una probabile me che uccideva un uomo, e ci rideva su, pareva la sinossi di un incubo.

Il giorno successivo, finiti gli allenamenti della squadra di pattinaggio, sul tavolino del soggiorno c’erano ad attendermi una lettera gialla con il logo del Ministero della Giustizia giapponese ed una del Ministero della Giustizia italiano. Erano già state aperte da mio padre ed in quel momento le stava leggendo anche mio fratello. Subito potei percepire il freddo di quella situazione, ma era destinata a peggiorare.

“Sakura” Cominciò mio padre con la voce rotta, ma non so se dalla sorpresa o dalla vergogna. “Sono due informazioni di garanzia”.

 

 

 

 

 

 

 

P.S.Curiosirà

 

L’informazione di garanzia è un atto attraverso il quale una persona viene avvertita di essere sottoposta a indagini preliminari, ossia di quella fase processuale in cui si raccolgono elementi utili alla formulazione di una imputazione. L'informazione indica inoltre le norme che si intendono violate e la data e il luogo di tale violazione.

(tratto da Wikipedia)

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Card Captor Sakura / Vai alla pagina dell'autore: Angemon_SS