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Autore: Etoiles    17/10/2011    4 recensioni
Un piccolo viaggio alla ricerca di ciò che conta veramente.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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“Non si può negare che andare liberi senza meta da sempre ci rende euforici, ha a che fare con l’idea della fuga dalla storia, dall’oppressione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dedicato ad Alessandra

 

Non  si può negare che andare liberi senza meta da sempre ci rende euforici, ha a che fare con l’idea della fuga dalla storia, dall’oppressione. Libertà assoluta. E la strada porta sempre ad Ovest.

Vivere, soltanto vivere, in quel luogo, in quel momento perché l’’essenza dello spirito dell’uomo sta nelle nuove esperienze, non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole diverso”.

 

 

 

“Uno, due, tre, quattro, cinque”. Chibiusa contava attentamente i fiocchi di neve cadere dal cielo incontrastati che, come pezzetti di ciniglia, s’incastonavano nel piumino color panna, confondendosi con il candore della lana profumante lavanda.

Da giorni nevicava a Crystal City, il Natale era alle porte e non si poteva chiedere atmosfera più adatta di quella che circondava la città eterna. Le luci risplendevano sulle lastre di ghiaccio che penzolavano dai tetti delle piccole case a schiera riunite nei quartieri più verdi, tutto fra le strade ricordava il periodo natalizio, quello più atteso, quello più magico.

I profumi di ciambelle zuccherate e di lunghe cioccolate calde rasserenavano i passanti esausti delle lunghe giornate, gli addobbi appesi sopra ogni porta regalavano l’accoglienza ricercata e l’alto albero al centro della piazza, dove i quattro punti cardinali s’incontravano creando un mondo unico, primeggiava fra tutti, con la sua stella argentata risplendente alla cima.

Dal freddo scalino in marmo della biblioteca cittadina, Chibiusa osservava ciò che accadeva di fronte a lei. La gente correre, i bambini tentare di costruire un pupazzo di neve il più possibile resistente, i ragazzi più grandi fare strabilianti acrobazie con i pattini nell’illuminata pista di ghiaccio circondante l’albero.

E lei era li, seduta, con lo sguardo perso nel vuoto. Contava i fiocchi, si guardava intorno e…pensava. Qualcosa l’affliggeva, qualcosa la tormentava. Per chi la vedeva, per chi sapeva chi fosse, quella malinconia non trovava alcuna spiegazione. Era Natale, forse uno dei momenti più felici dell’anno dove la tristezza non ha alcun posto riservato nelle fredde giornate invernali. Era una Principessa, una futura regina. Era amata, cercata, voluta. Si era proprio così, all’esterno.

Ma per chi la conosceva realmente, per chi davvero sapeva ciò che in quel momento il suo cuore celava, avrebbe scoperto altre verità, altre aspettative che forse non erano così limpide nel suo futuro di regnante di una città talmente bella e maestosa.

Strofinava spesso le mani ruvide, gelide, soffiandovi dentro un po’ di calore con tutto il respiro che riusciva a concedere, stringendo al petto le ginocchia per trovare un po’ di conforto nella loro vicinanza. Il cappuccio rosa aderiva perfettamente ai codini mezzi umidi, velati qua e la dai chicchi di neve, rendendola ancor più piccola di quanto fosse in realtà.

Le piaceva sentire la neve aderire alla sua pelle, quella sensazione pungente, quella colorata trasparenza, come poteva il cielo regalare qualcosa di così bello e piccolo? Ogni tanto apriva le labbra per assaporarne il gusto, era convinta che assomigliasse a quello dello zucchero filato o delle marshmallow in qualche modo. Ma non era così, l’insapore che la contraddistingueva emulava la sua idea di esistenza.

 

La sua sensibilità ben presto si assottigliò. Un ampio ombrello color prugna la stava proteggendo da quell’incessante caduta. Non servì voltarsi per capire chi avesse dietro alle spalle. Il profumo d’acqua marina che portava era inconfondibile, l’avrebbe riconosciuto in mezzo ad un immenso campo fiorito.  

“Ciao, Pu” disse, mentre con il piede scalfiva la sua impronta sulla neve, fino a creare numerosi e psichedelici cerchi.

“Piccola Lady, cosa fai qui fuori al freddo?”

“Pensavo” rispose, insistendo a non guardarla. Ma a Setsuna non serviva specchiarsi nei suoi occhi per capirne la malinconia proveniente dalla sua voce. Chibiusa era per lei ciò che una figlia è per la madre. E’ un legame profondo, uno di quei rapporti per cui non servono parole perché quando qualcosa non va, lo sai subito, lo senti dentro, è nella tua natura, nel tuo istinto.

Afferrando con le dita la lunga gonna smeraldo, Setsuna si sedette accanto a lei, condividendo quella fredda percezione che stava travolgendo la sua piccola protetta.

“Cosa c’è che non va? Vuoi parlarmene?”

“Non servirebbe a nulla, non capiresti”

“Bè…tu provaci, e lascia dire a me se serve oppure no…”.

 

Chibiusa tacque, prese tempo, indugiò per qualche istante. Le aveva raccontato sempre tutto, in ogni occasione. Era stata più volte suo costante punto di riferimento, sapeva che per qualunque cosa lei ci sarebbe sempre stata. Ma per quello? Per ciò che le stava così tanto dannando l’anima, avrebbe potuto fare qualcosa, trovare una soluzione?

“Chibiusa, è Natale! Guarda com’è bella la città, guarda com’è luminosa. Come puoi essere triste? Come puoi aver pensieri?” disse, non trovando ragioni nel suo lungo silenzio.

Chibiusa si alzò in piedi, stringendosi nelle spalle “E’ per la mamma” rispose con voce flebile.

“In che senso?” chiese Setsuna, non capendo come la sua preoccupazione potesse essere collegata alla regina Serenity. Chibiusa si voltò finalmente, donandole il suo sguardo demoralizzato e cupo “Ha sempre moltissime cose da fare, moltissimi impegni, perfino in questo periodo”

“Piccola Lady” sorrise Setsuna, alzandosi a sua volta “è il suo compito, il suo dovere di regina…temi che non possa stare con te il giorno di Natale?”

“No, non è per quello” farfugliò, giocherellando con le punte bagnate dei codini.

“E allora cosa? Non riesco davvero a capire”.

 

Chibiusa mise una mano nella tasca per afferrare i guanti bianco perla, il freddo stava diventando quasi insopportabile a quel punto della sera. Li indossò, guardando il cielo nel frattempo, cercando di intravedere qualche stella, una in particolare a dire il vero, quella che le avrebbe segnato il cammino.

“Penso che la mamma non sia abbastanza libera” rispose, strofinandosi il naso “e penso che non lo sarò nemmeno io”

“Perché mai non dovresti esserlo?”

“Per quello che sono, Pu. Il mio destino è segnato, proprio come quello della mamma. Ma non voglio vivere secondo regole rigide, secondo un piano già scritto. Voglio essere libera, voglio vivere ogni istante, voglio poter volare, correre, divertirmi. Voglio essere leggera come questi fiocchi di neve! Capisci cosa intendo?”

 

Setsuna s’irrigidì. Infine era questo che la preoccupava così tanto. La paura di non essere libera, la rassegnazione ad una vita prestabilita, fatta solo di canoni e doveri. Una vita non vissuta.

“Ma tu sei libera, Piccola Lady! Non devi confondere i tuoi compiti da futura regina con la prigionia”

“Non vedo questa grande differenza…”

“Ti sbagli! Devi essere fiera di quello che sei e di quello che diventerai!”

“Sai cosa vorrei tanto per questo Natale?”. Setsuna scosse il capo. Un po’ la spaventava sentire quella risposta ma non poteva negare a se stessa che la cosa più importante per lei fosse il suo sorriso.

“Vorrei tanto poter stare da sola! Vorrei iniziare a camminare senza mai fermarmi, senza sapere dove sto andando e godermi tutto quello che mi accade attorno…voglio essere felice!”

“Perché desideri la solitudine?...nessuno vuole rimanere solo, Piccola Lady”.

Chibiusa s’imbronciò. Aveva la sensazione che Setsuna non la stesse ascoltando, che non avesse colto la sua reale intenzione, quel suo desiderio di libertà assoluta, senza confini.

Iniziò a camminare verso casa a braccia conserte, a mala pena guardandola “Te l’avevo detto che non avresti capito” concluse, proseguendo per il suo percorso.

Setsuna non la fermò. Continuò ad osservarla mentre si allontanava da una verità fin troppo marcata. Ma nella sua mente già sapeva cosa avrebbe dovuto fare, Chibiusa si sarebbe resa conto di cosa fosse davvero la libertà, la spensieratezza, la felicità.  

 

Solcata la soglia della camera da letto, Chibiusa lanciò quasi infastidita gli stivali di gomma, lasciando che rotolassero lungo il tappeto fino a fermarsi alle pendici del letto a baldacchino. Si distese, saltando qua e la sul morbido piumone e arrotolandosi poi sullo stesso fino ad avere l’intero corpo al caldo. I piedi gelidi le facevano venire la pelle d’oca così come le mani di una strana sfumatura violacea dopo quello sbalzo termico.

Si girò di fianco, stringendo il cuscino fra le braccia, con gli occhi mezzi chiusi e la mente altrove, in un luogo che solo lei poteva raggiungere e dove pensava si sarebbe sentita veramente libera. Quel luogo che solo un sogno poteva donare.

 

I raggi ancora stanchi del sole le accarezzarono dolcemente il volto. Aprì gli occhi, notando come le tende fossero rimaste spalancate la notte precedente. Evidentemente si era dimenticata di chiuderle prima di addormentarsi. O forse no.

Un’ombra accanto alla finestra si rifletteva sul pavimento. Spaventata, si sedette velocemente coprendosi con la coperta fino agli occhi, come a volersi proteggere da una minaccia imminente ma si rese subito conto che si trattava di tutt’altro.

Setsuna era proprio li, di fronte a lei, impegnata a spiegare tende e finestre. Indossava dei stretti jeans blu scuri, con una lunga felpa verde bosco ed un corto piumino dello stesso colore, con cappuccio annesso per riparasi dal freddo pungente.

Chibiusa la osservava non capendone le intenzioni. E più il freddo vento s’impossessava della camera, più lei s’intrufolava sotto alle coperte, coprendosi il viso dalla luce mattutina.

Il cigolio dell’armadio che si apriva la fece rabbrividire, il solo pensiero di dover uscire all’aria aperta per chissà quale commissione la convinceva sempre di più a legarsi al caldo letto.

 

“Pu, cosa stai facendo?” chiese, con tono intorpidito. Sestuna non rispose, continuando ad afferrare abiti caldi e soffici dall’armadio di Chibiusa, poi uno zaino, un sacco a pelo e un paio di pedule.

La curiosità si faceva sentire sempre di più e con lei la voglia di tornare a dormire. Indossata la vestaglia, Chibiusa si alzò dal letto strofinandosi energicamente gli occhi per vedere meglio cosa stesse facendo.

“Pu, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo?”

“Buon Natale, Piccola Lady!” rispose sorridente. Chibiusa la guardò stordita ma divertita allo stesso tempo “Ma cosa dici…Natale è fra due giorni!”

“Diciamo che quest’anno per te il Natale è arrivato in anticipo!”

“Cosa significa? Perché mi stai preparando lo zaino?”

“Volevi libertà” rispose Setsuna, mentre le rifaceva ordinatamente il letto “volevi vivere l’avventura, senza confini né mete…Bé è quello che ti darò, ti darò la libertà!”

“E’ uno scherzo?”

“No, non sto scherzando! Partiamo proprio ora!”.

Chibiusa non si mosse. Non riusciva a capire se stesse accadendo veramente o se in realtà stesse ancora dormendo. Non era possibile che avesse preso una decisione di quel genere. Prendere, partire, senza sapere dove andare né come. Era davvero possibile? Eppure gli occhi di Setsuna non trapelavano alcuna incertezza, anzi. Erano limpidi, sinceri, veri. Perché mai avrebbe dovuto mentirle. I pensieri le correvano troppo frettolosamente nella testa mentre Setsuna raccoglieva tutti i peluche da terra per metterli in fila di altezza, ma anche affetto, accanto ai cuscini color ametista.

“Allora? Sei ancora li?”. La voce di Sestuna le fece rimettere i piedi a terra. Scosse il capo, mentre un sorriso immisurabile si scalfiva sul suo viso. Raccolse veloce i vestiti più caldi e comodi che aveva e corse in bagno più in fretta che poteva. Optò anche lei per un paio di jeans e una felpa di lana fucsia,il piumino blu scuro come i pantaloni, sciarpa, capello e guanti bianchi.

Mentre si vestiva non riusciva a pensare ad altro. Stava davvero accadendo? Si stava inoltrando in un’esperienza più grande di lei? Si sentiva già libera ancora prima di partire, il solo fatto di aver preso quella decisione da un momento all’altro la faceva sentire più viva che mai.

Si, era vero, quel giorno non era Natale. Per lei quel giorno era molto di più, o almeno così pensava.

“Chibiusa, sei pronta?” urlò Sestuna, battendo due o tre volte il pugno contro la porta del bagno “Si, arrivo!” rispose svelta, uscendo rapida.

“Bene allora, possiamo andare!”

“Ma dove andiamo esattamente?” domandò, mettendosi lo zaino sulle spalle

“Non lo so” rispose Sestuna “nessuna meta, ricordi?”.

Chibiusa sorrise, abbracciandola strettamente in vita, ringraziandola a modo suo con quel gesto di puro affetto e riconoscimento.

 

Uscite dal palazzo si diressero verso i boschi innevati, dove nessuno aveva mai osato entrare, dove la neve non era mai stata calpestata, rendendola così ancora più unica, ancora più inimitabile. Con le mani reciprocamente strette le une nelle altre, si addentrarono in quel luogo sconosciuto, ponendovi per prime i piedi su quel territorio vergine. Non s’intravedeva nemmeno una foglia, nessuna chiazza di verde. Bianco, solo ed esclusivamente bianco, la neve albergava sui pini come un nemico imbattuto, e solo una cosa avrebbe potuto sconfiggerla. Il sole. Ma i raggi fosforescenti erano troppo deboli, non avevano ancora il potere di neutralizzarla del tutto ma solo di indebolirla. E così Chibiusa, mentre sprofondava con le pedule in quel bianco manto, osservava le gocce di neve sciogliersi lentamente e lasciare respiro ai rigidi rami. Alcuni fiori catturarono la sua attenzione, fiori penzolanti, a campana, di un tenue color lilla e vaniglia.

“Sono i Bucaneve” spiegò Setsuna, raccogliendo un bocciolo da terra “è il primo fiore a sbocciare con l’arrivo della neve, resiste a questo freddo e colora questi boschi” disse, incastrando il bocciolo fra i ciuffi di Chibiusa, che lo osservava incantata, come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto.

“Avanti, andiamo, sempre dritte” 

“Da che parte ci dirigiamo?”

“Sempre ad Ovest, Piccola Lady!” rispose sicura, spazzando due possenti rami, così da utilizzarli come appiglio “Perché Ovest?”

“Perché ad ovest è dove la strada finisce, ad Ovest è dove tramonta il sole, ma se continui ad inseguirlo ti darà la sensazione che non finisca mai mentre alle tue spalle è già buio”

“Non ci avevo mai pensato”

“Credo che siano tante le cose a cui non hai mai pensato, Principessina”

“Cosa intendi dire?” “Lo scoprirai presto vedrai!”.

 

Proseguirono lungo la loro strada, vedendosi allontanare sempre di più le luci policrome della città. Scricchiolii di foglie secche appena calpestate venivano portati via dal vento, ritornando a far parte della natura selvaggia e senza accorgersene si ritrovarono di fronte ad una piccola montagnola spumosa, sulla quale potevano intravedersi le esili orme di qualche uccellino. Guardarono entrambe la ripidità di quell’altura, pensando la stessa cosa.

Sestuna allungò la mano affinché Chibiusa la stringesse forte. Affondando bene le scarpe fra la fresca neve, iniziarono ad arrampicarsi, appigliandosi talvolta ai tronchi circostanti. Il respiro divenne affannoso ben presto, ma la fatica fu ripagata una volta giunte sulla cima.

Il panorama era ancora più bello di quanto immaginassero. Le cime bianche degli abeti sembravano punte di zucchero a velo cosparse su profumati pandori, della città non si sentivano neppure i rumori, celati dallo scorrere di leggeri ruscelli, ancora liberi dal ghiaccio vendicatore. L’aria era talmente pulita da raggelare i polmoni, sanandoli dallo smog del centro. Alla vista di quel mondo fin allora sconosciuto, Chibiusa allargò le braccia, catturando il vento che le dava la stessa sensazione di un volo senza confini.

“La senti, Pu? La senti?”    “Cosa?”

“Ma come cosa? La libertà più assoluta, più sfrenata, come puoi non sentirla!”. Chibiusa guardò sotto di se. La collina scendeva giù dirompente ma la quantità di neve che la ricopriva la rendeva molleggiante come gomma piuma. Fissando i suoi piedi, come a portare il peso in avanti, Chibiusa si sporse lasciando che le gambe non reggessero più il peso del corpo.

“Chibiusa, cosa vuoi fare?” urlò Setsuna, tentando di afferrarla per il piumino “Vivere!!!” gridò Chibiusa al cielo, lanciandosi su quel candido scivolo naturale e rotolando lungo tutto il dirupo, con la neve che le dipingeva la faccia. Le sue risate echeggiarono per tutto il tempo, scendeva alla velocità della luce, come se braccia invisibili la stessero spingendo sempre più giù fino a frenarla alla fine della corsa.

Setsuna le corse incontro, voleva accertarsi che stesse bene, capire cosa avesse in mente. Ma il sorriso che vide disegnato sul suo volto le diede tutte le risposte che stava cercando.

“E’ stato bellissimo, mi è sembrato di non avere più consistenza!” rise, senza riuscire a fermarsi. La neve sul volto aveva creato dei buffi baffi bianchi attorno alla bocca, rendendo il tutto ancora più divertente di quanto non lo fosse già. Aveva fatto esattamente ciò che voleva, ciò che si sentiva, in quel posto, in quel momento. Si era sentita libera, libera di scegliere, di decidere, libera di essere se stessa.

“Mi hai spaventata” ammise Setsuna, aiutandola ad alzarsi “Scusa, Pu” rispose, scuotendo forte la testa per liberarsi dal nevischio ma mantenendo quella gioia che difficilmente avrebbe riprovato, o così credeva.

 

 

Al di fuori del fitto bosco innevato, un ampio lago sbarrò loro la strada. L’acqua al suo interno era completamente ghiacciata e la sua ampiezza richiedeva troppo tempo per passarci affianco e continuare il cammino. La scelta più ovvia sarebbe stata quella di attraversarlo. Setsuna s’inginocchio sulla terra glaciale, estraendo dallo zaino due paia di pattini grigio perla “Ecco, prendi” disse, sporgendone un paio a Chibiusa.

“Vuoi che lo attraversiamo…pattinando?”

“Proprio così, non ha senso camminarci affianco fino alla fine delle sponde ci impiegheremo troppo tempo…e poi più avventura di così dove la puoi trovare?” chiese sorridente, mentre intrecciava i lacci.

“Hai ragione!” esclamò Chibiusa, facendo la stessa cosa “Sono pronta!”.

Si aggrappò al braccio di Setsuna così da poter mettere entrambe un piede sulla lastra trasparente ed accertarsi della resistenza. Una volta perfettamente in piedi, videro solo ghiaccio e deserto intorno a loro, una lunga e solida distesa d’acqua dolce da superare per poter raggiungere il punto dove il sole toccava terra.

“Andiamo?” Chibiusa annuì, lasciando la presa e cominciando a creare strane figure con il ferro dei pattini. Mentre Setsuna pattinava dritta verso la meta, Chibiusa le faceva ampi giri intorno, con qualche salto qua e la che la portavano più a ritrovarsi seduta che in piedi. La leggerezza che provava nel danzare sopra l’acqua la trasformava in una ninfa fatata, dando quel tocco di magico al tutto.

Con una gamba perfettamente retta ed una alzata a formare un arabesque, giunse dall’altra parte del lago, dove un’ampia pianura la divideva dal rientro nei boschi.

Ancor prima di proseguire nel suo cammino, una macchia muoversi in lontananza la incuriosì particolarmente.

“Pu, guarda!” bisbigliò cauta, segnando con il dito la direzione da seguire. Iniziò ad avvicinarsi, la curiosità era davvero troppa “Aspetta, Piccola Lady!” avvertì Setsuna, ma non la ascoltò, proseguì nella sua ricerca, nella sua scoperta.

Quella strana figura si faceva sempre più chiara. Era alta, grande. Concentrò ancor di più la sua attenzione, rapendone i particolari. Quattro zampe esili reggevano un corpo muscoloso di un tenue color castagna, macchiato a tratti di piccole chiazze bianche, muso allungato, occhi marroni, neri persino, e due piccole orecchiette pelose a punta. Chibiusa ne rimase meravigliata. Era la prima volta in assoluto che vedeva un Daino in libertà, senza recinti che lo costringessero a percorrere sempre lo stesso giro, senza costrizioni. Era un Daino libero.

Chibiusa si accucciò piano per non spaventarlo, voleva vederlo da ancora più vicino, c’era qualcosa che nascondeva ma non riusciva a capire cosa fosse. Gattonò lentamente, accorgendosi sempre di più di come dalle zampe posteriori sbucassero altri due occhi, molti più piccoli e chiari. Il pelo all’apparenza sembrava ancora più soffice, le macchie erano il doppio rispetto a quelle della madre. Era il suo piccolo, lo stava proteggendo esattamente come fanno tutte le mamme. Il grande Daino abbassò la testa per strusciare il muso con quello del suo piccolo, offrendogli così quel calore materno che è unico nel suo genere.

 

Setsuna raggiunse Chibiusa nella sua breve esplorazione. Si rese subito conto di come gli occhi le luccicassero, vedere quel momento di tanta serenità ed amore le fece tornare in mente l’affetto che aveva nei confronti dei suoi genitori, nei confronti dei suoi amici. Quell’affetto che in onore della libertà si era lasciata alle spalle. Setsuna non poté non notare una velata tristezza nei suoi occhi.

“Sono bellissimi, non trovi?” domandò, accarezzandole dolcemente la testa “Si” rispose Chibiusa, distogliendo gli occhi dalla scena, quasi fosse troppo per lei, per le sue convinzioni.

Setsuna l’abbracciò stretta, sentendone le lacrime scivolare lungo il suo piumino. Chibiusa rispose alla stretta. Sapeva bene che quella sarebbe stata quasi un’ammissione di colpa ma non ne poteva fare a meno. La strinse con tutta la forza che le era rimasta, con tutto l’ardore regalatole da quel breve ma intenso attimo di libertà.

Setsuna le prese il viso fra le mani, asciugandole le lacrime con il pollici umidi. Il suo viso sconsolato le fece sciogliere il cuore, la bontà della sua anima la spinse ad amarla ancora di più.

“Piccola Lady, è questa la libertà che in realtà stai ricercando. E’ la libertà di vivere la tua vita, qualunque essa sia, la libertà di amare ed essere amata, di scegliere chi essere e chi diventare, di condividere i momenti della tua esistenza con le persone che ti sono più vicine, con i tuoi genitori, con me.

Non devi allontanarti per sentirti te stessa, non devi scappare da ciò che sei. Devi cogliere ogni singolo momento ed assaporarlo fino in fondo perché è questo ciò che ti fa andare avanti e che ti da la forza per ricominciare. Non sei sola. Io sarò sempre con te, sempre. Questa è la felicità”.  

 

Chibiusa affondò il viso nel suo petto, singhiozzando e ridendo allo stesso tempo. Era così lontana da casa eppure nel suo cuore sentiva di non essere mai stata così vicina. Le voleva così bene, era essenziale nella sua vita, era una tappa del suo viaggio che, finché lei sarebbe rimasta al suo fianco, non sarebbe mai finito.

“Pu…” disse, smagliante, asciugandosi quelle ultime lacrime dalle guance rosse pastello “torniamo a casa”.

 

Setsuna sorrise, stringendole la mano e riportandola nel suo vero mondo, nel suo piccolo angolo di incosciente libertà. E per quanto immaginasse che il suo cuore avrebbe sempre e comunque cercato di evadere, sapeva che la libertà di quell’attimo sarebbe durata tutta una vita.

 

 

E dopo tutto credo di aver trovato cosa occorra per  essere felici: una vita tranquilla, con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare e non sono abituate a ricevere.

Ho capito che la felicità è reale solo quando è condivisa.

Happiness is real only when shared.”

Christopher McCandless

 

 

   
 
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