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Autore: Subutai Khan    15/03/2004    5 recensioni
Sporco e spazio ristretto condurranno alla resa dei conti? Riusciranno Asuka e Shinji a chiarirsi, a parlarsi, a dialogare? O i soccorritori troveranno i loro scheletri ancora intenti a sbranarsi vicendevolmente?
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Claustrofobia, Manuali per Incompetenti e Altre Amenità' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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“Sveglia, sveglia”.
“Mh? Che hai da strepitare? Dormivo tanto bene, accidenti”.
“C’è del cibo”.
“Cosa? Cibo? Dove? Dove? Dove?”.
“Qui, è qui. Calmati, non scappa”.
“Yawn. Ecco quello che ci voleva, lo spuntino dopo un buon sonno ristoratore”.
“Lo sai che assomigli a Hamtaro quando ti strizzi gli occhi dopo che ti sei appena svegliata?”.
“Rinomina quell’odioso criceto in mia presenza e ti darò modo di accorgerti sulla tua pallida pelle giapponese che non sono poi cambiata così tanto”.
“No no, scherzavo. Su, non prendertela. E mangia”.
“…”.
“Che hai? Tutto bene?”.
“…”.
“Dimmi qualcosa. Non fissare quel vassoio come se ci vedessi sopra il tuo cuore ancora pulsante”.
“Tu non hai mangiato, vero?”.
“Eh? No, non ho mangiato, perché?”.
“E da quanto questa roba ci è stata portata?”.
“Non ne ho idea. Dormivo anch’io e me ne sono accorto solo da poco”.
“Stai mentendo”.
“Perché dovrei mentire, scusa?”.
“Si nota. Ti conosco a sufficienza da capire quando fai il bambino cattivo e dici quelle cose che ti fanno allungare il naso ed accorciare qualcos’altro. Tu sei sveglio da un pezzo ma non hai voluto toccare niente, vero?”.
“Ehm…ecco…”.
“Avanti, non ti costa niente essere sincero”.
“Beh, dunque…sì, effettivamente è andata così…”.
“…”.
“…no, che fai? Non abbracciarmi tanto stretto, mi imbarazzo”.
“A parte che ti sta piacendo da matti, porcellino, ma ti sei dimenticato di aggiungere `E se ci vedesse qualcuno?`. Eppoi, scusa tanto, se non ti meriti un abbraccio per avermi aspettato senza arraffarti tutto quando te lo meriti? Fossi stata in te io avrei divorato anche i piatti”.
“Lo sai come la penso in merito”.
“Lo so, lo so. In fondo sono stata io a chiedertelo/importelo, no?”.
“Perché non mangiamo?”.
“Sempre lesto a cambiare discorso”.

[i due “pranzano”]

“Buuuuuuuuuuuuuurp”.
“La delicata scuola di bon-ton teutonica ha colpito ancora”.
“Non essere pignolo. È stata solo la naturale reazione dello stomaco dopo un così prolungato digiuno. Avevo fame, cazzo”.
“Pure io avevo, e ho, fame. Ma non mi cimento in rutti da Oscar”.
“Cosa vuoi che ti dica? Sei una persona più fine di me”.
“Comunque ci voleva proprio. Non so te ma io sto un filino meglio”.
“Sì, è vero. Faceva abbastanza schifo, ma non siamo nella situazione migliore per fare i lamentosi”.
“Già”.
“…”.
“…”.
“…”.
“…”.
“Perché questo silenzio, Shinji?”.
“Potrei rivoltare la domanda verso chi l’ha fatta”.
“Sì, potresti. Ma non sei così maleducato, vero?”.
“Non testarmi. Potresti avere altre sorprese, meno gradite delle precedenti”.
“Mh?”.
“Non mi chiedi da quale recondito spazio abbia tirato fuori tutto il coraggio che ho ultimamente mostrato, e di cui non mi credevo sinceramente capace?”.
“Argomento interessante. Allora su, spiegati”.
“Ben volentieri. In fondo non è nemmeno così difficile; è stato a causa della paura. Paura di non uscire più di qui. Sin dall’inizio ho avuto questo timore, questo…chiamiamolo presentimento. E sai com’è, non è per nulla bello essere rinchiuso in una cella con la persona che ami e non riuscire nemmeno a rivelarle cosa provi veramente per lei. Inoltre mi son detto: dopotutto peggio di così non può andare, al massimo non morirò di stenti ma sarà Asuka a spellarmi, quindi tanto vale provarci. Perso per perso avrei, almeno una volta nella vita, fatto ciò che credevo giusto. E, devo ammetterlo, è andata meno peggio di quanto mi sarei mai aspettato”.
“Sì, capisco. In fondo non hai fatto altro che seguire il mio consiglio e ti sei preso tutta la libertà che il nostro disgraziato stato attuale ci conferisce”.
“Diciamo di sì. E ora tocca a te”.
“A fare cosa?”.
“A esprimerti. E a dirmi come una persona intrattabile come te sia arrivata a pentirsi di tutto, o quasi. Un’altra cosa che m’interesserebbe sapere è quando hai cominciato a sentirti in colpa, e cosa posso fare per aiutarti”.
“Non puoi aiutarmi, te l’ho già spiegato. È una cosa che riguarda solo ed esclusivamente me e il pezzo di pietra che avevo come cuore. Per il resto, invece, sono in grado di accontentarti. Come cominciare? Uhm…beh, innanzitutto devo ringraziare la nostra prolungata permanenza in questo cesso di posto. Mi ha dato modo di riflettere, sgombra com’ero da pensieri più superficiali e meno importanti. C’è chi cambia facendo i viaggi spirituali in India o dal Dalai Lama, io l’ho fatto rimanendo seduta su tre strati di paglia lercia. Sono cose della vita. Eppoi, al contrario di quanto si possa pensare, non sono un’insensibile. Quando hai fatto quella dichiarazione strappalacrime ho sentito davvero qualcosa di nuovo dentro di me, più o meno all’altezza della gola. O forse non era nuovo, ma era qualcosa che avevo assaggiato solo da piccolissima e che mi era stato strappato con violenza, talmente forte da farmi desiderare di dimenticarlo per non dover soffrire ancora. Il tuo altruismo al limite dell’autolesionismo, il tuo amore, quel tuo incontenibile desiderio di farmi felice ha sciolto la mia corazza di titanio, forgiata in lunghissimi anni di addestramento mentale e fisico, e ha fatto risbocciare quello che, a costo di scavare per mesi e mesi, prima o poi affiora in tutti gli uomini di buona volontà: il desiderio di non restare da soli. E Dio solo sa se non voglio restare sola. È una cosa che mi terrorizza, letteralmente. A volte, quando non c’era nessuno in casa o potevo permettermi dei momenti di relativa solitudine nella mia camera, mi sdraiavo sul letto e pensavo alla mia vita, giungendo alla conclusione che sì, sarei stata probabilmente odiata dall’intero genere umano, pinguini compresi, ma che almeno avrei ottenuto ciò che credevo di volere: la fama, la notorietà, il nome Asuka Soryu Langley stampato sui manifesti che mi annunciavano come la salvatrice del mondo. E invece, in questi ultimi tre giorni, mi sono resa conto di quanto queste cose siano effimere, stupide, prive di senso. O quantomeno non valgano il disprezzo e il risentimento che sentivo costanti su di me quando Suzuhara, Aida e gli altri mi guardavano. Troppo alto come prezzo. Non sono più disposta a gettare i migliori anni della mia vita nella tazza del wc. Ho quattordici anni, cristo. Non posso passare il resto della mia adolescenza a sculettare in giro e a far pesare ai miei coetanei il fatto che sono laureata e che guido un robot alto come un palazzo. Che persona di merda sarei? Quindi basta, ora e per sempre, amen. Per quanto riguarda, invece, la questione del senso di colpa la risposta è semplice e lapidaria, seppur in parte implicita nel precedente discorso: è stato dopo che hai ammesso che mi ami. Lì non ci ho visto più, la vecchia Asuka ha preso la via per Fanculolandia e non deve tornare più, mai più. Mi aiuterai in questo, vero?”.
“Ma certo. Sono qui apposta, come ogni buon principe consorte che si rispetti”.
“Non sai quanto piacere mi faccia sentirti così baldanzoso. Anzi, sai che facciamo? Quando usciamo di qui per prima cosa vado a farmi tagliare i capelli, come se un così semplice gesto simboleggiasse il nuovo corso. Eppoi vedrò di darmi una regolata e mostrare a tutti chi sono realmente, non quell’orrenda maschera di pezza che ho indossato finora e che ha finito col deformarmi il volto”.
“Così voglio sentirti parlare, Asuka. Mi stai rendendo davvero fiero di te. Ora so per certo che non mi sono sbagliato, che il mio cuore non era fallace quando mi ha detto che eri una ragazza speciale”.
“Beh. Una ragazza speciale, nel senso di non comune, lo sono sempre stata”.
“È vero, ma sappiamo entrambi che ora è tutt’altro discorso”.
“Sì, lo è”.

[la porta si spalanca]

“Ehi, che diavolo succede? Cos’è ‘sta luce? Non vedo niente”.
“Neppure io, sono cieco. Stammi vicina, Asuka”.
“Ma…cosa? Passi?”.
“C’è qualcuno?”.
BANG BANG.
   
 
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