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Autore: Dony_chan    21/10/2011    2 recensioni
Eccomi qua, con questa raccolta salvata nel computer da parecchi mesi…
Mi sembrava carino ripercorrere alcuni episodi da me inventati della preadolescenza e adolescenza dei nostri cari protagonisti!
Spero che l’idea piaccia anche a voi, e se mi lasciaste una piccola recensione, ne sarei contenta!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 1 : 12 anni …
 
 
Sonoko tirò su col naso e mise il becchetto. “Moriremo tutti e tre!” pianse, e nascose il volto tra le mani.
Shinichi sospirò. Ma perché aveva dovuto seguirlo fin lì? Non poteva  restarsene beatamente accoccolata davanti al caminetto della baita?
Si tirò su e si scosse lentamente la polvere dai pantaloni. Fortunatamente nella caduta non si era rotto niente. Fortuna già...
In tutta quella avventura un po’ di fortuna l’avevano trovata.
Erano arrivati in quella baita sperduta due giorni prima, quando l’auto di suo padre aveva tirato gli ultimi giù a valle.
Stavano tutti tornando da un campeggio: Shinichi, i suoi, Sonoko, e la sua amica d’infanzia Ran. Avevano avuto ospitalità dalla bizzarra famiglia che abitava nel periodo invernale quella baita e di lì a poche ore sarebbero potuti tornare a casa, se non fosse successo una sciagura: la moglie del proprietario era stata trovata in fin di vita nella sua stanza.
Le comunicazioni erano state interrotte e a valle si erano avventurati la sorella della vittima e suo padre, Yusaku Kudo, per chiamare aiuto.
Ma Shinichi aveva avuto un brutto presentimento sul proprietario, e allora cocciutamente si era messo ad ‘investigare’, con al seguito le sue due compagne di classe.
Stavano giusto dando un’occhiata lì attorno, quando avevano scovato tra l’erba alta quella botola aperta recentemente. Il terriccio era smosso e il lucchetto forzato.
Avevano appena fatto in tempo ad aprirla giusto per dare un’occhiata, ma un attimo dopo erano stati spinti tutti e tre dentro da chissà chi. Non avevano sentito avvicinarsi nessuno.
Il primo era stato lui, a seguire le ragazze urlanti.
Shinichi estrasse dai pantaloni la piccola pila che aveva sgraffignato dal salotto della baita e la puntò verso le ragazze: Sonoko stava ancora piangendo, le mani graffiate e la fronte sporca di polvere. Per fortuna la caduta era stata ammortizzata da dei vecchi materassi posti quasi farlo apposta sotto la botola.
I suoi occhi si concentrarono su Ran che, semi svenuta, respirava con difficoltà ancora sdraiata.
La ragazza, nonostante qualche linea di febbre, aveva voluto seguirli a tutti i costi e questo era il risultato: stava peggio di prima.
“Accidenti” sbottò Shinichi avvicinandosi al corpo febbricitante dell’amica. Le tastò la fronte, che scottava più di prima, e constatò che aveva il collo imperlato dal sudore.
Poggiò la pila accanto a sé, di modo da poter vedere ancora la figura dell’amica, e le aprì i primi bottoni della tuta da scii che aveva addosso per farla respirare.
“Che cosa fai?” domandò Sonoko, la voce debole.
Shinichi si alzò, riprese la pila con sé e cominciò a guardarsi attorno. Quel postaccio aveva tutta l’aria di una rimessa di vecchi oggetti: bici scassate, vecchi armadi e mensole erano accatastati alla bell’e meglio. Il piccolo rifugio non era più grande di una stanza, ma senza tutti quegli oggetti sicuramente sarebbe stato più ampio.
“Dobbiamo trovare il modo per uscire di qui” disse, più a sé stesso che a Sonoko.
Cercò speranzoso una scala o qualcosa di simile, di modo che potessero usare quella per arrampicarsi fin su. Era più che sicuro che chi li aveva buttati giù non avesse chiuso di nuovo la botola. Forse perché... sarebbe tornato presto. Che li volesse far fuori? Forse avevano visto qualcosa che non avrebbero dovuto?
Maledizione!, pensò Shinichi cominciando a spostare ripiani e mensole, tutti però troppo bassi per usarli come scale.
Il tetto era alto non più di quattro metri, se solo avesse trovato un sostegno sicuro...
“Shinichi, mi fa male la spalla” disse Sonoko, riportandolo alla realtà e fermandolo dalla sua ricerca ossessiva.
Il ragazzo si voltò verso l’amica, sentendosi terribilmente in colpa. Perché aveva acconsentito a portarsele dietro?
Il suo sguardo guizzò ancora una volta su Ran, ancora priva di sensi e sentì una morsa al cuore.
“Scusami, Sonoko. Troverò il modo per portarvi fuori da qui. E in fretta...” disse, pensando che aveva i minuti contati, prima che colui che li aveva spinti giù tornasse.
Sonoko si alzò in piedi barcollando un po’ e si sostenne il braccio destro col sinistro. Guardò con odio il volto dell’amico e sputò fuori la sua frustrazione: “Sei solo un ragazzino! Cosa credi di fare, il detective? Non avresti mai dovuto uscire da quella maledetta baita, te l’aveva ordinato tuo padre!”
Shinichi si sentì in colpa e irritato allo stesso tempo. “E perché mi hai seguito, allora?”
Sonoko fece cenno con la testa in direzione di Ran. “Perché lei non si fidava a lasciarti uscire da solo! Ha detto che ti saresti ficcato in qualche guaio, e aveva ragione! Io non potevo lasciare Ran da sola!” spiegò Sonoko, le lacrime agli occhi trattenute appena.
“Ran” mormorò Shinichi, tenendo la testa china. Bisognava portarla subito fuori di lì. “Sonoko, prenditi cura di lei. Io cerco il modo...” ma la ragazzina non lo lasciò finire. Con passi sicuri si avvicinò a lui e gli strappò di mano la pila, la cui luce stava diventando mano a mano sempre più fioca.
“Cosa credi di fare da solo? Avanti, dimmi cosa dobbiamo cercare” disse la ragazzina, facendosi coraggio. I suoi occhi erano ancora umidi e le guancie arrossate, ma la sua espressione era sicura. Anche lei voleva salvare Ran.
Shinichi rimase stupito dal suo sguardo, ma si riprese quando Sonoko gli puntò la luce negli occhi. “Allora?” insistette.
Shinichi le spiegò il suo piano, e le chiese di fargli luce, mentre lui esplorava più velocemente che poteva la piccola stanza.
I minuti si accorciavano rapidamente e le uniche cose che avevano trovato erano due sedie in legno, comunque troppo basse per essere usate come sostegno.
“La pila si sta spegnendo. Accidenti, che facciamo?” disse Sonoko, la voce che riprese a tremare.
Shinichi rifletté velocemente sul da farsi, ma la sua mente era vuota e spossata e per giunta cominciava a sentire un leggero fastidio al fianco sinistro. Quando ci poggiò sopra la mano, sentì un orribile gonfiore e si voltò per vedere cosa fosse: all’altezza della vita aveva conficcato dentro un piccolo legnetto, che aveva bucato la tuta, e lì attorno c’era tutto sangue seccato.
“Shi... Shinichi!” urlò Sonoko, spaventata. “Non te ne sei accorto?!”.
Il ragazzo scosse la testa. Il pensiero di tirarle fuori da lì e la preoccupazione lo aveva distolto dal dolore, ma ora non era più così facile ignorarlo.
Con forza estrasse il legnetto e si tamponò la ferità con un fazzoletto.
“Santo cielo, e adesso? Aiuto! Aiuto!” cominciò a gridare Sonoko, presa dal panico. La ragazza cominciò a sbracciarsi come per attirare l’attenzione di qualcuno, ma loro erano rinchiusi nel sottosuolo e nessuno sapeva che erano lì.
Shinichi le tenne ferme le mani con la sua libera e la zittì. “Così attirerai la sua attenzione. Dobbiamo fingere di essere svenuti, così ci impiegherà più tempo”.
Sonoko lo guardò non capendo. “Più tempo per cosa? E di chi stai parlando?”.
Shinichi raggirò la domanda per non metterle ansie inutili e tornò a guardarsi attorno. “Non ti sembra troppo grande, per essere un vecchio sgabuzzino sotterraneo?”.
Anche l’amica cominciò a guardarsi attorno e corrugò la fronte. “Forse. Ma a che serve? Insomma, se io voglio mettere delle cose vecchie via, uso un garage, non un buco nel terreno. È scomodo...”.
La frase dell’amica, all’apparenza semplice e banale, fece scattare nella testa del ragazzino una lampadina. Ma certo, è così ovvio...
Shinichi si voltò verso la sua amica e ghignò. “Questo è un vecchio rifugio, che risale al periodo della guerra. Una volta, per difendersi dai bombardamenti, le persone si rifugiavano in posti come questi, sottoterra. Per questo è uno spazio grande. E, se cerchiamo bene, dovrebbe esserci pure una porta che conduce ad una seconda stanza...”
Sonoko pendeva dalle labbra di Shinichi, stupendosi di quello che le aveva appena rivelato. Anche lei sapeva qualcosa su dei rifugi della guerra, ma non ne avrebbe mai riconosciuto uno.
“E c’è anche la porta? O si buttavano anche loro dalla botola?” chiese stringendosi nelle spalle.
Shinichi annuì. “Certo che c’è la porta” disse e camminò in avanti.
Solo adesso si rendeva conto di sentire uno spiffero d’aria, che non proveniva dalle piccole screpolature della botola in legno. Veniva da dietro un grosso appendiabiti e una vecchia scrivania.
Lì dietro, sicuramente, avrebbero trovato una via di fuga.
“Aiutami, Sonoko. Dobbiamo spostare questa roba” disse con foga il ragazzino.
Con qualche difficoltà per via delle loro ferite, riuscirono a spostare ciò che intralciava loro la strada e, come dedotto da Shinichi, dietro quell’ammasso di cianfrusaglie c’era un’altra stanza.
La fioca luce della pila fece intuire loro che si trattava di una specie di vecchia cucina improvvisata, con un tavolo in legno metà mangiato dalle tarme e un piano cottura obsoleto.
“Se questa è la seconda stanza... la porta d’accesso deve essere qui vicina” disse Shinichi, scrutando il buio e andando a tastoni per trovare l’uscita.
Non sentì alcun movimento da parte dell’amica e ne fu seccato. Possibile che non desse una mano per uscire di lì il prima possibile?
“Scusa, un aiuto è ben accetto. Non volevi uscire di qui?” chiese Shinichi tastando centimetro per centimetro la parete della cucina.
“Credo... credo di averla trovata” disse Sonoko. Si fermo solo un istante, poi continuò. “La porta è proprio qui. Davanti a me”.
“Cosa?” fece Shinichi, sorridendo. Finalmente erano salvi! Sarebbero usciti da quel postaccio e Ran sarebbe stata meglio e...
L’espressione sollevata del ragazzino si spense all’istante, quando i suoi occhi si abituarono alla debole luce e videro ciò che aveva smorzato il tono della voce a Sonoko.
“È bloccata da queste assi” disse la ragazzina per riempire il silenzio di frustrazione che era calato. “Siamo sigillati qui dentro”.
Shinichi si inginocchiò, puntellandosi sulle punte dei piedi e si mise una mano tra i capelli. Era la loro ultima ed unica speranza. Non ci aveva nemmeno pensato, che sarebbe potuta essere stata sigillata.
Ma ora gli pareva così scontato. Chi terrebbe ancora funzionante un rifugio del periodo della guerra? Che utilità poteva avere, oltre come discarica di vecchi mobili?
Adesso non vedeva più nessuna via di fuga. Doveva solo sperare che sua madre, non vedendoli più, si impensierisse e venisse a cercarli. Ma quella maledetta botola si vedeva appena, in mezzo all’erba! E se avessero provato a gridare... chi li aveva spinti di sotto poteva venire a controllare e farli fuori seduta stante.
“Lo sapevo, lo sapevo” piagnucolò Sonoko, ancora in piedi di fronte alla porta sbarrata. “Moriremo qua giù!” e detto questo, scoppiò a piangere.
Shinichi non aveva nemmeno la forza di alzarsi per consolarla e non sapeva che dire. Era tutta colpa sua, ma avrebbe tanto desiderato scoprire il colpevole. Non immaginava certo una fine del genere.
Il fianco cominciava a fargli ancora male, le fitte non diminuivano. Per fortuna era una ferita superficiale.
Alzò lo sguardo e vide la figura buia della sua amica singhiozzare da sola, perduta nella sua paura.
No, non avrebbe lasciato correre. Non era quello che gli avevano insegnato i suoi genitori.
Bisogna battersi sempre, fino all’ultimo! Lui non avrebbe mollato, avrebbe trovato un’altra soluzione. Avrebbe costruito una specie di scala, la più stabile che poteva fare e avrebbe salvato tutti e tre.
“State indietro” disse una voce fiacca alle loro spalle.
Sia Shinichi che Sonoko si voltarono di scatto al solo sentire la voce. E non se l’erano immaginata, era proprio lei: Ran.
Sonoko puntò la luce sulla sua amica ed entrambi videro in che condizioni era: pallida, sudata e con il respiro affannoso.
“Ran, non preoccuparti, ti porteremo fuori di qui...” stava dicendo Sonoko, avvicinandosi piangente all’amica.
Ma Ran si mise in posizione di attacco, il respiro pesantissimo.
Sonoko fece qualche passo indietro, spaventata, e si spostò appena in tempo: Ran era partita all’attacco e aveva sferrato un calcio potente alla porta sbarrata.
Il colpo fu così forte che ella stessa perse l’equilibrio, ma fortunatamente Shinichi scattò in fretta e la recuperò.
“Ran, sei debole, non...” stava dicendo serio il ragazzo, ma Ran l’ammonì con lo sguardo.
Uno di quei suoi sguardi che lo facevano zittire sempre e che lo facevano sentire inferiore a quella impavida ragazzina.
“È la nostra unica speranza” disse, la voce stranamente salda.
La ragazza sfuggì dalla presa dell’amico e, prima che la potesse fermare, sferrò un altro calcio alla porta, che si piegò un poco.
Il legno era umido e fragile, sarebbe crollato facilmente.
“Ran!” la chiamarono gli amici, preoccupati.
Ma Ran non si fermò e sferrò altri due forti calci, mantenendosi in piedi per miracolo. La forza di volontà che brillava negli occhi della ragazzina era così forte che Shinichi non se la sarebbe dimenticata tanto facilmente.
Sonoko puntò la pila sulla porta, in modo da aiutare l’amica a orientarsi con la luce. I suoi calci stavano pian piano buttando giù il legno della porta. Forse ce la stavano facendo...
“Ran... però ti fai male!” constatò Sonoko, la voce rotta.
Shinichi era d’accordo con lei. Avrebbe continuato lui, lei doveva stare a riposo. “Ran, basta, adesso...”
“Non faccio Karate per niente!” esclamò Ran dopo un colpo. Rialzò la gamba in alto e calciò con una forza micidiale. Un’anta della porta cedette e si spezzò in tre parti, stracciando il tessuto della tuta della ragazzina.
“Se non sfrutto ciò che ho imparato, in una situazione come questa...” disse Ran, la voce che ora tremava appena. “Che senso ha fare Karate?”.
Prese un bel respiro e tirò l’ennesimo calcio, che buttò giù anche l’ultima anta. Ran perse nuovamente l’equilibrio e indietreggiò senza sapere bene dove andare.
Shinichi fu ancora una volta pronto a prenderla e appoggiò la sua schiena sul suo petto, tenendola tra le braccia preoccupato.
“Ran, stai bene?” domandò, vedendo la ragazza con gli occhi chiusi.
Temette che fosse svenuta ancora, ma non fu così. Ran strizzò gli occhi un paio di volte e strinse forte il colletto della felpa di Shinichi.
“Shinichi... Shinichi, io l’ho visto in faccia. Il proprietario... è lui che ci ha buttati giù” disse con un filo di voce la giovane.
Shinichi strinse i denti. Lo sapeva, che quel vecchio non aveva nulla di rassicurante.
Per fortuna che sua madre non era nella baita da sola, altrimenti avrebbe dovuto temere anche per lei.
“Va bene, Ran, adesso non ti preoccupare. Usciremo presto da qui” le disse Shinichi, ma la giovane era svenuta un’altra volta. La fatica e la febbre l’avevano sopraffatta.
Shinichi alzò lo sguardo su Sonoko, che li stava guardando ansiosa. Dietro di lei, la porta aperta faceva passare molta più aria fredda di prima. Lì c’era l’uscita. Erano salvi.
“Sonoko, dammi una mano. Dobbiamo portarla su”.
In due, riuscirono a trascinare Ran su per la ripida scalinata che li avvicinava sempre più all’aria aperta. Sonoko teneva puntata la pila davanti a sé, e qualche minuto dopo videro un’altra botola- più ampia di quella precedente- a meno di un metro d’altezza.
Proprio in quel momento la pila si spense definitivamente.
“Cosa?!” fece Sonoko preoccupata, continuando a premere il pulsante di accensione.
“Non serve più, ormai. Poggiamo qui Ran e apriamo questa maledetta botola!” fece Shinichi.
Lasciarono l’amica una decina di scalini più sotto e si portarono proprio sotto l’apertura. Anche in questa botola c’erano numerosi spifferi, molto più grandi.
Bene, questo vuol dire che il legno è fragile e che sarà facile aprirla... pensò Shinichi e fece segno a Sonoko di fare quello che faceva lui.
“Al tre spingiamo, ok? Uno, due, tre!” fece Shinichi.
Anche se il legno era fragile, la botola era comunque pesante da scoperchiare e pochi attimi dopo, Sonoko cedette, stringendosi forte il braccio destro e lasciandosi sfuggire un lamento di fastidio.
“Mi... mi fa malissimo il braccio! Io, io non ce la faccio!” pianse la ragazzina e si rannicchiò su sé stessa.
Shinichi provò di nuovo ad alzare la botola da solo, ma era ancora più difficile: non si alzava nemmeno di un centimetro.
“Sonoko... mi serve il tuo aiuto. Dobbiamo farlo per Ran. Lei ci ha aiutati. Ora tocca a noi!” disse Shinichi, posando una mano sicura sulla spalla sana dell’amica.
Sonoko scosse la testa, continuando a piangere, però cercò nuovamente di aiutare Shinichi nell’impresa. Fece forza solo col braccio sano, ma era ugualmente troppo faticoso. Dopo altri due tentativi, scoppiò a piangere più forte e mollò la spinta.
“Non ce la faccio, Shinichi!” gridò e si massaggiò la spalla con la mano.
Shinichi la guardò rassegnato.
Non poteva contare su di lei, e nemmeno su Ran. Anche se la sua amica si fosse ridestata, non le avrebbe mai permesso di provare a forzare anche quella porta. Non dopo il viso sofferente che le aveva visto ad ogni calcio che sferrava.
Sicuramente si era graffiata e ferita la gamba, perché la tuta si era macchiata di sangue. Doveva assolutamente portarla nella baita. Lì, sua madre l’avrebbe medicata.
“Va bene, ci provo io. Tu mettiti al riparo là sotto. Stai con Ran” disse Shinichi, serio. La ragazzina smise di piangere ed annuì. Lentamente scese le scale e tenne stretta Ran a sé, come se gliela potessero portare via.
Shinichi si sdraiò nel piccolo spazio e puntò i piedi contro il legno. Ci arrivava appena, ma se alzava il bacino, il piede sicuramente sarebbe premuto sul legno. Si coprì con un braccio gli occhi e cominciò a calciare a sua volta il legno della botola, con tutta la forza che poteva.
All’inizio sembrava che la situazione non fosse cambiata, ma dopo un po’ di colpi, il legno si face più debole.
Piccole schegge si staccarono e piovvero sul corpo di Shinichi, che non smetteva un secondo di calciare.
Si mise di fianco e puntò tutto sulla sua gamba destra, quella con la quale segnava i suoi gol migliori.
Calciò talmente forte che il rumore del legno rotto riecheggiò per tutto il rifugio. Sentì un pezzo di legno piuttosto grosso battergli la testa e per un attimo, quando riaprì gli occhi, vide doppio.
Ma poco a poco la sua vista si riabituò e poté scorgere il cielo nuvoloso sopra di sé.
Sorrise apertamente e tutto il suo corpo si rilassò.
Erano salvi.
Quando si accucciò per chiamare Sonoko, la trovò qualche gradino più addietro, con Ran aggrappata alla sua tuta, che stava sorridendo a Shinichi.
Il sorriso venne contraccambiato con un po’ di imbarazzo.
“Lo sapevo, che ce la facevi. Grazie” mormorò Ran, ancora provata.
Shinichi si grattò la testa, rosso come un peperone. I ringraziamenti di Ran lo turbavano sempre, ultimamente.
“Se mi aiuti, oh grande salvatore, riusciamo ad uscire anche noi!” lo riscosse Sonoko, la sua punta di sarcasmo tornata al suo posto.
Shinichi le fece la linguaccia, ma poi si mise sull’altro fianco di Ran e aiutò le due ragazze ad uscire dal sotterraneo.
“Ah, aria fresca!” esclamò Sonoko, ora tranquilla.
Erano sbucati ad una trentina di metri dalla botola che avevano scorto tra l’erba, e l’uscita era dietro ad un albero poco distante dall’entrata secondaria della baita, al limitare del bosco.
Fuori non c’era anima viva, forse il proprietario era dentro alla baita. Comunque Shinichi non abbassò la guardia. Non voleva cadere nello stesso errore di un’ora prima.
“Ehi, guardate là!” disse Sonoko, indicando alla bell’e meglio la staccionata della baita. Là, parcheggiate, c’erano l’auto della sorella della vittima e due pattuglie della polizia.
Il padre di Shinichi era tornato con i rinforzi e probabilmente stavano interrogando i sospettati.
Lentamente, i ragazzi arrivarono alla porta secondaria, ma prima di fare capolino nella piccola stanza che fungeva da salotto, sentirono levarsi una voce severa.
Quella di Yusaku Kudo.
“Le conviene dirci dove sono quei ragazzini, signor Usami, ormai per lei non c’è scampo!”. Sembrava teso, ma allo stesso tempo con in mano la situazione.
“Non peggiori la sua posizione. È già accusato di omicidio, signore” disse una voce burbera e sconosciuta ai tre ragazzini.
La risata sprezzante del proprietario produsse un brivido ai tre che stavano lì fuori, ad ascoltare. O, per meglio dire, ad origliare.
“Non so proprio di che parlate. Io non li ho mai visti!” mentì il signor Usami.
Ran si strinse forte ai due amici e guardò fisso Shinichi negli occhi. “Non è vero. È stato lui!”.
Shinichi annuì e le fece segno di rimanere in silenzio ancora un po’.
“Qui mente, mio caro signor Usami! Lei è l’unico di noi tre ad essere uscito di casa! Io e sua cugina siamo rimaste nel salotto per tutto il tempo!” stavolta a parlare era stata la moglie di Yusaku, Yukiko Kudo.
Ancora la risatina sprezzante. “Magari si sono avventurati per il bosco e adesso sono laggiù, sperduti...”.
Un pugno battuto violentemente sul tavolo, e poi la voce di Yusaku furiosa. “Lei mente!”.
“Dov’è mio figlio?! E le ragazze?!” gridò a sua volta Yukiko.
A quel punto Shinichi decise che era tempo di fare vedere che stavano tutti bene, più o meno, e girò il pomello della porta.
Nel salotto calò il silenzio al solo sentire il rumore della porta aprirsi e tutti si voltarono a guardarli, sorpresi. I genitori Kudo furono sollevati, ma anche preoccupati vedendo in che stato vertevano i tre giovani.
Perfino il  signor Usami era stato preso in contropiede.
“Voi... voi dovreste essere morti o perlomeno moribondi, dopo la caduta che avete fatto!” esclamò, incastrandosi da solo.
Shinichi ghignò, soddisfatto. “Mi dispiace per lei, ma noi siamo vivi e vegeti”.
“Più o meno” brontolò Sonoko, guardando l’amico in cagnesco.
Il signor Usami bruciava di collera e di orgoglio ferito: il piano per liberarsi di loro era fallito. Forse non era stato lui ad aprire quella botola, precedentemente. Altrimenti avrebbe saputo dei materassi di sotto.
L’Ispettore della polizia fece un passo avanti. “Lei è in arresto per...” ma non fece in tempo a finire la frase, perché il signor Usami fece uno scatto verso il trio malconcio, con le mani protese in avanti, pronto a picchiarli.
Sonoko chiuse gli occhi e cacciò un urlo assordante, mentre Shinichi mollò la presa su Ran per difendere le due amiche, ma venne colto da una fitta violenta al fianco che lo bloccò.
Il signor Usami puntava dritto verso di loro e gli altri presenti, presi alla sprovvista, non si erano mossi. Solo un paio di agenti e Yusaku stavano correndo loro in soccorso, ma il proprietario era già più avanti.
“Maledetti!” gridò il signor Usami, ma fu l’ultima cosa che disse.
Ran, sorprendendo per l’ennesima volta i suoi amici, aveva ripreso qualche energia ed aveva affondato un colpo sicuro allo stomaco dell’omicida.
L’uomo sbarrò gli occhi e, dolorante, indietreggiò fino a cadere di schiena per via del colpo, semisvenuto.
Ran stavolta non perse l’equilibrio, e comunque la prima a soccorrerla fu Sonoko che le si aggrappò al braccio, piagnucolante.
“Oh, Ran, ho avuto tanta paura!” stava borbottando Sonoko, mentre una Ran febbricitante e zoppicante la stava abbracciando e consolando, carezzandole la testa.
Shinichi, a quella immagine, non poté che sorridere.
Erano tutti e tre salvi.
 
 
“Ma tu, Shinichi, non puoi non cacciarti nei guai almeno una volta?” domandò Yukiko, sventolando un batuffolo imbevuto d’alcol sotto il naso del figlio.
Shinichi storse il naso e voltò la testa. “Uffa, mamma, non sono più un bambino!” si lagnò Shinichi.
Sua madre sbuffò sonoramente e tornò a medicargli i graffi che aveva riportato al piede dopo i suoi calci per spaccare la botola dell’uscita.
Il fianco, come aveva supposto, non aveva riportato nulla di grave: una bella disinfettata, una benda e un antinfiammatorio furono sufficienti a rimetterlo in sesto.
Sonoko stava seduta ai piedi del letto di Ran, con il braccio destro tenuto fermo da una fasciatura. Una volta arrivati nel paese più vicino con la macchina della sorella della vittima per recuperare quella di suo padre dal meccanico, sarebbero andati al pronto soccorso per farla vedere da un medico.
Nel frattempo Ran stava sdraiata a letto con gli occhi chiusi, ma perfettamente sveglia. Era stata proprio una giornata stancante e imprevista.
“Shinichi... con te finiranno mai i guai?” domandò la ragazzina aprendo un occhio in direzione dell’amico.
Shinichi alzò lo sguardo su di lei e sorrise. “Credo proprio di no”.

 
 
 
 
 
Eccomi qua, con questa raccolta salvata nel computer da parecchi mesi… ;)
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Spero che l’idea piaccia anche a voi, e se mi lasciaste una piccola recensione, ne sarei contenta!
Al prossimo capitolo! ^^
 
Dony_chan
  
  
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