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Autore: Mary P_Stark    22/10/2011    4 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.



Atena si stiracchiò svogliatamente, sentendosi più forte e serena di quanto non lo fosse mai stata, in quegli ultimi anni passati senza Miguel.

Con uno slancio tutto nuovo scese da letto, scalciando via le lenzuola e osservando Pallade sul suo trespolo con un sorriso dipinto sul viso.

I fulvi capelli sciolti sulle spalle, la giovane dea si avvicinò alla sua piumata amica per carezzare gentilmente il suo corpicino morbido e, ridacchiando tra sé, disse alla civetta: “Oggi passerò la giornata con Morgan. Non ti pare assurdo che un perfetto sconosciuto sia riuscito laddove nessun altro è mai uscito vittorioso?”

Pallade emise un rauco gracidio di protesta e gonfiò le penne, prima di balzare sulla sua spalla e strofinarsi contro la sua guancia, quasi fosse gelosa del nuovo arrivato.

“Stai tranquilla. Tu sei, e sarai, sempre la prima, nei miei pensieri. Morgan è solo un amico, capito?” la rassicurò lei, carezzandole il becco mentre si dirigeva in cucina per preparare la colazione.

Dopo aver spazzolato una ciotola di corn-flakes con il latte mentre Pallade, nel giardino, si divertiva a cacciare un topolino, Atena indossò una leggera camiciola di lino bianco e pantaloni lunghi fino al ginocchio color kaki. Al tutto, abbinò delle infradito di cuoio con applicazioni di turchese sui lacci.

Stretti i capelli in una treccia singola, che scivolò sulla schiena diritta, Atena fece per richiamare all’ordine Pallade, quando la vide dedicarsi al suo pasto con troppa foga, ma il campanello suonò proprio in quel momento.

Sorpresa, la giovane andò alla porta per aprire e, a sorpresa, si trovò dinanzi Morgan, abbigliato come lei in maniera molto sportiva, con una sahariana color sabbia a maniche corte e pantaloncini al ginocchio.

Ai piedi, indossava delle leggere scarpe da tennis scure, senza calzini.

Atena approvò silenziosamente tra sé prima di sentire, alle sue spalle, lo stridio irato di Pallade che, volandole sulla spalla, fissò astiosa Morgan prima di lanciare un altro grido di protesta.

Allontanandosi sorpreso dall’animale inferocito, Morgan esordì dicendo: “Volevo farti una sorpresa, ma tu l’hai fatta a me. Tieni una civetta in casa?”

“Già” annuì Atena, cercando di chetare il malumore di Pallade. “Non pensavo saresti passato a prendermi. Pallade, smettila di soffiare così!”

Ridacchiando nervosamente, Morgan arretrò ancora di un passo prima di dire: “Non devo starle davvero simpatico.”

“Non ha mai fatto così” esalò Atena, sinceramente sorpresa. “Pallade, torna subito in camera e restaci. Ora esco con Morgan, e dopo riparleremo del tuo comportamento.”

Protestando con un sonoro quanto acuto stridio, la civetta si involò verso la camera e Atena, uscendo di casa dopo aver afferrato uno zainetto, si scusò dicendo: “E’ molto gelosa, devi scusarla.”

“Non pensavo si potesse addestrare così bene un animale come una civetta” chiosò Morgan, dirigendosi con lei verso il suo SUV nero. “L’hai chiamata come l’amica mitologica di Atena?”

“Già” annuì lei, ripensando per l’ennesima volta alla cara Pallade.

Tutte le sue civette si erano chiamate così. Non poteva farne a meno. Anche se non erano mai le stesse e, nel corso dei millenni, se ne erano succedute a migliaia, si erano tutte chiamate Pallade.

Aperta per lei la portiera dell’auto, Morgan attese che fosse salita prima di raggiungere il posto di guida.

Atena, dal suo sedile, lo scrutò curiosa e domandò: “Non hai voluto dirmi dove mi avresti portato, ieri sera. Nessuna anticipazione?”

“No. Voglio che sia una sorpresa” le sorrise lui, mettendo in moto.

“D’accordo” ridacchiò lei, sistemandosi meglio sul sedile e osservando distrattamente la via e le case affacciate su di essa che, sempre più velocemente, scorrevano dinanzi ai suoi occhi eccitati.

Non si sentiva così da tempo, ed era tutto merito di Morgan.

Era comparso dal nulla nella sua vita, riempiendo dei vuoti che la sua famiglia e i suoi amici umani non erano stati in grado di fare, forse perché unico a comprendere il suo dolore e la sua fame di pace interiore.

Non voleva indagare troppo su quel colpo di fortuna, temendo potesse scomparire da un momento all’altro. Voleva solo goderselo.

Parlando di come si fossero trovati bene la sera prima, e di quanto Atena avesse trovato eccellente la cucina, la coppia si ritrovò ben presto nel centro di Monterey ma, neppure lì, Morgan fermò l’auto.

Si diresse verso la baia, come a voler tornare all’acquario ma, all’ultimo momento, risalì la collina lungo Pearl Street e lì Atena, irrigidendosi all’istante, mormorò: “Morgan, cos’hai in mente?”

“Non agitarti. Desidero solo mostrarti una cosa” replicò lui, rallentando fino a parcheggiare di fronte all’entrata del San Carlos Cemetery.

“Non voglio” sbottò lei, stringendo le braccia sotto il seno e mettendo un broncio ostinato.

“Non chiedo altro che un po’ del tuo tempo” la supplicò Morgan, sfiorandole una spalla con la mano calda.

Atena si scostò come si fosse ustionata e Morgan, dopo essere sceso dall’auto, la raggiunse e, aperta la portiera, slacciò la sua cintura di sicurezza e le offrì la mano, aggiungendo ancor più gentilmente: “Voglio solo mostrarti dov’è sepolta mia moglie, poi andremo via.”

“Non… non voglio andare da Miguel, però” sussurrò Atena, a denti stretti.

Sinceramente stupito, Morgan esalò: “E’ sepolto qui anche lui?”

Atena annuì, scendendo da sola dall’auto e tenendosi stretta al petto lo zainetto. Morgan la fissò con sincero dispiacere e le chiese: “Non sei mai andata a trovarlo, dopo la sua morte?”

“Fa troppo male. Ho pagato una fiorista perché mettesse sempre fiori freschi sulla tomba ma io… io…” tentennò Atena prima di appoggiarsi al SUV e chiedere: “… mi reputi insensibile?”

“Sei tante cose, ma di certo non insensibile” le sorrise lui, prendendola per mano e accompagnandola all’interno del cimitero con passo tranquillo.

Tenendo il capo chino e stringendo nella mano libera i lacci dello zainetto, Atena oltrepassò i cancelli d’ingresso prima di lanciare occhiate furtive alle lapidi di marmo. Alte statue di angeli si inframmezzavano a piante ad alto fusto, mentre piccoli gruppi di persone erano intente a pregare di fronte ai propri defunti.

Svoltando sulla destra, lungo un enorme viale alberato, Morgan si diresse verso una serie di cappelle più o meno grandi, che rassomigliavano a piccoli tempietti votivi.

Quando ne raggiunse uno con la statua di una sirena accovacciata su uno scoglio, si fermò e Atena, scrutando curiosa l’insolita raffigurazione, notò ai suoi piedi, scolpita su una lastra di rame, una piccola epigrafe.

“A Sophie, la sirena dei mari più bella che io abbia mai conosciuto” mormorò Atena, prima di vedere Morgan aprire il cancelletto di metallo per entrare all’interno della cappella.

Seguendolo dopo un istante passato a scrutare la bella sirena di marmo bianco, la giovane dea entrò nel piccolo tempietto in stile greco antico e fissò la lapide che nascondeva i resti mortali della moglie di Morgan.

Sgomenta, scorse un nome che conosceva bene.

Seira Enosìctono, detta Sophie. Amata moglie e amica.

Seira.

Chiudendo gli occhi per un momento mentre, alle sue spalle, un’aura a lei ben più che nota faceva la sua comparsa, Atena sussurrò irritata: “Davvero i miei complimenti. Non ti facevo così subdolo.”

“Non si tratta di essere subdoli. Si tratta di essere onesti” replicò una voce alle sue spalle, che nulla aveva a che fare con quella di Morgan.

Volgendosi con gli occhi che sprizzavano scintille, Atena incrociò lo sguardo dello zio e, rabbiosa, esclamò: “Che storia è questa?! Spiegami!”

I capelli sale e pepe erano scomparsi per lasciare il posto a fluenti riccioli castano dorati mentre il volto, dai lineamenti in precedenza poco appariscenti, si fecero decisi, dagli zigomi alti, il naso diritto e il mento volitivo.

Gli occhi, di un acceso azzurro acqua marina, si intrecciarono a quelli grigio perla della nipote, mentre la voce stentorea di Poseidone riprendeva dicendo quieto: “Non c’è nulla per cui essere infuriati, Atena. Volevo solo dimostrarti che anch’io posso capire bene ciò che provi.”

“Seira non è mai stata sposata con te! Seira è diventata donna per amore di un uomo e…” cominciò a inveire Atena prima di bloccarsi di fronte allo sguardo affranto dello zio ed esalare: “…eri veramente tu?”

Poseidone non la ascoltò e, sfiorando la lapide con dita leggermente tremanti, disse: “Voleva diventare umana per potermi amare come solo una donna può fare e io, scioccamente, glielo concessi. Era la mia amica più cara e la donna a cui io tenevo più di tutte. E le ho fatto questo.”

“Come puoi dirlo, dopo… dopo tutte le donne che hai avuto?!” replicò scettica Atena.

“Concedimi le mie debolezze senza crearne altre laddove non vi sono. Amavo Seira di amore sincero, Atena. Non avrei concesso a nessun altro un dono simile, lo sai bene. Quante sirene si sono innamorate dei mortali che vedevano navigare per i mari e tentavano, con i loro canti, di trattenerli nel loro mondo? Quante? E a quante ho dato il dono della mortalità?”

“A nessuna” ammise Atena, più calma, prima di chiedere: “Perché non la salvasti?”

“Perché, semplicemente, non ve ne fu il tempo. Ero sull’Olimpo, quel giorno, impegnato in una discussione con tuo padre, quando l’incidente avvenne. Sai bene quanto il palazzo di tuo padre sia un luogo schermato dalle energie fluttuanti provenienti dal mondo degli umani” le spiegò Poseidone, continuando a fissare la lapide con sguardo perso.

“Sì” sussurrò Atena. Sapeva bene anche lei quanto fosse difficile percepire il mondo dei terreni, dalla casa del padre.

“I delfini accorsero subito per aiutarla, ma non riuscirono a liberarla dal sartiame e, mentre alcune ninfe dei fiumi accorrevano sull’Olimpo per avvertirmi e i tritoni del mare si affrettavano a raggiungere la barca, lei morì” sussurrò Poseidone, chiudendo un momento gli occhi.

La terra tremò leggermente sotto i loro piedi e Atena, volendo scuotere lo zio da quel dolore prima che potesse danneggiare anche gli umani, disse lesta: “Non ne avevi colpa.”

“Le diedi io le gambe per diventare donna. Ho colpa, in questo senso. Ma hai ragione; non decisi io la rotta che tenne la barca” replicò lui, calmandosi subito.

Il tremore cessò e Atena, sospirando pesantemente, domandò: “Vuoi farmi intendere che Miguel non morì per causa tua?”

“Non intervengo più da secoli sulle correnti oceaniche proprio perché ormai troppe navi, e umani, si trovano in loro balia, così lascio che i loro flussi rimangano il più lineari possibili, governati dalle energie del pianeta. Come non decisi io di veder colare a picco la barca di Sophie, così non ho colpa per ciò che successe a Miguel” le spiegò lui, volgendosi completamente verso la nipote. “Non potei fare nulla per lui perché la morte giunse troppo repentina, richiamando Thanatos sul luogo dell’incidente prima che io potessi anche solo chiedere alle Moire di ripensare a ciò che avevano fatto.”

La nipote, sorpresa, esalò: “Tu … chiedesti ad Atropo e…”

“Ci provai, perché sapevo bene il dolore che avrebbe prodotto in te la sua morte. Ma fu troppo tardi. Come lo fu per il tuo bambino. Nessuno di noi sapeva che eri incinta, perciò nessuno di noi poté intervenire per fermare la mano di Thanatos. Ma so che Persefone se ne prende buona cura, nei Campi Elisi. Lo fa giocare con le farfalle e intrecciano spesso corone di fiori per te e Miguel.”

“Lo hai visto?” singhiozzò Atena, con voce rotta.

Annuendo, Poseidone le sfiorò il viso con un dito, con un tocco leggero, prima di dirle: “Cercai di intercedere almeno per lui, visto il suo sangue divino, ma Ade fu lapidario. Il bimbo non avrebbe più potuto abbandonare il suo mondo, anche se figlio tuo. Ma Persefone mi promise che, da quel giorno in poi, se ne sarebbe occupata lei e gli avrebbe parlato di te e di quanto lo amavi.”

Lasciandosi scivolare contro il muro interno della cappella, Atena scoppiò in lacrime ed esalò: “Com’è?”

“Somiglia sia a te che a Miguel. Ha i riccioli scuri di tuo marito e occhi chiari come i tuoi. Ora è un bel bambino di quattro anni” le spiegò Poseidone, piegandosi su un ginocchio per sfiorarle, esitante, una guancia.

Scoppiando in una risatina isterica, Atena fissò la sua mano sinistra ed esalò: “Ora ricordo dove avevo visto portare gli anelli a questo modo. A te! E io che non mi sono mai chiesta cosa rappresentassero. Pensavo fossero semplici orpelli, non fedi nuziali.”

“Non abbiamo mai navigato in buone acque, io e te” abbozzò una risatina lui.

“No. E ora capisco anche perché Pallade voleva cavarti un occhio. Lei aveva capito chi eri, aura o non aura presente” sospirò Atena, sollevando lo sguardo per guardarlo.

Poseidone sorrise lievemente, ma aveva gli occhi lucidi.

Ridacchiando nervosamente, lui commentò: “Le civette non mi hanno mai amato, lo so.”

“Davvero i miei complimenti… Morgan Dark” sussurrò lei, esausta.

“Uso sempre questo nome, quando mi muovo tra i mortali” chiosò lui, sedendosi accanto ad Atena prima di avvolgerle le spalle con un braccio.

Lasciando scivolare il capo contro il torace muscoloso dello zio, Atena sussurrò: “Cosa devo fare, con te?”

“Accettare che non io, ma il Fato, ti ha strappato Miguel e il tuo bambino. E accettare che, almeno su una cosa, possiamo capirci” le spiegò la divinità, carezzandole i serici capelli.

“Non cadrà il mondo se andiamo d’accordo su qualcosa, vero?” cercò di ironizzare lei, pur volendo piangere a dirotto.

“Non credo sia possibile” ammise lui, aiutandola ad alzarsi per abbracciarla forte. “Mi spiace davvero tanto, nipote. Davvero.”

“Ti credo” sussurrò a quel punto Atena, ricambiando l’abbraccio.

 
***
 
Avvolgendola in un abbraccio consolatorio e di benvenuto, Persefone sorrise ad Atena e, accompagnandola lungo un interminabile colonnato circondato da ampie distese di campi fioriti, disse: “Vedrai che sarà contentissimo di vederti. Gli ho mostrato alcune tue foto, e sono certo che ti riconoscerà subito.”

“E… e se non dovesse… se non volesse…” tentennò Atena, prima di voltarsi in direzione dello zio, che le seguiva a pochi passi di distanza, intento a ridacchiare divertito.

“La coraggiosa Atena che vacilla? Non è da te!” commentò ilare Poseidone, dandole una pacca sulla spalla.

Mettendo il broncio, Atena replicò piccata: “Vedi di non tirare troppo la corda, zio. E’ già tanto che ti ho concesso di venire con me.”

“Non ho bisogno della tua presenza per venire a trovare…” cominciò col dire Poseidone, prima di storcere il naso e chiedere: “… gli abbiamo mai dato un nome, a questo bambino?”

Un po’ sorpresa, Atena si fermò a metà di un passo e disse, rivolta allo zio: “Oh, giusto. Tu non sapevi che era stato seppellito vicino al padre, quindi non hai neppure letto il nome sulla lapide.”

Poi, rivolgendosi a Persefone, chiese: “Neppure tu ti sei mai arrischiata a cercare la sua tomba? Anche tu avevi paura della mia reazione?”

Persefone e Poseidone si guardarono imbarazzati per alcuni attimi quando alla fine, tossicchiando, lo zio ammise: “Beh, ecco… ammetto di non aver avuto il coraggio di indagare su dove li avessi fatti seppellire, dopo quanto era successo. Avrei tanto voluto andarci per portare almeno dei fiori, ma…”

“… ma avevi il terrore folle che io mi sarei accorta della tua presenza e avrei tentato di fare delle sciocchezze” terminò per lui Atena, sorridendo benevola. “Hai fatto bene, credimi.”

“Meno male” sospirò sollevato prima di aggiungere malizioso. “Con te non si sa mai come fare.”

“Zio…” ringhiò Atena, aggrottando subito la fronte.

“Muto come una tomba” promise lui, prima di strizzarle l’occhio e chiedere: “Come si chiama, allora?”

“Alekos” disse Atena, con un sorrisino.

“Bellissimo nome, davvero. Gli si addice” assentì Persefone, prima di dire: “Eccolo là.”

Oltre il colonnato infinito – che percorreva in tutta la loro enormità i Campi Elisi – e immerso in un mare colorato di fiori profumati, Atena vide un bimbo dai riccioli scuri e la pelle chiara.

Apparentemente, stava giocando con una farfalla, e scorrazzava allegro tra i fiori, ridendo e sbattendo le mani sopra la testa.

Mordendosi un labbro con aria esitante, mosse il primo passo tra l’erba alta prima di sussurrare: “Alekos…agape1…”

Il bimbo si volse, forse percependo la presenza di qualcuno, forse attirato dal fruscio leggero di quel nome appena sussurrato e, aprendosi in un sorriso, mosse qualche passo verso Atena – le mani protese verso di lei – e disse esitante: “Metera2?”

Annuendo senza riuscire a parlare né a distogliere lo sguardo da lui, Atena gli corse incontro prima di crollare in ginocchio di fronte al bimbo e stringerlo in un abbraccio soffocante.

Ridacchiando divertito quando Atena lo colmò di baci su tutto il viso, il bimbo disse: “Metera, mi fai male.”

“Oh, scusami, tesoro mio” sussurrò lei, allentando un poco la presa prima di affondare il viso nei suoi riccioli. Avevano lo stesso profumo di quelli di Miguel. “Sono solo così felice di vederti.”

“Zia Percy mi ha detto che eri tanto triste perché io ero morto, e non riuscivi a trovare la via per vedermi, così ho aspettato qui tutti i giorni” le spiegò con disarmante semplicità il bimbo, mentre Persefone e Poseidone li osservavano da una certa distanza.

“Hai fatto benissimo, tesoro mio, benissimo” annuì più e più volte Atena, prima di guardare Persefone e dire: “Grazie ancora per quello che hai fatto.”

“Ho solo mantenuto viva la tua presenza per quando fossi stata pronta. Ma sai che non potrà mai abbandonare i Campi Elisi, vero?” le ricordò dolcemente Persefone, sorridendole spiacente.

Annuendo, Atena si sollevò in piedi tenendo in braccio il suo bambino e, con un sorriso, disse: “Lo so. Ma mi basta averlo almeno qui.”

Tutto contento, Alekos strinse le braccia paffute intorno al collo della mamma e disse: “Ora potremo giocare assieme per sempre.”

“Sì, bimbo mio. Per sempre” annuì Atena, prima di chiedere a Persefone: “Ha potuto conoscere suo padre?”

“Come mortale, è giunto qui senza un corpo fisico, quindi no, mi spiace” scosse il capo Persefone.

“Vorrà dire che ti parlerò io, di tuo padre. Ti racconterò tutto di lui” cominciò col dire Atena, prima di iniziare a camminare per il prato assieme al figlio, accoccolato tra le sue braccia e del tutto perso nel suo sguardo.

Fermo assieme a Persefone nei pressi del colonnato, Poseidone ammirò la scena con un sorriso e chiosò: “Dopotutto, non è andata male, no?”

“Mi spiace solo che a te non sia stata concessa altrettanta grazia. Facendo diventare umana Seira, hai perso il diritto di vederla qui nell’Oltretomba” gli disse Persefone, sfiorando comprensiva un suo braccio.

Poseidone scrollò le spalle, commentando: “Mi ripago della perdita guardando loro due.”

“E io vedrò di ricompensare te, fratello, per avermi restituito una figlia che credevo persa” decretò una voce alle loro spalle.

Volgendosi a mezzo, Poseidone sorrise a Zeus che, evanescente come uno spettro e avvolto da una leggera nebbiolina dorata, si avvicinò al fratello sorridendo soddisfatto.

“Non ho bisogno di ricompense, fratello, ma grazie per averci pensato” replicò a quel punto Poseidone quando la proiezione di Zeus lo affiancò.

“Non ti facevo così umile, Poseidone” ridacchiò Zeus, sorridendo maggiormente quando vide Alekos baciare la madre su una guancia.

“Sono in giornata sì, oggi” si limitò a dire Poseidone, prima di correre verso i suoi nipoti e prendere Alekos dalle braccia della madre per farlo volteggiare sopra la sua testa.

“Beh, per una volta non sono dovuto intervenire io” commentò pacato Zeus.

Persefone sorrise prima di domandare curiosa: “Non ti unisci a loro, Sommo Zeus?”

“E rischiare di irritare mia figlia? No. Ha perdonato Poseidone, non il sottoscritto. E io non sono così ardito da mettermi contro una dea irritata con me” ridacchiò Zeus, facendo un gesto vezzoso con la mano prima di scomparire.

Persefone ridacchiò, ipotizzando che il Signore degli dèi fosse ben più che abituato alle ire di una certa dea in particolare e, tra sé, celiò: “Meglio avere un nemico per volta, da affrontare.”

Detto ciò, si incamminò tranquillamente verso i due dèi, impegnati a intrecciare corone di fiori per il bimbo e, a gran voce, disse loro: “Alekos, perché non sali in groppa a zio Poseidone e non ti fai scarrozzare in giro per il prato?”

 
 
 
__________________________
  1. Agape: amato, amore (greco)
  2. Metera: madre (greco)

N.d.A.: spero che questa breve storia, anche se un po' malinconica, vi sia piaciuta.

 
  
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