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Autore: Picciartina    22/10/2011    1 recensioni
Un uomo distrutto dal dolore.
Una famiglia andata in pezzi.
Una Venezia scintillante.
Un doge vendicativo.
Un giustiziere misterioso.
Ecco gli ingredienti di questa piccola storia. Questo è il primo capitolo, se vi piacerà ce ne sarà un secondo ed ultimo.
Chu!
Genere: Suspence, Thriller, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Tiziano non sbatteva le palpebre da quasi un minuto. Le sue pupille si muovevano da una parte all’altra, impossibili da fermare. Sembravano due fiamme che rinvigorite dal vento, ondeggiavano vibranti nei suoi bulbi oculari, lucidi e appena crepati del colore rossastro delle vene.
La gola secca, le mani tremanti. Ci mise poco a ricadere con il peso del suo corpo sulle proprie ginocchia. Un rumore sordo che rapidamente echeggiò in tutta la stanza, ormai completamente incenerita.
Il cuore sussultava di continuo e la vista, ora, cominciava ad annebbiarsi. Forse per il fumo, per la cenere, per le lacrime calde e dense che senza accorgersene iniziarono a rigargli il volto marmoreo.
La caduta di una trave in legno dal soffitto lo fece ritornare al presente, un presente che invece non faceva altro che portarlo ad un unico pensiero...
“E’ un incubo...” sussurrò prima di portarsi le mani alla bocca e al viso.
La sua bellissima casa nel cuore della Serenissima sembrava ora un triste deserto di sabbia color carbone. Solamente parte dello scheletro del Palazzo ero riuscito a resistere  all’incendio.
Si rialzò da terra e prese dalla tasca un piccolo fazzoletto color panna da portare al suo naso per evitare d’inalare fin troppo quel terribile odore di bruciato. La sua attenzione fu subito catturata da un particolare che gli era sempre risultato familiare, ma che in quel momento precipitò nella mente dell’uomo come un soffio di vento gelido che avrebbe spazzato via qualsiasi tipo di pensiero, portando a galla l’unico che realmente contava. Fissò le iniziali sulla stoffa del fazzoletto: C. R.
Senza tener conto della precarietà dello stabile, Tiziano corse verso l’unica porta che lo avrebbe immesso nel corridoio dell’appartamento. Il legno scricchiolava sotto i suoi piedi e la cenere non faceva altro che sollevarsi da terra ad ogni suo passo.
Sentiva il cuore in gola e nuovamente quella sensazione di abbandono pervase ogni singolo arto del suo corpo.
L’unica porta che destava il suo interesse e quella corsa sfrenata fra le macerie di una casa ormai in pezzi, era l’ultima in fondo al corridoio. Pregò dentro di se l’impossibile, ovvero che le fiamme non l’avessero raggiunta, ma quando i suoi occhi incontrarono quello che era stato poco tempo prima un bellissimo portone in legno con ricami in ferro, quasi perse l’equilibrio. La porta non esisteva più, così come anche il muro attorno ad essa. Solo il soffitto ancora reggeva, ma chissà per quanto. Varcò quella ormai indistinta soglia ed iniziò a farsi largo fra i mobili e le travi in pezzi.
Avrebbe dovuto urlare il loro nome, così avrebbero risposto...forse. Ma cosa pensava...certo che avrebbero risposto! Si fece forza e spalancò la bocca per poter riempire con i loro nomi la sua voce, ma prima di poter solo pensare al tutto rischiò di scivolare a terra. Si resse con una mano al poco pavimento che ancora restava mentre sentiva dalle altre stanze ancora muri che cedevano come castelli di sabbia.
Rialzandosi si rese conto che la sua perdita di equilibrio era stata provocata  da una strana macchia nerastra, liquida, che si espandeva per parte del pavimento. Solo una volta sollevato si rese conto di cosa aveva imbrattato i suoi vestiti, le sue mani.
Sangue.
Deglutì prima di iniziare freneticamente a spostare qualsiasi oggetto gli impedisse di seguire quella pista terrificante. Lanciò sedie consumate dal fuoco, comodini completamente anneriti, bambole che ancora odoravano di stoffa bruciata, prima di trovar di fronte a se il suo vero incubo.
Non riusciva a comprendere per quale strano criterio naturale, ma il corpo della sua piccola Ginevra giaceva inerme, ricoperto solo del suo rosso sangue, senza una minima bruciatura sulla pelle.
Nè cenere nè carne bruciata.
Sbatté le palpebre più volte mentre le lacrime iniziavo a rigargli il viso caldo e affannato. Strusciò a terra verso quella figura esile come quella di una bambola. Il viso, una volta candido come la luna in cielo, era macchiato indelebilmente dal sangue e dalle ferite. Graffi, tagli ornavano quella giovane pelle e il sangue continuava a colare lungo il suo corpo come fresca vernice appena passata. Lo sguardo vitreo, come gli stessi occhi di Tiziano in quel preciso istante, sembravano rivolte ad un mondo completamente distante da quello del padre.
Un urlo straziante fuoriuscì dalla gola dell’uomo mentre le sue forti braccia stringevano al suo petto il corpo di Ginevra. Continuava a scuoterlo tra singhiozzi e strilli, a sperare fosse tutta fantasia...ma nulla.
Secondi, minuti passarono, ma Tiziano rimaneva a guardare quelle scempio. Non poteva neppure immaginare cosa poteva aver passato la sua piccola. Quelle ferite, così profonde ma allo stesso tempo precise e calcolate non erano sicuramente vittima dell’incidente subito dalla sua dimora.
Qualcuno aveva agito. Qualcuno aveva ucciso il frutto dell’amore che lo univa ancora a Cristiana, la sua donna.
Cristiana...
Non appena il nome di sua moglie balenò nella sua mente con insolita incuranza, a causa dello shock, una grande goccia calda e densa cadde sulla sua mano ancora posata sulla fronte del piccolo cadavere.
Ancora un’altra. Ed un’altra...
Fu naturale per lui alzar lo sguardo a quel poco che rimaneva del suo soffitto curato.
Due piedi nudi ondeggiavano a pochi metri dal suo volto incredulo. Non comprendendo come fosse possibile, riuscì a trovare la forza di alzarsi con le sue sole e poche energie che gli restavano ancora. Seguì con gli occhi quella scia purpurea di sangue che colava dalle gambe lì appese. Risalì lungo il ventre seminudo, l’addome rigato da graffi, le braccia completamente ricoperte di sangue, il collo seghettato dalla spessa corda che sorreggeva il deturpato corpo della sua Cristiana.
Un fischio assordante fu percepito dalle sue orecchie e in pochissimo tempo riuscì a ricordare solamente la bocca spalancata della moglie prima di cadere a terra privo di sensi.

1568. Repubblica di Venezia.
Il giovane Pietro è stato scelto dal Maggior Consiglio. “E’ un onore!” gli disse suo padre prima di lasciarlo entrare nel grande Palazzo dove ben 40 ministri attendevano il momento tanto bramato: l’elezione del nuovo Doge.
“Su, ragazzo, avvicinati al tavolo ed estrai una sola balote*” gli disse un funzionario lì presente. Pietro sospirò e deglutì numerose volte prima di affondare la sua piccola e candida mano di undicenne all’interno dell’urna. Sentiva gli sguardi dei candidati su di se ed una terribile ansia lo portò a rovesciare il contenitore. Un assordante boato provocò lo spavento di molti dei ministri che subito chiesero a gran voce che “Quell’incapace” fosse allontanato dal Palazzo ed esonerato dal suo compito. Prima che chiunque potesse replicare, Pietro sollevò una mano verso l’alto e la luce che filtrava dalle finestre del luogo illuminarono la metallica balote fra le sue dita. Il funzionario incaricato diede valida quell’estrazione e in poco tempo il giovane cittadino veneziano venne allontanato dal Palazzo. Una volta uscito Pietro, il silenzio tornò a regnare nel grande salone. Il funzionario si mise a sedere e, con grande cautela che era decisamente mancata al giovane, svitò la balote facendone fuoriuscire una sottile pergamena. Gli occhi dell’uomo vagarono sul volto di tutti i 40 candidati e solo alla fine si soffermarono sul volto del nuovo eletto.
“Tiziano Orlando Reali! Siete ufficialmente riconosciuto come nuovo Doge di questa Repubblica di Venezia!”
Con tutto il portamento e l’eleganza che possedeva, Tiziano si sollevò dal sedile seguito da un lungo applauso. Salutò gli altri ministri prima di avvicinarsi al funzionario che lo condusse al grande terrazzo dove il nuovo Doge si sarebbe mostrato per la prima volta alla sua città e al suo popolo. Con le mani alzate in segno di saluto, Tiziano si mostrò prima di dedicarsi a quel discorso che era stato pronto nella sua mente da moltissimi anni.
“Cittadini di Venezia, la sorte mi ha voluto qui. Dio mi ha voluto qui, a rappresentarvi voi tutti. La mia persona non può che esserne onorata e la mia devozione a Venezia mi renderà il Doge che avete sempre atteso!”
Tra lo scrosciare degli applausi, i fischi e le urla della gente, una voce si leva da lontano con un’unica domanda alla nuova carica.
“Quale sarà il vostro primo intervento, Mio Signore?” un giovane e rivoluzionario contadino aveva parlato.
Lo sguardo glaciale di Tiziano si posò proprio su quel piccolo volto che riusciva ad intravedere in lontananza. Un sorriso gelido si disegnò sulle sue labbra, prima che vennero schiuse...
“La Giustizia. Riporterò Venezia allo splendore e l’ombra oscura e maligna dell’impero turco soccomberà sotto la temibile morsa della nuova Serenissima. Abbandonate i tristi ricordi delle razzìe e delle barbarie di quella gente, Venezia tornerà di Venezia!”

Una volta che la folla venne dispersa,Tiziano, con il peso della sua nuova carica, si allontanò dal Palazzo scortato da quelle che sarebbero state da quel momento le sue guardie personali. Sentirsi già così limitato l’opprimeva, ma era necessario.
I passi rimbombavano nei corridoi del Palazzo, così come il mantello della nuova veste ondeggiava seguendo il ritmo del corpo e della camminata dell’uomo. Una volta uscito il sole caldo della giornata illuminò il suo viso stanco e segnato dal grande momento e, allo stesso modo, quello sbarazzino e fintamente vago di Pietro, il giovane prescelto per il pescaggio della balote. Un cenno del capo fu l’unico saluto da parte di Tiziano che lentamente si avvicinò con poca attenzione al ragazzino, il quale si tolse il cappello come segno di rispetto. Tre monete d’oro scivolarono dalla lunga manica bianca della veste del Doge nel consumato e rovinato cappello di Pietro. Un sorriso sdentato brillò fra le labbra del ragazzino prima che Tiziano potesse sussurrare un “Ottimo lavoro”.
  
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