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Autore: ellephedre    23/10/2011    9 recensioni
Raccolta di episodi erotici legati alla mia saga di Sailor Moon.
1 - Rei/Yuichiro I, continuazione della scena nella parte 12 di 'Verso l'alba'
2 - Usagi/Mamoru I, tra Interludio scena 3 e prima di 'Verso l'alba'
3 - Ami/Alexander I, tra le parti 11 e 13 di 'Verso l'alba'.
4 - Rei/Yuichiro II, l'estate precedente a 'L'indole del fuoco'.
5 - Usagi/Mamoru II, all'interno del quarto capitolo di 'Oltre le stelle'.
6 - Rei/Yuichiro III, tra la parte 13 e 14 di 'Verso l'alba'
7 - Ami/Alexander II, prima della parte 13 di 'Verso l'alba'
8 - Usagi/Mamoru III, un anno dopo Oltre le Stelle
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Mamoru/Marzio, Rei/Rea, Usagi/Bunny, Yuichiro/Yuri | Coppie: Mamoru/Usagi, Rei/Yuichiro
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


8 - Usagi/Mamoru III
Ambientato nell'estate del 1995, ovvero quasi un anno e mezzo prima di Verso l'alba e un anno dopo 'Oltre le stelle'.


Il posizionamento dello scotch sull'apertura dello scatolone riuscì talmente bene che Usagi per un momento non ci credette. Lisciò con una mano la striscia spessa e scura fino ad appiattirla contro il cartone. Nemmeno un pezzetto in rilievo. «Yuhuu! Questo non l'ho rovinato, è pronto per essere portato di sopra!»
Mamoru controllò la scritta che aveva apposto sul lato della scatola. «Usako, questa poteva anche rimanere aperta. Sono solo libri.»
Per leggere a sua volta, Usagi si piegò in due. Rilasciò un sospiro sconsolato e si abbandonò seduta sul pavimento in moquette. Sotto i pantaloncini, il contatto con la superficie in pelo le fece rilasciare una smorfia di fastidio. «Non ne combino una giusta.» E in quella stanza si moriva di caldo, come in tutta Tokyo.
«Non è vero.» Mamoru terminò di chiudere la scatola con gli ultimi piatti che gli rimanevano. «Non sei obbligata ad aiutarmi, mi stai dando una mano.»
«Come potevo non aiutarti? Ti stai trasferendo nella tua nuova casa!»
Sì, pensò Mamoru. E ne era felice, anche se sarebbe andato a stare solo due piani più sopra nello stesso edificio. La differenza reale l'avrebbe avuta nello spazio a sua disposizione: passava da un bilocale con cucinotto e bagno a un trilocale con tutta una stanza in più. Il bagno era più largo e la cucina era anch'essa più grande, anche se sempre a vista: a lui piaceva così. Si trattava ancora di un appartamento, ma la nuova abitazione gli apriva maggiori prospettive per il futuro. Smettendo di pagare un affitto stava mettendo in atto un vero e proprio investimento per l'avvenire suo e di... Se lo avesse detto a Usagi, non ne avrebbe più sentito la fine.
La verità era che in campo immobiliare bisognava muoversi con molti anni di anticipo, come gli aveva suggerito l'agente che gli aveva venduto la casa.
"Questa è una zona in espansione, Chiba-san! Il valore degli immobili sta aumentando! Tra tre anni lei non si potrà più permettere questo bellissimo appartamento, sa? Se ha i soldi ora, è una pazzia lasciarsi sfuggire questo affare."
Lui ci aveva creduto dopo essersi informato tra i vicini. Due degli inquilini dei piani inferiori, in affitto come lui, gli avevano confermato la validità dell'investimento.
"Uff..." aveva sospirato Kamiya-san, l'inquilina dell'appartamento 4 al secondo piano. "Se solo potessi comprarlo io..." Aveva quindi proceduto a flirtare apertamente con lui, forse confusa dal fatto di vederlo in casa sua a bere un tè. Mamoru l'aveva garbatamente respinta e si era ripromesso di non farsi mai sfuggire notizia di quella vicenda con Usagi: la gelosia di lei era sempre dietro l'angolo.
Usagi si mise a sedere sullo scatolone appena chiuso. Si strofinò la fronte sudata col dorso della mano. «Oggi è come una sauna...»
Già. Agosto 1995, piena estate, appena pochi giorni dopo il compimento dei suoi vent'anni. Il caldo era asfissiante e persistente, ma a Mamoru non importava. Era diventato maggiorenne a tutti gli effetti e si stava addirittura comprando una casa. Era fiero di se stesso.
«Oh.» Lo scatolone si piegò sotto il peso di Usagi. «Fortuna che sono solo libri» ridacchiò lei. «A proposito, sai che cos'ha avuto il coraggio di dirmi Shingo l'altro giorno?»
«No.» Mamoru stappò il pennarello blu con la bocca e si preparò a scrivere su un nuovo pezzo di cartone. Roba di cucina.
«Mi ha detto che sono ingrassata! Allora io per smentirlo sono andata a pesarmi e.... be', non gliel'ho detto, perché credo che la bilancia sia rotta. Sarà più di un anno che non mi peso, ma non è possibile che io abbia preso quattro chili.» Si alzò in piedi e lisciò la maglietta contro il ventre. «Vero?»
Lui le lanciò una rapida occhiata. «Sì» bofonchiò.
«Sì, non li ho presi?»
Mamoru terminò di scrivere e si concentrò. «Sì, nel senso che anche io ho visto che-» L'espressione di lei lo fermò all'istante. «No. Non quei chili in più, solo che-»
«Solo che cosa?» Gli occhi di Usagi si erano fatti feroci.
«In senso buono!» si affrettò a dire. Capì che non stava andando meglio quando lei incrociò le braccia.
Si sollevò sulle ginocchia, tentando un avvicinamento. «Nel senso che sei cresciuta.»
«In altezza?»
«No-»
«Allora mi trovi grassa!»
«No!»
«Fa troppo caldo perché io stia a sentire queste cose!» Usagi gettò a terra il nastro di scotch. «E in frigo tu non hai neanche una bibita fresca!»
Mamoru spalancò gli occhi. Cos'era quello scoppio d'ira?
Non fece in tempo a capacitarsene. Usagi era già in corridoio. «Vado a comprare qualcosa!»
«Usagi...» la seguì lui.
Lei si voltò e pestò un piede a terra. «Pensavo che fossi diventato più sensibile su questi argomenti!»
Mamoru non capì nulla. «Non ho detto che sei grassa.»
«Solo appesantita.»
«Non è vero!»
«Be', qualunque cosa pensi, a me non piace! Non potevi solo dirmi 'Ma figurati, tuo fratello è pazzo?'»
«Non ho detto che sono d'accordo con lui. Non mi hai neanche lasciato finire di-»
«A volte non ci vogliono grandi frasi. Ci vuole solo un po' di supporto. Un poco di sensibilità!»
L'accusa ripetuta lo irritò. «Cerco sempre di pensare a quello che ti dà fastidio sentire prima di parlare.» Quando mai era stato insensibile negli ultimi tempi?
«Quindi mi nascondi la verità?»
Forse lei avrebbe fatto meglio a decidersi. «No. Ma sembra che sia quello che vuoi tu.» Ora lui non poteva neanche aggiungere un 'ma' che subito veniva frainteso, neanche fosse un crimine offrire il suo punto di vista.
«Vedi che lo stai dicendo di nuovo?! Si può sapere cosa ti costava dirmi che-?» Usagi si bloccò e afferrò con uno scatto la propria borsa. «Non mi importa!»
Non le importava? «Tu non mi stai nemmeno ad ascoltare!»
«Perché su cose come questa tu non fai che criticarmi! Prendo peso ed è perché ho mangiato troppo, non ottengo ottanta all'esame ed è perché non studio mai abbastanza-»
Non le aveva mai detto niente con quel tono! E nemmeno quelle cose che-
«Faccio qualcosa di sbagliato ed è sempre colpa mia!»
«È un controsenso!» Lei stava andando talmente a razzo con quella pazzia che lui nemmeno riusciva a seguirla.
«Non importa se è un controsenso! Non m'importa se non è logico, io volevo solo che... A te devo sempre spiegarlo!»
Evidentemente sì, visto che lui ci stava provando con tutte le sue forze ma non stava capendo niente. A quanto pareva non aveva mai capito nulla, dato che aveva sempre bisogno di una spiegazione. «Non spiegare» le disse, ironico. «Dimmi cosa vuoi che ti dica.» Sembrava che contasse solo quello.
Usagi si infilò la borsa al braccio, lo sguardo basso e la bocca tesa. «A Seiya non avevo bisogno di dirlo.»
Mamoru si fece rigido.
... a chi?
E cosa diavolo c'entrava?
Usagi si accorse di quello che aveva detto. «Non lo intendevo in quel senso.»
Già. Solo nel senso che richiedeva la menzione di una terza persona in una faccenda che riguardava solo loro.
Se ne tornò in salotto.
«Non lo intendevo in quel modo! Non devi credere che-»
«Non lo credo! Ma se tu fraintendi ogni cosa che dico, sappi che sta cominciando a valere anche il contrario!»
«Non voglio che ci sia alcun fraintendimento su-»
«Nemmeno io!» La interruppe di forza, prima di sentire un'altra volta quel nome. «Perciò è meglio se vai a casa.»
Attonita, Usagi esitò un attimo. Poi si diresse in corridoio e aprì la porta.
Quando Mamoru la sentì chiudersi violentemente, serrò i pugni.
E poi era lui quello che veniva accusato di insensibilità.

Per venire a capo di quello che era successo, Usagi si era prima concessa un bel pianto. In camera sua, da sola.
Che disastro. Che disastro, che disastro, era tutto orribile!
«Usagi?»
Sollevò la testa, liberandola dal rifugio delle braccia incrociate sul tavolo. Sulla porta sbucava il muso di Luna. Lei interpretò il suo silenzio come un invito a entrare e Usagi non ebbe parole per ringraziarla: era una mano tesa nel buio della tristezza e del risentimento che non riusciva più a sopportare.
«... che cos'è successo?» fu la domanda cauta di Luna.
Usagi tirò su col naso. Disgustata, prese un fazzoletto e soffiò. «Ho... litigato con Mamoru.»
Luna rimase preoccupata, ma rilasciò anche un sospiro. Aveva fatto anche un'altra deduzione: che fosse stata lei a cominciare.
Veniva presa per una bambina e un'immatura nella relazione tra lei e Mamoru e se c'era qualcuno a cui dover dare la colpa di qualcosa... be', l'attribuzione della responsabilità era sempre automatica. Ma chi poteva biasimare? In quel caso era stata proprio lei a iniziare, anche se...
Scosse mesta il capo. «Non è stato un bel litigio. Mamoru mi ha detto di andarmene.» Come aveva potuto?
Luna avanzò silenziosa sui cuscinetti. Spuntò sopra il tavolo. «Gli avevi detto qualcosa di brutto?»
... Sì. Anche se quando lui non la lasciava spiegare, lei avrebbe voluto torcergli il collo e mettersi a piangere.
Strinse i pugni. «Oggi ero così nervosa. Dovevo parlargli di una cosa molto importante.»
«Di che cosa?»
«Ho iniziato parlando di una sciocchezza. Dei chili che ho preso, sai? Volevo solo che mi dicesse che non li vedeva nemmeno, che mi dimostrasse che... Lui non lo fa apposta, ma si comporta come te. Quando faccio qualcosa di giusto, per lui non è mai abbastanza.»
Luna arricciò la coda attorno al corpo. «Hm... non è proprio così, Usagi. Comunque so che posso sembrarti molto critica, ma Mamoru non è come me.»
Infatti. «Non è che mi critica, lui... mi fa solo notare quello che ho fatto di sbagliato, per farmi rimediare la prossima volta. È come se ogni mio risultato buono fosse solo naturale, il minimo che può aspettarsi da me. Lui non fa fatica a ottenere tutto quello che si prefigge, mentre io...» Appoggiò la fronte contro il palmo della mano. «Per il peso, lui stava sicuramente per dirmi che dovevo solo impegnarmi per perdere quello in eccesso. Come se fosse colpa mia se l'ho preso.»
Luna chiuse la bocca prima di parlare.
«Ma il problema non è questo. Io volevo solo che...» Aveva un bisogno infinito di supporto e fiducia.
«Che cosa dovevi dirgli di importante?»
Usagi raddrizzò la schiena. Asciugò col dorso di un dito l'ultima scia di lacrime. «Voglio tentare l'ammissione alla Todai.»
Qualunque cosa si fosse aspettata Luna, non era quella confessione. Lei sgranò gli occhi. «L'università?»
«Sì.» Cos'altro si chiamava Todai? Era l'università più importante della città e dell'intero paese. L'università che frequentava Mamoru e a cui solo Ami aveva osato aspirare.
La prima reazione di Luna - un minuscolo sorriso - le confermò tutti i suoi timori.
«Non ce la farò mai, vero? È solo un'idea, solo...»
«No no.» Luna sospirò. «È solo... un obiettivo molto ambizioso.»
Fuori dalla sua portata, cioè. «Per questo ci sto pensando con più di un anno di anticipo. Se non inizio ad impegnarmi ora...»
«Certo. Sono orgogliosa di te, Usagi.»
«È un bene che sia ambiziosa?»
«È una cosa molto positiva che tu stia pensando a obiettivi tanto grandi.»
Il che non significava che li avrebbe raggiunti, ma non chiedeva a nessuno di credere in miracoli che spettava solo a lei raggiungere. «Mamoru riderà.» Era quello il problema, la ragione del suo nervosismo, il motivo per cui gli aveva dato contro alla menzione di una minima critica.
Luna si rassegnò a guardare il soffitto. «Non è vero.»
«Non in modo cattivo, però... Lui sorriderà di questa idea.» Con fare benevolo e comprensivo, Mamoru non l'avrebbe dissuasa dal concentrarsi sul suo obbiettivo, ma tra sé avrebbe pensato a quel suo proposito come il desiderio esagerato di una ragazzina che si stava dando da fare per crescere piuttosto che la legittima aspirazione di una persona grande che si sforzava con tutta se stessa per fare del suo meglio, conscia dei suoi futuri doveri.
«Lui ti crede capace di fare tutto quello che ti metti in testa.»
Sì. Nei panni di Sailor Moon. «Questa non è una faccenda di battaglie, Luna. Vorrei solo che avesse più fiducia nelle mie capacità di persona... normale.»
Luna non la comprese. «Allora perché non glielo dici?»
Perché non avrebbe voluto doverglielo dire. Forse era davvero immatura e sciocca, ma si era sentita oppressa. Non da lui solamente, ma dalla consapevolezza che, anche solo per un secondo, tutti quanti l'avrebbero derisa nel sentirla dichiarare che università voleva frequentare.
Noo, Usagi Tsukino che pensa di andare alla Todai! È più facile che costruisca un razzo per andare sulla Luna!
Pensieri suoi, esagerati, ma la vergogna era uguale.
Sua madre aveva già sorriso quando lei aveva menzionato per caso l'idea.
"Figlia mia... magari!" L'aveva sentita emettere un grosso sospiro, interrotto da una risatina sotto voce.
Si sarebbero divertite anche le ragazze. Persino Minako le avrebbe detto, "Usagi...Non è che questa volta stai puntando troppo in alto?"
Da Mamoru, dal suo ragazzo, lei avrebbe voluto solo supporto! Lui però non era capace di darglielo nemmeno per una cosa come due insignificanti chili di troppo... O quattro, va bene! La opprimevano pure quelli, perché la bilancia non era rotta e lei non sapeva nemmeno come li aveva presi!
«Usagi...» Luna si piazzò di fronte a lei. «Credo che sia più un problema tuo che suo.»
Ne era cosciente, ma questo non la rendeva più serena.
«Hai combinato disastri per tanti anni, non puoi pretendere che ora gli altri non se ne ricordino.»
Luna era un genio a rigirare il dito nella piaga.
«Però sei anche maturata da allora, ce ne siamo resi conto tutti. Secondo me stai pensando che Mamoru riderà della tua idea solo perché sei la prima a essere insicura.»
Sì! Da morire, per questo voleva appoggiarsi a lui e non avere alcun dubbio sugli incoraggiamenti che le avrebbe dato.
Luna piegò piano la testa di lato. «Che cosa gli hai detto di così brutto?»
Se ne vergognava troppo per parlarne.
Nella sua testa non c'era mai stato alcun paragone con Seiya, ma lo aveva fatto sembrare tale nel tirare fuori il suo nome davanti a Mamoru. A metterlo in quel discorso aveva fatto sembrare Seiya una specie di... alternativa. Si coprì gli occhi.
Aveva pensato a lui per una ragione molto semplice: la sua era stata l'unica voce di supporto che le era venuta in mente. Seiya aveva sempre creduto incondizionatamente che lei fosse capace di fare tutto quello che si metteva in testa, senza alcun limite. D'altronde, l'aveva conosciuta solo per pochi mesi; non aveva assistito come tutte le sue amiche e Mamoru ad anni di entusiasmi facili e disastri a catena.
Inoltre per Seiya era stato facile dirle tutto quello che lei voleva sentire: di carattere erano stati molto simili. Allegri tutti e due, sempre pronti a dirsi 'Non mollare mai!', anche di fronte a obiettivi impossibili. Il successo non era importante, contava il percorso e crederci fino all'ultimo istante possibile.
Usagi si sarebbe detta ancora d'accordo con lui se i suoi obiettivi non fossero cambiati: era arrivata ad un punto della sua vita in cui si era resa conto che gli insuccessi non erano più un gioco di cui poteva ridere.
Sperava che Seiya stesse bene a casa sua, nel suo pianeta. Le mancava soprattutto poter sapere che anche lui e gli altri stavano realizzando i loro desideri, dopo la dura battaglia che avevano combattuto insieme.
Luna rilasciò un grosso sospiro. «Mamoru non è un ragazzo che si arrabbia facilmente. Faresti meglio a fare pace subito.» Scese dal tavolo e uscì dalla stanza.
Usagi guardò la porta socchiusa.
Quelle parole erano pura verità.

Quando Mamoru trovò la porta del suo nuovo appartamento aperta, per un momento pensò a una distrazione.
Portava scatoloni e mobili su nella nuova casa da tutto il pomeriggio e da metà sera. Anche se pensava di aver chiuso l'ultima volta che era uscito... Un ricordo preciso, un raggio di sole sulla sua mano mentre aveva fatto girare per l'ultima volta la chiave, gli fece capire che non era stato lui a lasciare la porta priva di protezione.
Alle nove il sole stava appena tramontando e non fu necessario accendere le luci nel corridoio per vedere. La parete vicina era illuminata di arancione. In sottofondo si udiva un rumore basso, di aria che circolava.
Il nuovo condizionatore.
Mamoru sorpassò gli scatoloni che aveva lasciato nell'ingresso e arrivò in salotto, silenzioso.
Nel vederlo, Usagi trasalì e si spostò dal getto d'aria che aveva preso in pieno petto.
«Stavo... Sarei venuta di sotto.»
La sua presenza non lo sorprese molto.
Se qualunque loro discussione si concludeva nel giro di una giornata, era perché lei si muoveva per chiarire prima che facesse notte. Spesso al telefono, ma quello era un litigio che non poteva essere appianato senza guardarsi negli occhi.
Peccato che lui non avesse ancora voglia di cercare una riappacificazione.
Si diresse verso la sua nuova camera, ad appoggiare sul letto i due cuscini che portava sotto il braccio.
«... dormirai qui stanotte?»
Sì. Aveva accelerato il trasloco durante la giornata, senza darsi neanche un momento di respiro. Non aveva avuto voglia di mettersi a pensare a una certa faccenda: non ne sarebbe uscito niente di buono, a parte fantasie negative prive di alcun fondamento.
«Mi dispiace.» Nel tono di Usagi si nascondevano fatica e risentimento. «È stata colpa mia oggi.»
«Già.» Appunto per questo dimostrarsi più pentita non le avrebbe fatto certo male. Sarebbe stata una bella prova della tanto decantata sensibilità che richiedeva a lui.
In piedi vicino alla finestra, lei aggrottò la fronte, rigida.
Mamoru afferrò le lenzuola impilate sulla sedia e le dispiegò in aria, sopra il letto, lasciandole ricadere.
«Non avrei dovuto nominare Seiya.»
Ma continuava a farlo, pensò lui a denti stretti. «Allora non parlarne più.»
«Lui non mi interessa!» gridò Usagi. «Mi importa solo quello che ti ho fatto pensare!»
Oh, ma non gli aveva fatto pensare niente. Lui era stato bravo a evitare del tutto qualunque idea in merito da quando lei se n'era andata. Lo sforzo era stato sovraumano e spiacevole, ma necessario.
«Oggi ero nervosa. Per una cosa che... Per un problema mio, anche Luna me lo ha fatto capire. Non ne ho parlato né con te né con le ragazze finora. Seiya era solo l'idea di una consolazione che-»
Lui schiacciò le mani sul letto, piegando tra le dita le lenzuola appena stese. «Oggi continui a fartelo venire in mente.»
«Sto solo cercando di spiegarmi.»
«Oramai mi hai costretto a fraintenderti, perciò rispondi ad una domanda.» Fece fatica a tirarla fuori.
«La risposta è no!» Usagi salì in ginocchio sul letto, afferrandogli le braccia. «Non penso a lui in quel modo, erano mesi che non mi ricordavo di quando era qui!»
«E che cosa faceva quando era qui?» Aveva sbagliato a non chiederle altro fino a quel momento?
«Niente» rispose Usagi, con un filo di voce accorato. «Eravamo solo amici.»
Ma lei non aveva mai infilato
una delle ragazze nelle loro discussioni, soprattutto per fargli notare una sua presunta mancanza.
«Io ti do più di chiunque altro» sibilò, afferrandola per le spalle. «Non è colpa mia se non sono nella tua testa, ma nessuno ti conosce più di me!»
«È vero» espirò Usagi. Si aggrappò a lui. «Ero arrabbiata, Mamo-chan.» Lo intrappolò con le braccia attorno al collo. «È colpa mia.»
Lui cercò di allontanarla. Non la voleva vicina quando aveva voglia di imprimere tanta forza da rompere qualcosa. Voleva anche stringerla fino a rischiare di farle male, solo perché non poteva sopportare l'idea che lei volesse la consolazione di un'altra persona.
Usagi affondò le unghie nelle sue spalle, senza spostarsi di un centimetro. «Non mandarmi via come prima.»
«Io non voglio perdonarti.»
Il brivido di lei gli fece venire voglia di imprecare.
«Non voglio che ci sia niente per cui doverti perdonare.» Non capiva?
«Non c'è! Io penso solo a te in questo modo, non voglio che ci sia nessun altro al posto tuo!»
«Allora perché-?»
«Perché voglio andare alla Todai!»
La dichiarazione lo immobilizzò sul posto.
Cosa?

Usagi lo lasciò andare. «Per favore, non ridere. Nemmeno un pochino, per favore. Lo hanno già fatto mia madre e Luna. Lo faranno anche le ragazze quando glielo dirò e l'unico che forse non avrebbe sorriso era Seiya. Perché non mi conosceva abbastanza ed era un illuso, come me. Tutto qui, non ho pensato a lui per nessun altro motivo. Tutto qui.» La sua voce si fece piccola.
«Alla Todai?» ripeté Mamoru.
Lei si rifiutò di abbassare lo sguardo. «Sì. Voglio provarci, anche se non ce le farò mai.»
Mai non gli piaceva in bocca a lei. «Hai ancora un anno.»
«Esatto. Ce la metterò tutta.»
«Ma è una decisione definitiva o-»
«Definitiva!» si affrettò a dichiarare Usagi. «Se mi concentro sui 'se' poi sarò tentata di abbattermi e lasciar perdere tutto, invece... Io voglio farcela, capisci? Devo farcela!»
Sembrava un grido d'aiuto. «Certo che ce la farai.» Anche se concorrevano in migliaia per passare l'esame di ammissione, tra i migliori studenti di tutto il paese.
«... non lo dici perché è quello che voglio sentire, vero?» Usagi si sedette sulle ginocchia. «Come hai detto oggi. Anche se fa male, preferisco la verità.»
«È la verità. Ti aiuterò, se sei decisa. Non sarà facile, ma ci sono migliaia di posti, non solo migliaia di candidati. Riuscirai a entrare anche tu, supererai chi devi.»
Riprendendo a respirare, Usagi tremò. «Pensavo...» Sembrò confusa. «Oggi stavi per dirmi che mi vedevi appesantita.»
No, quello era il modo in cui lei aveva buttato giù la faccenda. «Volevo dire che sapevo dove stava quel peso.»
«È la stessa cosa» si risentì Usagi.
Lui le prese il viso tra le mani. «Adesso mi lasci finire.»
Usagi si zittì prima di dire un'altra parola.
«Ti avevo detto che non eri cresciuta in altezza, ma oggi mi hai fatto venire il dubbio. Mi sono misurato contro la parete, era tanto che non lo facevo. Ho visto che ho preso un paio di centimetri. Se non vedevo differenze con te, devi averli presi anche tu.» In fondo, stavano terminando entrambi l'età della crescita.
«Ma oggi mi hai detto che non ero più alta.»
«Sì.» Le impose di nuovo il silenzio con un pollice sulle labbra. «Infatti all'inizio stavo pensando solo a come ti avevo notata più rotonda qui.» Lasciò scivolare la mano sul suo petto, prendendole tutto un seno dentro il palmo. Le fece spalancare la bocca e trovò una risata silenziosa assieme a lei nel gesto. «E poi anche dietro. Intendevo 'cresciuta' in quel senso.»
Usagi voltò la testa, cercando di guardare in fondo alla propria schiena. «Perciò, se ho preso un paio di centimetri come te e sono diventata anche più...» Invece di concludere la frase, sorrise tra sé e arrossì di gioia.
«Quando ti sei pesata l'ultima volta?» le chiese lui.
«Cinque giorni fa.»
«No, prima dell'ultima volta.»
«Ah....» Per ricordarlo, Usagi impiegò un momento. «Ehm... quando avevo quindici anni? Quando mi era venuto davvero un rotolino di ciccia sullo stomaco. Tu me l'avevi fatto notare!»
No, l'aveva costretta a rendersene conto un mostro che si dilettava a insegnare danza, stringendole la vita fino a farla quasi soffocare. «A diciassette anni è normale pesare di più.» Anche aver preso un paio di centimetri, soprattutto se non ci si misurava da anni, come di sicuro era capitato a lei.
«Hai ragione!» rise Usagi. «Non sono grassa!»
Infatti lui non lo aveva mai detto né lasciato intendere. A parte un paio di volte due anni prima, certo, ma aveva imparato la sua lezione allora.
Usagi abbassò lo sguardo su di sé. «E ti piaccio di più così?» Indico la mano che lui non aveva ancora staccato dal suo petto.
Gli impedì di rimediare quando mise il palmo sopra quello di lui. Più che contro il seno, gli premette la mano contro il cuore.
«Non litighiamo più.»
Se lo ripromettevano tutte le volte. Era un sollievo ogni volta.
«Mi dispiace» continuò Usagi, circondandogli le spalle con le braccia. «Anche tu hai capito che non ho mai pensato a nessun altro?»
Lui capiva soprattutto che quella frase era una dichiarazione esagerata, genuina però nelle intenzioni e nel sentimento.
Si abbassò a premere la bocca contro quella di lei, calda come la pelle del suo viso e del suo corpo. La temperatura era rimasta alta anche di sera; avrebbe dovuto sentire fastidio nel toccarla, ma dimenticò la sensazione nell'istante stesso in cui la provò. Baciarla in quel momento era come diventare una fornace lui stesso: tornare fresco lo avrebbe fatto sentire come ferro abbandonato sotto il gelo.
Usagi sembrò avere il suo stesso pensiero, premendosi contro di lui con tutto il torso sino a sedersi sulle sue ginocchia. Lasciò scorrere le mani su di lui verso il basso, lungo i fianchi, tracciando sulla sua maglietta una scia che lo solleticò su milioni di terminazioni nervose. Lei raggiunse l'orlo dell'indumento e lo sollevò con entrambe le mani, di fretta. Lui la aiutò con le braccia alzate e poi tornò a stringerla per la vita, trovandole il collo con un bacio leggero, delicatamente vorace.
Usagi gli passò una mano tra i capelli. «Il mio adorato Mamo-chan» sussurrò.
Sorridendo, lui le infilò le mani sotto la maglietta scollata e priva di maniche. Si dimenticò di dirle quanto gli piaceva quando le prese i seni tra le mani. Non resistette e abbassò subito le coppe leggere che la coprivano, scoprendole i capezzoli e iniziando a giocarci.
«Il mio bellissimo Mamoru...»
Grazie. Non fece in tempo a continuare che Usagi si era già allontanata, seduta sul letto.
La vide togliersi la maglietta, veloce. Volle quasi pregarla di non farlo fino a che non vide l'effetto del reggiseno scomposto e abbassato.
Non si mosse perché fu Usagi a raggiungerlo per prima, abbastanza da riuscire a baciarlo e da tenersi separata da lui con il resto del corpo, adagiandosi all'indietro, sulla schiena. Lui non capì la ragione della distanza fino a che non sentì la carezza della mano di lei sulla gamba dei pantaloni, mentre risaliva senza soste.
«Non hai caldo?» la sentì chiedere in un ansito, sollevando leggermente il corpo, come a cercare una sensazione che la portava a vibrare. Con la mano premeva e scivolava insistente su di lui, il palmo largo e fermo.
Sì, pensò lui. Faceva un caldo asfissiante. E sarebbe morto in quel modo, felice e senza rimpianti.
Appoggiò il peso del torso sui gomiti, abbassandosi piano. Un bacio lo sfiorò sul mento.
«Ti piace?»
Annuendo, lui quasi la colpì sul naso.
Le dita di lei cercarono il bottone dei suoi pantaloni e Mamoru non resistette più: iniziò lui stesso a toglierli, muovendo la mano confuso e al contempo preciso. Con la bocca si ritrovò su quella di lei quasi per errore e, inebriato, non la lasciò più respirare, fisicamente costretto a non smettere di mangiarla con tutti i baci che poteva darle.
Insieme produssero il suono soffocato di due creature che provavano a muoversi il più possibile senza staccarsi.
Usagi gli sfuggì e lo trovò sullo sterno con la bocca. Risalì piano, puntando la sua spalla con il cammino tortuoso delle labbra. Più sotto aveva infilato la mano dentro i suoi pantaloni aperti e sembrava aver imparato di colpo cose che lui nemmeno le aveva detto.
Slacciandole il reggiseno sulla schiena, lui tentò di scostarlo il più possibile per stuzzicarle il petto. Tra due dita sentì una delle punte incredibilmente turgida nonostante il caldo.
Le meraviglie dell'eccitazione.
Scese lungo la schiena scoperta di lei, godendosi ogni centimetro di pelle liscia e morbida. Sensibile, come scoprì per l'ennesima volta quando affondò col dito in una piccola avvallatura della schiena. Usagi tremò. Una carezza della sua mano - una stretta decisa - lo spinse a chiudere gli occhi. Mordendosi il labbro inferiore, abbassò il tessuto dei pantaloncini di lei, concentrandosi nel riempirsi il palmo.
Usagi si agitò sotto il suo tocco, portandolo a fremere con la stretta delle dita, forte al punto giusto.
«Se ora sono più...» cercò di dirgli.
«Sì» rispose subito lui. A qualunque cosa. Cominciò a spogliarla completamente e lei lo prese come un invito a fare lo stesso con lui. Finirono con l'occuparsi ciascuno solo di loro stessi, ritrovandosi nell'istante in cui non ebbero più nulla addosso.
Usagi lasciò affondare la nuca nel cuscino. Lui la raggiunse lì col volto e la udì mormorare cosa voleva. Lei glielo comunicò in silenzio anche con le ginocchia piegate alte all'indietro, che più che stringerlo gli diedero semplicemente campo libero, tutto lo spazio del mondo per piegare a sua volta le gambe e darsi maggior leva.
Entrare dentro di lei lo fece fondere. Usagi si sciolse letteralmente assieme a lui, lasciando cadere sulle lenzuola un braccio privo di forza.
Le sue certezze stavano in quell'abbandono di sensi totale e in quella concessione di fiducia assoluta, pensò lui. E se l'amava era perché non poteva vivere facendone a meno, senza ricambiarla allo stesso modo.
Usagi gli artigliò le braccia, violenta e delicata, chiedendogli di farli morire di caldo e piacere entrambi. Fu quello che lui fece, finché ebbe forza negli arti e volontà nella testa. Poi sparì ogni cosa, persino loro due come esseri separati. Vibrarono, si teserono e impazzirono nello stesso preciso istante, come non succedeva quasi mai.
Non c'è nessun altro per te, le disse nella propria mente.
Tornò a crederci completamente anche lui.

«Abbiamo l'aria condizionata anche qui» mormorò Usagi, dando per la prima volta un senso al lieve ronzio che udiva nella stanza.
L'apparecchio di condizionamento era attaccato tra muro e soffitto, nell'angolo opposto a quello in cui si trovavano loro.
Mamoru seguì il suo sguardo. «Così non mi arriva direttamente sul corpo. Ad esagerare ci si ammala.»
«Per questo stavi venendo a dormire qui questa sera?»
Lui annuì. «Hanno terminato di installare l'impianto stamattina.»
Funzionava alla perfezione, constatò lei. La calura insopportabile se n'era andata e si iniziava a provare persino un brivido di freddo. Sul suo corpo scoperto la patina di sudore si era appena asciugata. Mettendosi seduta, armeggiò fino a spostarsi da sopra le lenzuola spiegazzate. Mamoru non accennò a muoversi e lei riuscì a coprirsi solo fino allo stomaco. Andava bene comunque, sorrise. «Ti ho stremato?»
«Sì.»
Le uscì una risatina. «Hai terminato di portare su la maggior parte delle tue cose?»
«Tra la roba che posso portare da solo, mancano ancora alcuni piatti.»
Quelli che gli rimanevano, cioè. Nel trasporto di un giorno prima lei ne aveva rotti la metà cercando di portarli di sopra a scatola aperta. 
Fissò il bianco immacolato delle pareti, steso da nemmeno una settimana. «A volte mi dà fastidio quando mi critichi.»
Percepì l'attenzione improvvisa di lui.
«Non mi critichi per davvero, ma... se ti racconto di un pasticcio che ho combinato, tu sorridi e mi fai notare dove ho sbagliato. So già dove sbaglio, solo che non posso farne a meno. A volte mi basterebbe riderne insieme a te.»
«Usa...»
Lei sollevò in alto una gamba. «Ecco, per esempio qui.» Indicò il lato di un ginocchio. «Un altro livido. Spuntano come funghi dal nulla, non mi accorgo neppure di essermi fatta male a volte. L'altro giorno mi hai detto che dovevo stare più attenta a come mi muovevo.»
«Perché non mi piace vedere che ti sei fatta male.» Lui si girò su un fianco, tirando su il torso. «E mi comporto così da sempre. Perciò per tutto questo tempo, tu...?»
«No» chiarì subito lei. «A me piace quando ti preoccupi per me. Anche quando mi dici cosa devo fare, però... vorrei che non lo facessi più come se fossi sicuro che io non ci posso arrivare da sola.»
«Non lo intendevo in questo modo.»
Va bene. «Cercherò di non prenderla in questo modo, allora.»
Mamoru rilasciò un sospiro. «E io proverò a dire meno cose come quella. Scusa.»
Scuotere la testa per lei fu naturale. «Non puoi entrare dentro la mia mente, hai ragione. Niente scuse. Sono io che avrei dovuto dirtelo prima.»
Quel giorno era scoppiata, ma se l'era cercata da sola, per non aver chiarito in precedenza.
Forse anche il caldo opprimente aveva avuto la sua parte.
Mamoru era rimasto a studiarla in viso. Lo fece per un momento così lungo che Usagi comprese di cosa stava per parlare ancora prima di sentirlo aprire bocca.
«Allora sentivi che lui invece ti capiva senza bisogno di spiegare?»
Lei soffocò la risata tra le labbra chiuse. «A volte. Ma non era divertente proprio per questo. In senso romantico, intendo dire, come con te. Piuttosto, erano le basi di una grande amicizia. Penso che per amarsi bisogna essere un po' diversi, e simili dove... Dove siamo simili noi, no?»
Lui annuì, più con la curva del suo nuovo sorriso che con la testa.
Usagi seguì il suo sguardo, puntato in basso, e provò un intimo senso di soddisfazione. «Allora sono più grandi?» Prese in mano i propri seni. Le era sembrato di notare dei cambiamenti, ma non aveva mai passato troppo tempo ad osservarsi allo specchio.
«Sì.»
«Anche dietro?» Aveva notato da un po' di tempo che lui indugiava di più nel toccarla sul fondoschiena, ma non aveva pensato ci fosse una ragione specifica.
«Ho l'impressione che sia una di quelle domande in cui ogni risposta saràu usata contro di me.» 
Lei sorrise al soffitto, lasciando riposare la mano sullo stomaco. Iniziava quasi a sentire la carezza del fresco; avrebbe potuto innamorarsi di nuovo di Mamoru anche solo per il suo condizionatore di ultima generazione. «Questa casa è molto grande.»
Lui le rispose con un suono di assenso.
«Che cosa metterai nella stanza in più?»
«Una scrivania e il computer. E una seconda libreria, quando ne avrò bisogno. Forse qualche attrezzo.»
«Attrezzo per cosa?»
«Per degli esercizi. Quando non ho tempo per uscire a correre mi sento con dell'energia di troppo addosso. Non riesco a dormire.»
«Povero Mamo-chan.»
Lo sentì sorridere e inspirò piacevolmente l'odore carico di loro, di fatiche d'amore e di lenzuola pulite.
«Pensi davvero che ce la farò?» gli chiese. «Per l'università?»
«Posso darti i programmi per tutte le materie. Hai delle grosse lacune nelle basi, devi colmare prima quelle.»
«Ma ce la farò?»
«Sì, se lo vorrai abbastanza.»
La risposta non la lasciò soddisfatta. Si chiese se fosse il caso di farglielo notare o piuttosto farsene una ragione. Per quanto lo amasse, forse doveva semplicemente diventare meno dipendente dalla sua opinione, forte come lui.
«Io mi ricordo ancora di quando avevi la tua testolina a odango e mi gridavi contro.»
«Ho ancora la testolina a odango» sorrise lei.
«Sì, intendevo... Mi ricordo di quanto mi sembravi piccola. Con tanti limiti. E mi ricordo anche di tutte le volte che mi hai sorpreso: è stato come scoprirti di nuovo, puntualmente. Per questo penso che l'unico tuo limite sia tu, Usa. Quando credi davvero a una cosa è come se fosse già nelle tue mani.»
«:.. quando sono Sailor Moon?»
«Sempre.»
Lei si riempì di un sospiro felice. «Sì.» Volle follemente prendergli una mano e abbracciarlo, ma la fermò una domanda nello sguardo di lui.
«Posso chiederti una cosa?»
Proprio ora che lei si stava crogiolando nel suo ultimo complimento? «Hm?»
Con un cenno della testa, il sorriso di lui crebbe fino a farsi stranamente curioso. «Perché passi le mani così? Su di te?»
Lei prestò attenzione alle minuscole carezze che si era data sul petto e sullo stomaco, tranquille e rilassanti. «È piacevole.»
«Sembra che lo sia molto» commentò lui, allungando una mano fino a sfiorarla con le dita.
Anche lei notò l'effetto improvviso sui seni. «È diverso se lo fai tu.»
«Hm.»
Presa da un'idea, gli impedì di toccarla di nuovo. «Ti piace anche quando non sei tu a farlo?» 
Mamoru le concesse un sorriso. «Stavo guardando con interesse.»
«Sono passati solo pochi minuti.»
«Hai trovato un trucco per farmi riprendere prima.»
La invase un moto di pacata meraviglia. «Allora... Magari puoi rimanere a guardare per un altro po'? Così mi riprendo anche io.»
«Non sai che biologicamente non ne hai bisogno?»
«Be', posso usare il tempo per... scaldarmi.»
Gli occhi di lui si fecero più scuri. «Posso pensarci io.»
«Ma a me piace farlo a te.» Lasciò scivolare la mano dal petto fino al basso ventre. Tornò su, piano. «È una cosa speciale.»
Senza parole, Mamoru si limitò a formare una vocale muta.
«Dimmi una cosa bella, Mamo-chan.»
«... una cosa bella?»
Adorava confonderlo. «Quello che vuoi.»
Lui rimase con lo sguardo sulla sua mano. Per un momento, parve non pensare a nulla.
«Vorrei che questa fosse la nostra stanza.»
Lei rimase senza fiato. «Cosa?»
Gli occhi di lui tornarono pensanti e allerta. «Voglio dire...» La guardò in volto e si riprese. «Sì. Quando... quando staremo insieme tutti i giorni.»
Oh.
Oh, era il modo più dolce, carino e meravigliosamente commovente di dirle che- Gli saltò addosso, abbracciandolo. «Stringimi forte. Fortissimo.»
Mamoru affondò il naso nella sua guancia.
Rimase in silenzio e lei non disse più nulla.
Con te, lo baciò sulla tempia, voglio stare con te per sempre.
Senza spiegazioni.
Senza parole.
Solo con baci. Gliene diede uno.
Solo con baci come questo.

FINE



NdA : Olè. Volevo fare una lemon meno 'lemon', per questo ero addirittura indecisa se mettere questa storia qui o magari aggiungerla a 'Oltre le stelle - scene'. Ma poi avrei dovuto alzare il rating di quella raccolta :D
Da quanto mi hanno detto, se commento troppo uno di questi episodi poi vi tolgo le parole di bocca, perciò vorrei davvero sentire solo voi.
Con questo episodio in particolare, per me è importante sapere che ne pensate (del litigio, della fine, di tutto :) ).

Alla prossima!
ellephedre




   
 
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