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Autore: _Globulesrouge_    26/10/2011    5 recensioni
Storia d'amore malinconia scritta in seguito a un sogno e poi portata ad un contest di fan fiction.
Il crepuscolo aveva lasciato spazio alla notte. Era buio, così buio che non riuscivo a vedere nulla di fronte a me, se non le mie stesse mani e i piedi coperti completamente di fango.
Ero seduta a terra, con la veste bianca inzuppata di pioggia ed i capelli scomposti intrisi di acqua anch’essi.Di fronte a me intravidi degli alberi ed una boscaglia sempre più fitta, provai ad alzarmi, con fatica, liberandomi dalla terra umida che mi tratteneva le gambe come una sabbia mobile.
Mi girai attorno lentamente, non vedendo altro che le mie stesse mani, in una sagoma deformata dall’oscurità e dalla pioggia stessa che cadeva incessantemente........
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'abisso



Introduzione e contestualizzazione:One shot originale romantica e malinconica scritta a seguito di un sogno e presentanta a un contest di fan fiction organizzato dal Fan Fiction Italia, che voglio ringraziare.






Il crepuscolo aveva lasciato spazio alla notte. Era buio, così buio che non riuscivo a vedere nulla di fronte a me, se non le mie stesse mani e i piedi coperti completamente di fango.
Ero seduta a terra, con la veste bianca inzuppata di pioggia ed i capelli scomposti intrisi di acqua anch’essi.
Di fronte a me intravidi degli alberi ed una boscaglia sempre più fitta, provai ad alzarmi, con fatica, liberandomi dalla terra umida che mi tratteneva le gambe come una sabbia mobile.
Mi girai attorno lentamente, non vedendo altro che le mie stesse mani, in una sagoma deformata dall’oscurità e dalla pioggia stessa che cadeva incessantemente.
Non ricordavo il perché mi trovassi in quella foresta, non perché denudata di qualsiasi cosa, se non da quel vestito ormai marrone, sporco ed infinitamente pesante.
Mossi altri passi incerti tra il fango cercando un riparo, ma gli alberi che intravedevo nell’oscurità si allontanavano sempre di più mano a mano che mi muovevo verso di loro, e non fui in grado di ritrovare alcun riparo da quella tormenta.
Una raffica di vento mi spinse a terra; di nuovo. Sentivo la terra inzuppata aggrapparsi a me come dei tentacoli da cui non sarei mai stata in grado di liberarmi. Mi sentì sprofondare in quell’abisso senza avere né la forza di sfuggirne né il coraggio di provare nuovamente ad alzarmi.
Mi girai con il viso verso il cielo, chiudendo gli occhi e assaporando la tempesta come se ormai non potessi più difendermi in alcun modo, sentivo freddo ed avevo paura, ero totalmente sopraffatta dagli eventi, tanto che non feci nessun tentativo di liberarmi in alcun modo.
Provai a sfiorarmi i capelli con le mani, ma entrambe le mie braccia erano ormai affondate nel terreno costringendomi in quella morsa di fango che avvertii più come un abbraccio morboso che come una vera e propria prigione.
Ero come un albero, un arbusto secco in mezzo alla tempesta; senza riparo, senza via di uscita, ero immobile e totalmente succube degli eventi, non sarei potuta più scappare, non volevo scappare, ero soltanto travolta dalla pioggia, dalla terra e dal rumore del tuono a tal punto che non riuscivo più ad avvertire né freddo, né fastidio; dovevo soltanto attendere con rassegnazione che il temporale finisse.
Pensai ad una vasca bianca, con acqua bollente e pulita, la stessa acqua che un istante prima stava sciacquando via i miei sensi di colpa, adesso si fondeva alla terra, sporcandomi in ogni dove e appesantendomi più di qualunque altra cosa.
Chiusi gli occhi nel vedere la melma offuscare anche quel poco che riuscivo ancora ad intravedere nella notte.
“Vieni con me’’ la sua voce echeggiò tra gli alberi come un grido disperato, svegliandomi da quel sonno insano e da quell’abbraccio morboso a cui ormai mi ero totalmente abbandonata.
“Non posso” gridai prima che il fiato mi morisse in gola e venisse inghiottito dal rumore della tempesta.
“Il fango ti sta soffocando, io posso liberarti ’’ mi disse nuovamente muovendosi verso di me, tanto che riuscii ad intravedere i contorni affilati del suo viso.
“Non riesco ad alzarmi’’ dissi con la voce tremante, per lo sforzo che iniziai ad opporre a quella morsa di fango che mi trascinava sempre più a fondo.
“Devi solo volerlo” mi disse avvicinandosi ancora di più, tanto che riuscii a sentire il suo sospiro invadermi la pelle come un vento caldo che per un attimo ridette il tepore alle mie membra che l’acqua gelida aveva portato via completamente.
“Non posso muovermi’’ gridai digrignando i denti, “non puoi stare qui, non puoi liberarmi ’’.
“Dammi la mano’’ mi disse allungando un braccio verso di me, non curandosi del fatto che fossi completamente sporca ed intrisa di terra a tal punto che soltanto sfiorandolo avrei macchiato irrimediabilmente anche lui.
“Trascinerò anche te in questo oblio, soltanto sfiorandoti ’’ dissi mentre delle lacrime gelide abbandonavano le mie iridi glaciali e impenetrabili, “ti sporcherò e ti trascinerò nel fango finché l’abisso non ci inghiottirà entrambi senza lasciare di noi alcuna traccia’’ balbettai senza riuscire a finire completamente la frase.
“Quello che abbiamo è ingiusto, è oscuro, ma tu puoi ancora salvarti” ansimai sentendo il calore che il suo corpo emanava anche in mezzo a quel gelo e che mi attirava verso di lui come una fiamma bollente a cui non sarei riuscita nemmeno quella volta a resistere senza bruciare completamente.
“Affonderemo o bruceremo insieme’’ mi disse stringendo con forza il mio polso e costringendomi ad alzarmi in piedi.
Afferrò il mio viso con veemenza, baciando le mie labbra come se avesse voluto morderle fino a farle sanguinare. Rimasi immobile succube ancora una volta della sua bocca calda, tanto che il mio cuore si fermò per un tempo indistinto e pensai che in quell’abbraccio sarei potuta rimanere in vita anche se non avesse più emesso alcun battito.
Il suo viso, prima limpido ed asciutto adesso era completamente bagnato ed i suoi capelli erano sporchi del fango che le mie mani gli avevano attaccato addosso nello stesso istante in cui l’avevo sfiorato.
Afferrò la mia mano ed iniziò a correre verso la direzione in cui la foresta sembrava diradarsi.
“Non posso venire con te” affermai cercando di divincolarmi dalla sua presa in una battaglia di emozioni contrastanti che mi stavano offuscando del tutto la mente.
“Non voglio lasciarti andare” affermò con voce decisa continuando a stringere la mia mano e a correre sotto la pioggia senza curarsi di quale fosse la nostra destinazione.
Mi voltai un attimo per vedere un’ultima volta ciò che mi stavo lasciando alle spalle, vidi la terra dietro di me scomparire come inghiottita dall’abisso da cui mi ero liberata, ed avanzare verso di noi senza sosta, guadagnando terreno continuamente e costringendoci a correre e a guardare soltanto avanti.
“Non puoi più tornare indietro adesso’’ mi disse fissando un attimo i miei occhi alludendo al terreno dietro di noi che veniva inghiottito completamente lasciando al suo posto soltanto il vuoto e l’oscurità. Afferrai la sua mano facendomi forza e fissai i suoi occhi più neri della notte che avevano il potere di rapirmi ogni volta e trascinarmi dentro di loro come dei pozzi scuri da cui non potevo e non volevo scappare.
La nostra corsa avanzava senza sosta, mentre la pioggia aumentava sempre di più affaticando il nostro cammino, ma lui non lasciò nemmeno un attimo la mia mano, non mi lasciò nonostante fossi io l’anello debole di quella catena, nonostante fossi io l’elemento che rallentava la nostra corsa rischiando che il vuoto dietro di noi ci inghiottisse entrambi nella sua inesorabile avanzata.
Ad un tratto mi fermai stanca e spossata, ma lui continuò a trascinarmi nella sua direzione, voleva salvare anche me, voleva liberarmi, voleva portarmi via con lui.
La terra di fronte a noi iniziò a sgretolarsi avanzando velocemente e lasciando soltanto il vuoto nella sua inesorabile avanzata; mi voltai all’indietro come d’ istinto, ma il vortice che ci inseguiva non si era fermato, anzi pareva aver aumentato la sua furia.
“Non possiamo più andare avanti e non possiamo più tornare indietro’’ gli dissi stringendomi a lui affinché il suo calore potesse rassicurarmi.
“Siamo insieme, solo questo è importante’’ mi disse afferrandomi e tenendomi stretta a sé come se ormai gli appartenessi completamente.
La terra di fronte a noi si fermò ad un millimetro dai nostri piedi sgretolandosi su se stessa ed inghiottendo tutti gli alberi della foresta. Voltai gli occhi all’indietro senza smettere di aggrapparmi alle sue braccia come se fossero state l’unica cosa che avrebbe potuto proteggermi da quella bufera che si stava abbattendo su di noi. Il vortice alle nostre spalle si bloccò un attimo prima di trascinarmi nella sua morsa.
Di fronte a noi ed alle nostre spalle non c’era più niente ormai, soltanto il vuoto.
La pioggia smise di cadere ed il sole illuminò i nostri volti sporchi di fango e stravolti da quella corsa.
Eravamo solo io e lui in piedi in cima all’abisso, troppo vicini e troppo uniti, a tal punto che se uno soltanto avesse ceduto avrebbe trascinato anche l’altro nel baratro, senza alcuna speranza di salvezza.
Soltanto aggrappandosi l’uno all’altra saremmo rimasti in equilibrio in quella posizione; senza che alcuno dei vortici attorno a noi ci inghiottisse l’anima per poi non lasciarne alcuna traccia. Solo appigliandomi a lui avrei potuto salvarmi.


“Tutto bene lì dentro?’’ una voce mi distolse dai miei pensieri e mi svegliai di sussulto avvolta dai saponi profumati della vasca da bagno che mi avevano portato tra le braccia di Morfeo.
“Sei tu…’’ esclamai ancora sopraffatta da quelle visioni, ma le parole mi morirono in gola quando vidi la figura che si issava di fronte a me; non era lui.
“Ho quasi finito” dissi abbozzando un sorriso e invitandolo ad uscire mentre non riuscivo a smettere di fissare la veste bianca che avevo adagiato nel bordo della vasca in attesa di essere indossata.
Rovistai nella tasca della veste e strinsi nel pugno quella pagina stropicciata e consumata dalle lacrime, le cui frasi erano ormai marchiate a fuoco nella mia mente.
Uscii dalla vasca, indossando quel tessuto bianco e limpido, con i piedi ancora bagnati avanzai verso la finestra avvertendo un brivido gelido attraversare la mia spina dorsale dalla prima all’ultima vertebra.
“Verrò a prenderti, scapperemo insieme, non ti lascerò mai andare’’ erano soltanto alcune delle frasi scritte in quel foglio che continuavo a stringere nel pugno, quasi a volerlo stritolare.
La sua auto era lì fuori ad aspettarmi; i led dei fari accesi emettevano delle luci fioche che si fondevano perfettamente con le gocce di pioggia in una strana danza e in un assordante concerto che ripeteva sempre la stessa melodia travolgendomi completamente.
Allungai la mano verso il vetro con il palmo aperto e spalancai gli occhi sperando di scorgere la sua sagoma nel buio della notte.
Il vetro freddo mi intorpidì la pelle ma non mi mossi continuando a fissare i fari accesi in mezzo al buio e ad ascoltare il rumore della pioggia.
“Vieni via con me, verrò per l’ultima volta, se non mi vuoi non tornerò mai più” mi aveva detto qualche ora prima avvertendo la mia titubanza.
Lo vidi aprire lo sportello e scendere dall’auto fissando la finestra; mi aveva vista in mezzo all’oscurità, potevo sentire il potere dei suoi occhi neri indagare sulla mia figura immobile e sapevo che se li avessi visti ancora una volta non sarei più potuta scappare perché mi avrebbero trascinato verso di lui come un pozzo senza fondo in cui sarei continuata a precipitare senza mai stancarmi.
Una lacrima mi solcò il viso scendendo lentamente dai miei occhi senza che potessi fare nulla per arrestare il suo corso. Staccai il palmo della mano dal vetro e mi allontanai dalla finestra a passi lenti sentendo il rumore della pioggia farsi sempre più soffuso.
Avvertii lo sbattere di uno sportello, seguito dal rumore delle ruote che slittavano nell’asfalto sdrucciolevole. Tremai a quel suono e mi fermai senza voltarmi; lui aveva capito che non sarei scesa ancora una volta, mi aveva lasciato andare e forse non sarebbe mai più tornato.
Continuai a camminare a piedi nudi per la casa senza accendere nessuna luce, senza emettere alcun suono, cullata dalla oscurità della notte e dal rumore della pioggia che avrebbero mascherato ogni mia espressione di disperazione nel mio volto e ogni mio gemito di lamento.
Mi coricai nel letto accartocciandomi su me stessa e stringendo le mie gambe al petto per potermi riscaldare da quel gelo che aveva ormai avvolto completamente le mie membra.
“Tutto bene?Mi sembrava che stessi piangendo’’ quella voce ignara di tutto mi arrivò all’orecchio nella innocenza che l’aveva sempre contraddistinta, così diversa da quella voce profonda e assordante che mi aveva travolto e che non avrei mai più udito.
“Era solo la pioggia’’ mentii mordendomi le labbra per il senso di colpa e sentendo il cuore in gola e gli occhi farsi gonfi nel cercare di trattenere le lacrime.
“A volte penso che noi due fossimo stati destinati a stare insieme’’ mi disse accarezzandomi il viso e mi irrigidii a quel contatto così soffice e dolce, ma così diverso da quelle mani forti e decise che non avrei mai più potuto toccare.
“Io non credo nel destino ’’ dissi con tono freddo girandomi su me stessa e stringendo le palpebre così forte che le lacrime salate che avevo dentro non sarebbero potute uscire in alcun modo.
Strinsi forte il cuscino a me ed affondai il viso tra le coperte nella speranza che potessero attutire i rumori dei miei lamenti ormai incontrollati.
I suoi occhi azzurri mi fissarono in tutta la loro dolcezza, ignari della realtà che stava loro di fronte, e ciechi per l’amore che egli provava nei miei confronti e che sentivo di non meritare più in alcun modo.
Li fissai anch’io nella speranza che potessero rapirmi come quei pozzi neri che non sarei mai riuscita a dimenticare e in cui potevo perdermi in un solo istante senza più ritrovare il coraggio di abbandonare quel contatto. Ma non erano i suoi occhi, non erano quelle perle ambrate così profonde da poter scavare nella mia anima captando ogni mio singolo pensiero senza bisogno di alcuna parola, quegli occhi in cui non avrei mai più potuto perdermi.
Appoggiai una mano nel mio petto perché il mio cuore batteva così violentemente che pensavo sarebbe uscito fuori da un momento all’altro squarciandomi la pelle.
Mi addormentai nella speranza che l’abisso venisse ad inghiottirmi, perché avrei preferito il nulla del baratro più profondo insieme a lui a quella prigione d’oro che mi ero costruita e che mai avrei avuto la forza di abbandonare.
Sperai che quella tempesta potesse venire a travolgermi ancora una volta, che l’abisso potesse rapirmi, perché sapevo che nel nulla del vuoto avrei trovato lui, perché il paradiso in cui avevo sempre vissuto non era niente rispetto all’abisso proteso sotto di noi che avrebbe potuto inghiottirci senza riserva da un momento all’altro e senza speranza di poterci mai dividere l’uno dall’altra.
Soltanto lui avrebbe potuto pienare il nulla, quel nulla così profondo, a confronto del quale il tutto che avevo sempre avuto non era più abbastanza.




Spazio Autore:
Allora spero che questa fan fiction angosciante vi sia piaciuta, io ci tengo moltissimo, in quanto è la prima originale che pubblico in questo sito e perchè in qualche modo mi appartiene moltissimo.
E' intrisa di doppi sensi e significati che spero siano chiari, come il nulla e il tutto che ho evidenziato alla fine della storia e che sono un po' il succo di tutto quanto.
Spero che qualcuno si soffermi a leggere e a commentare ciò che ho scritto, voglio ringraziare ancora una volta il fan fiction italia e in particolare Marty e Alice che orgnanizzano sempre dei bellissimi contest. Vorrei ringraziare anche la mia cara Giuls, che di sicuro capirà anche questa mia follia e tormento <3.
  
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