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Autore: _camus_    27/10/2011    3 recensioni
Come reagirebbe un Cavaliere (o un God, o un Marine, o uno Spectre) all'idea di diventare padre (o una Sacerdotessa all'idea di diventare madre)? Continuerebbe a vivere da guerriero rinunciando a farsi una famiglia, appenderebbe l'armatura al chiodo per vivere quest'importantissima esperienza o cercherebbe di far convivere le due cose, conscio del rischio di rendere orfano il figlio o, peggio ancora, della possibilità di metterlo in pericolo?
Quali domande potrebbe porsi, e quali potrebbero essere le alternative?
Roundrobin ispirata a una discussione sul forum; si cerca di trattare il tema evitando l'OOC!
Storie:
τρέλα (Follia) (Milo/Scorpio)
Mai più solo (Kanon di Gemini)
La Scelta di Marin (Marin/Castalia dell'Aquila)
La figlia del Ghiaccio (Camus dell'Acquario)
Tornerò in un raggio di sole (Aiolia/Ioria del Leone)
Rossi come il sangue (Death Mask del Cancro)
Le inesorabili lancette del tempo (Dohko della Bilancia)
L' uomo e il guerriero (Saga di Gemini)
La Rosa più bella (Aphrodite dei Pesci)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La rosa più bella ( nati sotto una stella)
Note: Io e Aphrodite abbiamo un rapporto un po' controverso: non sono mai riuscita a capire se questo personaggio mi piaccia o meno.
Così, ho deciso di testarlo attraverso questa storiella.
Trattandosi appunto di un esperimento, non so quanto sia IC ... speriamo bene!
Saluti a tutti! :)                        
Ps: ροζέτα dovrebbe significare "rosellina" in greco ...
Pps: le Panatenee sono festività che venivano celebrate in onore di Atena il 28 del mese di Ecatombeone (fine Luglio- inizio Agosto).

 _camus_



Aphrodite passeggiava lungo il corso di una delle vie più importanti di Atene.
Non c'era niente che non andasse, in quella bella giornata di inizio Giugno: il sole brillava nel cielo nel suo punto più alto, la leggera brezza proveniente dal mare rinfrescava l'aria, già impregnata di Estate, e il chiacchericcio allegro delle persone si mescolava in maniera armoniosa con i rumori circostanti.
Gli piaceva gironzolare per il mercato di Monastiraki, una volta alla settimana, lo considerava alla stregua di un rito.
Durante i periodi di quiete, quando non era impegnato in missioni varie per conto del Gran Sacerdote, la Domenica mattina si alzava di buon'ora, consumava una colazione frugale e partiva da solo alla volta del centro città: un modo come un altro per lasciarsi alle spalle il Santuario e tutto ciò ad esso legato, e fingere per qualche ora di appartenere al mondo esterno.
In occasione di tali gitarelle indossava abiti semplici, spesso perfino anonimi: non aveva certo bisogno di vestiti originali per farsi notare, lui che era così appariscente di suo.
Talmente appariscente da risultare quasi irreale, ipnotico, specialmente agli occhi di chi non l'aveva mai visto.
Guardare le facce sbigottite della gente che, al suo passaggio, rimaneva come inebetita era forse la sua soddisfazione maggiore, il motivo fondante di quelle uscite fuori porta.
Non ci trovava nulla di strano o di imbarazzante, nel fatto che tutti si incantassero a fissarlo, anzi, gli sarebbe parso anormale il contrario: nessuno, né uomo, né donna poteva rimanere indifferente a tanta beltà.
Egli stesso si riteneva la cosa più perfetta esistente sulla faccia della terra, e non esitava a sottolinearlo in tutti i modi possibili, a partire dal soprannome che si era scelto: Aphrodite, appunto.
Gli veniva naturale curare costantemente la sua persona, porre particolare attenzione nella camminata, dare un tocco suadente alla voce: tutte accortezze che gli valevano diverse accuse di superficialità da parte degli altri cavalieri d'oro.
Shura più di tutti le criticava, ammonendolo con tono profetico: "Aphrodite, la tua eccessiva vanità un giorno ti costerà cara: è blasfema la tendenza che hai nell'anteporre l'amore verso te stesso a quello per la Dea."
"Sciocchezze. Enormi sciocchezze, Shura." gli rispondeva lui, scuotendo la testa.
Era stata proprio Atena a donargli quella bellezza: lasciarla incolta avrebbe significato non rendere il giusto grazie alla divinità che proteggeva.
"Come potrebbero capire? Loro non uccidono con le rose." pensò, gettando un'occhiata distratta all'ennesima ragazza che si era fermata in mezzo alla via ad ammirarlo con sguardo sognante.
Nell'evitarla urtò accidentalmente contro una bambina, la quale cadde a terra.
"Cielo, scusami piccolina, non ti avevo proprio vista! Aspetta, lascia che ti aiuti ... ecco qua ... ti sei fatta male?" chiese premuroso, rimettendola in piedi.
"Accidenti, che bella bambina ... giurerei che somiglia a me quando avevo la sua età."
A occhio e croce doveva avere all'incirca sei o sette anni e, a parte gli occhi scuri, era la copia sputata di se stesso fanciullo: pelle candida, capelli di un biondo quasi bianco, naso piccolo e a punta.
Ma soprattutto quel neo come il suo, sulla guancia, appena sotto l'occhio, che a detta di Death Mask lo faceva sembrare un damerino truccato della Francia settecentesca. Era raro, poche persone ce l'avevano.
"No, non mi sono fatta niente." rispose imbarazzata la ragazzina, studiandolo dalle palpebre leggermente abbassate.
"Ehi! Ma tu sei il principe azzurro! Sei venuto a portarmi nel tuo castello! Dove l'hai lasciato il cavallo bianco?" esclamò poi, dimenticata la vergogna.

Aphrodite soffocò una risata; glien'erano capitate tante, ma fino ad allora nessuno l'aveva mai scambiato per un personaggio delle fiabe.
"No, tesoro, non sono un principe ... come ti chiami?"
"Rosaspina! E tu?"
"Rosaspina ... favoloso."
"Ciao, Rosaspina. Io sono Aphrodite." si presentò, tendendole giocosamente la mano.
"Lo sai che sei un bugiardo? Prima mi dici che non sei il principe azzurro, poi ti inventi un nome da femmina! La mamma dice sempre che le bugie sono brutte, che ti fanno venire le gambe corte e il naso lungo. Perché tu non ce l'hai?" arricciò il labbro la piccola, aspettando di vedere verificarsi da un momento all'altro quello che per lei era un dogma inconfutabile.
"Tua madre ha ragione, infatti non sto mentendo." le disse, chinandosi a sussurrarle nell'orecchio "Vedi, io sono una specie di cavaliere, e Aphrodite è il nome segreto che uso per non farmi scovare dai cattivi ... prometti solennemente che non lo dirai a nessuno?" dichiarò, portandosi una mano sul cuore a mò di giuramento.
Rosaspina era totalmente incantata: "Prometto, prometto! Che bello, un cavaliere in carne e ossa! Hai anche una spada? E un'armatura luccicante?"
"Possiedo una bellissima armatura dorata, ma in verità non ho una spada: io combatto con le rose."
"Non ci credo! Le rose non fanno male!" strinse gli occhi la bambina, sospettosa.
"Questo lo dici tu. Hai mai provato a toccare la spina di una rosa? No?" spiegò, al cenno di diniego della sua scettica interlocutrice, divertito "Ecco, non lo fare. Punge."
"Rosaspina! Rosaspina! Finalmente ti ho trovata! Quante volte te lo devo ripetere di non sparire senza dirmi nulla? E che non devi dare confidenza agli ... oh, Dio mio ... Dan!"
"Non può essere." pensò Aphrodite, voltandosi in direzione della donna che era sopraggiunta.
Minuta, capelli ricci e occhi del colore dell'ebano, pelle della tonalità del cioccolato, mascella imperiosa ma non sporgente, seno prosperoso: un'ellenica di origine africana.
Soffermandosi solo sulla fisionomia e sull'aspetto si sarebbe potuto anche credere che fosse un'altra, benché le somigliasse moltissimo.
Ma era lei, senza ombra di dubbio; l'aveva chiamato con il suo tanto odiato nome di battesimo, che nessun altro conosceva in Grecia. Dan. Così ... insignificante.
"Daphne ..." sussurrò, sollevandosi dalla posizione accovacciata che aveva assunto per poter parlare con la bambina, la quale intanto stava spostando lo sguardo dalla donna a lui, interessata dalla piega che avevano preso gli eventi.
"Come fai a conoscere la mia mamma?" gli domandò "E perchè lei ti ha chiamato Dan? E' il tuo vero nome?"
"L'ho conosciuta molto tempo fa ..." rispose a metà lui, distratto da un dubbio improvviso e atroce.
"Daphne. Sei anni fa. E ora, una bambina del tutto simile a me. I miei stessi capelli, il mio stesso neo, la mia stessa lieve malizia, pur essendo tanto giovane."
E gli occhi della ragazza posati su di lui, pieni di qualcosa di troppo amaro: gli occhi di un animale ferito.
"Rosaspina, senti: quanti anni hai?"
Era quasi sicuro di saperlo, ma sperava vivissimamente di sbagliarsi.
"Ne ha compiuti sei l'Aprile passato, Dan. Sei. Il numero ti dice niente?" prese parola la madre, sputandogli verbalmente addosso l'età della figlia. Figlia di entrambi.
"Oh, PORCA TROIA."
Non aveva mai imprecato in vita sua, nemmeno col pensiero. Mai.
Lo riteneva sconveniente e volgare, una macchia che avrebbe potuto incrinare la purezza della sua figura.
Ma quella volta non poté proprio farne a meno.
Insomma, era uscito per una innocua passeggiata e dal nulla scopriva di essere padre! Padre! Così, di punto in bianco, e a soli vent'anni! Senza contare, poi, che la sua condizione di cavaliere d'oro non gli avrebbe permesso di accollarsi responsabilità del genere, anche se avesse voluto ... e lui certo non voleva.
"Che tu sia maledetto, Aphrodite dei Pesci, tu e la tua dannata civetteria!"
In effetti, esclusivamente di civetteria si era trattato.
L'ennesima sfida contro se stesso.
E l'insaziabile voglia di apprendere il più possibile su tutto ciò che riteneva degno di essere ammirato; amava la bellezza altrui quasi quanto detestava le brutture.
Aveva incontrato Daphne nell'Estate di sei anni prima, durante le Panatenee, festa in onore della nascita di Atena che veniva celebrata da tutti i Saint in tempi di pace.
Quell'anno il Gran Sacerdote aveva concesso a ognuno di loro tre giorni liberi, da spendere fuori o dentro al Santuario a proprio piacimento: a differenza di chi si era precipitato all'aereoporto per trascorrere in patria settantadue misere ore, lui aveva deciso di restare, insieme a pochi altri.
In quei tre giorni si era dato all'esplorazione di Atene, di cui non conosceva nulla, non avendo mai avuto tempo per visitarla: dal termine del suo addestramento in Svezia alla data della cerimonia di investitura, prima della quale era obbligatorio rimanere in una sorta di "raccoglimento spirituale", non era passato che un mese.
L'ultima sera di tale breve vacanza, passando davanti ad un locale, era rimasto ammaliato dai "colori" di una ragazza che sedeva in solitudine, splendidi nonostante fossero totalmente diversi dai suoi; ricordava bene di essersi detto: "Sarebbe meraviglioso vedere il contrasto della sua pelle bruna sul mio pallore diafano."
Così, spinto soltanto da questa curiosità, si era avvicinato al suo tavolo.
"Cosa ci fa una bella fanciulla come te da sola di Sabato sera?" le aveva detto, sfoderando tutto il suo fascino.
Lei, complice il litigio col fidanzato, non ci aveva pensato due volte a cedere alle lusinghe di quel giovane perfetto.
"Aspettavo te. Siediti. Io sono Daphne."
"Come vedi, eccomi qui. Piacere, Dan."
Aphrodite non aveva impiegato troppo tempo a capire che Daphne era una ragazza da poco divenuta maggiorenne, single da circa dieci minuti dopo quattro anni di restrizioni, ribelle e istintiva: si era spacciato per un modello ventenne - era stato facile, visto che dimostrava molto più dei suoi reali quattordici anni - in vacanza e dopo averle offerto qualche cocktail l'aveva convinta senza fatica ad appartarsi in spiaggia con lui.
A fine serata l'aveva accompagnata a casa. Ecco tutto.
Comportamento poco ortodosso, certo, ma in fondo ciò che voleva se l'era preso; solo adesso vedeva i risultati di quella bella pensata.
Ed erano dei risultati un tantino ingombranti.
"Credo tu abbia compreso, a giudicare dalla tua espressione. Soddisfatto? Bene, Rosaspina, possiamo andare. Abbiamo finito qui." lo distolse dalle sue riflessioni la Daphne del presente, per poi incamminarsi sprezzante, sorda alle proteste della bambina.
"Daphne, aspetta!" la rincorse il cavaliere "Non puoi darmi una notizia così e defilarti! Raccontami almeno qualcosa! Cosa hai fatto in questi anni, dove vivete, come vi trovate ..."
Va bene che l'aver saputo di essere genitore non avrebbe cambiato il suo modo di vivere, però voleva sapere, conoscere qualcosa della loro vita: era pur sempre sua figlia, che diamine!
A quelle parole la donna si voltò di scatto, come se fosse stata scottata: "Ah, ora vuoi sapere, eh? Cosa ti dovrei raccontare, dimmi? Delle umiliazioni che ho subito a causa tua? Dell'infamia che ha infangato il mio nome? CON CHE DIRITTO VIENI A DIRE A ME DI NON DEFILARMI?"
Le urla avevano già attirato una considerevole quantità di spettatori, incuriositi dalla diatriba: urgeva una discreta uscita di scena, prima di andare incontro a fastidi.
Inoltre Rosaspina, nel sentire la madre così alterata, si era messa a piangere e la cosa, per qualche strano motivo, lo infastidiva: non voleva vederla piangere.
"Daphne calmati, ti prego! Lo so, ho sbagliato, ma non potevo sapere di averti messa incinta! Il giorno dopo me ne andai da Atene, cosa avrei potuto dirti? 'Ciao, domani parto, grazie di tutto'?! Avanti, sii ragionevole, permettimi di farmi una vaga idea su come è mia figlia! E poi andiamocene di qui, per favore: tutta questa gente mi sta irritando." le sussurrò concitato all'orecchio.
Daphne parve rendersi finalmente conto della folla e si riscosse velocemente, allontandandolo da sé: "Ok, ok, sono calma, basta che mi stai alla larga. Conosco un posto non distante da qui dove potremo stare tranquilli. Seguimi."
Con fare autoritario prese in braccio la piccola in lacrime e si fece largo a suon di occhiatacce, seguita a debita distanza da Aphrodite, che tentò invano di filarsela con nonchalance. 
"Ma tu guarda che figure ..."
"Su, su, ροζέτα, non fare così! Perdonami, la mamma è un po' nervosetta oggi ..." gli giunse da poco avanti la voce di Daphne, intenta a consolare Rosa.
Le guardò con uno strano misto di tenerezza e distacco: si sentiva, di fatto, solo un intruso, un fantasma venuto dal passato.
Mentre rimuginava arrivarono all'ingresso di una taverna rustica, uno di quei posticini tipici che tanto piacevano ai turisti.
"Tu aspetta qui fuori con Dan, tesoro." si raccomandò la ragazza, rivolgendosi poi freddamente a quest'ultimo "Sei capace di tenerla per cinque secondi? O temi di non resistere all'impulso di dartela a gambe?"
"Forse sì. O forse no ..." commentò lui, con un sorrisetto ironico.
"Togliti quel ghigno ebete dalla faccia, o giuro che ti distruggo con le mie mani!" ringhiò lei in risposta alla sottile presa in giro, sparendo al di là della soglia.
"Non gli sei molto simpatico alla mamma, vero?" gli chiese ingenuamente Rosaspina, guardandolo con gli occhioni ancora umidi.
"No, non mi pare." sbuffò, scoraggiato. Altro che simpatico! Quella, se avesse potuto, l'avrebbe accoppato!
"A me sì, invece! E poi sei un cavaliere!" lo rassicurò "Però Dan non mi piace, come nome. E' troppo semplice. Posso chiamarti Dite?"
"Sai una cosa? Neanche a me piace il nome Dan; preferisco di gran lunga Dite."
"Anche io ho sempre pensato che Dan sia troppo semplice ..."
Era impressionante. Più la guardava, più non gli sembrava vera, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di notare quanto in effetti gli somigliasse. E non solo fisicamente parlando.
Aveva un modo di fare già altezzoso, a dispetto dell'età, e la stessa sua abitudine di inclinare leggermente la testa di lato nel parlare; chissà quanti altri piccoli dettagli c'erano che lui ignorava! Non poteva non sentirsi un filino orgoglioso.
"Dite? Lo sai che questo è il ristorante dei miei nonni? Ora ti presento la mia nonnina! Gli piacerai di sicuro!"
"E' il ristorante di chi?!"
Eh no, eh. Ci mancavano solo i "suoceri"! Ma cosa aveva per la testa, Daphne?
"Dei miei nonni! Della mamma e del papà della mia mamma! Tu non ce l'hai, i nonni?"
"No, cara." le accarezzò i capelli dolcemente.
Evitò di dirle che, oltre a non avere nonni, gli mancavano genitori, fratelli, zii, cugini; che era pressoché solo al mondo, anche se la cosa non lo scuoteva più di tanto.
Per lui era sempre stato così: non è poi tanto difficile accettare l'idea di non avere nessuno accanto, quando ci nasci insieme.

"Ah, allora stavolta sei rimasto. Che bravo. Ci mettiamo in uno dei tavoli qui fuori, scegli tu quale. Rosaspina, vai dentro dalla nonna, tu mangi con lei." li interruppe Daphne, sbucata all'improvviso.
"Ma mamma! Io voglio mangiare qui con voi!" si lagnò la bambina.
"Niente 'ma'! Fila dentro, avanti!" la sospinse gentilmente sua madre.
" Uffa!" fu la svogliata resa "Buon appetito Dite!"
Infine, si dileguò dentro in uno sciame di ciocche bionde e nastri colorati.
"Come ti ha chiamato? 'Dite'?" inquisì la donna, una volta rimasti soli.
"Sì, mi ha soprannominato in tal modo." liquidò lui la questione "Piuttosto, perché mi hai portato nella trattoria dei tuoi? Si accorgeranno di chi sono alla prima occhiata."
"Mia madre lo sa già: gliel'ho detto io. Mio padre invece è in cucina, non esce mai da lì, e Alexis non arriverà che per le tre. Rilassati, per questa volta non verrai trucidato."
"Chi è Alexis?" chiese lui, ignorando saggiamente la provocazione.
"Mio marito."
"Marito?! Così giovane e già sposata?"
Le esplicitò la domanda, a cui ella rispose con tono di rimprovero: "Così giovane e già madre, vorrai dire." puntualizzò, dura come una roccia nella voce e nello sguardo "Alexis era il fidanzato con il quale la sera in cui ti conobbi avevo litigato. Due giorni dopo la tua scomparsa facemmo la pace, e quando mi accorsi di essere incinta decise di sposarmi e di far finta che il figlio fosse il suo.
E' stato così generoso ... senza di lui avrei visto l' inferno.
Peccato che il suo gesto non abbia avuto il potere di arginare il problema: è risultato evidente sin da subito che Alexis non è il vero padre della bambina.
Io speravo che i miei geni avessero la meglio sui tuoi e invece, sfortunatamente, è la tua copia sputata.
Se n'è chiaccherato molto, ad Atene ... tanto da ridurre persino la clientela del ristorante, ad un certo punto. Uno scandalo, in poche parole." bofonchiò a denti stretti; poi si interruppe, gli occhi persi nel vuoto.
Aphrodite fece per parlare, ma Daphne aggiunse, rapidamente: "Comunque, adesso ce la caviamo bene. Ormai agli occhi della gente siamo storia vecchia, grazie a Dio. La taverna va a gonfie vele e Alexis ha appena messo su un'attività che sta prendendo il volo. Rosaspina a Settembre comincerà la scuola. Non potrebbe andare meglio. Non abbiamo bisogno di nient'altro." concluse, secca.
"Non avete bisogno di me, in sintesi."
"Ne sono felice. Come è la bambina?" chiese, portando il discorso sul soggetto che più gli interessava "Voglio dire: come è di carattere."
"Orgogliosa. Volitiva. Un tantino egocentrica ..."
"Me ne sono accorto." la interruppe lui, sorridendo.
" ... e adorabile. Rosa è la mia gioia, nonostante mi ricordi te ogni volta che la guardo. E ho paura che, con gli anni, la cosa si acuirà ... ma non per questo l'amerò di meno."
"Daphne." cominciò allora, prima di venire interrotto dall'arrivo di un'imponente signora con in mano due piatti di insalata greca.
Capì che era la madre di Daphne dall'occhiata che gli lanciò: a dir poco velenosa, sebbene leggermente velata da qualcosa di molto simile all'ammirazione. In fondo era una donna anche lei e, come tale, non poteva non scrutarlo con meraviglia.
"Daphne, io ..." bisbigliò, mentre quella rientrava.
"Lascia stare, Dan, è inutile che tenti di giustificarti. Quel che è fatto, è fatto. Sarà anche vero che, non sapendo nulla, non avresti potuto far niente, ma non puoi chiedermi di non portarti rancore. In due sarebbe stato molto più semplice."
"Secondo me, ti sbagli."
" In che senso?"
"Non per scagionarmi, però ... pensaci. Se, dopo aver scoperto di essere incinta, tu avessi sposato me, l'avresti fatto senza amarmi, e così io. Tu magari ti saresti consumata pensando a Alexis, ed io ... io avrei rimpianto tutta la vita la mia libertà. Ci saremmo odiati nel profondo, rendendo infelice nostra figlia. So che sembra utilitaristico a sentirsi, ma forse è stato meglio così."
Non poteva rivelarle che la scena da lui descritta non si sarebbe realizzata a prescindere: egli viveva in un universo parallelo, fatto di guerra e di armature, dove non c'era posto per cose come la famiglia. Questo però lei non l'avrebbe mai saputo.
"Quello che dici ha una sua logica. Ma tu? Che effetto fa scoprire di essere genitore e non avere la facoltà di assumerne il ruolo a pieno titolo?"
"Non so; è stato tutto così improvviso. Penso che mi ci vorrà del tempo per abituarmi all'idea. Certo, sono felice di aver contribuito a creare una creatura splendida come Rosaspina ... e, pur non conoscendolo, sono sicuro che Alexis sarà un padre migliore di me. Specie se affiancato da una come te. Mi sembri molto determinata."
"Più di quanto immagini. Farei di tutto per lei.".
I due stettero in silenzio per qualche minuto, entrambi assorti nelle proprie cogitazioni.
"Voglio chiederti un'ultima cosa, Daphne" disse dopo un po' Aphrodite, l'insalata ancora per intero nel piatto "Perché, fra tutti i nomi, hai scelto proprio Rosaspina?"
"Perché mi dicesti che amavi le rose sopra ogni altra cosa: appena mi chiesero come avrei voluto chiamarla, mi venne spontaneo rispondere 'Rosaspina'. Bella come una rosa, pungente come una spina: ecco come desidero che cresca."
"E' perfetto." asserì lui.
Non lo diceva solo per cortesia, lo pensava sul serio.
"Adesso è meglio che vada, ti ho creato anche troppo disturbo. Grazie per il tempo che mi hai dedicato."
Restare poteva significare entrare in discorsi compromettenti, e lui non voleva rovinare quella pace apparente che si era creata.
"Oh, va bene ... quanto starai ad Atene?" la ragazza sembrava confusa da quel repentino tentativo di congedo.
"Non ne sono sicuro; da tempo sto pensando di trasferirmi qui in pianta stabile. Se così fosse, potrei venire a salutare Rosaspina, di tanto in tanto?"
"Non credo sia una buona idea: adesso è ancora troppo piccola, ma a lungo andare potrebbe notare la vostra somiglianza. Specialmente in età più matura. Lei pensa di essere figlia di Alexis."
"Giusto. Decisione assennata."
"Se sapesse quanto è inutile questa precauzione: probabilmente non vivrò abbastanza a lungo da vederla diventare adulta."
"Allora ciao, Dan."
"Arrivederci, Daphne. Siate felici."
Aphrodite le tese la mano e lei ricambiò la stretta, dapprima guardinga, poi maggiormente sicura.
Gli sorrise persino.
"Dite! Dite! Perché vai già via?" arrivò di corsa Rosaspina, che da dentro il locale l'aveva visto avviarsi.
"Perché i nemici sono sempre in agguato e un vero cavaliere non può permettersi di oziare!" disse, facendole un occhiolino complice "Un giorno verrò a prenderti con il cavallo bianco. Fino ad allora stai in guardia, d'accordo? E ricordati del giuramento!"
"Sì, che me lo ricordo!" si portò la mano al petto la bambina "Torna presto!"
"Promesso, piccola."
Sarebbe tornato: di soppiatto, senza farsi vedere, però sarebbe tornato.
Mentre si allontanava gettò un ultimo sguardo alle due, madre e figlia sulla porta che lo salutavano: Daphne seria, ma  con un'espressione serena sul volto, e Rosaspina radiosa: "Ciao ciao, Dite!"
"Dite ... però è carino, come diminuitivo."
Tra tutte le cose che aveva fatto nei suoi vent'anni, Rosaspina era senza dubbio quella che gli era riuscita meglio.
La sua rosa più bella.




 












 



   
 
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