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Autore: Melian    27/10/2011    1 recensioni
"Tutenstein si era ritrovato con una mano in meno, separata dal resto del corpo e tutte le bende srotolate lungo il braccio. Con un’occhiata preoccupata osservò la propria mano piegarsi per negare a Walter il suo morso e scattò in piedi, fuori dal suo nascondiglio.
«Ehi, tu! Ridammela subito! E’ la mano de Faraone, quella! Te lo ordino!»"
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZO INVERNO


Q
uando Tut-ankh-en-set-amun era tornato alla vita, dopo più di duemila anni passati in un sarcofago d’oro così imponente che sarebbe calzato perfettamente ad un adulto, ma che per un re bambino era decisamente grande, non si sarebbe mai aspettato di trovare un mondo così totalmente diverso – e per certi versi sconvolgente – rispetto a quello del suo amato Egitto. Se non ci fossero stati Cleo e Luxor, cosa ne sarebbe stato di lui? Sarebbe stato una mummia bambina costretta a nascondersi e a soffrire la solitudine in un mondo che non lo avrebbe né accettato, né compreso.
Così, mentre scoccava la mezzanotte e i raggi della luna penetravano nel suo mausoleo all’interno della sezione egizia del museo cittadino e facevano risaltare gli inserti d’oro delle collane, degli utensili e del grande trono intarsiato di un brillio soffuso, il piccolo faraone se ne stava seduto sul bordo del suo sarcofago, con i gomiti puntellati sulle ginocchia ossute e le mani che sostenevano il capo.
Con occhi grandi e apparentemente vacui, osservava la stanza e sorrideva tronfio e soddisfatto. Fece dondolare i piedi e le bende pendevano dalle gambe svolazzarono inquiete, fremendo all’unisono con l’intero corpo. Tut era irrequieto. Cleo gli aveva confidato che per l’indomani aveva in serbo una sorpresa per lui. Ma di cosa poteva trattarsi? Il re bambino si era arrovellato tutta la notte e il risultato di quel continuo scervellarsi era il brontolio cupo del suo stomaco che protestava in uno dei vasi canopi accanto al sarcofago. Si poggiò una mano sul ventre e imbronciò le labbra: «Il Faraone ha fame! Ma dov’è Luxor quando serve? Starà ancora poltrendo, anche se è appena sorta l’alba!»
Si diede una breve spinta e saltò giù, camminando con le mani intrecciate dietro la schiena. Misurò a larghi passi la propria tomba – una perfetta ricostruzione in pietra, con tanto di affreschi riprodotti fedelmente – e, alla fine, prese la sua decisione: «Ci sono! Walter ha sempre qualche succulento panino sotto la scrivania…».
Tutenstein ci mise poco ad affacciarsi nel corridoio semibuio e deserto e a sgattaiolare lungo il muro in punta di piedi verso la postazione del custode.

Un custode che si rispetti, dovrebbe essere certamente ligio al proprio dovere e piuttosto scrupoloso nell’eseguirlo. Tuttavia, Walter era tutt’altro che un custode ligio e neanche un po’ scrupoloso. Al solito, era seduto alla propria postazione, dietro la scrivania, con un giornale tra le mani, il naso affondato tra le pagine e con addosso le cuffie della radio accesa a tutto volume. Certo, ogni tanto gettava un’occhiata all’ingresso, giusto per assicurarsi che il Professor Behdety non comparisse all’improvviso e gli urlasse un: “Sei licenziato!”, ma questo non significava affatto che gli passasse per la testa di fare un giro d’ispezione.
Fu per questo che Tutenstein raggiunse Walter senza che questi se ne accorgesse e che avesse tutto il tempo per strisciare sotto la scrivania, fin quasi al piccolo frigorifero portatile. Tut c’era quasi: aveva tirato verso di sé la maniglia e aveva acciuffato uno dei tramezzini. Doveva solo darsela a gambe levate, adesso.
Ma Walter, per quanto ingenuo e ignaro che fosse, doveva aver avuto la stessa idea del piccolo faraone: a tentoni, raggiunse lo sportello del portavivande, agguantando nel contempo la mano incartapecorita e affilata di Tutenstein che reggeva il panino e se la portò alla bocca. Senza nemmeno guardare il tramezzino, ma con lo sguardo ancora concentrato sulle pagine del quotidiano, stava per addentare il suo spuntino.
Tutenstein si era ritrovato con una mano in meno, separata dal resto del corpo e tutte le bende srotolate lungo il braccio. Con un’occhiata preoccupata osservò la propria mano piegarsi per negare a Walter il suo morso e scattò in piedi, fuori dal suo nascondiglio.
«Ehi, tu! Ridammela subito! E’ la mano de Faraone, quella! Te lo ordino!» e sguainò il sottile Scettro di Was dalle bende al proprio fianco, sventolandolo in minaccia contro il povero custode che, preso alla sprovvista, lanciò per aria il giornale e guardò terrorizzato, con gli occhi che gli si incrociavano, prima la mano che agitava il tramezzino a destra e sinistra, e poi lo stesso Tutenstein. Fece cadere la mano a terra, cacciò un urlo e si ribaltò dalla poltrona: «U-una m-mummia!»
Tutenstein ne approfittò per riavvolgersi le bende attorno all’avambraccio e rimettersi la mano apposto, compresa di panino, prima di gettare uno sguardo a Walter e mormoragli: «Buh!». Se la filò di gran carriera, prima che Walter potesse riaversi e avviarsi lungo il corridoio con la torca accesa che gli tremava tra le mani. E, mentre il custode si affacciava nella sala egizia con un misto di terrore e incredulità sulla faccia, Tutenstein era già al sicuro nel suo sarcofago.
«Mpf, sciocco di un Walter! Mh, però!, questo tramezzino al tonno e maionese è proprio saporito…»

Appena Cleo e Luxor, il suo gatto, arrivarono al museo – il sole era ormai alto, anche se la giornata era comunque fredda, genuinamente invernale – si ritrovarono con Walter trincerato dietro la sua scrivania, con gli occhi blu sgranati e i capelli biondi scomposti.
«Cleo, meno male che sei arrivata! C’è una mummia! Una mummia viva orrenda!»
Cleo sollevò un sopracciglio, scambiò un’occhiata con Luxor : Tut fuori dai guai, almeno per una volta? Impensabile!
La ragazzina sorrise al custode, provando a tranquillizzarlo: «Mannò, Walter, cosa dici? Le mummie non possono essere vive. Devi aver fatto un brutto sogno. Te lo dico sempre di non ascoltare i racconti dell’orrore che mandano in onda di notte alla radio! »
Walter, ancora tutto tremante, parve quietarsi di colpo. Annuì, mentre guardava con diffidenza la propria radio. Sospirò, passandosi una mano sulla fronte. «Devi aver ragione, Cleo! Che sbadato che sono stato. Com’è possibile che le mummie siano vive?!» scosse il capo e sorrise alla ragazzina. «Cleo, però non dire al Professor Behdety che mi sono addormentato, d’accordo? Dev’essere stata colpa della peperonata della mamma che ho mangiato ieri sera, se ho avuto quell’incubo…»
Cleo gli ammiccò, passandosi le dita sulle labbra carnose come chiudesse una zip. Si avviò lungo il solito corridoio già percorso una infinità di volte, mentre Luxor le mormorava, con tono gnaulante: «Credi che il divino Faraone abbia combinato qualche bravata delle sue?»
«Io credo che il divino Faraone adesso avrà una sonora strigliata!» replicò Cleo, stizzita.
L’ombra della ragazzina e del felino si allungarono fino a sovrapporsi al coperchio del sarcofago reale appena spostato di lato.
Tutenstein scattò a sedere appena li vide lì davanti. Non parve affatto notare l’occhiata torva di Cleo, né il fatto che stesse con le mani ai fianchi e battesse il piede destro a terra, ritmicamente, come se aspettasse qualcosa. «Oh, Cleo, Luxor! Finalmente siete arrivati! Mi stavo veramente annoiando e la notte quasi non passava più!»
«Tut! Ti stavi così annoiando che hai ben pensato di fare uno scherzo a Walter?! Lo sai cosa potrebbe succedere, se ti scoprissero?» Cleo gli puntò il dito contro, in segno di ammonimento. Sospirò: «Possibile che non stai mai fuori dai guai?»
«Ma Cleo, avevo fame! Il mio divino stomaco pretendeva un regale pasto e ho dovuto procacciarmelo. Non sai che impresa, stanotte. E poi Walter si spaventa anche solo se vede la sua ombra… » Tutenstein fece spallucce e si lisciò con noncuranza le bende sul petto, facendone cadere le briciole del panino.
«Beh, Cleo, il faraone non ha tutti i torti… Walter è un fifone e un credulone.» miagolò Luxor, mentre saltava in grembo a Tutenstein e si rivolgeva anche a lui: «Mio illustre faraone, Cleo cerca soltanto di proteggervi e di fare il vostro bene. La prossima volta, non fatela preoccupare, intesi?»
Luxor era senza dubbio un felino diplomatico e, poiché discendeva dai gatti che avevano accompagnato la vita della famiglia di Tut-ankh-en-set-amun, sapeva sempre come prendere il re bambino.
Tutenstain si accigliò e, alla fine, annuì gravemente. «Va bene. La prossima volta non andrò in giro a spaventare Walter.» promise solennemente – incrociando le dita della mano destra dietro la schiena – e regalando a Cleo un ampio sorriso sfacciato.
«Uff, e va bene! Tanto lo so che farai di testa tua, mummietta… dai, mettiti questa. Oggi ti porto a vedere una cosa che non hai mai visto.» si risolse Cleo, rivolgendo gli occhi al cielo. Cavò dal proprio zaino una felpa con cappuccio e la porse al bambino.

«Di cosa stai parlando, Cleo?» Tutenstein camminava lungo i corridoi più bui del pianto interrato del museo, seguendo Cleo e Luxor con un broncio concentrato. Aveva addosso una felpa rosa confetto, col cappuccio tirato sopra il copricapo tipico dei faraoni. Passò accanto a una vetrina e vide il suo riflesso: «Così conciato sembra che abbia un testone enorme! E poi il rosa, puah! Non sono una stupida femminuccia!» Si lamentò con aria tremendamente accigliata.
Cleo e Luxor sghignazzarono, senza fermarsi. Luxor, che avanzava con piccoli passi eleganti al fianco del bambino, si affrettò ben presto a consolarlo: «Mio signore, re dell’Alto e del Basso Egitto, dovete pazientare! E no, non avete un testone, sembrate solo avere una fronte… ehm, molto spaziosa. E sapete cosa si dice dei sovrani dalla fronte ampia?» ci fu una pausa in cui Tutenstein fissò torvo il gatto e quello si raggomitolò intimidito, prima di riprendersi e affermare: «Che sono molto saggi, sì!»
«Oh, e così io sono un Faraone molto saggio! Sentito Cleo?» Tuntenstein gettò un’occhiata compiaciuta a Luxor e si allungò per fargli un grattino, cui il gatto reagì con un fiorire di fusa. Poi la piccola mummia allungò il passo per affiancarsi a Cleo, in pugno il sottile e ricurvo scettro di Was che terminava con la testa di uno sciacallo.
«Tu, molto saggio?» Cleo gli rifilò un’occhiatina ironica e si strinse nelle spalle «Luxor, dovresti smetterla di adularlo… finirà per crederci!» fu la successiva pungolatura. Svoltò a destra, scendendo un’ultima rampa di scale, per raggiungere il deposito. «Comunque sia, Tut, te l’ho già detto. E’ una cosa che puoi toccare, ma non possedere. Sono certa che in Egitto, quando eri vivo, non l’hai mai vista!» Cleo era entusiasta, gli occhi scuri erano colmi di una luce speciale mentre passavano in rassegna il faraone.
«Come sarebbe che è una cosa che posso toccare ma non possedere? Io sono il re e tutto è mio, tutto mi appartiene!» per tutta risposta, Tutenstein parve regalmente contrariato. Agitò lo scettro di Was e fissò Cleo in tralice, in un lungo silenzio. «Ehm, Cleo, insomma, sto morendo di curiosità. Vuoi torturarmi ancora lungo?»
La ragazza, in tutta risposta, scosse il capo. Superò le ultime casse di imballaggio e raggiunse la porta che dava sul retro del museo. «Pronto, Tut? Chiudi gli occhi!»

Riaprire gli occhi, fu per Tut-ankh-en-set-amun tutt’uno con lo smarrirsi in un candore mai visto prima. Le labbrucce rattrappite si contrassero in una smorfia stupita e poi si schiusero in un sorriso colmo di meraviglia, di bambino.
La neve cadeva pigramente e ricopriva col suo bacio bianco e freddo ogni cosa: il cassonetto dei rifiuti nella stradina laterale del museo, gli alberi, le auto, la strada stessa. Tutto era avvolto dai fiocchi e persino i rumori dl traffico cittadino parevano ovattati.
«Ma è così bella. Cos’è?»
«Si chiama neve e in inverno cade molto spesso in città.» replicò Cleo con voce soffusa e un sorriso radioso, mentre osservava il suo amico allargare le braccia e offrire il volto al cielo. «E’ bianca, soffice e fredda. Ci puoi giocare, sai? Puoi creare i pupazzi, oppure giocare a palle di neve o fare gli angeli sui prati ammantati.»
Tutenstein sorrideva mentre tirava fuori la lingua e assaggiava i fiocchi che riusciva a catturare al volo, mulinava le mani in aria cercando di afferrare manciate di nevischio, saltellava qua e là come un qualsiasi bambino, ma forte della sua scoperta, della sua meraviglia, del suo stupore. Si lasciò cadere per terra e allargò gambe e braccia, lasciando l’impronta classica dell’angelo intrappolato nella neve e lì disteso, con Luxor che gli solleticava il naso con la punta della coda e Cleo che alle prese col suo pupazzo, si sentì stranamente pieno di un gran calore, di una felicità travolgente, priva di parole ma viva, vera.
E, anche se la neve si scioglieva sotto le sue mani o volteggiava nel vento e lui poteva toccarla, ma non possederla, Tut-ankh-en-set-amun seppe di possedere il tesoro più grande e più splendido che un Faraone potesse avere: i suoi amici.
Quel giorno, gli Dèi sorrisero sul mondo e al loro piccolo re.




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Note dell’autrice:

la storia partecipa allo “Sweety Scary Challange” di Fanworld, il prompt scelto è: “Chocolate Chips Cookies- Mummia, comico, mezzanotte”.
Inoltre è inserita nell’iniziativa: “Un prompt al giorno”, al prompt: “scale”.

Mi sono concentrata su un fandom ben poco frequentato, direi, ovvero quello del cartone animato “Tutenstein”. Volevo scrivere da un po’ qual cosina su questa serie animata, perché la trovo non solo divertente, ma anche piuttosto educativa in quanto curata dal punto di vista dell’ambientazione dell’Antico Egitto. Insomma, ad Halloween, la mia mummia preferita è Tut!



Melian
   
 
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