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Autore: Lexi Niger    28/10/2011    8 recensioni
Mentre passava cautamente tra due tavoli un ragazzo si alzò e le diede una spallata, involontariamente. La ragazza recuperò fortunatamente l’equilibrio, ma non riuscì ad evitare che la spremuta si rovesciasse al suo fianco, per terra.
«Scusami» si affrettò a dire l’altro. «Non mi ero accorto che ci fosse qualcuno».
Era carino, ancora di più per l’espressione supplichevole che gli si leggeva in viso.
«Sono Claudio» aggiunse spudoratamente, tendendole la mano e approfittando del momento.
Clara non fece in tempo a replicare perché fu interrotta da una voce proveniente da dietro le sue spalle.
«E io sono quello che gradirebbe la sua attenzione, se non è chiedere troppo».

Clara deve dare un esame di diritto, uno degli ultimi che la separano dalla laurea. La sua vita è tranquilla, senza grandi emozioni. Ma il destino ha deciso che la sua monotonia dovrà essere interrotta proprio a pochi passi dall'ambito traguardo.
Giulio è un ragazzo prodigio, divenuto professore a trent'anni, desideroso di ripagare la fiducia che gli è stata accordata e di impressionare i suoi studenti.
Nessuno dei due uscirà indenne da questo incontro, perchè scopriranno qualcosa di se stessi che non sapevano.
E' un storia breve, senza pretese. L'ho scritta perchè ho avuto la fortuna di conoscere professori con fascino e carisma da vendere. Dedicata quindi a chi come me pensa che un uomo affascinante è quanto di meglio la vita può offrire.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Francesca
che condivide il mio debole per i professori affascinanti.
A tutte le ragazze che non ne sono immuni.

Ringrazio infinitamente ThePoisonPrimula e Drama_Queen per il banner che hanno realizzato per la storia.

 

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Capitolo 1

 

Era ancora profondamente addormentata quando il cellulare aveva iniziato a squillare, provocandole un mezzo infarto per lo spavento. Stropicciandosi gli occhi con le mani, si prese qualche secondo per riaversi dallo sgradito risveglio prima di prestare attenzione al suo telefono che continuava imperterrito a proporle quell’orribile suoneria che lei non si era mai decisa a modificare.
«Pronto?» esordì poco convinta, soffocando a fatica uno sbadiglio.
«Tesoro?» indagò sua madre, preoccupata. «Stai bene?».
«Certo».
«Immagino tu stia per uscire» continuò, «quindi ti auguro buona fortuna per il tuo esame».
Quante volte avrebbe dovuto ripeterle che non si augura buona fortuna? In più di dieci anni sembrava non aver afferrato il concetto, eppure lei si era sforzata di trasmetterglielo..
Un momento, aveva davvero detto “immagino tu stia per uscire”?
Clara si voltò di scatto verso la radiosveglia sul comodino, pregando silenziosamente che il suo presentimento fosse sbagliato.
7.55.
L’orologio digitale aggiornò proprio in quell’istante l’ora, mentre la ragazza districava ansiosamente le gambe dal lenzuolo che, dispettoso, sembrava voler peggiorare la situazione.

«Mamma devo scappare».
Chiuse la conversazione senza aggiungere altro, consapevole che ogni minuto trascorso a spiegare cosa stava succedendo era estremamente prezioso per potersi vestire e sistemare prima di uscire.
Era in ritardo. No, era in uno spaventoso ritardo.
Marta le aveva dato appuntamento alle 8.20 per una colazione veloce prima dell’esame, come loro abitudine da ormai tre anni. Clara sapeva, anzi ne era certa, che violare quel rito avrebbe provocato conseguenze inimmaginabili. Non era superstiziosa, quello no, però perché cambiare le tradizioni quando queste sembravano produrre effetti positivi?
Si avviò a passo di marcia verso il bagno, sciacquandosi il viso che portava ancora i segni del cuscino, mentre le occhiaie della sera prima erano, se possibile, più evidenti.
Con qualche imprecazione poco fine mandò al diavolo la mancata sveglia e si fece una coda alta, raccogliendo i capelli che quella mattina sembravano proprio incapaci di assumere una forma accettabile.
Tornò in camera sbuffando, le premesse per una giornata disastrosa sembravano esserci tutte.
Ringraziò la sua diligenza che l’aveva spinta a preparare la borsa la sera prima, così da evitare di dimenticare a casa qualcosa di fondamentale. Aprì l’armadio, rapidamente estrasse un abito fiorato e un cardigan da abbinarci e se li infilò: non aveva il tempo di meditare sulla mise più adatta per l’occasione. Avvicinandosi al comodino recuperò la sua tracolla e, per vendetta, lanciò il cuscino contro l’orologio prima di uscire velocemente dalla stanza.

Sciocca, si rimproverò da sola, ma scoppiò a ridere rovinando la sua ramanzina.
Si precipitò letteralmente giù dalle scale, sperando di non incrociare nessun condomino che le rallentasse il passo. Arrivò in strada e si mise a correre verso la fermata del tram distante un centinaio di metri, mentre lo sferragliare del mezzo iniziava a essere udibile alle sue spalle.

Non posso perderlo.
Se lo ripeté come un mantra una dozzina di volte, mentre aumentava il ritmo delle falcate.
Si fermò solo davanti alle porte aperte, piegandosi in due sulle ginocchia con il fiato corto e i polmoni in fiamme.

«Serve aiuto?» le chiese cortesemente un signore anziano lì accanto.
Gli fece cenno di no con la testa, troppo in debito di ossigeno per articolare una frase intera di senso compiuto. Dopo un’ultima occhiata scettica l’altro si allontanò, occupando l’unico posto a sedere rimasto libero.
Era una giornata no, avrebbe dovuto prenderne atto, scendere da quel dannato tram e tornare sotto le coperte dove nulla di spiacevole sarebbe potuto accadere.
Il cellulare prese a squillare di nuovo, richiamando l’attenzione di un paio di ragazzini di fronte a lei che ridacchiarono. Era così oscena la sua suoneria?
Per un lunghissimo istante pensò di ignorarlo, convinta che fosse sua madre.

«Marta?» domandò incerta, dopo essersi decisa a rispondere.
«Dove sei finita?».
«Sto arrivando» tagliò corto.
Non era il caso di spiattellare il suo devastante inizio di giornata a tutti i presenti che sapientemente fingevano di interessarsi al panorama quando invece ascoltavano attentamente ogni sua parola.

«Sei già al bar?».
«Affermativo».
Affermativo? Sul serio? La sua amica guardava troppe serie tv poliziesche, era un dato di fatto.
«Prendimi una brioche alla marmellata e una spremuta di arancia, per favore».
Odiava sfruttare le altre persone ma, in quella situazione, o Marta le ordinava la colazione o l’avrebbe sicuramente saltata, conoscendo i tempi medi con cui i tavoli venivano serviti.

«Già fatto».
Ecco perché adorava Marta: sapeva raddrizzare il suo umore con un gesto gentile e completamente inatteso.

«Grazie. Sarò lì a minuti».
Quando finalmente scese dal tram ebbe l’istinto di mettersi a saltare per la gioia e la soddisfazione di essere arrivata in tempo per trangugiare il cornetto e non presentarsi all’esame a digiuno, rischiando di collassare sul foglio delle domande.

«Eccomi, eccomi, eccomi» cantilenò sbracciandosi mentre raggiungeva Marta al tavolo.
Un paio di uomini si voltarono nella sua direzione, probabilmente perplessi da quella manifestazione di gioia, ma Clara li ignorò lasciandosi cadere sulla sedia.

«Hai una faccia» commentò la sua amica, osservandola attenta.
«Non c’è bisogno che tu me lo dica, lo so benissimo» ammise sconsolata, addentando la brioche.
Era deliziosa, tiepida, come piaceva a lei.

«Cos’è successo?» indagò Marta, la cui curiosità era proverbiale.
«Non mi è suonata la sveglia».
«E’ un miracolo che tu ce l’abbia fatta allora» si complimentò l’altra.
«Davvero» ammise Clara. «Sarebbe stata una tragedia saltare questo esame».
Spazzolandosi le briciole dalle gambe recuperò la sua spremuta, portandosela velocemente alle labbra per dissetarsi dopo la colazione e la corsa di poco prima.

«Che schifo».
Per fortuna riuscì a trattenersi dallo sputare il sorso che aveva appena bevuto, altrimenti il vestito di Marta sarebbe stato irrimediabilmente rovinato.

«Che succede?» domandò l’amica, vedendo la sua faccia disgustata.
«E’ dolcissima. Imbevibile».
«Chiedi di portartene un’altra» le propose, cercando di calmarla.
Clara lanciò un’occhiata veloce all’orologio accorgendosi che erano già in ritardo, figurarsi se poteva concedersi il lusso di attendere un’altra spremuta, una decente.

«Lascia perdere» la rassicurò. «Porto il bicchiere al bancone e andiamo, ok?» propose, recuperando la sua borsa. E magari faccio il culo al barista tanto che ci sono.
Mentre passava cautamente tra due tavoli un ragazzo si alzò e le diede una spallata, involontariamente. La ragazza recuperò fortunatamente l’equilibrio, ma non riuscì ad evitare che la spremuta si rovesciasse al suo fianco, per terra.

«Scusami» si affrettò a dire l’altro. «Non mi ero accorto che ci fosse qualcuno».
Era carino, ancora di più per l’espressione supplichevole che gli si leggeva in viso.

«Sono Claudio» aggiunse spudoratamente, tendendole la mano e approfittando del momento.
Clara non fece in tempo a replicare perché fu interrotta da una voce proveniente da dietro le sue spalle.

«E io sono quello che gradirebbe la sua attenzione, se non è chiedere troppo».
Ma senti questo! Come si permette?
Si voltò infuriata, trovandosi di fronte gli occhi più azzurri che avesse mai visto.
Dopotutto  le cameriere non avrebbero dovuto pulire il pavimento, dato che la spremuta si era versata copiosamente sulla camicia e i pantaloni dello sconosciuto.

 

 

Considerazioni

Spero che abbiate gradito questo primo capitolo. Non è nulla di trascendentale, solo una storia che vuole lasciarsi leggere, senza troppe cerimonie. Si svilupperà in cinque capitoli, almeno se non cambio i miei progetti. Fatemi sapere se ne vale la pena.
A presto!
Lexi

  
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