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Autore: Kira Kinohari    28/10/2011    1 recensioni
Ogni mattina lo stesso luogo, lo stesso uomo, la stessa storia.
E se qualcosa cambiasse?...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni mattina, alle cinque, pochi ragazzi si alzavano e si dirigevano alla nuova stazione della piccola cittadina, pronti a partire per arrivare in orario a scuola.
Non erano di quei ragazzi con musi lunghi e facce svogliate, sapevano che studiare sarebbe servito loro ad uscire da quel piccolo paesino vuoto di possibilità, gioventù e benessere.
Si conoscevano tutti, partivano tutti insieme e tornavano tutti insieme, indipendentemente dagli orari e dalle lezioni, loro preferivano essere sempre uniti e anche le loro povere famiglie volevano questo.
Si erano messi tutti insieme, d'accordo e avevano fatto tutte grandi sacrifici per poter permettere ai loro figli una vita migliore della loro.
Di certo la vita dell'universitario non era una vita facile ed economica, tanti, troppi soldi uscivano dalle tasche ogni giorno, libri, viaggi, pasti, esami e tant'altro.

Ogni mattina, alle cinque, questi ragazzi trovavano alla stazione un vecchio signore. Era un vagabondo arrivato da qualche anno in città, nessuno conosceva la sua storia o il suo nome. Nessuno si era mai interessato a lui, ma i ragazzi vendendolo ogni giorno, con il freddo dell'inverno, con una semplice maglia e dei pantaloncini corti, portando dei sandali estivi, provavano un sentimento di compassione che colpiva tutti alla stessa maniera.
Ogni tanto qualcuno si era avvicinato a lui e gli aveva parlato e pian piano questa amicizia si era ingrandita. Se prima di lui si sapeva soltanto che era povero e viaggiatore, che viveva nella piccola vecchia stazione tutta rotta, di legno, e sporca, ora potevano dire che questo vecchio signore, che si faceva chiamare Jortes, aveva fatto numerosi viaggi, aveva vissuto in molti paesi, ma mai aveva dimenticato la sua amata Spagna. Quella sua patria calda e accogliente che l'aveva perso per un amore che aveva creduto eterno, ma la malattia si era portato via la sua sposa, e la sfortuna aveva colpito la sua casa perchè per pagare le cure della moglie era andato nei debiti ed aveva perso ogni cosa, l'amore per la vita stessa.
Da quel momento il suo desiderio non era stato altro che morire, ci aveva provato, ma l'uomo non è avvezzo al suicidio e lui era rimasto comunque lucido nella mente e non era impazzito come tanti uomini che eran stati abili a terminare la loro vita.
Agli studenti quell'uomo era molto simpatico, con le sue storie, sempre infinite, riusciva ad istruirli più di quanto in realtà facesse l'università stessa, allo stesso tempo anche il vecchio Jortes aveva preso i ragazzi in simpatia, soprattutto il più grande, Daniel.
Quest'ultimo era un ragazzo alto e magro, pallido in volto e in carne, con due grandi occhi neri e profondi come l'oceano e una voce roca, da uomo già fatto ruvido di montagne com'erano i suoi avi. Aveva dolci passioni e modi gentili nonostante quella sua tonalità grave ed adulta ed era sempre disponibile verso tutti gli altri, perchè si sentiva in capo la responsabilità di quel gruppo così unito e allo stesso tempo così vittima della città e dei suoi abitanti che vedevano in loro poveracci straccioni di campagna.
Forse era la voglia di ribellarsi a questo loro sopprannome, a questo pensiero comunque che li rendeva quasi pari agli schiavi dei secoli passati, che metteva in loro una gran voglia di studiare e di sapere e di superare tutti gli altri in acutezza e intelligenza e in forza.
Non era però il caso di Angeline, essa non si curava del parere altrui, pensava solo alla sua passione per la letteratura. La sua personale libreria era quasi una biblioteca comunale, di fatti tutti si rivolgevano alla giovane diciottenne se avevano bisogno di qualche informazione. L'intelligenza era la sua virtù principale, oltre ad un'altra che teneva con cura stando attenta dagli uomini.
Comunque Angi, come tutti la chiamavano, aveva anche in dote una bellezza semplice. Con i suoi pantaloni di tessuto nero e la felpa lunga color bordeaux era bella al pari di tante ragazze super truccate e vestite in modo esagerato per attirar l'attenzione. Era una bellezza sana, pura.
Alla fine del gruppo c'erano poi, in ordine decrescente secondo l'età, Patrik, Helena, Mariù, Mauritio e Gaspare ed infine il più piccolo del gruppo, Arinaldo. Partendo dal primo si poteva definirlo un gruppo compatto. Il ventunenne Patrik, grassoccio e bruno, non amava molto lo studio e non era certo il figlio perfetto. Al posto di frequentare le lezioni lui si occupava di raccimolare qualche spiccio in modo per nulla onesto.
Era un giovane scaltro, furbo che amava prendere in giro le persone, non aveva molti valori, se non l'aiuto alla comunità del suo piccolo paesino, e si teneva ben lontano dal causare problemi alle povere signore anziane.
Un cattivo ragazzo con qualche valore, diciamo. Helena era la introspettiva del gruppo, solitaria e pensosa, timida e cauta, lei prestava attenzione a tutto nel suo silenzio e lo analizzava. Capiva al minimo cenno qualsiasi tipo di relazione tra due persone, aveva un talento particolare per quello e proprio a seguito di questa sua capacità aveva scelto di studiare Psicologia.
I suoi genitori erano deceduti in un incidente nel campo, era stagione di secca e marito e moglie cercavan di rinvigorire il campo con acqua, ma invece a causa del caldo eccessivo l'erba ormai troppo secca aveva preso fuoco silenziosamente e non aveva lasciato loro scampo. La madre le aveva regalato i biondi e fini capelli, il padre le labbra spigolose e il corpo sodo, mentre il carattere l'aveva forgiato col tempo crescendo sola con la perpetua del parroco che le voleva bene come se fosse figlia sua.
Mariù invece era una ragazza dolcissima. Diciotto anni da poco compiuti, andava all'università perchè aveva iniziato prima la scuola a cinque anni e mezzo. La sua passione era aiutare coloro che ne avevan bisogno e proprio per questo si occupava fin da quando aveva solo dodici anni, di assistere il Dottor Roster, un grasso cinquantenne che si occupava di tutti i cittadini e che aveva il suo studio in un appartamento nel centro, il cui salotto era stato adeguato a ufficio modesto.
Poi c'erano i gemelli, due pesti che amavano i libri gialli e i polizieschi e li trovavi sempre in giro ad indagar ora su questo ed ora sull'altro cercando prove, con strani aggeggi creati da sè, come quelli delle fiction di analisi americane, e che, naturalmente si erano iscritti a giurisprudenza, in un corso piuttosto particolare.
I gemelli si assomigliavano in tutto sia fisicamente che psicologicamente. Erano i fratelli della bella Angeline e avevano gli occhi della stessa intensità di quelli della giovane, ma due corpi freschi e più agili.
Infine il giovanissimo Arinaldo che era un patito della scrivania, stava ore a fantasticare su nuove storie e per questo si era iscritto alla facoltà di lettere, ma senza sapere che quella non era la sua strada. Quel ragazzo alto, dalla pelle bruna e l'accento ricercato, dalle grandi mani, sottili e liscie, aveva un futuro già segnato che avrebbe scoperto grazie alla sua voglia di migliorare e non arrendersi mai.

Anche quella mattina erano alla stazione. Daniel stava cercando il vecchio, ma non lo vedeva e questo era molto strano visto che era sempre lì aspettandoli.
Anche gli altri dopo qualche minuti si erano preoccupati a non veder quel vecchietto tutto bianco non spuntar da un angolo della buia ferrovia con in dosso le scarpe nuove e i pantaloni di lana e la grande giacca pesante che gli avevan fatto in dono e che aveva accettato con fatica.
Jortes non arrivò quella mattina, per la prima volta e i ragazzi, quando il trenò fermò alla loro stazione, eran combattuti tra l'obbligo scolastico e l'affetto per il povero spagnolo solo. Il senso di delusione dei genitori se fossero mancati dalla giornata didattica li colpì e salirono con qualche esitazione sul treno ripromettendosi di andare a trovare il vecchio Jortes appena tornati a casa.
Non avevano fatto i conti con la pioggia, che scrosciando si fece strada quel giorno per ogni via, per ogni luogo e riempì la regione intera con sempre più intensità, fino a diventar cattiva e provocar danni seri a case e persone. Grazie alla loro radio portatile i ragazzi avevano scoperto, durante la pausa pranzo, che il diluvio aveva colpito una città che stava sul percorso per tornar a casa e a causa di quella potenza inaudita del cielo che si sfogava come di un dolore inspiegabile, era caduta parte della montagna bloccando ogni tratto di strada e ferendo gravemente ben tre palazzi. La situazione era poco tragica per ciò che riguardava la stazione, ma ci sarebbe voluta almeno una giornata per mettere a posto le cose, ai ragazzi non rimaneva altro che mettersi tutti insieme e passare la notte in un luogo sicuro.
Di andare in un albergo non se ne parlava proprio, non se lo potevan permettere, anche la cena e il pranzo dopo sarebbero stati difficili da permettersi, ma per fortuna incontraron sulla loro strada delle persone della "protezione civile" ci si apprestavan nei pressi della stazione a dar aiuto a coloro che ne avevan bisogno e quindi li fornirono di un piatto di minestra calda e di una piccola tenda accampata in un luogo aperto, proprio dietro la grande stazione, dove una volta era situo un parco, la cui era ora giaceva secca in questa landa tetra.
Stavano stretti tutti e otto in quella piccola tenda per un massimo di cinque persone, ma erano al sicuro e con lo stomaco pieno di un pasto semplice, ma caldo. Preoccupati per Jortes, si addormentarono.

La mattina dopo si svegliarono nel freddo mattino. Mancavan venti minuti alle cinque, la loro sveglia naturale non falliva dopo tante mattine passate in quella maniera, nemmeno nel fine settimana riposavan più a lungo, perchè aiutavano i genitori, chi in campagna, chi in negozio, oppure si attrezzavan a organizzare feste di paese, giochi per i piccini, oppure serate al bordo di un grande falò a raccontarsi storie, che tra l'altro non eran altro che nuove interpretazioni delle narrazioni personali del vecchio vagabondo.
Con calma si alzarono e cercaron qualcosa da mettere sotto i denti per mettersi in forze.
Gli uomini della protezione civile riuscirono a dar loro una tazza di té caldo e del pane secco da pucciarvi dentro. Non fu molto, ma si accontentarono, poi colsero dei frutti da un albero abbandonato seppur ricco di abbondanti fortune e con i frutti nelle cartelle si diressero verso la loro vita universitaria, ancora un giorno, con l'ansia sul cuore per il loro amico, per la loro avventura e le loro famiglie.
Daniel continuava a sentirsi responsabile, se non fossero saliti su quel dannato treno a quest'ora sarebbero nelle loro case calde, e Jortes sarebbe stato trovato e si sarebbe scoperto cosa l'aveva trattenuto dall'andare al solito, tacito, appuntamento della mattina.
- Non esser cattivo con te stesso, caro Daniel. Tu non hai alcuna colpa amico mio, sei un bravo capo-famiglia, sei un caro ragazzo. Il destino ci ha sorrisi in modo maligno, ma tutto questo ci renderà più forti, tutto ha un senso, una ragione. Qualcuno ha scelto per noi questo destino, vedrai che avrà avuto i suoi buoni motivi, fratello. -
La voce di Angeline gli occupò la testa a poco a poco, subitò non riuscì ad interpretare il messaggio, perchè la sua testa era ancora troppo concentrata sui suoi pensieri, ma dopo poco tempo si accorse e strinse la ragazza tra le sue braccia, ringraziandola.
Daniel aveva sempre amato Angeline, fin da piccolo si ricordava di quanto lei fosse luce per lui, un piccolo sole, più bello, più caldo e meno doloro da guardare, praticamente piacevole. Era una stella buona e umile e lui era incantato, caduto nella trappola della sua ragnatela, invisibile ed involontaria.
Quel contatto con Angi lo fece pensare tutto il giorno. Alternava i pensieri e gli fu impossibile seguire la lezione di economia. A tutto ciò che osava farsi strada nella sua testa veniva tagliata la strada di netto da uno strano sistema di difesa celebrale a lui sconosciuto. Era perso nel suo mondo e non aveva intenzione di uscirne.

Le campane rintoccarono le diciotto, ma i ragazzi l'avevano intuito dal colore della volta celeste. Fiduciosi si presentarono in stazione pronti a partire per tornare finalmente a casa. Mancavano solo da 36 ore, ma a loro, così abituati a vivere nel loro territorio circoscritto, sembravan secoli.
- Mi dispiace ragazzi, niente treno per oggi, credo che dovrete aspettar domattina. -
il ferroviere, un omone alto e possente, con una gran pancia e due enormi e folti baffi sulle labbra, li avvertì che il loro treno ancora per un giorno era stato cancellato perchè non eran riusciti a eliminare i danni della frana dalla ferrovia.
Demoralizzati, i ragazzi si diressero verso il centro, pronti a farsi una passeggiata per mandar via i cattivi pensieri. Mariù si mise a piangere in modo silenzioso, le sarebbe molto piaciuto esser in quella cittadina, darsi da fare per aiutare i feriti, per curarli, per dare una mano a quelli che avevano perso la casa, il luogo di tutta la loro vita. Helena ripensava ai suoi genitori e sperava che nessun'altra bambina o bambino soffrisse quello che aveva sofferto lei, sperava che ogni piccolo rimanesse coi propri genitori in qualsiasi caso, che potessero essere tutti salvi.
Daniel e Angeline parlavano sottovoce dedicendo cos'era meglio fare per i ragazzi, entrambi avevan percepito quanto questo breve distacco da casa li stesse facendo diventar infelici e stanchi. I gemelli erano i più depressi, perchè con la pioggia, con il cielo non ci se la poteva prendere, perchè nessuno poteva arrestarlo il cielo. Lui era libero come suo fratello Mare, ma forse ancor di più. D'improvviso Pat si allontano in modo silezioso dal gruppo, nessuno si accorse della sua mancanza, nessuno guarda gli altri, nessuno parlava, nessuno faceva rumore, finchè si fermarono a bordo di una fontana molto grande. Si misero in una specie di posizione da riunione e si accorsero che il grassottello furfante era scomparso.
La preoccupazione prese il sopravvento, finchè lui, dieci minuti dopo che stavan preparandosi a cercarlo in gruppi, spuntò da dietro un albero con un sorriso beffardo disegnato in volto e la voglia di saltar dalla gioia.
- Eccolò! - disse una voce squillante.
Tutti si voltarono verso il cenno della piccola Mariù e il panico terminò.
Patrik era andato a raccimolare del denaro ed era riuscito a metter su una discreta somma con cui riuscirono a mangiare ben tre pasti tutti e otto.
La sera dopo, demoralizzati, tornarono verso la stazione sicuri di sentirsi dire un'altra volta "non potete tornare a casa", invece, trovarono il treno pronto a partire per la loro calda dimora.
Nuovamente felici si accomodarono sui sedili della loro solita carrozza e aspettarono di partire.
Due ore dopo erano arrivati e la loro prima preocupazione fu quela di andare a trovare il vecchio, ma i genitori erano corsi alla stazione e li vollero portare tutti a casa in modo immediato.
Riuscirono ad uscire di casa solo dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, essersi lavati e cambiati.
Si ritrovarono nella piazza principale e si diresservo verso la vecchia baracca della stazione, avevano preso da mangiare in abbondanza per Jortes, ma quando arrivarono lì non lo trovarono. La baracca era vuota se non per qualche legno vecchio e i vestiti che portava sempre lo spagnolo prima che i ragazzi gli regalassero i nuovi abiti caldi.
Daniel si accorse di una macchia per terra, era secca e scura. Prese la pila e fece luce e tutti rimasero shoccati alla vista del sangue, ma non era finita, le gocce continuavano, allora i gemelli si misero in testa con le loro torce professionali e seguirono le tracce fino a che non trovarono quello che cercavano.
Le lacrime sgorgavano da ogni volto.
Il povero Jortes stava supino, pallido, quasi violaceo. Puzzava, quindi il corpo aveva perso la sua vita già da qualche giorno, ed era già scarno, il polpaccio era rovinato, mordicchiato, qualche animale si era preso la briga di nutrirsi di quel povero vagabondo.
- Non possiamo lasciarlo qui. - disse con voce grave il capo-banda.
Così fu, si misero tutti insieme e scavarono una grande buca di terra, poi dissero qualche parola in spagnolo, le sue citazioni preferite, ognuno disse qualcosa di speciale, lo gettarono dentro e tutto finì.

L'alba sarebbe arrivata un'ora e mezza dopo. Tutti i ragazzi stavano di fronte alla lapide del vecchio Jortes. L'avevano creata tutti insieme, "l'uomo che raccontava la sua vita, l'uomo della stazione, da lui ogni treno partiva e girava il mondo, con la fantasia, con i pensieri al passato". R.I.P. Un mazzo di fiori colorati era appoggiato in un vaso bianco pallido come il suo volto nella notte del ritrovamento, un saluto da tutto il paese, anche da chi prima lo screditava e lo temeva. Era il cantastorie e senza di lui sarebbe stato più duro, niente più sogni e racconti fantastici, si sarebbero arrangiati a navigar di fantasia sulla loro vita reale.


Grazie Jortes, uomo della stazione.
  
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