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Autore: Fede_Cookie93    29/10/2011    4 recensioni
"Mai mi rendevo conto di quanto la mia bellezza fosse una condanna, più di quando mi ritrovavo ad affrontare uomini così testardi da non arrendersi al primo rifiuto, ma continuare imperterriti a provarci più e più volte... e mai uomo, o meglio, ragazzo in questo caso, fu più insistente ed esasperante di Hector Barbossa..."
Prima fan fiction che posto qui su efp, dettata dal mio amore incondizionato verso il personaggio della saga di Pirati che più stimo ed amo: Hector Barbossa. Spero che questa storia possa appassionarvi così come appassiona me nello scriverla e regalarvi un po' di sana avventura piratesca! Buona lettura! :)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hector Barbossa, Nuovo Personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 3
Alleanze



Mi tastai distrattamente i baffi sopra le labbra, assicurandomi in quel gesto veloce che fossero ancora ben attaccati al loro posto. L'aria pungente della notte m'investì il viso in una dolce carezza, regalando un po' di sollievo al mio corpo accaldato finalmente libero dall'atmosfera opprimente della taverna. Un sorriso trionfante mi distese inevitabilmente le labbra mentre mi voltavo a guardare l'ingresso di quell'infernale locanda, chiuso per sempre alle mie spalle tanto letteralmente, quanto effettivamente nella mia vita. Dopo cinque, lunghissimi anni ero riuscita a trovare l'occasione per abbandonare quell'orribile posto che mi aveva schiacciata, umiliata e sfruttata, punendomi ogni qual volta che volevo far valere i miei ideali, la mia opinione. Mi passai istintivamente una mano dietro la schiena, in corrispondenza delle sottili cicatrici che la tempestavano, memorie tangibili delle percosse dell'oste eseguite a suon di bastone e bottiglie. Quasi una volta alla settimana ero costretta a chiudermi nella mia camera, passando ore ad estrarre le schegge di vetro dai tagli, lasciati sulla mia pelle come castigo dei miei continui rifiuti a prostituirmi.
Scossi appena il capo, come a scacciare quei dolorosi ricordi: era tutto finito. Per quanto la mia scelta mi avesse messo in una difficoltà e in un pericolo forse anche maggiori, introducendomi in una ciurma di pirati sotto mentite spoglie maschili, preferivo di gran lunga correre il pericolo di un destino peggiore di quello della semplice sgualdrina, rischiando di morire, sì, ma libera, piuttosto che marcire lentamente, a poco a poco, costretta a schiantarmi ogni giorno dolorosamente contro le sbarre di ferro della gabbia impostami dall'oste.
Spesso in quegli anni mi ero chiesta cosa fare, dove poter fuggire per trovare la libertà a cui anelava tutto il mio corpo, stanco dei continui soprusi e di quella vita piatta e monotona. Mi ero detta che avrei potuto seguire le orme di mio padre e cercare di entrare nell'ambito commerciale; oppure andare lontano, in qualche altra isola caraibica e sperare di trovarvi un trattamento più umano rispetto alla mia città natia. Ma sapevo bene che nulla di tutto questo mi avrebbe mai dato ciò che cercavo davvero. Ero cresciuta guardando ogni giorno quelle maestose navi, montate da orde di anime scavezzacollo, attraccare e ripartire dalla baia ed ogni qual volta il mio sguardo si fermava ad accarezzare il legno intagliato dello scafo e la stoffa ruvida delle vele, sentivo un brivido d'emozione solleticarmi le membra, infiammandole di un desiderio incontenibile di salire anch'io a bordo di una di quelle signore del mare che beccheggiavano cigolanti ed invitanti ai moli del porto. Ero stata abituata sin da piccola a fermarmi ad ascoltare incantata le incredibili storie che le bocche salmastre dei vecchi lupi di mare declamavano con estrema enfasi, catturando subito l'attenzione di una giovane come me, facendomi scintillare ammaliata gli occhi a quei racconti che narravano di pericoli, misteri, tesori inestimabili, situazioni mozzafiato tra la vita e la morte che come amanti esperti mi sussurravano allettanti alle mie orecchie, seducendomi al loro irresistibile richiamo di libertà ed avventura, portandomi a sognare ed anelare ogni giorno di più quella vita. Non avevo dubbi che l'unica esistenza che desiderassi davvero e che mi avrebbe potuto dare ciò che cercavo era quella da pirata. Non ero però una sciocca: ero conscia di tutte le difficoltà e i rischi che comportavano una scelta simile. Sapevo del pericolo delle bonacce che potevano durare anche settimane, lasciando morire come mosche sui ponti delle navi gli sventurati marinai che v'incappavano; delle tempeste capaci d'inghiottire nei cavalloni ruggenti ciurme intere; delle malattie che circolavano come viscide serpi nel ventre dei velieri decimando gli equipaggi; dei combattimenti che, nel migliore dei casi, finivano con qualche morto e altrettanti feriti, inondando il ponte e la batteria di sangue; della ciurma stessa che tra scommesse, superstizioni e ripicche rischiava di piantarti qualche pugnale nella schiena o buttarti a mare quando il capitano e gli ufficiali non guardavano.
Ero ben consapevole di tutti questi rischi e ancor di più lo ero del codice dei pirati, secondo il quale, se un membro dell'equipaggio portava a bordo una donna travestita da uomo, questo sarebbe stato punito con la morte... tecnicamente nessuno mi stava portando segretamente a bordo, il che faceva di me l'unica colpevole di tale azione, accaparrandomi così tutto il diritto di subire io stessa la condanna in vigore. Ma non ero stata nemmeno così stupida da non cercare di limitare almeno in parte questo rischio: avevo avuto modo di conoscere personalmente il capitano Sterling, chiacchierandoci di tanto in tanto quando Hector decideva finalmente di lasciarmi in pace dopo i suoi soliti assilli; era un uomo con un senso d'umanità abbastanza sviluppato nella media piratesca ed ero certa che, anche se mi avesse scoperta, non sarebbe ricorso ad un gesto così drastico per punirmi togliendomi addirittura la vita.
Immersa così nei miei pensieri mi ero incamminata verso il porto, gustandomi la piacevole e trionfante sensazione di allontanarmi una volta per tutte da quell'infernale locanda, pestando fiera e soddisfatta gli stivali nel fango molle e umido delle strade tortuose, ancora affollate di gente nonostante l'ora tarda. Mi feci largo tra la folla, evitando pratica ed agile gli spari e le bottiglie che volavano nell'aria afosa, lanciate dagli esaltati di turno e accompagnate da urla e risate. In mezzo a quel baccano si poteva anche udire il suono strimpellante di qualche chitarra o il miagolio di qualche violino.
Finalmente superai quell'ammasso di persone, arrivando al porto che appariva calmo e deserto a confronto del centro cittadino: la stragrande maggioranza dei pirati aveva accuratamente abbandonato le rispettive navi per gustarsi del sano divertimento dopo le settimane trascorse in mare, lasciando così il molo popolato esclusivamente dagli uomini addetti ai turni di guardia sui ponti dei vari legni. Solo alcuni gruppi di uomini intenti a caricare e stivare le provviste facevano eccezione, rompendo quel silenzio placido con il cozzare di casse ed il rotolare dei barili.
Avanzai decisa lungo il molo, fermandomi davanti ad un galeone sul quale svettava a caratteri serpeggianti il nome “
Nemesis”. La conoscevo già bene quella nave: per quanto non vi fossi mai salita a bordo, avevo avuto modo di studiarla diverse volte dall'esterno. Non era di certo tra le più belle che avevano sfilato in quel porto, anzi, sembrava quasi un mezzo relitto, dove i pezzi di ricambio fissati alla meno peggio spiccavano rispetto alle parti originali palesemente più malandate. Nonostante quell'aspetto “rattoppato”, aveva l'aria di una nave che sapeva il fatto suo, come un'anziana saggia, non più forte come un tempo, forse, ma con tutta l'esperienza necessaria per tirare ancora egregiamente avanti.
Alcuni pirati stavano già caricando a bordo i rifornimenti: doveva mancare oramai veramente poco al momento della partenza.
Tutta quella fretta di levare l'ancora non voleva dire che una sola cosa: Hector doveva aver riferito al capitano la notizia appresa dal moribondo. In un primo momento non ero riuscita a ricordare dove avessi già sentito due di quei nomi, ma, mentre ero intenta a lavarmi via il sangue del morto dalle mani, mi era tornato in mente: si trattava di una leggenda che circolava come tante altre tra i pirati.
Si narrava che Blaze Chapman, un famoso capitano pirata assetato di sangue e denaro, avesse assaltato per anni le ricche navi da trasporto spagnole, prendendo sempre di mira solo quelle con il ventre rigonfio e carico dell'oro e dell'argento proveniente dalle miniere delle colonie americane. Aveva così nel tempo accumulato un patrimonio quasi inestimabile. Quando poi un giorno fu ferito mortalmente in un combattimento, si raccontava che avesse tenuto duro alla dipartita fino al momento in cui non si fu rifugiato, insieme a tutta la sua ciurma, nel covo dove aveva nascosto tutti i suoi lauti bottini. Qui, prima di spirare, aveva fatto esplodere una granata all'entrata del nascondiglio in modo da renderlo introvabile e condannando tutto il suo equipaggio a morire rinchiuso con lui all'interno di esso, esalando l'ultimo respiro su un tappeto d'oro scintillante. In questa maniera Chapman si era voluto assicurare che il segreto dell'ubicazione del tesoro morisse insieme a loro, impedendo così che qualcuno potesse approfittarsene dopo la sua scomparsa. La leggenda voleva però che un solo membro dell'equipaggio fosse riuscito a sfuggire a quel tragico destino: il suo nostromo, Dagawn Doherty. Questi sarebbe poi fuggito nei meandri dei Caraibi, dove nessuno potesse trovarlo e sfruttarlo per raggiungere il famoso tesoro del suo capitano. Questa era la storia così come mi era stata raccontata e nessuno era mai riuscito a scoprire dove si trovasse il nostromo o il bottino... fino a quel momento. Bonaire doveva trattarsi del luogo in cui si trovava Doherty, a giudicare dal numero di volte che il moribondo aveva ripetuto quel nome.
Dei passi in avvicinamento mi destarono dalle mie riflessioni, portandomi a rivolgere lo sguardo verso il gruppo di pirati che avanzava lungo il molo. In testa alla combriccola vi era Sterling, il volto teso e serio che mi rendeva chiaro fino a che punto avesse preso sul serio la questione e ci tenesse ad alzare i tacchi da lì il prima possibile. Dietro lo seguivano due figure a me note: un giovane ragazzetto alto e biondo ed un ragazzo basso e tarchiato, rispettivamente Ragetti e Pintel. Avevo avuto modo di parlarci qualche volta, specialmente con il più giovane che, data la sua età e il carattere più mite rispetto agli altri, aveva imparato a guardarmi con occhi quasi rispettosi e non più impertinenti, specialmente dopo le mie forti strigliate quando aveva provato ad imitare Pintel nei suoi modi rudi e maliziosi. Alle loro spalle scorsi anche Sam; un paio di volte aveva tentato di sedurmi anche lui ma, a differenza del suo amico testardo, gli erano bastati due calci ben assestati tra le gambe per farlo desistere dai suoi intenti. Hector camminava al suo fianco, parlottando con il compare sottovoce con aria distaccata.
- Animo uomini!! Levate l'ancora, issate tutte le vele! Veloci! - si mise ad urlare ordini Sterling, una volta giunto accanto alla nave, mentre la ciurma scattava svelta ai propri posti.
Feci per voltarmi, sbrigandomi ad avviarmi su per la passerella quando una stretta forte si serrò sulla mia spalla, fermandomi.
- Ehi, ragazzo, dove credi di andare? - la voce seccata e al tempo stesso incuriosita di Sam mi fece girare verso di lui.
Stavo per rispondergli ma il capitano mi precedette.
- Lascialo stare, Sam: è il nuovo cuoco di bordo. - gli spiegò ridacchiando, facendogli cenno di lasciarmi.
Il giovane osservò prima l'uomo poi me, con un sorrisetto soddisfatto, staccando la mano dalla mia spalla.
- Oh, ma davvero? Mi auguro che questo voglia dire pasti commestibili per tutti, allora! - commentò con fare compiaciuto mentre sentivo gli occhi di Hector, accanto a lui, studiarmi attentamente.
- Vi assicuro che non rimarrete affatto delusi dalla mia cucina! - esclamai con decisione, il tono privo di alcun dubbio, sforzandomi di ricorrere al timbro di voce più maschile di cui ero capace.
- Trovare un buon cuoco, di questi tempi, è come trovare un tesoro... - commentò improvvisamente una voce ruvida e profonda alle nostre spalle.
Ci voltammo tutti verso i nuovi arrivati, interdetti da quell'intromissione. Due uomini sulla trentina d'anni stavano ritti sul molo, fermi a fissarci con un ghigno divertito sulle labbra: a giudicare dai capelli corti e spettinati di un rosso acceso, visibili sotto gli sfarzosi cappelli, e dalla spruzzata ben evidente di lentiggini sugli zigomi, sembrava trattarsi di irlandesi. Avevano la corporatura massiccia e muscolosa ed i lineamenti molto simili tra loro... a quanto pareva dovevano essere parenti.
Notai Sterling e gli altri squadrare con fare sospettoso e minaccioso i due nuovi arrivati, mentre Hector si era limitato ad inarcare appena un sopracciglio a quell'apparizione inaspettata, mantenendo per il resto la solita espressione fredda e distaccata.
- A proposito di tesori... - fece poi l'altro uomo, riservando un sorriso mellifluo al capitano – Ci è giunta voce che voi ne siete alla ricerca di uno... - insinuò mentre tutta la ciurma presente si voltava all'unisono a fissare truce Ragetti, sospettando che fosse stato lui, data la sua ben nota sbadataggine, a spifferare involontariamente tutto.
L'incriminato sussultò, colpito quasi fisicamente da quegli sguardi carichi di rimprovero, facendosi piccolo piccolo e mettendosi sulla difensiva.
- Perché guardate me?! Io non c'entro nulla... - piagnucolò, guaendo come un cane bastonato.
- Chi siete voi? - domandò il capitano, ignorando la protesta di Ragetti, squadrando storto di due nuovi arrivati così come il resto dei suoi uomini.
- Capitan Belock e George O'Ryan per servirvi! - rispose quello più energumeno tra i due, indicando prima sé e poi il compare.
Il cognome in comune confermava la mia supposizione sul loro legame di parentela e, data la grande somiglianza, dovevano essere fratelli.
- ...Mai sentiti. - s'intromise Hector con fare di scherno ed un ghigno sarcastico, osservandoli distaccato, come se quella notizia non lo avesse impressionato minimamente.
I due gli scoccarono un'occhiata di sbieco, arricciando irritati il naso avendo colto la frecciatina.
- Invece noi abbiamo ben sentito che voi siete alla ricerca del tesoro di Chapman. - lo informò con un sorrisetto divertito Belock, soddisfatto nel veder sparire l'espressione canzonatoria dal volto del ragazzo a quelle parole.
- E che siete venuti a conoscenza di un'informazione molto importante, nevvero? - domandò poi retorico George, squadrando tutti i presenti con fare ironico.
Vidi Sterling irrigidirsi a quell'uscita, lanciandosi fulmineo un'occhiata attorno come a controllare che non ci fossero altre orecchie indiscrete nei paraggi; ma le uniche anime presenti erano le nostre ed il resto del molo era deserto, avvolto in un quieto silenzio rotto solamente dal cigolio delle navi ancorate che dondolavano al ritmo delle onde. Avanzò di un paio di passi verso i due uomini, scrutandoli intensamente.
- Cosa volete da noi? - domandò in un sibilo che aveva un ché di minaccioso e rassegnato al medesimo tempo: aveva capito chiaramente a cosa miravano.
I due inarcarono con falsa sorpresa le sopracciglia, lanciandosi un'occhiata con fare esageratamente sorpreso, manifestando così tutta l'ironia e lo scherno che si celavano dietro quel gesto.
- Unirvi a voi, ovviamente! - esclamò logico Belock, allargando appena le braccia a sottolineare l'evidenza della risposta.
- Per una proficua ricerca che, di certo, in tre compiremo assai meglio, non trovate? - gli fece poi osservare retorico l'altro fratello, le labbra inarcate in un sogghigno irritante.
Avevano la classica espressione strafottente di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico... e Sterling ne era ben conscio. Li fissò intensamente, facendo saettare lo sguardo dall'uno all'altro dei capitani: era certo che, se anche avesse solo provato a rifiutare, quei due gli avrebbero strappato a forza l'informazione che cercavano a suon di minacce o peggio.
- Avanti, Capitan Sterling... Non vorrete che la notizia giunga alle orecchie di tutta Tortuga ancor prima che salpiate, no? - lo spronò a rispondere con fare lezioso George, sorridendo eloquente: se gli altri pirati che bazzicavano a Tortuga, non meno avidi di succulenti bottini, fossero venuti a conoscenza di quel fatto, a centinaia gli avrebbero dato la caccia fino in capo al mondo pur di ottenere la collocazione del vecchio nostromo di Chapman.
I pirati di Sterling lanciarono un'occhiata significativa al loro capitano: adesso avevano davvero fretta di salpare, ed era meglio che l'uomo prendesse la giusta decisione per evitare situazioni spiacevoli come quella appena menzionata dall'irlandese.
Il capitano esitò un ultimo istante sotto lo sguardo attento e freddo di Hector, poi annuì appena, rassegnato alle minacce dei due fratelli: non aveva altra scelta.
- E sia... seguirete la nostra nave, stando dietro la nostra rotta. - concesse infine con lo sguardo duro e frustrato di chi è stato appena costretto a sottomettersi – Ma il luogo rimarrà per voi un mistero finché non vi approderemo. - aggiunse poi fissandoli intensamente, ora a testa alta – Prendere o lasciare.
I due fratelli si scambiarono un'occhiata, come a consultarsi prima di annuire.
- D'accordo, vi seguiremo fino a destinazione. - concesse Belock, allungando una mano in direzione di Sterling.
Questo la strinse, ripetendo poi lo stesso gesto con George, sancendo così il patto dall'alleanza con i due irlandesi. Un ghigno discretamente soddisfatto distese le labbra dei due fratelli una volta concluso l'affare, mentre Sterling e i suoi li squadravano con aria palesemente risentita.
-Le nostre navi sono la
Dreadful e la Ramisham, vi seguiremo non appena avrete raggiunto il largo della baia. - lo informò poi George, dopodiché, senza nemmeno aspettare un cenno d'assenso da parte del capitano, i due si toccarono gli ampi cappelli in segno di saluto e si dileguarono, silenziosi così come erano apparsi, tra la folla di navi ancorate ai moli.
Nonostante la scomparsa dei due fratelli, l'atmosfera non aveva perso poi molta della sua tensione che era aleggiata durante il negoziato dei tre capitani: nessuno dei presenti era contento della piega che avevano preso gli eventi, specialmente per il fatto che tutti, me compresa, sapevano fin troppo bene che non ci si poteva mai fidare di un'alleanza con i pirati.

  
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