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Autore: CastelliPerAria    31/10/2011    6 recensioni
Lui è il leone, il potente leone di montagna che strappa un coniglio alla sua sorte portandolo alla morte. Lei è il coniglio, l'animale dolce e complicato che rende inoffensivo il leone con la sua tenerezza.
Un racconto per cercare di spiegare l'amore tra Jun Kazama e Kazuya Mishima.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Kazama, Kazuya Mishima, Lei Wulong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Animals'
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hil Il suo viso gli ricordava un volto già visto.
Provò a frugare tra i suoi rari ricordi ma l’unica cosa che gli saltava alla mente era il ghigno odioso di suo padre. Nulla, non riusciva a collegare il volto della ragazza a nulla.
Si guardava attorno spaesata, un borsone enorme in mano. Diede qualche occhiata in giro per poi lasciare il borsone a terra sbuffando e torcendosi il polso indolenzito.
- I dormitori femminili sono nella parte ovest del campo.- borbottò il ragazzo.
La ragazza alzò lo sguardo verso la voce, sorridendo imbarazzata.
- Grazie…sono appena arrivata, non mi hanno detto dove dormiranno le combattenti.-
- Prego.- rispose asciutto.
- Io sono Jun…e tu?-
- Kazuya.- non sapeva se gli conveniva fidarsi di quella ragazza, ma non sembrava malintenzionata.
- Di nuovo grazie allora, Kazuya.- sorridendo, la ragazza riprese il borsone e se ne andò.
‘Jun…l’ho già sentito…’ la sua mente viaggiò fino a molti anni prima, anni che credeva di non ricordare più…
- Ehi stai bene?- chiese il bimbo abbassandosi sulle ginocchia. La bambina alzò lo sguardo innocente, gli occhioni neri colmi di lacrime.
- Il mio coniglietto…è…un leone di montagna…- la bambina scoppiò a piangere di nuovo, torcendo il lembo del vestitino rosa.
- Non preoccuparti, i tuoi genitori te ne compreranno uno nuovo.-
- Tu dici?- la bambina aveva fermato il pianto.
- Ne sono sicuro…come ti chiami?-
- Jun…Jun Kazama.- disse lei tirando su con il naso.
- Io sono Kazuya e ti prometto che riavrai il tuo coniglio. Parlerò a tuo padre.- disse il bambino, dandosi delle arie da adulto.
La bimba rise.
- KAZUYA! Torna ad allenarti, moccioso!- disse una voce cavernosa e una mano lo afferrò per il colletto del kimono bianco da allenamento, sollevandolo.
- Padre, lasciami!- disse Kazuya dimenandosi dalla presa salda dell’uomo.
La bimba si alzò e scappò via.

Nei giorni seguenti, seguì i suoi combattimenti.
‘E’tutta una strategia, la guardo per poi poterla battere più facilmente.’ Kazuya ne era convinto.
Jun però, ogni volta che scendeva dal ring, gli dedicava un sorriso festante. Una volta aveva persino alzato due dita in sua direzione in segno di vittoria.
Era una bella ragazza, su questo Kazuya non aveva dubbi, ma era anche forte e sembrava molto determinata a vincere. Peccato che l’avrebbe battuta.
Ora toccava a lui:in meno di cinque minuti il suo avversario, un maestro coreano di tae-kwon-doo, nuovo arrivo nel torneo, era a terra.
Kazuya scese dal ring scrocchiando le dita delle mani e si lasciò sfuggire uno sguardo in direzione della panchina.
Jun gli sorrise, alzando il pollice verso di lui.
Era molto carina quel giorno, la solita fascia bianca tra i capelli, camicetta senza maniche e pantaloni aderenti neri.
Era stata appena estratta dal sorteggio del prossimo incontro, contro una specie di poliziotto cinese.
Quando le passò accanto, una nuvola di profumo floreale ma tenue gli invase le narici. Aveva un buon profumo, gli ricordava il prato fiorito in cui l’aveva vista da piccolo, ma probabilmente lei nemmeno lo ricordava. Heihachi aveva interrotto anche quello.
Kazuya digrignò i denti, sapendo che il padre stava assistendo agli incontri nascosto da qualche parte. Desiderava solamente prenderlo a calci fino a vederlo sputare sangue.
Portò la sua mano ad accarezzare la cicatrice sul torace e strinse i pugni, soffocando l’ondata di calore che sentiva nella pancia. Era il sintomo iniziale di una prossima manifestazione di Devil.

Jun fu impeccabile e mandò il poliziotto al tappeto.
Scendendo dal ring, incrociò lo sguardo indagatore di Kazuya.
Aveva davvero dei begli occhi, di due colori diversi:uno era nero e profondo, un pozzo senza fondo, mentre l’altro aveva una sfumatura particolare, quasi rossastra.
E poi era bello, forte, virile, aveva uno stile di combattimento pazzesco che univa mosse potenti e movimenti veloci. Il loro incontro sarebbe stato interessante.
Gli dedicò un sorriso composto, uno dei suoi soliti sorrisi gentili che non poteva fare a meno di dedicare a tutti.
Le sembrò per un attimo che l’uomo ricambiasse il suo sorriso, ma probabilmente era stata una svista.

La sera era scesa in fretta e un leggero venticello raffreddava le strade di Tokio.
Jun sospirò e si prese il viso tra le mani, gli avambracci appoggiati sul parapetto dell’ultimo piano del grattacielo Mishima.
La sua indagine su Heihachi Mishima non aveva dato alcun frutto, quel maledetto continuava a sfuggirle. Forse non si trovava nemmeno nell’edificio adesso.
Si sistemò la fascia e lasciò vagare lo sguardo fino all’orizzonte buio, illuminato dallo skyline di Tokio. All’ultimo piano, proprio alle sue spalle, c’era la porta della lussuosa palestra a disposizione dei lottatori dell’Iron Fist. Poteva sentire dei forti colpi provenienti dall’interno.
Sospirò di nuovo e fissò la sua attenzione sulle stelle, tenui nella foschia luminosa della città. Tokio di notte si animava:non aveva mai visto New York, ma anche Tokio era una città che non dormiva mai, ne era sicura.
Rabbrividì, indossava un semplice paio di shorts color kaki e gilet abbinato, la divisa della guardia forestale.
- Hai freddo?- una voce profonda alle sue spalle, più curiosa che preoccupata.
- Sì.- rispose lei semplicemente, girandosi.
Davanti ai suoi occhi, stagliandosi nella luce della porta aperta, la massiccia sagoma di Kazuya.
Kazuya fece una smorfia:- Allora non dovresti stare qui…se hai freddo.-
Una donna più maliziosa avrebbe proposto all’uomo di scaldare un po’quella notte così gelida ma Jun arrossì leggermente, girandosi di nuovo verso la città.
- E’tranquillo qui…mi aiuta a pensare, a sgombrare la mente in prossimità dei prossimi incontri.- sperava che avesse capito che con ‘prossimi’ intendeva il loro.
- Sei brava, non dovresti preoccuparti. Gli avversari saranno facili da battere per te.- replicò secco Kazuya, appoggiandosi di schiena al parapetto.
Jun alzò lo sguardo sorpresa:- Quindi ti reputi debole?-
Kazuya alzò un sopracciglio, sorridendo ferino:- Intendevo gli altri sfidanti…non contare di avere speranze con me, donna.-
- Mi chiamo Jun e spero che il nostro incontro non ti lascerà troppo dolorante.- replicò la ragazza indirizzando un sorriso luminoso al cielo buio.
L’uomo incrociò le braccia e sospirò:- Spero che tu sia migliorata in questi anni.-
Kazuya si alzò dal parapetto e si apprestò a rientrare quando una presa delicata ma decisa lo fermò per il polso.
- Che intendi dire?- gli occhi scuri di Jun Kazama lo scrutavano nel profondo.
- Intendo…una volta conoscevo una bambina che aveva perso un coniglio per colpa di un leone di montagna.- rispose Kazuya.
Jun spalancò la bocca:- Tu…tu sei quel bambino! Quello che mi aveva aiutata da piccola!-
La ragazza gli allacciò le braccia al collo, sorridendo festante. Kazuya si scostò, infastidito.
- Pensavo fossi morto! Pensavo…tuo padre ti ha preso e ti ha buttato giù da un burrone! Io l’ho visto e…non ho potuto fare niente per aiutarti.- Jun si portò le mani alle labbra, gli occhi lucidi.
Solo allora notò l’enorme cicatrice sul petto di Kazuya, come se la vedesse per la prima volta.
- Io…ho avvertito gli adulti, ma loro mi hanno detto di smettere di dire bugie. Sono scesa nel dirupo a cercarti ma…eri sparito. Pensavo ti avessero aggredito i leoni di montagna.- Jun sembrava veramente dispiaciuta e in qualche senso anche orripilata da se stessa.
Sfiorò la cicatrice sul petto dell’uomo.
- Chissà quanto dolore hai provato…- disse lei guardandolo compassionevole.
Kazuya si scostò in malo modo:- Non toccarmi…è stato infinitamente doloroso, più di quanto tu possa immaginare.-
Jun ascoltò quelle parole dette con durezza, aspre, risentite, cariche di un odio incredibilmente profondo.
- Sei qui per uccidere Heihachi, tuo padre, non è vero?- chiese abbassando lo sguardo.
Kazuya annuì:- Quel bastardo deve morire, deve soffrire nello stesso modo in cui ho sofferto io anni fa.-
- Ti capisco…eppure io sento che c’è qualcos’altro dentro di te. E’qualcosa di oscuro…e temo che se ucciderai Heihachi quel qualcosa si impossesserà di te per sempre, senza rimedio.-
‘Che la ragazza riesca a leggere l’anima delle persone?’ pensò Kazuya sgomento.
- Ti prego, non farlo. Risparmia tuo padre, sii migliore di lui.-
- Tu non mi conosci nemmeno.-
- Conoscevo quel bambino ed era gentile…-
- Quel bambino è morto quel giorno. Io sono Kazuya Mishima e devo uccidere mio padre, questo è il mio destino. E ucciderò chiunque voglia mettersi sulla mia strada.-
Kazuya fissò Jun risoluto. La ragazza aveva assunto una posizione di difesa, ma nei suoi occhi c’erano tanta bontà e comprensione.
Distolse lo sguardo da lei:- Sono venuto qui per questo. Vincerò l’Iron Fist e ucciderò mio padre, questo è quanto.-
- No. Ti fermerò e riuscirò a salvare quel bambino.-
- Non sai nemmeno…-
- Shh. Capisco il tuo rancore, ma la risposta non è mai l’odio. Tutto ciò che covi dentro di te ha un’energia oscura incredibile, potrebbe uccidere mille uomini. Tu…-
- Io so badare a me stesso. E se scatenare quest’energia oscura mi permetterà di uccidere Heihachi, allora la scatenerò.-
Jun scosse la testa mentre Kazuya rientrava nella palestra.
- Buona notte, Kazuya. Spero che imparerai a perdonare.- sussurrò lei. L’uomo sentì chiaramente le sue parole ma non rispose.

Jun finì il suo avversario con un colpo magistrale. L’uomo di colore con uno strano tatuaggio sul petto finì a terra e si pulì un rivolo di sangue dalla bocca prima di svenire.
Il pubblico dell’Iron Fist la acclamò e la ragazza lasciò l’arena sudata e stanca, un fianco dolorante a causa di un colpo a sorpresa del kickboxer, quel tale Bruce Irwin.
Incrociò lo sguardo indagatore di Kazuya prima di uscire e dirigersi direttamente nel dormitorio femminile.
Si buttò sotto la doccia, lasciando che il dolore al fianco e le ferite venissero leniti dall’acqua calda.
Quando uscì, rinvigorita solo in parte dopo il match durato più di mezz’ora, si avvolse in un asciugamano candido e provvedette a medicare il taglio sopra il sopracciglio, l’escoriazione al braccio e  i numerosi lividi sulle gambe.
Si asciugò i capelli in fretta e poi indossò un paio di shorts di jeans e una semplice maglia bianca, pronta per la cena.
Quando uscì, incrociò nuovamente Kazuya, di ritorno dal suo incontro con le protezioni per le braccia madide di sangue. Dietro di lui, portato su una barella, il cyborg Bryan Fury con un enorme squarcio sul ventre che fece rimescolare le viscere a Jun.
La ragazza storse il naso per l’odore impressionante di sangue e si diresse verso la mensa, prendendo posto da sola a un’estremità del tavolo delle ragazze.
Nina e Anna Williams si guardavano in cagnesco, entrambe coperte di lividi sul viso, mentre la pellerossa Michelle Chang pregava a mani giunte e occhi chiusi davanti a un piatto di arrosto fumante.
Nel suo piatto stava invece una semplice insalata, il suo appetito era calato ultimamente.
Non andava bene, suo padre le diceva sempre che una combattente in forma doveva avere una dieta varia ed equilibrata.
Sarebbe stato fiero di vederla al torneo, combattendo per una causa più che giusta.
Spilluzzicò con malavoglia l’insalata, il dolore al fianco non faceva altro che aumentare e decise di andare in infermeria per un controllo approfondito.
Si alzò, sentendosi osservata, e fu solo quando uscì dalla mensa e si inoltrò nel corridoio asettico dell’infermeria che una grossa mano le prese il polso.
Si girò bruscamente e si ritrovò a due centimetri il viso di Bruce Irwin con un occhio tumefatto che la fissava con rabbia.
- Jun Kazama, non è stato bello essere sconfitto da te oggi. Ora sono eliminato.-
- Così è la vita, Irwin.- disse lei cercando di liberarsi. La morsa del kickboxer di fece più stretta.
- Quei soldi mi servono, mi servono davvero molto Kazama…forse dovresti ritirarti.-
La sua richiesta era così ridicola che Jun non potè fare altro che scoppiare a ridere.
- Non sto scherzando…ritirati.- era un ordine perentorio il secondo che uscì dalla bocca del nero.
- Non ci penso nemmeno!- disse Jun, cercando di reagire.
- Le tue mosse sono prevedibili dopo un po’, Kazama.- disse lui bloccandola e girandola verso il muro, la faccia graffiata dalla calce.
Jun sentì dei movimenti strani dietro di lei e capì le intenzioni di Bruce solo quando sentì una mano dell’uomo scivolare verso il bottone dei suoi pantaloncini.
- Bastardo! Lasciami andare!- urlò, ma Bruce la spinse verso il muro, soffocando le sue proteste.
- Mi ripagherai i soldi persi con almeno cinque minuti di divertimento, Kazama…- le sussurrò Bruce all’orecchio, prima di venire scaraventato a terra da un pugno che gli mozzò il fiato.
Kazuya, immobile accanto alla ragazza spaventata, lo sistemò con un altro paio di calci e gli intimò di sparire, mentre Jun lo osservava senza fiato.
- Sembra che tu ti senta obbligato ad aiutarmi.- disse, la voce addolcita.
- Non è questo. Sei tu che non sai difenderti.- replicò Kazuya ma la loro discussione fu troncata dalla fitta improvvisa al fianco di Jun, che si ritrovò improvvisamente a terra, un’ombra scura davanti agli occhi.
- Jun! Cos’hai?- chiese Kazuya allarmato.
- Bruce…nell’incontro…- riuscì a biascicare prima che un’ombra le invadesse di nuovo gli occhi.
- Cazzo…l’infermeria è occupata da Bryan, stanno ricucendo insieme quel bastardo…ti porto in camera tua, almeno starai sdraiata.-
Kazuya sollevò Jun come un fuscello, stupendosi della magrezza della ragazza, e la portò dove lei gli indicò con un filo di voce. Entrò nella stanza buia e la depositò tra i guanciali con una delicatezza che non sapeva nemmeno di possedere per poi sedersi sul bordo del letto.
- Puoi andare…grazie…-
- Vorrei ma non posso lasciarti sola. Se hai un’emorragia interna non voglio la tua morte sulla coscienza.-
- Allora ti importa della morte degli altri.-
‘Solo della tua.’ avrebbe voluto rispondere Kazuya, sorpreso lui stesso da quella risposta, ma ammetterlo sarebbe equivalso ad un’incredibile debolezza.
Stette a contemplarla nel buio in silenzio per diversi minuti, mentre lo sguardo di lei vagava sui lineamenti dell’uomo che a malapena riusciva a scorgere, finchè la voce sottile di lei non ruppe il silenzio.
- Puoi andare, davvero, ora sto meglio…-
- Non ci penso nemmeno. Prima ti porterò in infermeria, poi me ne andrò.-
- Ma vorrai pur dormire…hai combattuto oggi…-
- Non sono stanco.- replicò secco Kazuya, nonostante sentisse le palpebre pesanti.
- Se hai sonno potresti…dormire vicino a me….intendo, ci stiamo, il letto è grande.- disse Jun, imbarazzata.
Kazuya si distese accanto alla ragazza supino, mentre Jun era rivolta verso di lui a causa del dolore al fianco che la costringeva a non caricare il peso sul lato destro del corpo.
Giacquero così per circa mezz’ora, finchè Jun non si addormentò. Kazuya la sorvegliava nel sonno, ora rivolto anche lui verso di lei, i volti a pochi centimetri.
Sentiva il suo respiro regolare e il profumo floreale che gli invadeva le narici e poteva vedere le lunghissime ciglia nere che proiettavano ombre sulla sua pelle di luna.
Non si accorse di essersi avvicinato a lei e di aver allungato una mano ad accarezzargli il viso, finchè lei non sospirò sotto il suo tocco:allora Kazuya proseguì, sfiorandole le spalle e osando verso il seno. Jun aprì gli occhi improvvisamente, incontrando quelli bramosi di Kazuya e, invece che dar retta al campanello di allarme che le squillava in testa, si arrese alla fame dei sensi e lo lasciò fare.
Il fatto che la ragazza si fosse accorta di ciò che stava accadendo ma lo lasciasse continuare incendiò gli appetiti di Kazuya e in breve si ritrovò su di lei, accarezzandole con lentezza esasperante le cosce.
Jun stava impazzendo sotto il tocco di quelle mani rudi ed esperte e non potè evitare di posare le sue mani su quelle dell’uomo e condurle fino alle mutandine.
Kazuya, visibilmente eccitato dalla situazione, le abbassò con lentezza e la accarezzò, facendola gemere.
Per tutta la notte i gemiti di piacere e dolore di Jun si mischiarono a quelli di Kazuya, piacevolmente sorpreso dalla fluidità di movimenti di Jun e dalla voracità del suo ventre.
Si amarono per tutta la notte e solo allo spuntare dell’alba, Jun crollò sfinita sul letto, rossa in viso, addormentandosi all’istante.
Kazuya rimase a contemplarla ancora per qualche minuto, deliziandosi della vista della sua pelle candida e delle sue nudità, e poi l’abbandonò.

Divennero amanti.
Dopo ogni incontro, tra gemiti di piacere e dolore per le ferite riportate durante i combattimenti, i due si amavano in segreto nella camera di lei, più isolata rispetto a quella dell’uomo.
Jun credeva che una volta o l’altra avrebbe perso la testa sotto quelle carezze estenuanti e gli avrebbe chiesto qualcosa di osceno persino per lui, ma Kazuya sembrava non stancarsi mai di condurla sull’orlo della pazzia.
D’altro canto, Jun non si accorgeva dell’alto potere erotico che esercitava su Kazuya. Adesso ogni suo movimento sul ring, ogni suo abito che lasciasse scoperto qualche lembo di pelle, ogni suo sguardo anche lontanamente languido si trasformava per lui in una provocazione irresistibile.
Dovette controllare immensamente i suoi impulsi per non aggredirla sul ring mentre combatteva con Nina Williams per uscirne vincitrice e di certo la cortissima divisa della guarda forestale non lo aiutava.
Spedì al tappeto Armor King con un paio di colpi nella foga di immaginarsi Jun nuda e indifesa sotto di lui e se la caricò in spalla tra le proteste di lei appena uscito dall’arena, dove la ragazza lo aspettava, per poi buttarla di malagrazia sul letto e planare su di lei con una fame incontrollabile.
L’eco dei loro baci roventi si potè udire fin dall’altra parte del grattacielo quella notte.
I combattenti iniziarono a spettegolare riguardo ai gemiti e ai sospiri che si potevano udire quasi tutte le notti presso la camera della donna, ma i due non se ne curarono e continuarono la frequentazione per oltre un mese. Era una passione incontenibile, che si spegneva come un fiammifero al sorgere del sole per poi divampare di nuovo come un incendio durante il giorno.
Tuttavia nessuno dei due si accorse di essere innamorato dell’altra finchè non arrivarono le semifinali.
Mentre Jun osservava lo scontro di Kazuya con Yoshimitsu, lo strano ninja dal volto mascherato e la spada luminosa, le pareva che il suo cuore potesse collassare per l’angoscia da un momento all’altro.
‘Ti prego, fa che vinca…’ pregava Jun, inconsapevole che la preoccupazione era dettata da un amore grande quanto l’oceano che in quei giorni non aveva fatto altro che aumentare.
Quando si udì la campanella della fine e Kazuya si rialzò da terra, lo sguardo scintillante di orgoglio, Jun tirò un enorme sospiro si sollievo e fu lei per quella volta a trascinare Kazuya in camera da letto per poter risentire le sue mani sulla pelle.
Fu Jun a condurre il gioco e fu lei a spingere Kazuya sull’orlo della pazzia quella notte, mentre lui invocava il suo nome.
Mentre lei dormiva esausta, il sole già alto nel cielo, per la prima volta Kazuya rimase nel letto con lei, ammirandola mentre dormiva e non sapendo spiegare lo strano sentimento che gli gonfiava il cuore e gli seccava la gola.

Da qualche giorno rimaneva accanto a lei anche dopo la notte, fino a che il sole non splendeva nel cielo, ma Jun, esausta per i combattimenti che si facevano sempre più ardui, continuava a dormire anche oltre mezzogiorno e non si accorse del cambiamento.
Un giorno, mentre Kazuya le accarezzava la fronte delicatamente, aprì di soppiatto gli occhi e si beò delle carezze inattese.
Dopo qualche minuto aprì gli occhi:- Sei rimasto.- Era stupita, era abituata a trovare il letto vuoto quando si svegliava.
Kazuya distolse lo sguardo quasi adorante dal viso di lei prima che se ne accorgesse e sospirò:- Lo so.-
Non aveva intenzione di rivelargli che quell’abitudine procedeva da oltre una settimana.
- Perché?- Kazuya maledisse la curiosità femminile e si apprestò ad alzarsi.
- No, fermo…- Jun lo prese per mano e delicatamente lo tirò di nuovo sul letto, salendo a cavalcioni su di lui completamente nuda.
- Jun…non ti conviene…- disse lui accarezzandole la schiena e avvicinando le labbra a quelle della ragazza, che prontamente si scostò fissando i suoi occhioni neri in quelli bicolori di lui.
- Kazuya, perché sei rimasto?- Jun lo chiese di nuovo, accarezzando la guancia dell’uomo con la punta delle dita. Il suo cuore si era fermato, in attesa della risposta che l’avrebbe fatta felice o che l’avrebbe distrutta.
Kazuya non riusciva a distogliere lo sguardo, schiavo di quello profondo di Jun.
‘Cazzo, io…non so cosa dire…’
Jun appoggiò il viso sul petto nudo di Kazuya, ascoltando il battito leggermente accelerato del cuore e chiudendo gli occhi, speranzosa.
Prese un profondo respiro:- Ti capirei se dicessi che rimani qui per fare sesso con me…ma spero in un’altra risposta perché…io ti amo.-
Jun sospirò ‘Sì, lo amo davvero.’
Dopo averlo detto si sentì rinfrancata, ora almeno era stata sincera con se stessa e con l’uomo che ora fissava il vuoto pietrificato.
Kazuya lasciò cadere le braccia che avvolgevano la donna e Jun lo prese come un chiaro segno di rifiuto. Soffocando le lacrime e il rumore rimbombante del proprio cuore che si spezzava, baciò disperata Kazuya, portandolo sopra di lei e avvolgendo le gambe contro il suo ventre.
Kazuya, confuso, il cuore immobile, si lasciò guidare dalla tangibile disperazione della donna, che dopo l’amore lo lasciò chiudendosi in bagno.
Jun si buttò sotto la doccia e scoppiò in un pianto a dirotto, alzando al massimo il getto d’acqua perché soffocasse il rumore della sua tristezza.
Rimase in piedi, ferma sotto il getto d’acqua, piangendo, mentre Kazuya, sgomento, si rivestiva e se ne andava.

Kazuya combatté più valorosamente del solito quella settimana. Sfogava la sua rabbia e una sorta di preoccupazione nei calci e nei pugni che puntualmente stendevano l’avversario dopo pochi minuti.
Da quella breve chiacchierata, Jun non l’attendeva più dopo gli incontri e chiudeva a chiave la porta della sua camera. Altre volte, invece, capitava che facessero sesso, ma Jun stava in silenzio trattenendo qualsiasi gemito e rifugiandosi poi in bagno o sul balcone dopo l’amplesso.
I suoi occhi erano più neri del solito e aveva profonde occhiaie violacee. Se Kazuya fosse stato più avvezzo al mondo della tristezza e della sensibilità femminile, avrebbe capito che erano per il troppo pianto.
Le sue labbra erano sempre tese come se volessero bloccare un rimprovero, o un singhiozzo. Si aggirava come uno zombie, o meglio, come uno spettro silenzioso e capitava di rado che si incrociassero a pranzo.
Il rendimento di Jun nei combattimenti era calato di molto:combatteva ormai solo per proseguire l’indagine di Heihachi, non per orgoglio personale.
Le sue mosse si erano fatte prevedibili e meccaniche, abbastanza inefficaci su avversari esperti. Per fortuna, tutti gli incontri disputati da quella mattina erano stati semplici.
Aveva preso l’abitudine di alzarsi molto presto la mattina, quando ancora tutti dormivano, e allenarsi lo stretto indispensabile. Lo stesso valeva per il cibo:Kazuya non l’aveva mai vista con più di una mela o un’insalata. Era follemente preoccupato.
Quando arrivò in mensa la notizia che Jun era svenuta nei corridoi per abbassamento drastico della pressione e che ora era in infermeria affidata alle cure del medico sportivo, Kazuya strinse i denti e si obbligò a finire la tazza di thè per non destare sospetti.
Si alzò con finta tranquillità, silenzioso e impassibile come sempre, ma appena fuori dalla mensa percorse i corridoi frenetico fino a trovarsi di fronte alla porta rossa dell’infermeria.
La spalancò, sollevato del non trovarvi il dottore.
Jun era distesa sul lettino, addosso ancora i vestiti sudati dell’allenamento. Indossava una canotta nera e un paio di pantaloncini che evidenziavano la magrezza scheletrica delle sue gambe.
Il viso, contratto nella solita espressione apatica, guardava con aria assente fuori dalla finestra del settimo piano, i capelli raccolti dalla classica fascia bianca.
- Ciao.- fu la cosa migliore che Kazuya seppe dire.
Jun girò il capo con lentezza esasperante verso di lui e sollevò impercettibilmente le sopracciglia.
- Se sei venuto per scopare, sappi che non mi sento bene.- disse lei con voce incolore, usando parole scurrili che di solito non usava mai.
Kazuya sentì una rabbia feroce montargli dentro, combattuto tra il desiderio di andare contro i suoi principi e picchiare una donna indifesa e l’impulso di baciarla.
- Sei una stronza.- l’insulto che uscì dalla sua bocca fu pronunciato con un tono sdegnoso e incazzato.
- Ripeto, se sei venuto per quello che penso, puoi andartene, sto male.- rispose Jun stringendo i pugni.
L’immagine di Jun, pallida e esile, che brandiva ostinata i pugni contro di lui in un’infermeria ebbe l’effetto di far avvicinare Kazuya al lettino di lei con un’idea precisa in mente.
La prese per le spalle e la alzò dal lettino, baciandola con prepotenza.
Jun rimase scioccata ma ebbe un briciolo di forza per scostarsi e dargli un debole schiaffo.
Kazuya la lasciò andare e Jun ricadde sul letto come una marionetta con i fili tagliati.
Dentro di lei, il suo cuore le dava della stupida, urlandole di buttarsi su di lui e baciarlo, perché lei l’amava, l’amava ancora più di se stessa, e quei giorni senza di lui erano stati un’agonia e quando avevano fatto sesso aveva dovuto trattenere urli di gioia perchè poteva riaverlo tra le braccia.
Trattenne le lacrime che in quei giorni le avevano segnato il volto:- Vattene.-
Kazuya rimase immobile, cercando le parole per dirle che anche lui l’amava, l’aveva sempre amata e che vederla ammalata e triste gli straziava il cuore. Ma non le trovò, mentre l’immagine di Heihachi che rideva arrogante gli riempiva la mente, dandogli del debole, dell’inutile.
L’uomo abbassò la testa e se ne andò in silenzio, lasciandosi alle spalle i cocci del povero cuore di Jun, già spezzato e maltrattato a dovere nella settimana precedente.
La donna crollò sui cuscini e chiamò a bassa voce il medico, chiedendogli un ansiolitico e un sonnifero per poter annegare il dolore nel sonno.

L’unica cosa positiva in quella settimana orribile fu che Jun trovò un amico.
Lei Wulong, il poliziotto di Hong Kong che lei aveva saputo battere con tanta facilità, decise di rimanere per assistere agli incontri e, quando seppe che la sua vecchia avversaria Jun Kazama era in infermeria, decise di andare a trovarla.
Jun, sospettosa, riuscì a sciogliersi di fronte alla parlantina simpatica del poliziotto dalla coda corvina e dopo giorni riuscì perfino a sorridere.
Dopo qualche giorno, Lei diventò un habitué dell’infermeria, dove Jun rimase per fare qualche analisi di routine.
Nel mezzo delle loro chiacchiere, Jun scoprì che anche Lei era stato mandato all’Iron Fist per indagare su Heihachi Mishima e si offrì di aiutarlo a scoprire informazioni preziose.
Grazie all’amicizia e al supporto di Lei, Jun riuscì a ristabilirsi e fu sempre grazie a lui che ricominciò ad allenarsi con più entusiasmo.
Era mattina e nella mensa si udiva un chiacchiericcio indistinto:nel pomeriggio sarebbero iniziate le tanto attese semifinali.
Lei trangugiò in fretta la sua scodella di noodles, affamato:- Sfono bfuonishimi!-
- Lei, fai schifo! Sono le otto di mattina e mangi spaghetti di soia. – rispose Jun addentando una fetta di pane tostato. Quando era con lui riusciva a mangiare con più appetito, senza rischiare di vomitare il cibo che le si bloccava nello stomaco come un mattone indigesto.
Lei fece una battuta a proposito delle abitudini culinarie dei cinesi e Jun scoppiò a ridere, scostandosi una ciocca ribelle dalla fronte.
Da lontano Kazuya seguiva il dialogo con i pugni talmente chiusi attorno alla solita tazza di thè da rischiare di sbriciolare la porcellana. I suoi occhi furenti erano fissi sul volto ridente di Jun e sulla nuca del fottuto cinese.
Bevve un sorso di bevanda con un gesto secco e picchiò la tazza sul tavolo, digrignando i denti.
Vederla così felice lo faceva sospirare di sollievo, ma vederla felice con un altro aveva il potere di mandarlo fuori di testa. Ebbe come un lampo di Jun nuda e arrossata sotto di lui che cercava i suoi baci e il solo pensare che potesse essere così anche con Lei lo mandava in bestia.
Si alzò di scatto e uscì dalla mensa furibondo, rifugiandosi all’ultimo piano del grattacielo per allenarsi.
Sfortuna volle che fosse programma anche di Jun e Lei allenarsi insieme quella mattina e così, poco dopo, la porta di aprì rivelando Jun che rideva accanto al poliziotto.
- Iniziamo con un po’di yoga, ti farebbe bene imparare a sciogliere quei muscoli, perdente.- disse Jun con voce volutamente sarcastica facendo l’occhiolino a Lei.
- Tu invece non ne hai bisogno, eh, Jun?- rispose Lei.
Jun sbuffò dandogli una spinta:- Idiota.-
Kazuya assistette alla conversazione in disparte, mordendosi le labbra per non spaccare la faccia al moro. Diede un colpo fin troppo poderoso al sacco da boxe, mandandolo a terra e rivelando la sua presenza.
- Ah, Kazuya, ci sei anche tu…non ti disturbiamo vero?- chiese Lei gentile. Jun lo fissò titubante, lo sguardo rannuvolato.
Kazuya negò e rimise apposto il sacco, ritornando a tempestarlo di pugni. Osservò Jun e Lei fare qualche esercizio di yoga, anche se i due non stavano in posizione per molto tempo a causa delle battute di Lei che avevano il potere di fare perdere la concentrazione a Jun.
La ragazza crollò a terra sbellicandosi dalle risate:- Smettila, idiota, non riesco a concentrarmi!-
Lui sorrise, chinandosi su di lei:- Sei buffa, non è colpa mia, sembri un cane con tre zampe.-
Jun sorrise e diede la mano a Lei per rialzarsi, mentre il ragazzo le sussurrava qualcosa all’orecchio.
Kazuya rispedì al tappeto il sacco per poi uscire sul balcone per schiarirsi le idee.
Vederla così felice, sorridente, serena mentre rideva con un altro lo faceva impazzire e quando prima Lei si era chinato su di lei…beh, era un miracolo che fosse ancora vivo. Se l’avesse baciata Kazuya non avrebbe risposto delle sue azioni.
Si prese la testa tra le mani, gli avambracci appoggiati sul parapetto della terrazza.
Jun lo faceva sentire bene, lo faceva sentire in un modo che non aveva mai provato nei bordelli o con le compagne che aveva trovato e provato occasionalmente in anni di vita solitaria.
Tutto di lei lo infiammava, il suo sorriso, i suoi capelli, i suoi occhi, il suo corpo, le sue mani…se pensava a lei sentiva ribollire il sangue.
Quando era con lei non pensava a Heihachi, ai problemi, al patto con Devil. Anzi, quando era con lei Devil sembrava non essersi mai manifestato, assopito dentro il suo petto come una fiera in letargo.
 Sospirò con la testa tra le mani:già, Heihachi. La fine del torneo si avvicinava e lo scopo primo per la quale vi aveva partecipato si stava approssimando:avrebbe finalmente ucciso suo padre e preso il comando della Mishima Zaibatsu.
- A che stai pensando, Kazuya Mishima?- chiese una voce maschile alle sue spalle.
Kazuya si voltò e vide l’odiato viso del poliziotto ciarliero intento ad osservarlo.
- Non sono cazzi tuoi, Wulong.- rispose bruscamente.
Lei rise e si avvicinò a Kazuya:- Tu non mi piaci Mishima, nemmeno un po’. Non mi piaci tu come non mi piace tuo padre e come non mi piace il tuo fratellastro Lee Chaolan. Ma di una cosa te ne devo dare atto:c’è una persona in questo torneo, una persona speciale, una donna bellissima e meravigliosa, affettuosa e sincera, che tu hai saputo far innamorare.-
Kazuya lo fissò, un’espressione che poteva far invidia a un punto interrogativo.
- Jun, so che sai di chi sto parlando, è una persona fantastica, ha ed è tutto ciò che un uomo può desiderare…e lei ti ama ancora Kazuya, lo so. Non mi ha detto nulla di voi, non so e non voglio sapere cosa è successo, ma il mio è un consiglio:riprenditela.-
- Wulong, tu…-
- Non dirmi di farmi i cazzi miei perché Jun è una persona splendida ed è mia amica. Non voglio che un bastardo la faccia soffrire, ne ho già viste di storie così e non sono per niente belle. Se hai dei problemi ad ammettere il tuo amore con te stesso, almeno non averli ad ammetterlo con lei.-
Il discorso del poliziotto lasciò Kazuya basito. Aveva ragione, cazzo, ne aveva da vendere!
Il moro rientrò in palestra e aprì la porta dello spogliatoio femminile nell’impeto della passione.
Una delle docce era aperta, si sentiva il rumore dell’acqua.
Kazuya si spogliò e si infilò nella doccia aperta, facendo voltare di scatto Jun e non lasciandole nemmeno il tempo di spaventarsi:la sollevò e la baciò con un tale ardore da lasciarla senza fiato.
La ragazza arrossì ma Kazuya non le lasciò nemmeno il tempo di pensare e si unì a lei.
Fecero l’amore nella doccia, sotto l’acqua bollente, e Kazuya sperò che Jun avesse capito. Mise nei suoi baci tutta la rabbia per non avere il coraggio di dirle quello che provava, la preoccupazione di quei giorni, la gelosia nel vederla parlare con Lei Wulong…la lasciò senza respiro e senza pensiero, con il cuore rotto e il fiato corto, a domandarsi perché, su tutti gli uomini, aveva dovuto innamorarsi proprio di Kazuya Mishima.

Era passata una settimana e, sebbene i due non avessero ancora chiarito, una sorta di pace si percepiva tra loro.
Jun aveva deciso di dedicarsi alle ricerche con più fervore in occasione delle finali, anche se non era l’unica cosa che le occupava la mente al momento:tra pochi giorno l’Iron Fist sarebbe finito e lei non avrebbe probabilmente più visto Kazuya.
Il pensiero di non vederlo più tutti i giorni, di non sentire più le sue mani e i suoi baci su di sé la deprimeva e al contempo la infiammava:gli aveva già dichiarato il suo amore, perché lui aspettava ancora?
Jun sperava di aver ben interpretato il messaggio di Kazuya sotto la doccia negli spogliatoi femminili giorni prima ma non ne era sicura al cento per cento. Il dubbio che Kazuya non l’amasse, che la volesse perché riusciva a sedurlo ed appagarlo si insinuava nella sua mente nei momenti di pausa dall’allenamento.
 Jun cercava di respingerli con fermezza, imponendosi di avere fiducia in Kazuya.
D’altra parte, doveva averne:stava per succedere una cosa che, Jun lo sentiva, era destinata a unire la sua vita a quella dell’uomo per sempre.
Era seduta sul letto a gambe incrociate, esaminando tabulati di intercettazioni telefoniche della polizia di Hong Kong passatele da Lei, che giaceva sdraiato accanto a lei, quando qualcuno bussò alla porta.
Lei andò ad aprire, trovando un pretesto per scostarsi da quelle noiose indagini, e si ritrovò davanti la sorridente capo-infermiera del palazzo. Gli sorrise e mesta gli porse una cartelletta gialla raccomandandogli di darla a Jun Kazama.
Lei la ringraziò e dedicò uno sguardo incuriosito alla cartella, che sembrava potesse parlare da un momento all’altro, per poi darla a Jun.
- Le analisi che ti hanno fatto l’altra settimana…-
- Grazie, mettile sul comodino.- disse Jun distratta sottolineando una conversazione telefonica di Heihachi che pareva compromettente.
- Dovresti dargli un’occhiata…magari hai una qualche strana malattia.- disse Lei sovrappensiero scompigliandole i capelli.
Jun gli gettò un’occhiata sarcastica:- Grazie per l’incoraggiamento.-
Prese la cartelletta che il cinese le porgeva con un sospiro e iniziò a leggere le analisi del sangue.
- Beh, sembra tutto normale…e l’urina…- la voce le si ruppe quando arrivò ad una scritta che normalmente non avrebbe dovuto trovarsi su un normale esame di routine.
Lasciò cadere i fogli sul letto, portandosi una mano alla bocca.
- Lei…- gorgogliò lei, gli occhi lucidi, come se quel nome fosse un’ancora di salvataggio.
- Jun! Che hai? Cosa c’è?- chiese Lei preoccupato prendendole le mani.
Jun abbassò lo sguardo per poi rialzarlo spaventata, come un coniglio davanti ai fari di un’auto, verso gli occhi scuri dell’amico.
- Lei…sono incinta.-
Lei le lasciò le mani per un momento, sconvolto, per poi riprenderle subito e stringerle con forza.
- Jun…è di chi penso io?- lo sguardo di Lei non lasciava dubbi:lui sapeva.
- Sì, è suo.- confermò Jun. Gli si gettò tra le braccia e la tensione accumulata in giorni di stanchezza, stress e pianto esplose, facendola gemere come una bambina.
- Lei…io…non so cosa fare…lui non mi ama…- sussurrò, il viso sepolto nel petto del moro.
Lei gli prese il viso con due dita, alzando il suo sguardo verso di lui:- Ehi…non ti preoccupare, tranquilla…lui ti ama.-
- Come fai a saperlo? Non me l’ha mai detto…-
- Kazuya è un tipo di poche parole. E’arrogante, scontroso, perennemente incazzato, ma è un uomo leale…se glielo dirai sono sicura che saprà fare il meglio per te.-
Jun sospirò afflitta e ringraziò Lei, assicurandogli che aveva bisogno di un po’di riposo e di rimanere da sola. Quando Lei se ne fu andato, si distese sul letto, fissando il soffitto con gli occhi gonfi di lacrime.
‘Non mi vorrà mai nemmeno se mi ama…lui sa che il suo destino è legato a quello di suo padre…l’amore non può soffocare il desiderio di vendetta.’ pensava risoluta Jun. L’idea di dirlo a Kazuya non l’aveva sfiorata nemmeno.
Portò una mano sulla pancia e sfiorò la pelle tesa e soda del ventre.
‘Sarà figlio di un amore a senso unico…una madre troppo desiderosa di amare e un padre troppo preso dal suo rancore.’ per un attimo il pensiero di sbarazzarsi del bambino le passò per la mente, ma Jun lo scacciò.
In quanto guardia forestale, si era fatta carico della salvezza e del benessere di tutte le creature viventi e come poteva non esserci tra queste un bambino indifeso? E poi era il figlio di Kazuya…non era solo suo, avrebbe avuto due genitori. Aveva due genitori.
Jun decise in quel momento la strada che avrebbe dato alla sua vita d’ora in poi:in una piccola stanza d’un grattacielo sperduto nel centro di Tokio, in prossimità delle finali di un torneo di arti marziali che avrebbe cambiato le sorti di molte vite, Jun Kazama decise di tenere il bambino e di crescerlo come meritava, facendolo sentire amato e protetto. Non l’avrebbe mai abbandonato.
Jun prese un sospiro profondo e afferrò la cartella gialla con il proprio nome, decisa a dare le dimissioni dal torneo.

I giorni seguenti furono abbastanza noiosi. La cosa più seccante fu la conferenza stampa indetta per informare il mondo che Jun Kazama, l’abile e bella karateka giapponese, dava forfait e lasciava il suo posto al poliziotto Lei Wulong, precedentemente eliminato dal torneo.
Molti combattenti rimasero delusi, altri sorpresi, ma il più stupito di tutti fu Kazuya, che raggiunse Jun la sera che la ragazza aveva deciso di andarsene.
Jun era di fronte alle porte di vetro scorrevole del grattacielo, in attesa della macchina che l’avrebbe portata all’aeroporto:sulle spalle un semplice giubbotto e accanto la borsa nera con la quale Kazuya l’aveva vista la prima volta che si erano incontrati. Anzi, la seconda.
Kazuya la osservò da dietro, desiderando poter dare forfait anche lui e andarsene con lei, sebbene non capisse cosa la spingeva a ciò. Le cause ufficiali erano un ‘malessere passeggero’ e la volontà della combattente a ‘non proseguire gli incontri per motivi personali’.
Jun non si girò quando il rumore delle porte la avvertì che qualcuno era dietro di lei e nemmeno quando sentì una mano pesante sulla propria spalla.
- Allora arrivederci, Kazuya.- disse, deglutendo per scacciare il groppo alla gola.
- Jun…guardami.- forse fu la cosa più romantica che Kazuya le ebbe detto. Jun si girò e Kazuya la abbracciò, cingendo quelle piccole spalle e la schiena magra con forza.
Le mani dell’uomo corsero al viso della ragazza e lei lo guardò con gli occhi lucidi e incantati, mentre l’uomo posava le labbra sulle sue.
Fu un bacio lento e lunghissimo, incredibilmente dolce. Kazuya poteva sentire le ciglia di Jun sfiorargli il volto e si costrinse ad imprimere il ricordo delle morbide labbra della ragazza nella propria memoria.
Il bacio fu interrotto dall’arrivo della macchina nera che avrebbe scortato Jun all’aeroporto.
- Allora addio.- disse Jun, soffocando le lacrime impellenti.
- Ti amo.- Kazuya riuscì a dirlo solo al vento, quando la macchina era ormai partita.

Jun chiese ed ottenne un lavoro d’ufficio a Kyoto e vi si trasferì carica di aspettative.
La mancanza di Kazuya, solo di pochi giorni, si faceva già sentire e la donna aveva intenzione di tenersi informata sulle sorti dell’uomo che l’aveva fatta innamorare.
La prima cosa che comprò per il nuovo appartamento fu un piccolo televisore e la prima cosa che ricevette per posta fu il giornale ufficiale di Tokio.
Jun si sedette sul divano, una tazza di thè fumante tra le mani, e lesse la prima pagina con uno strano presentimento.
‘HEIHACHI MISHIMA TRIONFA ANCORA:E’LUI IL NUOVO CAMPIONE DELL’IRON FIST.’ diceva la scritta a caratteri cubitali.
Jun sospirò e posò il giornale:Kazuya era vivo, non era morto, era impossibile.
L’avrebbe percepito se fosse morto, ne era sicura. Tra l’altro, il giornale riportava la cronaca del cruento scontro finale tra padre e figlio, sperticandosi in lodi sulla straordinaria tecnica di combattimento di Heihachi. Kazuya era ferito, ma era vivo.
‘E questo non fa altro che alimentare la sua sete di sangue.’ pensò Jun sconsolata, appoggiando una mano sul ventre leggermente arrotondato.
Finchè non avrebbe ucciso Heihachi, Kazuya avrebbe continuato a sfidarlo e a combattere per vederlo morire:la creatura assopita in lui, di cui lei conosceva l’esistenza, avrebbe continuato ad accrescersi, nutrendosi dell’odio e del rancore dell’uomo.
Kazuya non era cattivo, era solo un uomo condannato a vivere da solo con il suo odio, incapace di esprimere amore.
‘Nemmeno io ho potuto aiutarlo…’ pensò Jun, inconsapevole del contrario, accarezzandosi la pancia ‘…ma tu crescerai lontano da tuo padre e io ti proteggerò, difendendoti come Heihachi avrebbe dovuto fare con Kazuya da piccolo.’

La nascita del bambino fu un evento particolare.
Jun ebbe le doglie una mattina fredda e limpida e si presentò assolutamente tranquilla all’ospedale da sola, in totale autonomia. Con sé, solo una borsa nera con un pigiama e qualche ricambio.
- Sto per partorire.- annunciò tranquillamente ad una sbalordita infermiera dell’accettazione, come se stesse chiedendo dov’era il bagno.
I medici, sorpresi di fronte all’autocontrollo della donna, constatarono però che Jun aveva ragione e che la dilatazione aveva quasi raggiunto i dieci centimetri.
Fu allora che Jun radunò le sue forze da energica combattente e le concentrò in poche e decise spinte:il bambino, un piccolo alieno ricoperto di sangue, uscì da lei e scoppiò in un pianto disperato, gli occhi aperti e curiosi. Le infermiere si complimentarono con lei ancor prima che lo vedesse, dicevano che aveva un aspetto forte, sano e perfino intelligente.
Quando lo deposero sul suo seno, Jun dovette trattenere le lacrime per la seconda volta in vita sua:quel miracolo, quel fagottino azzurro caldo e solido tra le sue braccia fu da quel momento la sua ragione di vita.
La donna constatò con sollievo che non aveva gli occhi bicolori del padre ma aveva ereditato i suoi, grandi e neri, il suo stesso naso dritto e le orecchie piccole e delicate.
Il viso infantile aveva invece gli stessi lineamenti decisi del padre, un piccolo mento a punta e una bocca morbida che si distorceva spesso in poderosi sbadigli.
Jin, questo il nome del bambino, crebbe sano e forte in un clima di grande intimità famigliare:Jun era l’unica persona della sua vita, padre e madre, nonno e nonna, fratello e sorella, e fu non solo una maestra di vita ma anche una grande amica ed una madre affettuosa e giusta.
Jun gli insegnò a leggere e scrivere, inorgoglita dalle veloci capacità di apprendimento di Jin, e lo iniziò al karate stile Kazama, sempre e puramente come passatempo, mai come occupazione principale. Voleva che Jin rimanesse lontano dal mondo della lotta e specialmente dell’Iron Fist perché non voleva che Kazuya, che certamente continuava a parteciparvi, riconoscesse in lui un figlio che non sapeva di aver concepito.
Jun seguiva i tornei e i continui scontri tra Kazuya e suo padre, che da lotte di famiglia erano diventati una vera e propria guerra aperta, e, quando seppe che gli affari poco ortodossi della Mishima alla quale stava indagando quando aveva conosciuto Kazuya avevano riportato in vita forza sovrannaturali non controllabili, si era rifugiata nell’isola di Yakushima.
Quell’isola era diventata il ‘paradiso felice’ di lei e del piccolo Jin che continuava a crescere, assomigliando ogni giorno sempre più, per aspetto fisico e carattere, al padre.
Il ragazzo aveva un’inclinazione naturale per il karate e Jun, sebbene si ostinasse a ribadire che la lotta non doveva diventare la sua unica ragione di vita, continuava a insegnargli ciò che sapeva rendendolo un discepolo incredibilmente forte ed equilibrato.
I due vissero insieme e si vollero un bene dell’anima per quindici anni, finchè sull’isola di Yakushima, dopo anni di quiete e serenità, arrivò Ogre, il signore della guerra, e portò con sé devastazione e terrore, uccidendo l’unica donna che Kazuya Mishima e Jin Kazama avrebbero mai amato per sempre.
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Bene, una storia piuttosto impegnativa.
La nascita e la fine del grande amore misterioso tra Jun Kazama e Kazuya Mishima, quel grande amore che ha dato vita a Jin Kazama e ha perpretato la saga di Tekken per altri innumerevoli anni (con buona pace dei suoi fans).
Mi ha sempre affascinato la storia tra questi due personaggi così distinti e controversi ed era un mio grande desiderio dare una versione dei fatti plausibile.
Fatemi sapere se vi entusiasma o anche solo vi fa storcere il naso dal disgusto perchè è il 'prequel' diciamo dell'altra mia ff su Tekken 'La tigre e il dragone'. Rimanendo in tema, ho dato il via appunto alla serie 'Animals' e queste due non saranno le uniche ff che vi rientrano:cercherò di caratterizzare ogni personaggio con un animale e di scrivere su di esso. O comunque sulle coppie o i singoli che mi interessano di più.
Grazie per la pazienza se siete giunti fino a questo punto!
  
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