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Autore: Neal C_    01/11/2011    3 recensioni
[Con la partecipazione straordinaria di David Bowie e Matt Bellamy ]
Raccolta di One-shots su Brian Molko, sprazzi di vita, pallide impressioni che affiorano da foto, video, interviste, dall’ immaginazione più o meno fervida dell’autrice e naturalmente dalla musica.
Filo conduttore: il cambiamento.
Ch-ch-Changes
Just gonna have to be a different man
Time may change me But I can't trace time
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Un po' tutti
Note: Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Ch-ch-Changes
Just gonna have to be a different man
Time may change me
But I can't trace time

 

 

Istruzioni per l’uso
Questa vorrebbe essere una raccolta di One-shots, incentrata sul personaggio di Brian Molko.
Il tema dell’intera raccolta è nei versi di  “Changes”, di David Bowie, il cambiamento, inteso come maschera che si evolve nel tempo, sia che ne siamo consapevoli sia che ne siamo all’oscuro, che lo vogliamo o no, e non si torna indietro.
Dato che non sono riuscita a trovare una biografia organica ho scorso un po’ di interviste, archivi del sito ufficiale, biografie di siti amatoriali.
Quindi scusate le incoerenze ma se dovevo leggermi prima tutto il materiale editoriale sui Placebo e sul loro leader allora mi passava la voglia di scriverla sta’ storia! ^^
Abbraccerà diversi periodi della sua vita, ancora non so se in maniera cronologica o no, e potranno esserci accenni di Mowie o altri pairing, sicuramente qualcosa Brian-Helena Berg.
Il ratig potrebbe alzarsi ma per ora è GIALLO.
Quale mostruosità-porcheria-roba illeggibile ne uscirà, non so!
Giudicherete voi ù.ù

Disclaimer
Nessuno dei personaggi qua nominati mi appartiene, più che sicuramente non sa nemmeno che esisto e ammesso che abbia fatto/detto/pensato queste cose non è venuto a raccontarlo a me.


*******************

 

 

Libano 1980



“Brian!
Pour l’amour de Dieu, qu'es que tu fais?!*”

La voce alterata della signora Lancer Farrel risuona nella cameretta del figlio minore ma la donna si affaccia semplicemente sulla soglia senza entrare: il suo bambino non è a letto come dovrebbe essere, anzi, non sembra essere nemmeno in camera.

La donna cerca ansiosamente il figlio fra le pareti bianche semi-spoglie se non fosse per qualche foto di famiglia e di classe, qualche acquerello della sua infanzia e qualche disegno a pennarello attaccato con lo scotch, alle pareti.
Il giorno che Brian ha deciso di attaccare i suoi disegni al muro in quel modo barbaro, Georges lo ha severamente redarguito.
Lui non ha detto niente, ha ascoltato pazientemente, stringendo gli occhioni un momento prima cerulei, qualche secondo dopo quasi grigi, incostanti come un cielo che si va annuvolando e poi rischiarando. 
Quel giorno la donna si era sentita in colpa perché Brian le aveva chiesto da tempo se poteva far incorniciare quei disegni a cui lui sembrava tenere un sacco, schizzi di colore astratti, linee gettate quasi per caso su un foglio.
Ma lei se ne era sempre dimenticata perché troppo presa dalla casa, dall’attività della parrocchia, dal corso di cucina che organizzava con le sue amiche almeno due giorni a settimana.
Lì, in Libano, la vita di tutta la famiglia ruotava intorno all’ambasciata franco-inglese, le sue conoscenze non erano altro che mogli di ambasciatori, consoli, banchieri, impresari libanesi, inglesi, americani o francesi, colleghi di suo marito.
E poi naturalmente c’era la scuola primaria dell’ambasciata dove Brian studiava, giocava e passava il tempo con i figli dei suddetti colleghi di suo marito.
D’altronde Kate sapeva già che entro pochi anni si sarebbero trasferiti e stavolta sperava che sarebbero tornati in Europa, dove si sentiva a casa.
In questi paesi del sud asiatico faceva più caldo, tutto era più luminoso, forse meno deprimente delle giornate piovose e nuvolose della sua Scozia, ma anche più agitato e caotico… quasi barbaro per certi aspetti.
Certo, non negli ambienti che frequentava lei.
Anzi, Georges stava portando a termine parecchi investimenti con società finanziarie statali locali, tutte impegnate nella ricostruzione della capitale e nei progetti di grandi opere pubbliche che avrebbero dato un nuovo volto al Libano e, perché no, al Medio Oriente.
Ma non poteva non sentire la nostalgia, la sensazione di essere fuori dal mondo, tagliata fuori dall’Europa.
Intendiamoci bene, non che prima Kate Lancer Farrel fosse una donna libera e emancipata, la protagonista dei salotti o la celebrità dei circoli, di qualunque argomento questi si interessassero.
Era una persona dalla fantasia limitata e dalle aspirazioni modeste, che amava alla follia i suoi figli, specie il minore che cresceva bene, educato e rispettoso della tradizione cristiana di famiglia.
Aveva avuto la fortuna di incontrare un uomo benestante e intraprendente, severo e corretto, religioso almeno quanto lei, con quel pizzico di esotismo che all’inizio l’aveva affascinata: le sue origini italo-francesi.
Aveva cercato in tutti i modi di addolcire il suo accento scozzese, duro e alle volte sgradevole, aveva imparato il francese e aveva preteso che entrambi i suoi figli si abituassero sin da piccoli a capire e a rispondere in francese quanto in inglese. Il maggiore, poi, parlava anche un po’ di italiano.
Barry e Brian avevano dieci anni di differenza.
Quell’anno Barry aveva compiuto diciotto anni e, poiché si erano trasferiti da poco, i corsi erano iniziati prima che potesse presentare l’iscrizione all’ American University of Beirut.
Perciò aveva espresso il desiderio di andare a studiare all’estero e si era trasferito a Luxembourg.
Kate era stata orgogliosa di lui e aveva sbandierato la cosa ai quattro venti, vantandosi dei suoi figli meravigliosi e gonfiandosi come un pavone ad ogni complimento che le veniva fatto.
A Brian non era piaciuto per niente e la madre ancora non riusciva a spiegarsi tutto quell’attaccamento improvvisamente dimostrato dal figlio minore che lei pensava di conoscere a perfezione.
E adesso non lo trovava neppure in camera sua, a letto, dove sarebbe dovuto essere, alle nove e mezza di sera.

“Brian!

Mon coeur, où etes-vous?!”

La madre lancia un altro richiamo al figlio, stavolta a tono più alto e inquieto.

è sola in casa ed è la prima volta che Brian sparisce senza avvertire.
Ogni tanto si infilava in un armadio, nello stanzino, in un anfratto di quella casa, larga e spaziosa, adesso troppo vuota per due persone.
Georges non è quasi mai a casa e non conta come terzo.
Giocava a nascondino, Brian, come tutti i bambini;
i piccoli vogliono l’attenzione di tutti coloro che li circondano, vogliono sentir parlare di loro, sentirsi lodati e vezzeggiati.
Suo figlio non faceva eccezione e proprio per questo suo madre lo adorava: perché era un bambino di otto anni assolutamente normale.
E in quella casa le stranezze non erano ben viste.
Poi in un attimo un’idea si insinua nella mente della signora Molko.
Potrebbe forse essere salito sul tetto? La sola idea le mette i brividi.
Ecco una brutta abitudine che aveva preso da quando era partito suo fratello:
andarsi ad appollaiare là sopra, a pensare, a guardare nel vuoto.
Cosa aveva da pensare? Per Kate era un mistero.
La loro vita era magnifica, sempre varia, piena di gente importante che riempiva le loro giornate, di persone fidate e amiche, in un ambiente protetto, “sotto la benedizione del Signore” come lei stessa amava ripetere, facendo l’eco del marito, a chiunque si rivolgesse.
Era come una bolla di sapone che non ne voleva sapere di scoppiare, appoggiata ad una solida superficie, le pareti trasparenti si increspavano leggermente quando un filo di vento cercava di portarla via o di infrangerla.
Ma prima o poi tutte le bolle di sapone scoppiano, almeno come tutti i nodi vengono al pettine: proverbi sempre veri, dei veri e propri assiomi della fisica e della vita.

Sale sul terrazzo del tetto e lo trova lì, avvolto in una coperta, con lo sguardo vacuo, e gli occhi stanchi, semi-socchiusi dal sonno e da una malinconia che ancora una volta lei non si sa spiegare.


“Brian!

è almeno la decima volta che ti chiamo!
Cosa fai qui?! Dovresti essere a letto!”

Lo sgrida con voce dura senza riuscire a nascondere quanto sia seccata di questo inconveniente.

Ma quando ci si occupa dei figli bisogna dedicare tempo anche a questi momenti di tempesta fin quando se ne ha l’occasione.
L’indomani tuo figlio ti giudicherà, rifiuterà l’aiuto che non gli hai mai dato e che gli offri per la prima volta; ma è troppo tardi per lui che ormai rivendica il suo essere adulto e, per questo,  ha il diritto di fare e pensare ciò che vuole, anche quello di calpestare i tuoi sentimenti di genitore.
Ma Kate vede solo che suo figlio si gingilla alle dieci meno un quarto di sera sul terrazzamento del tetto, e non le sta bene.

“Brian, domani devi andare a scuola e sono quasi le dieci!

Cosa abbiamo detto sull’andare a letto? Quante ore devi dormire a notte?”
“Mamma… mi manca.”

La risposta di Brian è un pigolio, il verso di un uccellino piccolo, infreddolito, spennacchiato, che attende la mamma nel nido, stringendosi ai fratelli per riscaldarsi e farsi coraggio: anche Brian lo farebbe se avesse Barry lì con sé.

Kate, invece, si limita ad inarcare il sopracciglio destro e a scuotere il capo, ancora contrariata e spazientita:

“Amore, che cosa? Che stai dicendo?

Lo vedi che sei stanco e devi andare a dormire?”
“Mamma, quando ci trasferiamo?”
“Tesoro, non lo so.”

L’ennesima risposta vaga lascia negli occhi di Brian tracce di profonda insoddisfazione e un’irritazione che Kate non aveva mai visto.

E per la prima volta non sa bene cosa rispondergli, teme che la sua piccola bocca carnosa possa sputare fuori altre domande, con un risentimento che i bambini, chiusi nella loro logica infantile, non riescono a provare a lungo.
Non sembra una cosa passeggera quella che vede negli occhi di suo figlio, più cupo di quanto ricordasse.

“Andrà tutto bene! Ti farai tanti nuovi amichetti!

Ho conosciuto delle persone splendide, delle signore davvero simpatiche.
Vedrai che anche i tuoi compagni saranno adorabili come i loro genitori.
Non ti preoccupare, tesoro, sarà come le altre volte, ok?”
“Come le altre volte, eh? allora non ho niente di cui preoccuparmi.”

Kate rimane spiazzata dall’ironia sferzante di quei toni amari e cupi.

C’è qualcosa di strano nell’aria e la madre non riesce a capire cosa sia.
Questa notte, nuvoloni grigiastri incombono, sembrano voler divorare madre e figlio che sfidano il fresco serale per parlare sul tetto di casa.
è opprimente e affascinante allo stesso tempo, almeno quanto le raffiche di vento che spettinano violentemente il caschetto castano di Brian.
Kate sbatte le ciglia più volte, ancora in piedi, indecisa sul da farsi.
Il bambino non le sta più dedicando attenzione, ma osserva la città dall’alto senza passione, inespressivo, spento come un fuoco da campo i cui bagliori sono stati soffocati, a poco a poco.

“Mamma, non possiamo…fermarci?”

“Fermarci qui?! Ti piace Beirut?!”
“Non per forza qui. Solo…fermarci.
Mi va bene dovunque, vorrei solo non dover cambiare sempre casa.”
“Amore, lo sai che papà lavora, vero?
Per lui è molto importante…”
“e quando mai no.”

Stavolta Kate non si lascia sconvolgere dalle insinuazioni del figlio, piccole provocazioni che le sue orecchie non erano abituate a sentire.

Possibile che il suo piccolino, il suo Brian, il suo adorato bambino innocente avesse qualcosa da ridire sulla loro vita?
Ma stavolta ribatte, ferma e quasi severa, resistendo alla tentazione di mordersi il labbro.
Deve essere dura e incisiva, deve trasformarsi nell’educatrice, in quella che scrive le regole del gioco.
Il segreto sta nel controllare la situazioni, far si che queste regole vengano rispettate.

“Amore adesso basta con questi pensieri.

Un giorno sicuramente ci stabiliremo, forse torneremo in Belgio.
Ma tu non devi preoccuparti di questo, ok?
L’importante è la tua famiglia e noi siamo qui, vicino a te.”

Per ribadire il concetto finalmente muove qualche passo avanti e va ad accarezzare la testa del suo ometto di otto anni.

Poi gli sfiora la spalla, scuotendola dolcemente in un muto richiamo.
Lui sembra rimettersi docilmente in piedi mentre la coperta che ha addosso struscia per terra con un fruscio.
Kate si abbassa e lo abbraccia, stringendolo e riscaldandolo con il suo corpo ma il piccolo non sembra veramente ricambiare quell’abbraccio;
rimane inerte, poi si irrigidisce e infine si stacca, con un mormorio di scusa, un “mi stritoli, mamma”  molto timido.
Insieme si avviano per le scale, entrano nella cameretta e poco dopo, Brian è al calduccio, nel suo letto e Kate gli rimbocca le coperte.

“Tesoro, buona notte. Sogni d’oro.”

“Mamma, mi sento triste.”

Davanti a questa confessione la madre scuote il capo con un sorriso dolce e comprensivo, ma servono a poco le rassicurazioni della mamma, stavolta.

Brian sente solo parole vuote, le stesse di sempre, maledettamente familiari, eppure è la prima volta che ci riflette veramente.

“…papà sta facendo il suo dovere…

Non sarai mai solo, amore mio.
E quando ti senti abbandonato  devi confidare in Dio.
Prova a parlargli, lui è lì da qualche parte, vuole solo ascoltarti e guidarti.
Adesso mi prometti che dormi?”
“Si.”
“Buona notte, Bri.”

Kate spegne la luce, e dopo avergli dato il bacio della buona notte, si alza dal letto che cigola leggermente e, in punta di piedi, scivola via, lanciando ancora occhiate amorevoli al bambino che la osserva con quegli occhi chiari, spalancati.

Brian sente il click dell’interruttore, sbatte le palpebre per abituarsi al buio, tutto gli appare ombroso, quasi spaventoso.
Poi sente la porta che si chiude, la serratura scatta, sulle scale i passi della madre si fanno ancora sentire deboli, oltre i muri della sua stanza.
Quando  finalmente non sente più rumori di sorta, scalcia la coperta e si tira su.
Mette a soqquadro i cassetti della scrivania a misura di nano e ne tira fuori un foglio a righe e una penna.

 

 

Caro Dio,
mamma mi ha detto di scriverti ma non capisco perché dovrei scrivere a te.
Non è con te che parlo di solito, anche se tutti, mamma, papà, il prete, i maestri dicono che bisogna rivolgersi a te.
Io in realtà non parlo con nessuno ma quando l’ho fatto è stato sempre Barry ad ascoltarmi.
Come quella volta che ho rubato un CD  in quel negozio, a Glasgow, prima di partire per il Libano.
Non te l’ho nemmeno detto, la settimana dopo, quando mamma mi ha portato dal confessore.  Mi stava antipatico quel confessore.
Ho pensato che non potevi averlo scelto tu quello lì, altrimenti come Dio non valevi niente.  In ogni caso Barry l’ha saputo prima di te.
Ma c'è una cosa che potresti fare.
Visto che sei Dio, fai arrivare il mio messaggio a Barry.
Non lo posso spedire perché altrimenti mamma e papà sicuramente lo leggerebbero e io non voglio.

Caro Barry…



Angolo dell’autrice

*Glossario1: Brian, per l'amor di Dio, che fai?!?!?!
*Glossario2:  Brian, cuore mio, dove sei?!?!


Eh si, altre note.
Ma c‘è ancora qualcosina da  precisare.
First, questa è la mia prima storia della sezione Placebo che sto leggiucchiando da un pezzo, probabilmente i miei personaggi saranno un po’ abbozzati, forse un po’ OOC ma per qualunque cosa non esitate a farmi sapere se sono uscita dai binari o cosa ;)
Second, vi avverto,  la mia politica in fatto di aggiornamenti durante l’anno è la seguente: i tempi sono lunghi e quest’anno più che mai perché è anno di esame e per di più è già straincasinato per conto suo.
Third, i nomi dei genitori sono amenamente inventati, il cognome da nubile della madre no (intervista su placeboworld.co.uk/archive ), e nemmeno quelle quattro righe di ambientazione (fatta un po' con i piedi tra l'altro), diciamo che quasi tutto è abbastanza verosimile o comunque non impossibile.
At last, devo ringraziare alcune autrici che ho letto e che mi hanno fatto innamorare dei loro personaggi, specie di Bri a cui ho appunto dedicato la raccolta:
Stregatta (ho amato la Mowie più di tutte le altre),  Leni (le sue Mollamy *_* ), chemical_kira (ho amato Nancy boy, è una delle mie “seguite” preferite) e soprattutto nainai (per me il suo The Rerum Natura è una delle fic più belle della sezione).
Un giorno vi scriverò una recensione, lo giuro.
Inutile dire che quando vorrete sarò entusiasta di sentire i vostri pareri, anche una caterva di insulti seguiti dal lancio della frutta va bene.

Misa

  
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