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Autore: 365feelings    01/11/2011    4 recensioni
Poi il respiro manca, una morsa lo spezza; le gambe cedono e tutto il resto crolla a terra, dal busto alla testa, una marionetta senza vita. Ed ecco, ecco, ora Rosemary sta cadendo dal soppalco in un fruscio di seta senza nemmeno un grido. Un fantasma.
Il rumore del collo che si spezza risuona per un breve istante nella stanza.
[Storia partecipante al contest Funeral Party del CoS]
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nickname sul forum: KumaCla
Nickname su Efp: KumaCla
Titolo della fanfiction: Pretty Little Secrets
Titolo del contest: Funeral Party http://fanfictioncontest.forumcommunity.net/?t=48267208
 )
Pairing: /
Personaggi: Arthur e Clarissa Riddell, David e Anne Sutcliffe, John Rich, Logan Browne, Romina Gray, Evie Lorrimer, Honoria Shapland, Rosemary e Leonore Hinchinghooke
Generi: Pulp, Angst, Introspettivo, Mistero
Warnings: Giallo
Credits: i personaggi e i luoghi sono stata da me inventati.
Note personali: il contest chiedeva di scrivere una storia pulp, violenta, introspettiva, non per stomaci delicati e che contenesse un omicidio. Il raiting doveva essere V. M. 18 e lo stile sontuoso. Mi rendo perfettamente conto di non essere riuscita a rispettare il raiting e lo stile e che per questo verrò penalizzata nel punteggio, ma la storia ormai si era già scritta e non volevo ritirarmi perché il contest mi aveva entusiasmata. Spero in ogni caso che il racconto possa ugualmente piacere.

È proprio qui che dovresti essere, in questo momento, alla «grande festa per pochi intimi» di Rosemary Hinchinghooke, nella sua grande villa in stile gotico in cima a Violet Hill, a festeggiare Halloween - a festeggiare la sua dipartita - tra zucche e scheletri e candele e rosoni dai riverberi sanguigni.
È il posto perfetto questo, lo scenario ideale, dove ci sono tutti, sia morti che vivi, pure io.
Ecco mi vedi, sono lì, tra i festoni di cartapesta e il soppalco, sono quel corpo luccicante rivestito di lustrini e seta. Qualcuno mi saluta, forse Honoria, «Ciao Rosemary» mi dice e alza il calice verso di me.

Poi il respiro manca, una morsa lo spezza; le gambe cedono e tutto il resto crolla a terra, dal busto alla testa, una marionetta senza vita. Ed ecco, ecco, ora Rosemary sta cadendo dal soppalco in un fruscio di seta senza nemmeno un grido. Un fantasma.
Il rumore del collo che si spezza risuona per un breve istante nella stanza.
Non ha sofferto, la povera Rosemary, era già morta quando è precipitata dal soppalco: questo diranno con voce carica di cordoglio.
È la voce stridula di Evie quella che risuona per prima nella pausa tra una nota e l’altra, di quella sciocca e slavata Evie dagli occhi cerulei e le labbra color ciliegia.
I piedi ballerini di Evie inciampano su qualcosa di morbido e freddo, inciampano su qualcosa che sembra un gamba, la gamba di Rosemary ed Evie urla.
Rosemary è morta. Chi l’ha uccisa? Chi è la vittima, chi il carnefice?
È questo il mio regalo d’addio.

Sei giorni prima

L’invito - inchiostro nero su pergamena - viene recapitato con puntualità da nove impeccabili camerieri in livrea senza alcun preavviso.
Evie Lorrimer sgrana stupita gli occhi chiari, Logan Browne guarda perplesso il foglio, David Sutcliffe accartoccia l’invito e si chiude nel suo ufficio per chiamare sua moglie Anne, un senso di inquietudine si impossessa di Romina Gray, Honoria Shapland controlla l’agenda con fare pratico da gran donna di mondo, John Rich sospira, i coniugi Riddell - Arthur e Clarissa - si guardano sorpresi.
Meno di dieci minuti dopo sono tutti alla ricerca dei loro numeri, annotati ancora anni prima e poi dimenticati in vecchi taccuini tra polvere e ricordi scomodi.
I telefoni squillano, riallacciano i rapporti - quegli stessi che avevano troncato di comune accordo - e con voci sommesse si consultano.
Non vogliono andare a quella festa, c’è qualcosa di sbagliato - di macabro - in quegli inviti, ma accettano. Accettano, perché non possono fare altrimenti.

Quattro ore prima
Hinchinghooke Palace, camera da letto

C’è un gran via vai ai piedi di Violet Hill; Hinchinghooke Palace, la sinistra villa gotica di famiglia addobbata a festa e assopita da secoli sulla cima della collina, osserva con pigrizia le macchine nere che procedono inesorabili fino al cancello di ferro battuto squarciando la notte con i loro abbaglianti.
«Sembrano carri funebri» pensa distrattamente ad alta voce Rosemary Hinchinghooke, esile sagoma a ridosso di una finestra, mentre Rosetta Scott da diligente domestica personale l’aiuta a vestirsi.
«È tutto pronto vero? Voglio che ogni cosa sia perfetta nel giorno della mia morte».
L’abito bianco fascia il suo corpo con grazia e le dona un’aria eterea; il trucco fa il resto e in un istante Rosemary ha l’aria di un raffinato e tormentato fantasma.
«L‘arredatore che avete commissionato ha fatto un ottimo lavoro, sembra che questa casa non venga usata da secoli e vedeste il banchetto!»
Il campanello risuona cupo - come una sentenza di morte - nella grande abitazione e inghiotte le ultime parole di Rosetta.  

Hinchinghooke Palace, atrio

«Che atmosfera lugubre» commenta Clarissa Riddell lasciando la sua costosa pelliccia a una delle cameriere addette al guardaroba.
«Rosemary non ha badato a spese» risponde Romina Gray, raggiungendo l’amica di un tempo e salutandola con sincero affetto: da quanto non si vedevano!
Clarissa si mostra felice di rincontrarla, complimentandosi per l’elaborato abito da strega e schernendo il proprio.
«Ho sempre peccato di originalità ed è stata dura convincere mio marito. Sai com‘è fatto, non ama le feste in maschera».
Romina annuisce, lanciando uno sguardo ad Arthur Riddell impegnato in un’allegra conversazione con John Rich. Nessuno dei due uomini sembra aver speso molte energie nel travestimento, brutte copie l’uno di Gomez Addams e l’altro di Frankenstein.
Evie Lorrimer raggiunge Arthur in un fruscio claudicante di tulle azzurro imbrattato di sangue e lo saluta con entusiasmo, mentre Anne Sutcliffe pensa malignamente che, forse, Clarissa dovrebbe prestare più attenzione al suo matrimonio che al suo costume da Signora Addams. Scelta sbagliata, pensa la donna, non le dona affatto l'abito. Dopo tutto gli anni passano, per tutti, anche per Clarissa: e questo non può che allietare Anne.
Honoria Shapland varca la soglia di Hinchinghooke annunciata dall’argentino rumore dei suoi vertiginosi tacchi; come la vede arrivare, stretta nel suo aderente vestito nero, Logan Browne arriccia le labbra e con stizza si accende una sigaretta, per nulla contento di rivedere la nemica di un tempo, la donna che lo ha portato a fare l’errore più grande della sua vita.
«Honoria, come stai?» le chiede premuroso John, seguito da Arthur.
«Ma non lo vedi che sta una meraviglia?» risponde sprezzante Logan «A quanto sei? Due mariti ammazzati? Su quale patrimonio vuoi allungare le mani ora?»
«Logan, come sei scortese! Un po‘ di tatto!» esclama Clarissa con indignazione.
«Tranquilla Clarie, quello che Logan voleva dire è che è lieto come al solito di vedermi. Trattieni l‘entusiasmo però, non vorrei si notasse troppo» commenta Honoria con una smorfia che dovrebbe ricordare un sorriso, ma le labbra tinte di rosso sembrano solo una ferita sanguinante.
«Da cosa sei vestita?» le chiede Evie cambiando argomento.
«Vedova Nera» risponde alzando il mento, in un moto di orgoglio, mentre gli sguardi corrono sul suo corpo ben modellato. Sa già che in meno di mezz’ora Anne le chiederà che dieta segue, rosa, come sempre, dalla gelosia.
Ormai sono tutti attorno a lei, anche Logan - con cui non è mai andata d’accordo - non può far altro che restare lì, a pochi passi dal suo strascico.
È proprio in quel momento, però, che in cima alle scale fa la sua comparsa Rosemary.
Nessuno osa più parlare, perfino il respiro è trattenuto. Sui volti dei nove invitati scompare ogni traccia di buon umore - se mai ce n’è stato -, alcuni di loro appaiono addirittura spaventati.
Sembrano pensare «se è uno scherzo, perché questo è uno scherzo, non è divertente» e Rosemary lo sa come se fosse nelle loro teste, ma si guarda bene dal rompe il pesante silenzio che grava sull’atrio decorato con zucche e drappi.
Così scende, gradino dopo gradino, con lento e regale incedere, come un fantasma del passato che incombe inesorabilmente su quella compagnia male assortita di giovani uomini e donne non più tanto giovani che un tempo avevano la sfrontatezza di chiamarsi amici e poi pugnalarsi alle spalle.
«Che silenzio. Sembra che abbiate visto un fantasma» sentenzia Rosemary con sguardo serio, salvo poi lasciar scappare dalle labbra un’argentina risata «Ma questo non è possibile, nevvero?» e dopo esser tornata seria «Spero di non aver interrotto nulla. Mi scuso per il ritardo, ma questa villa è talmente grande che ci ho messo una vita a raggiungervi. Sono così contenta che siate tutti quanti qui questa sera, vogliamo procedere?»

Tre ore prima
Hinchinghooke Palace, sala da pranzo

La prima cosa che notano sono le viscere a centro tavola, tra un candelabro è l’altro; sembrano vere, ma non possono esserlo. La tovaglia di damasco bianco è imbrattata di sangue, stille rosse macchiano anche i tovaglioli e i segna posto.
I camerieri sapientemente truccati da zombie versano il vino nelle coppe e servono un invitante risotto decorato con quelli che sembrano ragni e che spaventano Anne suscitando le risate di tutti.
Rosemary siede composta a capotavola, una profonda soddisfazione celata dietro l’indecifrabile azzurro dei suoi occhi.
Accanto a lei Clarissa conduce amabilmente, come una vecchia e rodata matrona, una tranquilla discussione sull’origine della festa pagana a cui la combriccola si è ritrovata suo malgrado a partecipare.
«Mia cara, devi svelarci come hai fatto a realizzare tutto questo!» chiede Anne alludendo alla spettacolare tavolata e, più in generale, all’intera sala da pranzo.
«Sì, dovresti proprio» insiste Honoria portando alle labbra un calice di vino.
«Hai fatto davvero un lavoro spettacolare» aggiunge Evie guardandosi attorno e rabbrividendo: l’atmosfera è davvero spettrale e la bistecca al sangue nel suo piatto ha un che di macabro.
«Vi ringrazio mie care, ma io non ho fatto nulla, mi sono affidata a un tale Raul Sangria».
«Nome familiare» interviene John «È nel circuito teatrale di Londra?»
«Non saprei dirti. Mi è stato consigliato da un‘amica, però credo proprio che abbia a che fare con i teatri».
«Deve esserti venuto a costare un occhio della testa» commenta Anne, tagliuzzando una fetta di carne e schizzandosi di sangue la guancia.
«Non si bada a spese quando si dà una festa» conclude Rosemary, facendosi servire il primo dolce, un orrido e terribilmente verosimile braccio ricoperto di cioccolato fondente e vermi di gelatina verde.
Honoria annuisce e si lancia nella descrizione dell’ultima festa a cui ha partecipato, un simpatico party in un delizioso attico a Londra dove ha avuto modo di conoscere molte persone di cui inizia a snocciolare i nomi. John prova la sensazione di essere tornato al passato, all’epoca dell’università, quando Honoria al mattino raccontava delle feste notturne a cui veniva invitata, e sa di non essere l’unico.
C’è qualcosa nell’aria che fa tornare la mente ai bei tempi andati e, prima che se ne rendano conto, stanno tutti ricordando aneddoti tra una portata e l’altra.
«Poi c‘è stata quella volta, eravamo al secondo anno se non sbaglio, quando David ha picchiato Arthur con cos‘era? Un bastone?» ricorda Evie con sguardo trasognato mentre intinge un grissino in una salsa verde dove un paio di occhi finti la guardano.
«Si, era proprio un bastone» conferma John «Non ho mai capito per quale motivo David ti abbia colpito».
«Non è stato volontario» ribatte il colpevole rabbuiandosi e mentendo spudoratamente: odio e segreti sono sempre stati un cocktail esplosivo.
«Eri una maschera di sangue, caro, in ospedale ti hanno dato ben dieci punti» commenta Clarissa, ricordando lo stato in cui aveva trovato Arthur.
«Ormai sono passati tanti di quegli anni, puoi anche dirlo sai?» lo incoraggia sorniona Honoria, ma David rimane saldo nella sua decisione di non parlare, irremovibile nel suo silenzio.
«È stato un incedente» conclude seccamente Anne con sguardo gelido al posto del marito.
«Non serve prendersela» continua Honoria con voce melliflua, insinuante «Eravamo tutti più giovani e stupidi, ci divertivamo senza pensare alle conseguenze. Tuo marito in particolar modo».
«Cosa stai cercando di dire?»
La gelatina della signora Sutcliffe viene trafitta dal cucchiaino di questa; l’argento entra in profondità con rabbia, come un coltello in una ferita.
«Anne, Anne. Sempre la solita battagliera Anne. Saresti pronta a fare di tutto pur di salvaguardare il tuo matrimonio, non è così? Ricordate tutte le sfuriate di gelosia che faceva? E quante malignità verso le povere disgraziate che posavano gli occhi sul suo uomo».
Gli sguardi sono tutti su Honoria e Rosemary sorride da dietro la coppa da cui sta bevendo. Discordia ha sparso il suo seme, pensa tra sé e sé e se ne compiace.
Per un istante qualcosa nei suoi occhi, uno scintillio sinistro, rivela il carnefice che c’è in lei. Romina se ne accorge e una morsa gelida - una mano scheletrica - le attanaglia le viscere, ma è solo un momento e gli occhi di Rosemary tornano ad essere normali.
«Che c‘è? Credevo fossimo qua per ricordare il passato. Non è così Rosemary?»
«Certo Honoria, hai colto perfettamente lo spirito di questa festicciola. Sono certa che anche Leonore avrebbe apprezzato questa cena».
Il nome Leonore - sempre presente ma mai pronunciato - risuona nella sala. Leonore, Leonore, Leonore.
Suona come una minaccia, Leonore Hinchinghooke.
Ad Anne cade di mano la posata d’argento, John deglutisce a fatica, gli occhi di Logan si sgranano, Evie guarda il vuoto, Clarissa e Arthur si pietrificano, David stringe convulsamente il tovagliolo, solo Romina e Honoria rimangono impassibili e sostengono lo sguardo di Rosemary.
«È stata una tragedia. Nessuno si aspettava che la povera Leonore soffrisse così tanto da suicidarsi» rompe il silenzio Clarissa dopo aver recuperato il controllo di se stessa. Gli altri annuiscono e inevitabilmente ricordano ciò che hanno sempre cercato di dimenticare. È la serata ideale per tirar fuori gli scheletri dell’armadio.
Non sono più a Hinchinghooke Palace, non è più il 31 ottobre, i loro volti sono decisamente più giovani e freschi, i loro sguardi spensierati, ma già guardandoli si comprende che sono in troppi e tutti diversi tra loro, che non resisteranno. Arthur e Clarissa insieme a David e Anne sono le coppie storiche, quelle su cui ci puoi mettere una mano sul fuoco che si sposeranno, ma c‘è una certa rivalità che serpeggia tra loro e che non preannuncia niente di buono. Evie è la stessa slavata giovane che dieci anni dopo parteciperà alla festa di Rosemary, ma all’epoca è ancora quella brava ballerina che sogna La Scala, nessuna macchina le ha ancora compromesso il ginocchio e la carriera; John la incoraggia con entusiasmo e trascina tutti a teatro ogni volta che Shakespeare viene rappresentato. L’odio di Logan e Honoria è così viscerale e plateale che non può passare inosservato, ma d’altronde è sempre stato così, non si sono mai sopportati; così nessuno indaga, nessuno chiede nulla e il segreto che li lega - quell’incidente in cui Evie ha perso il suo sogno - rimane, apparentemente, tale. Romina è spensierata, non ha nessuna preoccupazione, sa già cosa fare della sua vita. All’improvviso sono tutti più giovani e amici, affiatati. Ma ci sono segreti, parole taciute, atti nascosti, rancori e tradimenti. Ma c’è Leonore che all’improvviso si accascia al suolo, fredda, rigida, morta.
Quelle che ora vedono davanti a loro sono le dita rattrappite di Leonore, è il suo volto cianotico che li guarda da capotavola.
«Affatto. Mia sorella non si è suicidata».
Rosemary spezza l’incanto, tutti tornano al presente, nessuno scorge più in lei i lineamenti della gemella defunta.
«Cosa stai dicendo? Leonore ha addirittura lasciato un messaggio d‘addio» dice David, alludendo alla lettera in cui la defunta salutava gli amici per l’ultima volta.

Un’ora e mezza prima
Hinchinghooke Palace, sala da ballo

Sulla carta da parati mangiata dall’umidità serpeggiano le fiammelle delle candele e un gruppo di zucche sogghignano dalla penombra con le loro bocche vuote.
John si profonde ancora una volta di lodi con Rosemary per l’impeccabile scenografia.
«È così realistica che per un istante ho creduto che quel corvo fosse in procinto di spiccare il volo. Per non parlare del sangue, sembra vero».
«Sei il solito fifone» lo schernisce Evie senza cattiveria e John si ritrova a pensare che è davvero una bella donna, il tipo di persona che vorrebbe accanto a sé.
«Fossi in te non me la farei scappare» sussurra al suo orecchio Honoria con la sua voce insinuante, facendolo arrossire.
«Non capisco a cosa ti riferisci».
«Non fare l‘idiota. Sii uomo per una volta tanto nella vita. Con Leonore non mi pareva ti facessi tanti problemi» continua la donna, mentre il rossore scompare e il suo volto si fa livido, destando l’attenzione di Logan che corre in suo aiuto.
«Trova qualcun altro da tormentare».
«Gli stavo solo ricordando un particolare. Su Leonore. Era molto brava ad ottenere quello che voleva, non è vero Logan?»
«Cosa c‘entra?»
«Voi maschietti morivate per lei».
«Gelosa di una morta Honoria?»
Gelosia. Quanta gelosia, non se ne va mai.
La musica irrompe improvvisamente nella stanza facendo sobbalzare Clarissa.
«Che state aspettando? Se non ricordo male un tempo vi piaceva ballare» cinguetta Rosemary, avanzando qualche piroetta sul pavimento scricchiolante.

Un’ora prima
Hinchinghooke Palace, sala da ballo

Leonore sembra non essere mai morta. È su questo che Romina riflette.
Lei e Leonore erano state buone amiche prima della tragedia, poi, come tutti gli altri, aveva ritenuto più opportuno e facile dimenticare - relegare Leonore in un angolo della memoria, soffocarla con l’entusiasmo della vita.
Ma ora, ora sembra che Leonore sia lì con loro, che non se ne sia mai andata.
«Ti vedo preoccupata Romina».
«Rosemary, dimmi la verità» inizia guardandola dritta negli occhi - è sempre stata una persona schietta.
«Se posso».
«Sta per succedere qualcosa di brutto non è vero?»
«Lo sai mantenere un segreto?»
Romina rivede quel lampo maligno negli occhi della giovane donna e rabbrividisce. Ma cos’è che la spaventa di più? Il bagliore sanguigno dello sguardo di Rosemary o l’inquietante somiglianza di questa con la gemella?
«Lo sai mantenere un segreto?»
Leonore lo chiedeva sempre.
«Lo sai mantenere un segreto? Giuralo. Giura che non lo dirai mai a nessuno. Giuralo sulla tua vita».
«Stasera morirò».
Romina la guarda sconvolta, non vuole credere alle sue orecchie e nemmeno ai suoi occhi. No, non vuole credere - non può.
«Leonore?!»
La donna sorride, le sussurra un nome e le fa cenno di restare in silenzio prima di scomparire nell’ombra, inghiottita dall’oscurità della sua inquietante dimora.
Romina segue con lo sguardo lo strascico bianco del vestito, che balugina un istante riflettendo la luce delle candele e che poi svanisce in un angolo, dove le scale si avvitano su loro stesse, sui loro scalini sghembi e scompaiono nel buio.
Vorrebbe gridare, ma non ha voce: Romina rimane da parte, con il respiro spezzato e un segreto che la schiaccia.
Segreti, sempre segreti. E tradimenti e rancori e menzogne e poi ancora segreti.
Infine il corpo di Leonore. O il corpo di Rosemary?
Romina non sa più cosa pensare, sente le ginocchia crollare e nessuno che corra ad aiutarla.
Evie piroetta su stessa, brava e leggiadra anche se claudicante; John è pronto a sostenerla in caso di caduta. Honoria parla come se nulla fosse con Arthur e Clarissa. In un angolo Logan e Anne sorseggiano del vino. E David? L’incauto, l’irrequieto, il violento David dov’è?
Nove persone, nove amici, nove amanti, nove nemici e una sola persona che conserva i segreti di tutti: Leonore.

Mezz’ora dopo
Hinchinghooke Palace, sala da ballo

Le luci rosse e blu delle auto della polizia filtrano dalle vetrate istoriate e si riflettono sulle pareti in un inquietante gioco di ombre.
«Morta per soffocamento» sentenzia il medico legale.
All’improvviso Romina non ha dubbi su ciò che deve fare, le appare tutto così dolorosamente chiaro.
«So chi l‘ha uccisa».
Tutti gli sguardi si posano - stupiti, spaventati, curiosi - su di lei.
«David, l‘avevi capito anche tu non è vero? Non si trattava di Rosemary, ma di Leonore. È stata Leonore ad organizzare la festa. È stata Leonore, per tutti questi anni. Si è sempre trattato di lei e dei segreti che conosceva. È per questo che l‘hai uccisa, per la seconda volta?»
David impallidisce, guarda Anne; entrambi stentano a nascondere la cieca rabbia che avvelena il loro sangue e fa marcire i loro cuori: il loro animi non sono altro che putride paludi in cui annegano i ricordi.
«Di quale segreto era a conoscenza Leonore? Di quale tradimento o malefatta non avrebbe dovuto parlare, eh David?»
L’uomo impreca, la guarda con inumana ferocia e crolla in una disordinata, quasi maniacale, confessione.
«Sapeva, sapeva tutto lei. Aveva occhi e orecchie ovunque. Non c‘era cosa che le sfuggisse! Quella maledetta! Ti guardava con quel suo sguardo limpido e sembrava leggerti dentro. Dentro dannazione! Quella puttana! E ti chiedeva se sapevi tenere un segreto, ma poi ti sorrideva come se avesse spifferato tutto! Una bomba ad orologeria che poteva esplodere da un momento all‘altro e riempirti di merda dalla testa ai piedi!»
«David, per cortesia, basta».
«No Anne! Devono sapere! Non si era mai sicuri con lei, con Leonore era pericoloso anche solo respirare! Quanti di voi non avrebbero voluto ucciderla, eh? Non eravate soddisfatti quando dieci anni fa è morta, eh? Non siete migliori di me!» continua a strepitare David, mentre la polizia lo arresta.

Epilogo

Romina si stringe nel suo costoso cappotto nero per proteggersi dal freddo vento di novembre. Non c’è più il cerone sul suo volto, Halloween è finalmente passato.
Le tombe da visitare sono due ora, due i mazzi di fiori, due le candele.
«Non siete migliori di me!»
È la voce di David quella che risuona nell’aria - come un grido acuto e lacerante - e le entra dentro.
«Non siete migliori di me!»
Una verità scomoda, una verità che nessuno - lei per prima - aveva mai voluto accettare.
«Quanti di voi non avrebbero voluto ucciderla, eh?»
Una spinta, del veleno, un cuscino sulla bocca, una coltellata in pieno petto, un colpo di pistola alla testa: tanti i modi per sbarazzarsi di Leonore, tante le persone che avrebbero voluto farlo.
Alla fine tutti - lei compresa - avevano ucciso Leonore, l’avevano fatta a pezzi e avevano gettato i suoi sanguinolenti resti in quella grande discarica che è la memoria.
«Non eravate soddisfatti quando dieci anni fa è morta, eh?»
Sì, sì, sì, sì! Romina vorrebbe gridarlo al mondo, vorrebbe urlare la sua felicità nel sentirsi finalmente libera. Ma non lo fa e prima di raggiungere la sua macchina e andarsene per sempre, si limita a sussurrare qualcosa al vento.

 

«Perché due possono mantenere un segreto, solo se uno è morto». 


 
   
 
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