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Autore: MrBadGuy    01/11/2011    7 recensioni
MrB. Presenta... Una shot tratta da una storia vera.
All'inizio, pensavo che avrei scritto una drabble, ma sapete com'è, una parola tira l'altra.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Mi piacerebbe scrivere un'introduzione decente per una volta,

una di quelle che ti lasciano senza fiato...

Questa storia mi fu narrata anni fa da mia nonna Giulia,

attorno alla tavola imbandita, il giorno di Natale.

Avrei dovuto scriverla prima che lei morisse, almeno l'avrebbe potuta leggere.

Il massimo che posso fare ora è dedicargliela.

Un piccolo consiglio, lettori: le persone hanno tante cose da dirvi, ascoltatele con attenzione, perché il giorno dopo loro potrebbero non esserci più.

 

 

 

 

 

Le pentole si lamentavano rumorosamente ogni volta che si scontravano; le mani abili della ventenne dai capelli castani e gli occhi azzurri amministravano attentamente tutto ciò che accadeva sui fornelli.

Giulia era cresciuta più velocemente di quanto avrebbe mai immaginato, aveva appena ventitré ed era sposata, con due bambini. Le sarebbe piaciuto studiare e diventare un avvocato, ma tutto era andato diversamente: si era sposata a diciotto anni e aveva messo su famiglia.

I suoi familiari le davano conforto nei momenti più bui, ed era una bella sensazione, soprattutto per una ragazza orfana.

Un inaspettato toc toc alla porta la fece sobbalzare.

Spense il fuoco e si recò in salone, dove incontrò lo sguardo dubbioso di suo marito Luigi Sepe, che stringeva Franco e Tonino, le uniche ricchezze che la maggior parte delle famiglie poteva possedere, durante il periodo in cui i nazisti occupavano l'Italia.

La giovane donna si avviò verso la porta, la aprì senza chiedere nemmeno chi fosse: se le SS fossero venute per ucciderli, poco sarebbe importato chiderlo.

 

Davanti agli occhi si trovò ciò che non si sarebbe mai aspettata: tre uomini disarmati, terrorizzati.

“La prego Signora n...” Giulia ne tirò dentro uno, tirandolo per la mano, gli altri due non tardarono a raggiunge l'interno dell'abitazione. Il palazzo dove viveva la famiglia Sepe si trovava fra quello della comare Rosita e quello della sora Gina, sulla piazza di Poli, un piccolo paesino in Provincia di Roma, da cui la maggior parte degli abitanti era scappata a causa della guerra.

Nessuno ebbe bisogno di parole per capire perché quei tre uomini dai capelli ricci, dal naso pronunciato e dagli occhi scuri erano lì, Giulia comprese la situazione quando sentì le urla dei tedeschi “Finde die Juden!”.

Non aveva idea di che cosa volesse dire quella frase, eccezion fatta per una parola, Juden: ebreo.

 

Luigi raggiunse sua moglie e i tre ospiti, guidò all'interno della casa i tre uomini, la donna ritornò ai fornelli per modificare la quantità di cibo preparata.

Una volta pronto, il pranzo fu portato in tavola, apparecchiata per tre persone in più del solito.

I bambini scrutavano gli estranei con aria circospetta, ma se i loro genitori avevano permesso che si sedessero a tavola con loro, evidentemente ne erano degni.

 

L'unica rumore che condiva l'atmosfera era il tintinnare dei bicchieri e delle posate, spinte avidamente dentro le bocche dei sei affamati.

A un certo punto, le labbra di uno degli uomini ospitati, quello vestito di abiti più semplici degli altri non si aprirono per mangiare, ma per dire una frase di cortesia “Signo', io me so 'nnamorato der cibo che lei c'ha preparato. Però io non voglio magnà quello che potrebbe dà a li fii sua”, detto così, l'ebreo spinse leggermente in avanti il piatto, in direzione dei due fanciulli, poi aggiunse, “Magnate belli regazzini, io la sarsiccia manco l'ho toccata”.

“Er monno sarà pure pieno de ingiustizie, ma fino a che stamo attorno a sta tavola magnamo tutti quanti allo stesso modo”, gli occhi di Giulia si inebriarono impercettibilmente.

I tre giudei si guardarono negli occhi, gli occhi di quello che aveva parlato si gonfiarono progressivamente, fino a quando non poterono più trattenere le lacrime, che gli bagnarono le guance in un singhiozzo, tutt'altro che sommesso.

 

Italiener! In den Straßen!”, le urla giungevano ovattate nella sala da pranzo di casa Sepe, fino a quando Luigi, un omone alto quasi due metri, aprì con le mani nodose la finestra, per capire cosa stesse succedendo.

A quel punto gli strilli delle alterate guardie perforavano le orecchie dei presenti, facendosi spazio nella mente di ognuno, per poi non andarsene mai.

Nessuno mai avrebbe dimenticato la pura angoscia che quelle urla scaturivano.

La gente usciva di casa trascinata dalle S.S., dopo aver rivolto un fugace sguardo verso sua moglie, Luigi si girò verso gli ebrei: “Sbrigatevi! Salite sur terrazzo e nun fateve trovà!”.

La paura fece sì che i clandestini trovassero subito la scala che portava al terrazzo, uscirono silenziosamente e velocemente, più che mai.

 

Il sole delle tredici picchiava senza stancarsi sulla piazza principale di Poli, dove tutti i cittadini erano stati riversati in fretta e furia dalle “guardie del diavolo” come le chiama Giulia.

Wo sind die Juden?” chiedevano avvelenate le S.S. a ogni popolano, fermandocisi davanti, puntandogli la canna, per il momento fredda, nella direzione della fronte.

Nonostante nessuno del paese conoscesse la lingua parlata dagli uomini in divisa, sapevano cosa cercavano e che se avessero fatto un movimento fuori posto, gli avrebbero sparato senza timore.

Perciò, ogni volta che una guardia si avvicinava a qualcuno, questo si terrorizzava, lo sguardo delineato dal terrore che hanno conosciuto in pochi.

Mancavano due persone e poi sarebbe stata la giovane Giulia a poter guardare dentro la canna scintillante della pistola, con spaventata rassegnazione.

Quando le fu posta la domanda ormai ripetuta centinaia di volte, la ragazza scosse la testa, lasciando che le palpebre si chiudessero leggermente sugli occhi, per nascondere un guizzo di complicità, come quando il palco si chiude frettolosamente dopo uno spettacolo di magia, lasciando che tutti i trucchi e tutti gli imbrogli vengano insabbiati per sempre.

Nella frazione di secondo in cui le palpebre di Giulia erano serrate, pregò.

Pregò affinché quei brav'uomini trovassero la via.

Pregò affinché tutta quella morte, quella sofferenza, finisse di appestare le dolci colline del centro Italia, i mari limpidi del Meridione e le punte aspre del nord.

Prima o poi il male sarebbe dovuto finire per mano di qualcuno, non avrebbe mai permesso che i suoi due figli vivessero in un regime dittatoriale e violento, voleva che ognuno di loro sviluppasse delle idee libere.

 

Appena si chiuse il portone di casa alle spalle si poggiò una mano sopra al ventre, giurando alla piccola creaturina che stava crescendo al suo interno che avrebbe fatto di tutto pur di non farle mancare nulla, avrebbero organizzato una resistenza contro tutti coloro che avrebbero usato la violenza come regime politico.

   
 
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