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Autore: _Lightning_    01/11/2011    2 recensioni
"Casa" era per lui una parola ormai estranea.
Qualcosa di etereo e impalpabile che aveva perso il suo significato da due anni a quella parte.

Fan Fiction dedicata a Glaucopis :)
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Leon Scott Kennedy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ice in my Eyes
 


La neve cadeva fitta oltre la finestra illuminata dal vago chiarore del sole, schermato dalle pesanti nuvole grigie.
Leon entrò cautamente in cucina, a passi felpati, come se si sentisse un estraneo in casa propria.
Ancora quell'odore.
Così intenso che il solo respirarlo gli dava un senso di ebbrezza.
Avrebbe voluto farlo scomparire con un semplice gesto, scacciando insieme ad esso anche quel senso di nausea che lo assaliva ogni volta che metteva piede in casa.
O almeno, in quella che fingeva essere una casa.
"Casa" era per lui una parola ormai estranea.
Qualcosa di etereo e impalpabile che aveva perso il suo significato da due anni a quella parte.
Da quando si era impregnata di quell'odore malsano, che lo prendeva alla gola coi suoi vapori inebrianti, che gli ottenebravano il cervello.
Nella penombra, Leon osservò quel perfetto oggetto di vetro che catturava e rifletteva la fioca luce della finestra, con quella bevanda maledetta che sciaquava pigramente sul fondo, tentatrice.

Alcool.

Portò la bottiglia al naso, in un gesto quasi inconsapevole e i fumi acri gli punsero i polmoni, facendogliela allontanare bruscamente in un moto di disgusto.
Lo osservò controluce, quel liquido che gli uomini consideravano nettare divino ma che in realtà era un veleno che prendeva pian piano possesso della loro volontà, mettendo allo scoperto il lato oscuro e nascosto di ognuno.
Ambrosia dorata, nascosta in Whiskey di bassa qualità abbandonato su quella tavola da chissà quanto.
Una tentazione malsana che però fece il suo effetto: portò appena la bottiglia alle labbra, assaggiando quel sapore tossico e bruciante.
Tossì forte, con le lacrime agli occhi per la frustata bruciante che gli aveva sferzato lo stomaco e fissò con astio quello strumento diabolico nella sua mano tremante.
Uno stridio di gomme e uno scricchiolio di ghiaia risuonarono all'esterno e Leon si voltò verso la finestra, intravedendo una sagoma curva e sbilenca uscire dalla macchina, sbattere la portiera e arrancare sul vialetto ghiacciato, avvicinandosi alla porta d'ingresso.

Meno trenta secondi all'inferno.

Una bestemmia ruppe l'aria tersa e fredda del pomeriggio quando la sagoma scivolò sull'infida patina di ghiaccio e Leon sobbalzò, fissando atterrito la porta e la bottiglia che stringeva in mano e viceversa, divorato dall'indecisione.
Tintinnio di chiavi nella porta.
Niente panico: ci avrebbe messo molto tempo prima di aprirla, con quella sua mano traballante e la vista sdoppiata e sfocata dall'alcool.
Chiuse gli occhi, poi si girò di scatto e rovesciò la bottiglia nel lavandino, guardando quel liquido giallo dorato scomparire nel vortice oscuro dello scarico.
Un'altra bestemmia arrivò alle sue orecchie, più forte: la toppa doveva essersi ghiacciata e Leon ringraziò la sua buona stella, che aveva improvvisamente deciso di accendersi dopo due anni di buio e silenzio.
Preso da uno strano senso di euforia, corse verso l'armadietto della cucina e lo spalancò, fissando con occhi colmi d'odio gli scaffali di bottiglie allineate sull'attenti, pronte a compiere il loro dovere.
Ne prese un paio e anche esse si riversarono nelle fogne, mentre all'esterno iniziava ad arrivare la voce strascicata e impastata di un uomo:

-Leon! Apri questa cazzo di porta!-

"No. Non ancora." pensò determinato il ragazzo, mentre svuotava bottiglie su bottiglie nel lavandino, preso da una frenesia disperata ma allo stesso tempo perfettamente controllata.

Un tonfo contro la porta, forte da far tremare gli stipiti.
Che la sfondasse pure: l'ultimo litro di veleno era andato a nutrire i topi.
Leon si fermò, improvvisamente svuotato della sua furia, fissando quell'ultima bottiglia nella sua mano come se fosse l'arma del delitto e la sua condanna a morte.

"Nascondere le traccie." pensò debolmente, mentre la porta cedeva di schianto e una ventata gelida spazzava la cucina, facendolo rabbrividire.

Non era solo il gelo a scuoterlo di brividi dalla testa ai piedi; la bottiglia gli sfuggì di mano e si ruppe con un fracasso di vetro infranto, mentre grosse scheggie si disseminavano sul pavimento chiaro, a formare un mosaico cangiante.
Un'ombra si stagliò sulla soglia e la luce si accese all'improvviso, rendendolo quasi cieco.

-Cosa stai...- cominciò, come sforzandosi per tirar fuori le parole dal suo corpo ormai trasformato in una spugna.

I suoi occhi caddero dapprima sulla miriade di cocci sparsi a terra, poi sulla pila di bottiglie accatastate alla rinfusa sul lavello e infine su suo figlio, in piedi di fronte alla scena del delitto, con una luce ribelle che gli brillava negli occhi.
Leon si era aspettato uno scoppio d'urla, l'ennesima bestemmia, un pugno sul tavolo, ma non ebbe neanche il tempo di realizzare quel che stava accadendo che si ritrovò stretto nella presa del padre, che l'aveva afferrato con violenza per i capelli e che ora lo teneva ben stretto, quasi sollevato da terra.

Una zaffata d'alcool gli colpì il naso, mentre le urla tanto attese gli perforavano i timpani, rintronandoloa tal punto che capiva la metà degli insulti che gli grandinavano addosso mentre si divincolava.
Si sentì scagliare da parte, sbattè la schiena contro la credenza e sentì un dolore allucinande percorrerlo da capo a piedi mentre scivolava dolorosamente sui vetri aguzzi sparsi sul pavimento, ferendosi in più punti.
Sentiva suo padre urlare ancora e ancora, mentre stringeva i pugni, incurante del dolore che gli provocavano i vetri conficcati nei palmi, incurante del sapore ferrigno del sangue in bocca e dei capogiri che facevano vorticare vertiginosamente la stanza intorno a lui.
Spinto da un improvviso istinto, scattò in piedi, frastornato, vedendo la figura imponente di suo padre che ancora inveiva contro di lui.
Barcollò appena, poi si scagliò a testa bassa verso la porta sul retro, spalancandola e sentendo il freddo pungente e purificatore bruciargli addosso e spezzargli il respiro nei polmoni.

Il nevischio gli sferzava la faccia, mentre correva non sapeva dove, affondando nella neve fino alle ginocchia e sentendo i pantaloni che si fradiciavano e diventavano rigidi e pesanti, impedendolo nei movimenti.

Nessun suono dietro di lui, né davanti.

Silenzio, rotto dal cupo gracchiare dei corvi di tanto in tanto e dal suo respiro ansimante che scompariva in nuvolette nell'aria gelida.
Rallentò il passo, rendendosi conto di non essere seguito e chiedendosi se fosse un bene o un male.
La strada era deserta, ghiacciata anch'essa e persa in quel silenzio opprimente, ma allo stesso tempo rassicurante.
Il gelo gli intorpidiva i muscoli, annebbiandogli anche la vista e scagliando stilettate di dolore sul labbro spaccato e sulle mani martoriate e ferite dai vetri, che si stavano congelando nella sua pelle facendolo quasi piangere di dolore.
Affondò improvvisamente nella neve fino alla vita e fece un tale sforzo per uscire da quella specie di voragine da non avere più la forza di rialzarsi.
Il suo respiro rotto scioglieva appena la neve attorno alla sua bocca, ma quando provò a soffiare sulle mani per riscaldarle sentì solo una violenta scossa di dolore, mentre si rendeva conto di non riuscire più a piegare le dita e di non avere più la percezione delle gambe, intrappolate nei jeans che sembravano diventati tubi di cemento.

Emise un singhiozzo soffocato, mentre si mordeva le labbra già ferite per non scoppiare in lacrime.
Non doveva piangere: quella sensazione di gelo era, in fondo, così piacevole e allettante... 
La sua mente cominciò a sconnettersi dal corpo, brancolando attraverso vaghi e intricati pensieri che non riuscivano ad avere un filo logico.
Sapeva solo che quella neve, anche se così fredda e dolorosa sulla sua pelle, era anche affascinante e incredibilmente bella.
La strinse appena nel palmo dolorante, tingendola di rosso cremisi.
Poteva essere soffice e fragile, come un fiocco di neve, ma anche trasformarsi un una lastra impenetrabile e perfetta.

E assumeva il colore di ciò che la toccava.

Avrebbe voluto assomigliarle, così da non dover più soffrire: rinchiudersi in un guscio di ghiaccio per non essere più ferito, ma anche poter raccogliere il calore di qualcuno, tingersi del colore di chi teneva a lui.
Socchiuse gli occhi, sentendo un velo che gli appannava la vista e le lacrime che si congelavano appena iniziavano a scendere sulle guance, impedendogli di piangere veramente.
Sorrise al pensiero, tirando le labbra spaccate: non stava ancora piangendo.

Forse poteva ancora sperare nella neve.

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-Assideramento.-

-Per quanto tempo è stato fuori, con un tempaccio simile?-

-Più o meno mezz'ora, ma abbastanza da rischiare di morire assiderato.-

-Hanno rintracciato i genitori?-

-Sembra che sia il figlio di Kennedy.-

Un barlume di coscienza.

-Kennedy? L'ubriacone?-

-Proprio lui. Non mi stupisco proprio che sia scappato di casa.-

Una scossa di dolore.
Un lamento:

-Neve...-

Il medico e l'infermiera si girarono all'unisono verso di lui, attirati da quel rauco gracchiare che era diventato la voce di Leon.
Il dottore si affrettò a calzare lo stetoscopio e ad avvicinarsi al ragazzo, che si muoveva debolmente nel letto cercando di far funzionare i muscoli intorpiditi.
Il blaterare dell'uomo a proposito del pericolo scampato e delle ferite che aveva riportato gli giunse sfocato e distante, mentre aveva ancora un'impressione di gelo sulla pelle, che piano piano sfumò in una gradevole sensazione di calore.
Vedendo che seguiva a malapena i loro discorsi e che aveva un'espressione vacua, si decisero a lasciarlo da solo, con la promessa di tornare a breve per visitarlo nuovamente.

Leon non se ne curò, sprofondando la testa nel cuscino.
Fuori dalla finestra, la nevicata era diventata una tormenta e si chiese come avesse fatto a sopravvivere a una simile furia.
La sua buona stella era ancora accesa, a quanto pareva.

La neve turbinava in violente raffiche aldilà del vetro, nel cielo che era diventato una lastra scura e quasi invisibile oltre quel velo bianco.
I suoi occhi si persero nel buio, oltrepassando il suo riflesso appena visibile sul vetro lucido, che ricambiava il suo sguardo con fredda impassibilità.
La sua sagoma si sovrapponeva alla neve, che continuava ad attaccare senza sosta la finestra come se volesse scivolare dentro la stanza per ricoprirlo un'altra volta, per sempre.

Due occhi azzurro ghiaccio ricambiarono ancora il suo sguardo.

Strinse appena i pugni.

La neve si era sciolta intorno a lui, ma non nei suoi occhi.

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Nota Dell'Autrice:

Uh. Ce l'ho fatta ò_o'' *Megamind mode:on*
Leon è... spossante D: Uno dei personaggi più ostici che abbia mai affrontato, ma sono contenta di essere finalmente riuscita a scrivere qualcosa su di lui OwO
Cara Glaucopis, meno male che doveva essere una drabble... spero ti piaccia lo stesso e che non abbia stravolto troppo il tuo Leon D: <3
Ringrazio chiunque leggerà o recensirà :D E ovviamente un grazie enorme alla mia Beta, _ Shadow _ OwO <--Questa è la "Faccetta-Beta" u.u

-Light-
 
 
 
 
P.S. Leon ha all'incirca 12 anni ^^
   
 
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