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Autore: _Syn    02/11/2011    0 recensioni
Leo/Elliot
Perché quando Elliot rideva, tutti i fantasmi, veri o fittizi che fossero, sparivano. La solitudine abbandonava quei luoghi ed entrambi potevano crearsi quell'angolo di felicità e spensieratezza.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Elliot Nightray
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questo è il seguito de "La triste storia del fantasma folle e idiota". Spero vi piaccia <3

Alexiel.

Il punto


I fantasmi, a Latowidge, non c'erano e non ci sarebbero mai stati, checché ne dicesse quel manipolo di studentelli frivoli e dediti ad attività tra cui sicuramente non figurava lo studio di materie e argomenti retti da logica e buonsenso.

I fantasmi, a Latowidge come nel resto del mondo, erano pura e semplice fantasia. Anche quelli idioti e folli.

Chiarito questo punto, Elliot Nightray sbuffò irritato, come se la sola eco lontana delle risatine dei ragazzi del suo corso di letteratura inglese e quella degli schiamazzi mezzi spaventati e mezzi giulivi delle ragazze fossero un suono così fastidioso da turbare la sua quiete. Anche in biblioteca, il luogo più sacro e silenzioso di quel posto, era possibile che Elliot perdesse la pazienza e desse di matto per qualcosa di flebile come un'eco.

Lo sbuffo si trasformò in un sospiro sconsolato mentre allentava il nodo della cravatta e stendeva le gambe fasciate dal pantalone bianco della divisa sotto il tavolo; si lasciò scivolare sulla sedia e, di nuovo influenzato da un pensiero stupido come l'idea che qualcuno potesse vederlo in quella posizione poco ordinata e conveniente a un ragazzo del suo rango, si guardò intorno per assicurarsi di essere solo. Poi si tranquillizzò: certo che sì. Le lezioni erano terminate, era bel tempo ed era sabato. Tendendo le orecchie poteva quasi sentire l'eco del silenzio provenire dai corridoi deserti della scuola e rabbrividì per un attimo. Premurandosi di mandarsi al diavolo da solo, Elliot si rilassò come meglio poté sulla sedia e aprì il suo libro.

Era stato Leo a consigliarglielo la sera prima, dicendogli che l'avrebbe certamente trovato interessante, soprattutto se l'avesse letto dopo le lezioni; inutile indagare sulle motivazioni che l'avevano indotto a consigliarlo proprio in quella maniera, non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.

Accarezzò le pagine con le dita e cominciò a scorrere l'indice:

Capitolo I: La malinconia del fantasma

Capitolo II: Sussurri spettrali

Capitolo III: La maledizione del fantasma

E cosi via.

Elliot aggrottò la fronte e strinse gli occhi a due fessure.

Fantasmi. Quei cosi incorporei che non esistono e di cui avrebbe sentito parlare per molte notti e molti giorni reprimendo a fatica l'istinto di uccidere qualcuno e dimostrargli, in fretta e con la semplice praticità della sua spada, che i fantasmi non esistono. E che se fossero esistiti lui si sarebbe premurato di farli a fettine e poi di polverizzarli in maniera così fine che nessuno avrebbe mai potuto ricomporli, fosse anche un essere divino e soprannaturale, perché una cosa era ammazzare qualcuno per scempio alla logica e alla ragione, un'altra ammazzare la prova che in fondo la ragione – la sua, in particolare – non fosse poi così infallibile. E no, a Elliot non piaceva perdere la facoltà di avere ragione.

“Il libro è di tuo gusto?”

Una voce seria e pacata alle sue spalle e una sensazione di solletico al viso.

Il mento di Leo era finito chissà come sulla sua spalla e i suoi occhi, nascosti dagli spessi occhiali, erano pieni di una soddisfazione così evidente alla mente di Elliot che erano quasi perversi. I capelli lunghi e neri provocavano il solletico alla guancia e al naso, ma represse anche lo stimolo dello starnuto e si voltò di scatto.

“LEO!” urlò Elliot, un po' per la sorpresa e un po' per la rabbia trattenuta a stento. Si grattò il naso per far sparire anche quel senso di fastidio e Leo lo trovò buffo, ma fu abbastanza saggio da tenersi quel pensiero per sé.

“Ho sempre pensato che la tua capacità di sdrammatizzare e passare sopra le cose non avesse seguito lo stesso sviluppo del tuo senso critico.” spiegò tranquillamente il ragazzo.

Elliot boccheggiò, alla ricerca delle parole giuste, e lanciò uno sguardo di furia prima al libro ora abbandonato sul tavolo e poi all'artefice di tutto.

“SDRAMMATIZZARE E PASSARE SOPRA?! NON PARLARMI DI PASSARE SOPRA!” alla fine decise di citare la parte del discorso che gli era sembrata più assurda. Non si poteva passare sopra a una cosa del genere. I fantasmi! Per favore. Se avesse visto un'altra ragazza guardare dentro uno sgabuzzino segni di catene trascinate o di occhi scuri e profondi come pozzi infernali avrebbe dato di matto. Non ce la faceva, era più forte di lui. Là fuori c'erano cose ben più spaventose di esserini inesistenti e lui lo sapeva. Non sapeva cosa fossero con precisione, ma di certo avrebbe provocato ben più di risolini impauriti. Loro probabilmente non ne avevano idea – perché mai qualcuno dovrebbe pensare che fuori dalla porta di casa propria si nasconde un male così immensamente grande da poterlo inghiottire in un istante? – ma non poteva giustificarli per la loro mancanza di conoscenza e di consapevolezza se la compensavano con stupidità e superficialità.

E, tra le altre cose, proprio Leo, LEO, veniva a rimproverarlo di una cosa del genere. La settimana scorsa l'aveva mandato a gambe all'aria con una cuscinata – ringraziando il cielo si trattava di un cuscino, appunto, e non di qualcosa di più pericoloso e pesante – perché aveva tirato via – per sbaglio – dal suo libro il segnalibro. Ma era stato un caso: Elliot pensava che il segnalibro fosse la sua pagina di appunti di Storia. Ed era buio. Ma guarda un po', i capelli di Leo si erano trasformati in una massa di serpenti e i suoi occhi avevano brillato minacciosi dietro le lenti, illuminate sinistramente dalla poca luce nella stanza, e poi una cuscinata gli aveva fatto fare una capriola all'indietro sul letto e mandato di sedere per terra. Anzi, non per terra, ma sui suoi veri appunti di storia.

“Io mi preoccupo di non passare sopra a fatti concreti e personali. Tu scateni l'inferno per faccende frivole e che non ti riguardano.” continuò a spiegare Leo.

Era ancora tranquillo, come se volesse davvero che Elliot lo ascoltasse. In breve: non stava cercando di scaraventarlo, per esempio, contro uno scaffale pieno di libri.

Elliot, a volte, preferiva quegli episodi violenti alle ramanzine pacate e istruttive che Leo gli propinava. Accidenti a lui. Accidenti a lui e al fatto che alla fine lo stava pure a sentire. E più lo stava a sentire, più si sentiva, stranamente, meglio.

“Frivole...” commentò acido.

Si sedette di nuovo sulla sedia e poggiò un gomito sul bracciolo imbottito della stessa. Con la mano si sosteneva il mento e guardava l'amico, l'espressione corrucciata e lo sguardo pieno di pensieri e riflessioni.

“Passeranno, e il mese prossimo tutti avranno dimenticato i fantasmi. Lasciali divertire.”

Vivi e lascia vivere. Elliot aveva afferrato, ma proprio non gli riusciva di mettere in pratica il concetto. Per questo c'era Leo vicino a lui, con lui, per lui. Anche in momenti come quello, quando per insegnargli a vivere in maniera un po' più sana sia per lui che per il resto del mondo, finiva per farlo procurandogli un grosso mal di testa e facendo passare tutto per una grande presa in giro. Un libro di fantasmi. Sul serio!

Non sapeva se fosse diabolico o se semplicemente gli venisse spontaneo. Probabilmente era qualcosa a metà delle due possibilità.

“Per esempio?”

“Scusa?”

“A che cosa ricorreranno la prossima volta per dimostrare la loro idiozia?”

Leo scrollò le spalle e sospirò. Elliot non sospirava così, come faceva Leo. Lui sembrava infinitamente più leggero, come se si scrollasse dalle spalle polvere di stelle. Eppure, al tempo stesso, sembrava immensamente solo e isolato mentre quella polvere ricadeva nel vuoto, e spariva sotto i suoi piedi. A quel punto sentiva dentro di sé il desiderio di poggiare le mani sulle spalle dell'amico e smuoverlo, scuoterlo, fino a renderlo più vicino. Eppure lui era lì e non lo faceva mai sentire solo; era questo che Elliot detestava. Perché in sua compagnia non si sentiva mai solo? E perché, stando con lui, aveva l'impressione di Leo fosse circondato di solitudine? A volte pensava che non fosse di quel mondo, ma era di sicuro la persona che meglio di tutte riusciva a trattenerlo con i piedi per terra proprio lì, in quello stesso mondo. Allora non era più importante chi fosse o chi non fosse: se gli fosse importato non l'avrebbe di certo scelto per diventare suo servo e amico.

Abbassò lo sguardo e con la mano coprì le labbra. Con Leo raggiungeva chiarezza e confusione al tempo stesso. Era come guardare un cielo pieno di nuvole: Elliot sapeva bene che dietro le nuvole c'era l'azzurro, ma qualcosa, come un'interferenza, uno strano solletico alla ragione, gli insinuava il dubbio. E se invece non fosse così? Ma poi, per esempio quando riapriva gli occhi dopo un incubo, Leo era lì, con lui, e lo riportava alla realtà. Il cielo doveva esistere per forza, era solo la ragione, così limitata e umana, a incontrare l'ostacolo. A volte gli esseri umani sono così stupidi da non sapere che le cose importanti bisogne trovarle oltre quel muro spesso, che trovava radici nella logica e nel pensiero corretto. Profondamente e intimamente, Elliot conservava convinzioni che superavano anche il cielo; e anche dubbi e paure. Ma era così che funzionava, lui poteva solo combattere, senza mai arrendersi. Di quello era sicuro.

Rabbrividì. Era, però, anche quello che dimenticava più spesso. Trattenne un sorriso, perché qualcosa gli diceva che quello non era il momento adatto per farlo, e lasciò che quell'insegnamento – che in realtà conosceva già – gli scorresse dentro.

Intanto, Leo si era inginocchiato di fronte a lui e lo stava guardando. Attraverso le lenti spesse riusciva a vedere a malapena i suoi occhi; ma quelli erano lì, lo fissavano con un'insistenza che sapeva di cura, affetto e dedizione. Qualche volta arrossiva, ma gli riusciva difficile abbassare o spostare lo sguardo, perché magari, una volta o l'altra, avrebbe scorto davvero un cielo blu oltre le nuvole e la sicurezza sarebbe tornata.

“Smettila con i pensieri frivoli.” lo rimproverò Leo, una mano poggiata a quella che lui teneva abbandonata su una gamba. “O finirai per somigliare a un idiota.”

“COSA?!”

“No, hai ragione. Lo sei già.”

Una vena pulsò minacciosamente all'altezza delle tempie – entrambe, non gliene bastava una sola.

Nella furia di alzarsi e dare inizio all'ennesimo scontro, Elliot fece cadere sul pavimento il libro di fantasmi e quello si aprì a una pagina a caso che, solitaria spettatrice, annunciava silenziosamente e ostinatamente le prime parole del primo capitolo:

Elliot credeva fermamente nell'esistenza dei fantasmi.

Era troppo impegnato a urlare, incassare colpi e vivere per rendersi conto di quell'ennesima, sottile presa in giro. Ma il punto di tutta quella movimentata e premeditata situazione stava solo nella risata repressa a fatica dall'orgoglio (come poteva scoppiare a ridere in un momento simile, sarebbe stato assurdo! Però...) che spingeva per fuoriuscire dalla gola di Elliot. Il punto era solo quello. Perché quando Elliot rideva, tutti i fantasmi, veri o fittizi che fossero, sparivano. La solitudine abbandonava quei luoghi ed entrambi potevano crearsi quell'angolo di felicità e spensieratezza.

Leo credeva fermamente nella risata e nel sorriso di Elliot Nightray.






Note finali: I do believe in Elliot's smile, I do, I do (cit).

Seriamente, citazioni bellissime a parte, il sorriso di Elliot è una delle cose più belle in assoluto di quel manga. A me viene il magone solo a pensarci çAç.





  
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