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Autore: V e r m o u t h    03/11/2011    2 recensioni
Mentre il pettine scorre tra i suoi capelli morbidi e castani ripenso a Roderich. A quel suo sorriso. C’era qualcosa di diverso in lui, oggi. Dalla sua freddezza ne uscì un barlume di pallida luce.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Austria and Ungary’s
Christmas

 
 
 

[Roderich]
 
Nel giardino della villa la neve ricopriva qualsiasi cosa. Uno strato soffice e candido, come nuvole di zucchero filato. Il cielo era sereno, una giornata splendida.  Seduto sullo sgabello del mio pianoforte guardo verso la grande finestra che da sul giardino, incorniciata da lunghe tende setose. La neve illuminata dal sole accecava lo sguardo tanto era abbagliante. Sospirai, mettendomi a posto gli occhiali con la punta dell’indice.
Poi la chiamai.
«Elizabeta!»
Lei spuntò fuori dalla porta, facendo capolino con la testa. Sempre, aveva sempre quell’espressione impaurita e imbarazzata quando la chiamavo. Entrò silenziosa, con il suo solito vestito da domestica. Più volte le chiesi di cambiarlo, era mia moglie, non la mia schiava. Lei rifiutava, con quel suo broncio da bambina. Da sotto la sua gonna lunga apparve il piccolo Veneziano.
«Prendi lo scricciolo e mettetevi qualcosa di pesante addosso. È la vigilia di Natale, non ha senso lavorare.»
«E dove andiamo... signore?»
«In giardino... Coraggio, muovetevi.»
Mi guardò ancora perplessa con quei suoi occhi grandi color abete.
Uscimmo assieme dal grande portone, la neve sotto le scarpe era morbida e fresca. Subito Elizabeta corse seguita dal piccoletto e cominciarono a costruire un pupazzo di neve. Ridevano, erano felici; a Natale non bisogna essere tristi.
Io li guardavo da lontano e mi sembravano un quadro splendido.
Ancora penso a quando mi sono dovuto sposare con Elizabeta. Qualcosa da allora è cambiato... qualcosa è scattato. Col tempo l’ho conosciuta e ho imparato a... No, non lo so nemmeno io. L’unica cosa chiara è la sensazione di felicità che provo quando entra nella sala grande, dove suono il pianoforte, adoro quando mi ascolta. La sua presenza non mi opprime... non mi agita.
«Signore, venga anche lei! Non stia lì come un ghiacciolo!»
Risposi con un sorriso, scuotendo il capo. Elizabeta fece spallucce.
Era bella.
Sì, bella.
Prima non avrei mai pensato cose del genere. Cose che, d’altronde, non le ho ancora detto. Il suo atteggiamento così remissivo mi blocca...
Qualcosa mi tira il cappotto.
«Che c’è, scricciolo? Sì, sì va bene, vengo...»
Mi mostrò il pupazzo di neve che avevano appena fatto. Mi venne istintivamente da sorridere.
«Ti somiglia!» mi disse ridendo Elizabeta.
Ah, uffa.
Sto arrossendo d’imbarazzo, lo so.
Stemmo a giocare nel giardino tutto il pomeriggio, finché, verso le cinque, non fece buio. Lasciai che Elizabeta e il piccolo Veneziano tornassero nelle proprie stanze a riscaldarsi, mentre io mi limitai a sedermi sulla poltrona accanto al camino della sala. Il fuoco scoppiettava. Le fiamme così sinuose mi ipnotizzarono, mi scaldarono anche il cuore. Decisi che qualcosa doveva cambiare, quella notte magica. Andai al pianoforte e presi degli spartiti vuoti. Stetti dei minuti a guardarli, dopodiché cominciai con le prime note.
 
 
[Elizabeta]
 
«Ahah! Ehi, stai un po’ fermo... non riesco a pettinarti!»
Il piccolo Veneziano si agitava allegramente tra le mie gambe incrociate, sul letto. Mentre il pettine scorre tra i suoi capelli morbidi e castani ripenso a Roderich. A quel suo sorriso. C’era qualcosa di diverso in lui, oggi. Dalla sua freddezza ne uscì un barlume di pallida luce. All’inizio credevo che sarebbe stato difficile, per me e per lui, accettarci l’un l’altro, come compagni. Il matrimonio ci aveva legato solo politicamente. Non avrei mai pensato che qualcosa sarebbe cambiato, tra noi, così diversi, così distanti e riservati. Mi ha addirittura proibito di preparare la cena stasera, che ci avrebbe pensato un'altra domestica della villa. Può una persona cambiare in così poco tempo? Ah, forse perché è Natale. È solo un atteggiamento passeggero. Già, passeggero.
 
 
Roderich non è venuto a cena. Non è da lui. I suoi modi ordinati e pignoli non gli avrebbero permesso di mutare la routine: alle otto in punto la cena, non si discute. La domestica ci disse che potevamo cenare e che lui non sarebbe venuto. Ecco, quello che dicevo prima, appunto. Solo un atteggiamento passeggero. Magari ha visto della tenerezza nei miei occhi, una punta di tenerezza di troppo, troppo fuori dagli schemi, per lui. Per troncarla non si è voluto presentare alla cena di Natale.
Perché?
Mi sento come presa in giro. È mio marito, dopotutto, non può passare il Natale per conto proprio. Nemmeno il piccolo Veneziano è felice, mangia silenzioso, lentamente. Gli occhi erano gonfi, pronti a scoppiare in lacrime in qualsiasi momento.
«Dai, piccolo non preoccuparti. Il padrone avrà delle faccende importanti da sbrigare...»
Sembrò funzionare, come bugia. Il piccolo riprese un colorito vivace.
«Davvero? Non è arrabbiato con noi, vero Eliza-san?»
«Ma certo che no...» cercai in tutti i modi di sorridere, riuscendoci a malapena.
Dopo cena portai il piccolo a dormire, era stanco, non si reggeva in piedi. Un po’ di sonno e si sarebbe dimenticato anche gli spiacevoli pensieri che l’avevano sfiorato poco prima.
A Natale bisogna essere felici.
A Natale bisogna essere felici...
A Natale bisogna essere...
Il groppo alla gola diventò più forte, ma feci in tempo a placarlo, deglutendo più volte. Non potevo continuare così. Dovevo dirglielo. Adesso.
Scesi le scale di fretta e furia, dirigendomi alla sala grande. Lui era lì. Me lo sentivo. Non poteva non essere da un'altra parte.
Aprii il portone senza nemmeno bussare. Lo trovai, in piedi, di fianco al pianoforte, girato di schiena. Quando sentì la porta aprirsi con impeto si spaventò, girandosi di scatto.
«Eliza...»
Questa volta ero seria e lui se ne accorse, guardandomi con dispiacere. Uno sguardo che mi infastidì ancora di più.
«Perché non eri a cena?»
Abbassò la testa, una mano nascosta dietro la schiena sfiorava dei fogli appoggiati sul pianoforte a coda. Non rispose.
«Hai rinunciato alla cena di Natale, un’occasione per stare felicemente tutti assieme, come una famiglia felice, abbracciata dal calore della festività e tu... suonavi il pianoforte?»
«Eliza, aspetta...»
«Cosa c’è, Roderich?»
Mi guardò sbigottito.
Anche io mi bloccai.
Non l’avevo mai chiamato per nome, anzi, mi ero appena resa conto che gli stavo anche dando del tu. Forse perché sentivo questo disagio come un problema personale con lui. Nessuna formalità, nessuna parola nobile che potesse creare una barriera attorno alle mie vere intenzioni.
«Avvicinati, io... voglio darti una cosa.»
Ubbidii. Cominciai a pensare che le intenzioni di Roderich fossero innocenti, d’altronde come il suo carattere.
Prese i fogli che teneva sul pianoforte e me li porse, le mani gli tremavano.
«È Natale e io non avevo pensato che sarebbe stato... carino, regalarti qualcosa. Non avevo nulla da donarti e così... ho pensato di creartelo io. Credo che abbiamo iniziato col piede sbagliato, fin dal nostro matrimonio. Pensavo che sarebbe dovuto cambiare qualcosa. Insomma, sei mia moglie da tempo ormai, e la convivenza mi è diventata cara, tanto quanto lo sei diventata tu. Desidero che tu diventi una compagna non solo politicamente... ma in un altro senso, capisci? Ho aspettato a lungo e il mio approccio non è stato dei migliori, soprattutto oggi. Ma se avessi partecipato alla cena non sarei riuscito a finire questo... Ecco, spero che ti piaccia... vuoi... vuoi che te lo suoni?»
Fu un istante.
Un istante fulmineo, quasi impercettibile.
Il mio corpo si mosse da solo.
Le mie braccia gli avevano avvolto il collo e le mie labbra avevano cercato le sue, trovandole. Stetti così per dei secondi, con l’assillante terrore che mi spingesse via. Ma non fu così. Sentii le sue mani avvolgere il mio corpo, avvicinandolo a se, stringendolo così forte che quasi perse l’equilibrio, andando contro il pianoforte. Non ci fece caso e continuò a baciarmi con foga le labbra e il collo.
Un attimo dopo i vestiti erano sparsi sul pavimento e con loro gli spartiti.
Le nostre anime avevano tessuto un filo rosso e sottile. L’amore era esploso e aveva un nome. Tra i nostri gemiti vi erano due parole impresse nella mia mente, le parole del brano che Roderich aveva composto per me quella sera, che gli aveva dettato il cuore:
 
 

"Für Eliza"

 
 






Note dell’autrice:

Ecco, dunque, è un periodo in cui mi sono invaghita del personaggio di Austria. Lo trovo interessante e allo stesso tempo intrigante: mi consente di giocare con la sua insicurezza e riservatezza, cercando di scorgervi qualche tenerezza in lui nascosta (gioco di ezza ezza ezza ezza xD), qualche sentimento d’amore per la dolce Ungheria, tanto buona e paziente col marito. Com’è che si dice: “Si impara ad amare amando”. Direi che potrebbe essere questa la frase nascosta della storia...

  
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