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Autore: Lili_Chan    03/11/2011    1 recensioni
#POV: Arthur.
Arthur lavora per un giornale.
Francis fa l'artista.
Non si conoscono ma le loro vite sono collegate da un filo invisibile.
-Fanfiction a capitoli incentrata sulla FrUK ma con presenza di varie coppie. Il rating potrebbe mutare /muterà/ durante la storia.-
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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.Nightmare.




« Noooo!  »
Si svegliò di scatto, urlando quella parola con tutto il fiato che aveva in gola.
Seduto sul letto ansimava, stringendo il bordo della coperta tra le bianche mani sudate.
Il sogno da cui era appena sfuggito continuava a mostrarsi nella sua testa.
Sempre quelle solite immagini nere di morte che si seguivano come in una vecchia pellicola.

Quel corpo sconosciuto disteso sul pavimento.
Gli occhi azzurri sbarrati che lo fissavano ancora con terrore.
Le sue mani pallide coperte di sangue caldo.

“Non può succedere davvero.
Era solo un sogno, solo e solamente un sogno. “

Continuava a ripeterselo tra se e se come un infantile filastrocca, dandosi dello stupido per aver pensato anche solo per un misero attimo che quelle scene di inumana follia potessero avverarsi.

Scuotendo con decisione il capo si convinse ad abbandonare il letto, iniziando con falsa decisione la giornata con la speranza di dimenticare ciò che la sua mente aveva autonomamente elaborato nella notte.

Dopo un quarto d’ora però ancora si aggirava per la casa con una faccia stravolta, quel maledetto incubo gli aveva già rovinato tutto, non sarebbe riuscito a farci nulla.
Rassegnato si avviò strascinando i piedi verso la cucina, preparando con fin troppa calma la colazione, magari con quella qualcosa sarebbe cambiato, anche se ne dubitava.
Intanto che l’acqua per il tè stava a bollire sul fuoco lui continuava a muoversi come un fantasma tra le varie stanze, recuperando prima i vestiti, poi le scarpe, poi la borsa, dimenticando sempre qualcosa di importante.

Mezz’ora dopo la situazione si poteva dire migliorata, non era più in pigiama, aveva riempito lo stomaco con il tè caldo e un paio di biscotti presi al volo da un armadietto scolorito della semplice cucina ed era quindi pronto ad uscire nella sua fredda, amata Londra.

Ovviamente aveva accuratamente evitato lo specchio per tutto il tempo, conscio di avere sotto gli occhi delle occhiaie tremende che gli avrebbero probabilmente donato battutine idiote da parte dei suoi altrettanto idioti colleghi una volta che li avrebbe sfortunatamente incontrati.

Il rumore dei passi nelle piccole pozzanghere sul marciapiede era solitamente per lui molto rilassante, ma nemmeno quello era riuscito a fargli passar di mente quel maledetto sogno, e invano aveva tentato anche con la musica sparata nelle orecchie mentre la metro sovraffollata lo portava al lavoro, forse l’unica cosa che avrebbe avuto un effetto in qualche modo benefico sarebbero state le idiozie e i problemi che caratterizzavano ogni giorno nell’ufficio, ci sperava.

Quando la metro fermò un mare di gente diversa ne uscì, uomini e donne spingendo una contro l’altra per scappare il prima possibile dal tunnel si scontravano lungo le scale, nessuno prestava attenzione al suo vicino e lo stesso faceva Arthur, ancora troppo coinvolto dal suo principale problema della mattinata.
Continuando però a guardare verso i suoi piedi, prestando giusto quell’attenzione necessaria a non cadere, non notò una faccia che si distingueva nella grigia folla londinese,

un viso diverso, contornato da capelli biondi dalla piega morbida, occhi azzurri, una bellezza particolare.

Era ormai in strada ma i suoi occhi non si erano ancora posati su quella figura affascinante che ora stava cambiando via perdendosi tra gli abitanti, lui era concentrato solo sui suoi pensieri, tanto da riuscir anche a dimenticare l’educazione che di solito caratterizzava il suo essere un gentleman, scontrando un numero considerevole di persone senza rivolgere loro scuse ne quantomeno uno sguardo.

Ai piedi dell’ufficio si risvegliò dalla catalessi che lo aveva invaso, alzò la testa per poterlo vedere completamente, si soffermò per qualche attimo in quella posizione, con gli occhi puntati sui mattoni rossi della facciata e sulle finestre con le tendine bianche, le braccia incrociate sul petto e un espressione corrucciata, sbuffò in maniera vistosa prima di tirar fuori il tintinnante mazzo di chiavi arrugginite e aprire il pesante portone del palazzo; mettendo piede nel solito androne  un senso di sicurezza lo accolse, erano anni ormai che lavorava lì dentro e per lui era diventata una seconda casa, una dimora accogliente in cui si sarebbe stati sicuramente meglio senza i colleghi rumorosi che si ritrovava e che gli pareva già di sentire, anzi, diciamo che era proprio certo che quelle urla provenissero dal loro ufficio.

Le porte del vecchio ascensore si aprirono davanti al suo volto riflettendolo sullo specchio sporco appeso alla parete, abbassando in fretta lo sguardo evitò ancora una volta di guardarsi, dando poi le spalle alla parete, rivolgendo il suo sguardo alle porte di metallo; lentamente arrivò al suo piano, facendo i soliti rumori inquietanti che indicavano ogni volta il giorno in cui quell’ascensore cadrà come un po’ più vicino; eppure fin ora non era ancora successo, non si bloccava nemmeno, per qualche strano motivo in quel palazzo vecchio di mezzo secolo tutto funzionava ancora piuttosto bene.

Aprendosi di nuovo le porte si ritrovò davanti alla scritta “4°” incisa in un cartello metallico dai bordi arrugginiti, uscì dall’ascensore, a quel punto le urla che gli era sembrato di sentire erano diventate concrete, poteva giurare di veder addirittura tremare la porta di quell’ufficio malridotto dove lavorava.

Con sguardo rassegnato si voltò verso l’ingresso, chiedendosi come ogni giorno perché non avesse ancora abbandonato quei poveri incapaci e rispondendosi sempre alla solita maniera, semplicemente perché quel lavoro gli serviva, non che si fosse affezionato anche solo ad uno di quei deficienti, sia chiaro.
   
 
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