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Autore: Celtic_spirit    04/11/2011    5 recensioni
Lo psichiatra lo osserva a lungo. “ Quindi non le dà fastidio avere un compagno di stanza?”
Gli occhi di Kenny brillano. In quei rari momenti in cui è quasi totalmente lucido il suo sguardo assume una luminosità quasi artificiale.
“ Lo trovo fantastico. Se la carta dovesse staccarsi, lui potrebbe proteggermi. Ha visto che spalle forti che ha?”
Il medico si lascia scappare un sorriso, mentre scuote il capo. Quel ragazzo è quasi simpatico ma…
“ Mi parli ancora delle persone dentro lo specchio, Kenny.”
[Stenny][AU]Stan tenta il suicidio per far smettere di parlare le voci nella sua testa. Viene rinchiuso in una casa di cura, dove conosce un malato singolare ma al contempo affascinante: il suo compagno di stanza, Kenny McCormick
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kenny McCormick, Stan Marsh
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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ASYLUM

Osserva la figura davanti a sé.

È un giovane di bell’aspetto, dai tipici tratti nordici.

I capelli biondi cadono disordinati sulla fronte pallida e minuscole efelidi ramate ornano con grazia i grandi occhi azzurri.

Carino, carino, troppo carino. I ragazzi carini sono pericolosi. Ti picchiano, se ti va bene. Oppure ti manipolano fino a farti diventare un insieme meccanico di circuiti altrimenti detto robot.

Gli fa un cenno, quando entra nella stanza, rifiutando però di alzarsi dal letto, che sembra troppo vecchio e non particolarmente pulito – pulisci quelle lenzuola, PULISCI QUELLE LENZUOLA.

Cerca di non insistere nell’osservare quel ragazzo che continua a fissarlo senza proferir voce, concentrandosi sulla stanza che gli hanno assegnato.

Non è difficile riconoscerla come la stanza di una casa di cura. Le pareti sembrano graffiate in più punti e gli specchi sono coperti da della carta da pacchi marrone tenuta in piedi da dei pezzi di nastro adesivo.

Ingiallito, probabilmente pieno di sporco, polveroso ecco, e chissà quanti aloni di colla su quel muro!

Gli occhi del biondo indugiano talvolta su quella carta da pacchi, attoniti, spaventati, troppo spalancati.

“ Kenneth.”

Borbotta infine il ragazzo dagli occhi spalancati, mentre lui sistema la valigia.

“ McCormick.”

Gli sorride, cercando di risultare carino. Poi gli risponde, porgendogli la mano. Deve sembrare normale.

Blocca i pensieri, Stan, blocca i pensieri. Non devi sembrare strambo. Certo, non devi sembrare strambo a uno rinchiuso in un manicomio che sicuramente è più strambo di te. Che diavolo hai nel cervello, Stan?

“ Io sono Stan Marsh.”

Kenneth zompetta sul letto, tendendosi per afferrare la mano del suo nuovo compagno di stanza dai capelli neri, poi chiede: “ Non hai specchi con te, vero Stan?”

Stan lo osserva per qualche secondo, perplesso, poi decide di rispondergli. Quel ragazzo – paziente, pazzo, marmocchio carino ma con gli occhi decisamente troppo fuori dalle orbite. – sembra fin troppo allarmato dalla possibilità che lui abbia con sé un normalissimo oggetto per la cura della persona. Normalissimo oggetto confiscatogli perché potenzialmente pericoloso, comunque.

“ Niente specchi, me li hanno confiscati. Hanno paura che mi ci tagli le vene.”

Sorriso. Sorriso enorme ed enormemente sincero. “ Nessuno specchio o superficie riflettente quindi?”

Stan scuote il capo, ancora non capendo – gli specchi sono belli. Molto più belli di quel nastro adesivo sporco.

“ Allora saremo al sicuro. Non potranno guardarci. Non potranno prenderci.” Gli dice l’altro con aria circospetta.

Oh, sì. Le vocine in fondo al cervello di Stan stanno gongolando. Ha trovato uno decisamente più sciroccato di lui.

 

“ Mi piace Stan, è tranquillo.” Kenny stringe tra le mani la stoffa dei pantaloni. “ Hanno detto che ha tentato di suicidarsi. Nessuno specchio, nessuna cosa di vetro, nessun oggetto in metallo, troppo pericolosi. Non potevano trovarmi un compagno migliore.”

Lo psichiatra lo osserva a lungo. “ Quindi non le dà fastidio avere un compagno di stanza?”

Gli occhi di Kenny brillano. In quei rari momenti in cui è quasi totalmente lucido il suo sguardo assume una luminosità quasi artificiale.

“ Lo trovo fantastico. Se la carta dovesse staccarsi, lui potrebbe proteggermi. Ha visto che spalle forti che ha?”

Il medico si lascia scappare un sorriso, mentre scuote il capo. Quel ragazzo è quasi simpatico ma…

“ Mi parli ancora delle persone dentro lo specchio, Kenny.”

Lo vede spingersi contro lo schienale della poltrona, lo vede alzare i piedi da terra e stringersi nel suo stesso abbraccio.

“ Sono cinque ora. Tutti orribili, tutti silenziosi. Mi guardano. Mi guardano e mi fanno capire che non hanno paura di me. Odio il fatto che non abbiano paura di me. Posso rompere il loro specchio ma loro torneranno in una finestra, o in una pozzanghera. Non possono morire. Ma io posso. Per questo si credono superiori. Loro mi fissano, dottore, mi fissano sempre. Certe volte si protendono verso di me. Per questo li ho coperti. Mi terrorizzano quando si protendono.”

Il dottore si fa serio, quasi severo. “ Li ha coperti di nuovo, Kenny? Non le avevo detto di non farlo?”

Kenny sussulta. È spaventato. Non dal dottore, lui è solo un uomo, loro due sono uguali. Ha paura di togliere quella carta marrone.

Il medico osserva la reazione di Kenneth. Non ne è contento. Sembra peggiorato.

Un’infanzia difficile, quella di Kenny McCormick. Trascorsa tra povertà e abusi. I genitori, entrambi alcolizzati, non l’hanno mai considerato se non per picchiarlo. Ha subito parecchi traumi. Spesso è stato in fin di vita, a causa dei più disparati incidenti. Poi, a quindici anni, sono comparsi i mostri nello specchio. Una sola cosa è chiara, Kenny odia se stesso a tal punto da non poter più sopportare l’idea di specchiarsi. Ma com’è successo? Perché è successo? Kenny non mostra segni di debolezze effettive. E non le nasconde neppure, sono semplicemente assenti. È un enigma. Un enigma affascinante che teme solo quelle creature che si protendono verso di lui dalle superfici che riflettono la sua immagine.

Lui e un’equipe di medici altrettanto esperti si danno da fare da due anni per curare quel ragazzo, così giovane, così spaventato, ma i risultati sembrano non arrivare.

 “ Fa niente Kenny, ci lavoreremo.”

Kenny guarda il dottore. Sembra avere pietà della sua buona fede. Sembra considerarlo un illuso con troppa speranza. “ Non se ne andranno mai.” Dichiara, prima di uscire dallo studio. Non ha guardato nemmeno una volta il pavimento di marmo. Avrebbe potuto riflettervicisi.

 

Non mi piacciono questi letti. Non mi piace questo cibo. Non mi piace il fatto che siamo costretti a uscire in giardino al freddo per fumare. Sinceramente non so nemmeno perché sono qui. Io non sono pazzo.

Questo vorrebbe dire, Stan. Invece si limita a guardarsi attorno accettando il fatto che lui è esattamente come tutti gli altri ragazzi chiusi lì dentro. L’ha detto anche a Kenny, una sera, mentre cercava di convincerlo che dalla carta da pacchi alle pareti non stavano  davvero provenendo dei ringhi sommessi. Gli ha raccontato di aver bevuto una bottiglia di vodka dopo aver ingerito tutte le medicine del suo povero nonno solo per far smettere quelle voci nella sua testa. Kenny gli ha sorriso, poi gli ha spiegato che non era normale avere più voci. Grazie, Capitan Ovvio, ne avevo proprio bisogno.

Nella sua testa c’è un continuo dialogo. Uno scambio di battute celere e quasi teatrale tra il suo vero io e… qualcun altro.

Vicino a lui il ragazzo biondo lima le sue unghie. Ne lima la superficie, opacizzandola. Teme che i mostri possano riflettersi proprio lì, sulle sue mani. Stan decide di non fargli notare che ci si possa specchiare nei suoi occhi. Non voglio vederlo mentre cerca di svuotarsi le orbite.

“ Mi piace la stoffa.” Dice Kenny d’un tratto, carezzando il divano della sala comune. “ è così morbida… rassicurante… opaca. Non trovi sia meravigliosa?” Stan carezza il divano nello stesso punto dove prima stava la mano di Kenny. “ È calda. ” è l’unica cosa che riesce a dire. È stata la mano di Kenny a scaldarla.

Qualche minuto dopo è in una vasca. Non ricorda come ci è finito. L’unica cosa sa è che stava accarezzando della tela in compagnia del suo nuovo migliore amico. Improvvisamente ha un flash di quello vecchio. Kyle. Lo ricorda piangere poco distante del suo viso, pregandolo di non morire. Lo ricorda a dieci anni, i loro giochi, tutte le risate che facevano prima che lui cominciasse a dialogare con se stesso.

Pensare a Kyle lo riporta a Wendy. Bellissima, brillante, combattiva Wendy. Non lo stupisce che lei l’abbia abbandonato. Una così non può perdere il suo tempo con un pazzo. Ma è stata davvero Wendy ad abbandonarlo? Non se lo ricorda più. Forse è stato lui a scappare dalla perfezione di una ragazza della quale non sarebbe mai stato all’altezza.

Wendy ci era d’ostacolo. L’abbiamo lasciata perché voleva trasformarci in qualcuno come lei.

Stan odia quando le voci parlano al plurale. Si sente molto come Gollum che dialoga con se stesso. Stan è Smeagol. Il nome del suo Gollum deve ancora scoprirlo.

Un infermiere lo osserva. Qui non possono lavarsi da soli. È vietato dal regolamento. Controllano sempre che non cerchino di annegarsi.  La sua pelle è grinzosa e lui si chiede come faccia Kenny a lavarsi. Insomma, tutta quell’acqua che riflette dev’essere davvero terribile per lui.

Oh, andiamo, non fare il finocchio. Perché dovrebbe importarci di Kenny che si lava?

Sorride all’infermiere. Ha la sensazione che lui sappia dello scambio di battute che sta avvenendo nella sua testa. Certo che lo sa, glielo hanno detto i dottori. Smette di sorridere. È imbarazzante lavarsi il culo con un uomo che ti guarda. Gli viene in mente la storia della saponetta e scoppia a ridere. Da solo, all’improvviso.

L’infermiere lo scruta perplesso. Tace. Non è il momento per ridere. Ha i polpastrelli davvero raggrinziti. Decide che è il momento di  insaponarsi i capelli e uscire dalla vasca. È evidente che l’infermiere comincia a chiedersi quanto tempo ancora ci vorrà – scusa se stavo pensando ai miei cazzi, sai?

Qualche altro black out. Poi è alla mensa. Vicino a lui Kenny si compiace per i bicchieri di carta opachi.

Mangiano. Non ricorda cosa. Gli sembra tutto uguale. Probabilmente c’era qualcosa di arancione. Spera non fossero carote. Lui odia le carote. O le odiava? Ora, in fondo, non le riconosce nemmeno.

Come si è ridotto così? Una volta riconosceva il mondo che gli stava attorno. Sta peggiorando forse? O sono quelle medicine che lo stordiscono?

Non ha ancora chiesto a Kenny da dove viene. Sembra scozzese. L’altro risponde Cardiff. Non è scozzese, allora. Lui risponde fieramente di essere del Colorado. Un ragazzo di colore accanto a lui borbotta qualcosa riguardo agli americani che vengono a vomitare i pazzi nei loro manicomi. Che carino. Sarcasticamente parlando, ovvio.

Kenny sorride e gli chiede perché sia lì. Lì a Londra, in una casa di cura. Risponde che sua madre era Inglese e, dopo il divorzio, l’aveva portato a Londra con sé.  A Londra aveva conosciuto Kyle e Wendy, ma questo non lo dice. Ora Kyle e Wendy non esistono più – o forse esistono molto più di lui.

“ Usciamo in giardino?” chiede Kenny una volta finita la cena. Hanno due ore prima di dover tornare in camera ma già sanno che non passeranno più di venti minuti fuori al buio.

Sono seduti su dei gradini, il culo al fresco, le sigarette accese. Alcuni inservienti li fissano dalla porta. Kenny fa loro in gestaccio, poi si volta a guardare lui.

“ Stan… vorrei fare una cosa, domattina. Mi piacerebbe che la facessi con me.”

Gli sorride, Stan, mettendogli la mano sulla spalla come avrebbe fatto con Kyle. “ Allora lo faremo insieme.”

Finita la sigaretta tornano in camera, il freddo è troppo pungente. Non hanno resistito che dieci minuti. Lanciano un ultimo sguardo al cielo grigio per poi trovarsi quasi in un secondo sotto le coperte. Entrambi stesi sul lato, si guardano. Kenny ogni tanto squadra in modo diffidente lo specchio alle spalle di Stan. Non gli piace. Non gli è mai piaciuto fin dall’inizio. Come tutti gli specchi. “ Sei un’ottima compagnia.” Sussurra Kenny. A Stan questo fa piacere. Si alza e si siede sul letto dell’altro. “ Cosa vuoi fare, domani?” gli chiede carezzandogli la schiena. Kenny afferra quella mano e la stringe tra le sue. Lo guarda negli occhi. Stan nota che i loro occhi hanno lo stesso colore. “ Voglio che ci specchiamo insieme.” Dice il ragazzo dai capelli biondi. Stan fa un sorriso sincero. Ho davvero voglia di aiutarlo.

“ Allora ci specchieremo insieme. Se ti tengo la mano non potranno prenderti.”

Kenny stringe la sua mano e sorride. “ Grazie. È la prima volta che qualcuno si comporta da amico con me.”

Anche questo fa piacere a Stan. Gli fa talmente tanto piacere che quella sera si addormenta col sorriso.

“ Stan?” Apre gli occhi, e guarda fuori dalla finestra. È solo nella stanza, Stan dev’essere già a fare colazione.

Da dietro la carta da pacchi sente graffiare. Oh, presto si vedranno, e sarà traumatico. Ma lui avrà Stan. Stan cambierà le cose giusto?

Finalmente la porta della camera si apre e gli occhi sperduti di Kenny possono ripararsi nello sguardo rassicurante di Stan. Si alza dal letto per corrergli incontro. È trafelato. Lo abbraccia. A Stan quell’abbraccio ricorda i caldi abbracci di Wendy, più che quelli amichevoli di Kyle, ma non ci fa caso.

“ Stan…” si affatica per mettere assieme le parole… è diventato più difficile di recente… tutti i suoi pensieri sono assorbiti da quell’ossessione – gli specchi – e non c’è spazio per altro. “ Toglierai tu la carta, mh?”

Vede il moro annuire rassicurante. Kenny crede che il suo affidarsi a Stan faccia sentire l’altro più sicuro, più vivo. Kenny crede di poter aiutare Stan. Lo crede tanto quanto è sicuro che Stan possa salvare lui. Inconsciamente prende la mano al suo compagno e la stringe forte.

Guarda Stan, concentrato ma sorridente, poi lo specchio coperto, poi di nuovo Stan. Sente qualcosa di umido poggiarsi sulla sua guancia. Stan l’ha baciato. Forse.

Stan è dolce, rassicurante. È come una madre. Come una fidanzata. Ma ha spalle forti e mani grandi. Può tenerlo al sicuro.

Adorazione, per un attimo, nello sguardo di Kenny.

Promette in silenzio eterna devozione a quel suo compagno di sfortune.

Poi tutto si cancella: Stan, i suoi baci, i suoi sorrisi.

Rimane solo la mano di Stan, che stacca con attenzione il nastro adesivo dalle pareti. Rimane la carta che si stacca mentre una superficie riflettente comincia ad apparire, ostile, e a svelarsi sempre di più.

La carta cade a terra con un semplice fruscio, ma nella testa di Kenny si sente un sonoro schianto.

Stringe di più la mano di Stan, gli conficca le unghie nel palmo, chiama flebilmente il suo nome.

Iniziano ad apparire. Uno, due, cinque. Poi l’immagine si fa confusa, sembrano moltiplicarsi all’inifinito. Le loro mani si protendono verso di lui. I loro occhi lo squadrano con odio. Vogliono prenderlo.
Trema violentemente. Gli scossoni del corpo di Kenny costringono Stan a stringerlo tra la braccia. Poi arrivano le lacrime. Loro sono più vicini, stanno quasi per toccarlo. Non hanno paura di Stan, non hanno paura di niente. Sono brutti… sono malvagi. Tutto ciò che vogliono è portarlo con loro. Non si fermeranno davanti a nulla. Vorrebbe bruciarli, vorrebbe distruggerli, ma non sa come fare.

Uno dei mostri appoggia le ginocchia sulla cornice per darsi lo slancio.

Stanno uscendo, è senza speranza ormai. Non vuole che trascinino con loro anche Stan.

Comincia a gridare. Vuole che se ne vadano, vuole che li lascino in pace.

Stan è spaventato, e continua a stringerlo, a sussurrargli frasi rassicuranti, a passare le mani tra i suoi capelli, ma Kenny percepisce appena quelle attenzioni, tutti i suoi sensi sono concentrati su quelle figure mostruose. I visi deturpati, come quelli dei fantasmi dei film dell’orrore, le voci acute, troppo acute, simili agli strilli delle aquile, quelle mani artigliate che si tendono, si tendono all’infinito e, più lui si allontana, più si tendono. È orribile. È pericoloso… Deve coprirle, deve coprirle adesso.

Ma come può avvicinarsi a un tanto mostruoso gruppo di cacciatori, la cui preda è solo e unicamente lui?

Sente che sta per perdere i sensi. In quel momento crede di star per fare un infarto. Non controlla il terrore e chiude gli occhi, accasciandosi come morto tra le braccia di Stan.

Quando apre gli occhi c’è un dottore davanti a lui. Un dottore che lo guarda e Stan al suo fianco, che gli tiene la mano come se non l’avesse mai lasciata. Gli viene istintivo voltarsi verso la parete. Lo specchio non c’è più, l’hanno portato via.

Sente la testa pulsare e gli occhi bruciare. Tutto quello che ha ottenuto è una forte emicrania. E un gigantesco senso di colpa. Guarda Stan, vede il suo volto preoccupato, le sue lacrime, e non può fare a meno di sentirsi colpevole. “ Mi dispiace…” sussurra carezzandogli il dorso della mano con le dita. “ Mi dispiace di essere così debole.”

Stan non dice nulla. Si china su di lui e gli regala un piccolo bacio sulla punta del naso. Sta sorridendo dolcemente, come fa sempre. A Kenny viene istintivo alzare il viso per poter sfiorare le sue labbra con le proprie, ma si trattiene. Non è il momento.

Piuttosto, allunga le braccia e lo stringe forte, pregandolo di non lasciarlo mai.

Stan gli bacia le guance ancora una volta – sembra davvero una madre – e gli giura che resterà sempre al suo fianco.

Negli occhi di Stan qualcosa cambia. Kenny conosce quello sguardo, sa che sta dialogando con se stesso.

Chiude gli occhi e prega Dio perché la voce interiore di Stan non cerchi di allontanarli.

Poi si addormenta di nuovo.

Si sveglia per l’ora di cena, scoprendo di aver dormito tutto il giorno. Apprende che Stan non si è mosso da lì, che non ha pranzato né si è lavato, ma è semplicemente rimasto a vegliare su di lui tutto il giorno.

Si mette a sedere stancamente, come se, invece di dormire, avesse corso una maratona.

Lo abbraccia e piange. Stavolta è un pianto triste, sommesso, senza urla o convulsioni. È semplicemente infelice.

Stan lo allontana, lo costringe a guardarlo negli occhi e gli sussurra: “ Io ti salverò.”

Tutto l’amore che Stan mette in quella frase lo persuade ad asciugarsi le lacrime e a sistemarsi.

Si veste lentamente, con Stan che lo osserva. Indossa il pigiama da quasi ventiquattro ore, è imbarazzante.

Si veste con le prime cose che gli capitano a tiro poi, in silenzio, va a sedersi in braccio a Stan. L’altro non si lamenta, né lo manda via, si limita a stringerlo a sé, sussurrandogli parole dolci. Questo è davvero bello. Potrebbe vivere soltanto per questo. Si guardano per un lungo momento negli occhi senza dire nulla, abbracciati, coi visi vicinissimi.

I loro respiri sono un tutt’uno quando Kenny sussurra: “ Grazie. ”

Si stringono ancora per un momento, e quel momento sembra durare ore, ed è la cosa più bella che Kenny abbia mai vissuto.

Scendono insieme alla mensa. Gli altri lo guardano con sospetto. Tutti sanno cos’è accaduto ma a lui non importa, lui ha Stan.

Si avvicina al viso del suo bellissimo compagno dai capelli neri, e stavolta è lui a baciare le guance dell’altro, cercando di trasmettergli almeno la metà della dolcezza che lui riceve ogni volta.

Consumano in silenzio la cena, stando il più possibile vicini, poi scappano di corsa in camera, mano nella mano. Quella sera Kenny insiste perché dormano insieme. Non se la sente di lasciare il calore di Stan. Lo vuole vicino. Lo vuole vicino per sempre.

 

“ Mi sta dicendo che la voce nella sua testa non vuole che lei leghi con Kenny?”

Stan ha la tipica posizione che assumono le persone a disagio. Sta con le spalle strette, la schiena dritta, le ginocchia piegate perfettamente a novanta gradi. Si stropiccia le mani in continuazione. Sembra seduto in aula in attesa di un’interrogazione. Dirgli di accomodarsi sembra quasi fuori luogo, al dottore, tanto sa che vedere  Stan mettersi comodo equivarrebbe a una diagnosi di guarigione.

Muove la testa da un lato, come le civette bianche di montagna.

“ Lui dice che ci rovinerà. Ma io non sono d’accordo.”

“ Mi diceva che è confuso per questo disaccordo tra voi due.”

Stan annuisce con forza. “ Non accade quasi mai.”

Il medico scrive qualcosa. “ Perché crede che stavolta sia accaduto?”

Stan fa un sospiro. I suoi occhi guizzano a destra, fissano la libreria per tre secondi esatti, poi tornano sul dottore.

“ Lui odia chi mi piace. Odiava anche Wendy.”

“ Wendy era la sua ragazza?”

“ Wendy era una ragazza… bellissima… mia.”

Osserva il dottore, sembra confuso.

“ Quindi lei è attratto da Kenny?”

Stan alza gli occhi. Sembra che stia cercando di guardare dentro il proprio cervello.

Apre la bocca per parlare, molto lentamente. Il medico si tende verso di lui, aspettandosi l’ennesimo sussurro. Stan invece abbassa lo sguardo di colpo e esclama: “ Dio, no!”

Poi si morde il labbro. Cambia colorito, diventa pallidissimo, poi rosso come se fosse febbricitante.

“ Magari un po’.” Aggiunge storcendo il naso.

“ Ma…” Alza il dito come se stesse per fare una lezione “ Non è questo il punto.”

Lo psichiatra lo osserva a lungo, prima scribacchiare qualcosa.

“ E quale sarebbe il punto? ” Chiede con calma. Stan si alza. Gironzola un po’, poi arriva alla macchina del caffè e inizia a prepararsene uno.

“ Non lo so, lui è talmente complesso che… ” Pausa. Non sa cosa dire. Poi mette insieme i pensieri.

“ Proteggere Kenny dai suoi demoni mi fa sentire normale. Quando… quando sto con lui, quando mi preoccupo per lui… la voce dentro di me parla molto meno.”

“ E adesso che non è con Kenny, lui le manca?”

Stan prende il caffè e torna a sedersi. È sempre rigido.

“ Molto. Vorrei tornare da lui, se possibile. So che sta piangendo adesso.”

“ E mi dica, in questo momento la voce dentro di lei cosa le sta dicendo, Stan?”

Il ragazzo ridacchia. “ Si smetterla di fare il frocio e di raccontarle quattro balle abbastanza realistiche da farmi dimettere.”

Il dottore alza un sopracciglio. “ Crede che non me ne accorgerei, che sono bugie? ”

Stan si mette sulla difensiva, e lo scruta in modo aggressivo.

“ Non sono io, quello.”

Il dottore sospira, guardandolo dritto negli occhi.

“ Ne è sicuro?”

“ Sì.” Stan sembra orgoglioso e sicuro adesso. “ è qualcos’altro.”

 

“ Voglio andarmene.”

Sono stesi a letto, vicini vicini, Kenny tiene il viso nascosto contro il petto di Stan. C’è profumo di sapone nell’aria, di sapone e talco. Hanno appena fatto il bagno. Il moro ancora si chiede come faccia Kenny a lavarsi. Suppone che lo faccia con gli occhi chiusi, ma non osa chiedere. Non vuole che Kenny pensi che stia sottolineando le sue stranezze.

Stan è lì da più di tre mesi. Ormai Kenny è diventato tutto il suo mondo. Non può rischiare di perderlo.

Passa la mano tra i morbidi capelli biondi e chiede: “ Che intendi?”

Kenny alza lo sguardo su di lui. Ha gli occhi vispi, sembra incredibilmente bello e giovane. Come se fosse un bambino. “ Scappiamo, Stan. Stanotte. Nessuno ci vedrà se ci muoviamo in fretta e nell’ombra. ”

Stan socchiude le labbra e… non sa cosa dire. Non crede che sia una buona idea. Crede che si cacceranno nei guai. La voce dentro di lui gli ripete che quel Kenny li rovinerà entrambi. Cerca di zittirla ma comincia a temere che sia vero. Non può davvero voler scappare.

“ Dove vorresti andare, scusa?” Gli chiede perplesso.

Kenny sorride e lo stringe.

“ Ovunque. Sarà solo per un giorno. Poi torneremo. Ho voglia di uscire.”

A quel punto Stan si scioglie in un sorriso.

Si stupisce quando la voce nella sua testa tace. Nessun consiglio acido. Nessun sottolineare quanto sia una stronzata. Nulla. Vuole solo soddisfare i piccoli desideri di evasione di Kenny.

Sorride più apertamente e bacia la fronte di Kenny. “ Allora facciamolo.”

Vede un guizzo biondo tra le sue braccia e sente un leggero tocco sulle sue labbra. Non capisce cosa sia, ma lo trova caldo e dolce. Deve ricordarsi di indagare, più tardi.

Il pomeriggio promette noia, promette routine, e Stan non si preoccupa di organizzarlo più di tanto.

Non sa che ha due visitatori, almeno finchè l’infermiere non viene a chiamarlo, per poi condurlo da loro.

I due visitatori hanno un’aria familiare, ma sa che non sono i suoi genitori.

Si concentra sui loro volti, sui loro corpi, sui vestiti, vuole identificarli.

La prima è una ragazza. Una ragazza molto bella, dai lunghi capelli neri e dal portamento quasi marziale.

Veste come una nonna ed è un peccato, a giudicare dalle forme che scorge sotto il grosso maglione viola.

Ha l’espressione commossa, addolorata, e si stropiccia le mani. Gli ricorda Kenny, anche lui si stropiccia sempre le mani.

“ Stan…”

Sussurra il suo nome, la ragazza sconosciuta, e una piccola lacrima le riga il volto. C’è un dolore profondo, quasi estremo, nel suo modo di serrare nervosamente le labbra.

Povera dolce creatura, perché la condizione di Stan la addolora così tanto?

Il ragazzo invece è bizzarro. Sembra uscito da “The Big Bang Theory”. La sua felpa scolorita con Flash è patetica tanto quanto la chioma di ricci fulvi, probabilmente non pettinata da mesi.

Ha un naso troppo grande, e la sua magrezza eccessiva fa sembrare quella sgradevole protuberanza molto più pronunciata.

In generale direbbe che è sfigato e pure brutto.

Eppure ha un sorriso dolcissimo, meraviglioso, rassicurante…

Falso. Sorride per non farti leggere il suo dolore. E tu sei un coglione, Stan. Sei un coglione perché non li riconosci.

Stan batte le ciglia per tre volte.

Cerca nella sua labile memoria. Li trova. Li identifica.

Sono Wendy e Kyle.

Sono la sua ex ragazza e il suo migliore amico.

Improvvisamente prova una gran rabbia per loro. Sono venuti soltanto adesso? Dopo tre fottutissimi mesi?

Ricordi quel bambino? È stato il primo a voler diventare tuo amico, quando sei arrivato a Londra.

Ti aveva promesso che sarebbe stato per sempre il tuo Super Migliore Amico.

E tu l’avevi promesso a lui.

Kyle ti vuole bene.

E Wendy anche. Lo sappiamo entrambi quanto tenga a te, nonostante tutto. Tanto che voleva cambiarti. È per questo che non mi piaceva per niente, eppure di certo non ti avrebbe abbandonato. Nessuno di loro ti avrebbe  abbandonato. Ora abbracciali.

Questo dice, la voce nella sua testa, e Stan abbraccia i suoi ospiti, mentre un’improvvisa, dolorosa, nostalgia gli squarcia il petto.

Non nota nemmeno per un momento Kenny che lo fissa, dalla porta della loro cameretta, con gli occhi vuoti, come se avesse perso la propria anima.

Quando la notte cala, Stan decide di andare al bagno. È sveglio, sicuro, pronto. Vuole dare una scossa al proprio cervello. Vuole conficcarci le unghie, spremerlo, sbatterlo all’aria, e poi infilarlo nuovamente nella scatola cranica. Si veste con i vestiti migliori che ha e si dirige verso la camera. Deve prelevare Kenny, trascinarlo fuori. Vuole vivere la notte con lui. Vuole portarlo a casa sua, nel suo quartiere. Vuole che conosca Kyle. Vuole che conosca Wendy. Possono ricominciare una vita fuori dall’ospedale. Insieme.

La voce nella sua testa gli fa notare che non ci riuscirà mai, ma lui la zittisce.

Sul letto, però, non c’è il suo Kenny. Lo osserva a lungo e decide che quello è il ragazzino arruffato con gli occhi sporgenti che ha incontrato il primo giorno. Si avvicina prudentemente. Vorrebbe chiedere che cosa gli sia successo. Kenny indossa il pigiama. Non è pronto. Non uscirà. Non scapperanno insieme. Lo vede alzarsi dal letto con estrema lentezza. Chiude la porta. Si avvicina all’interruttore. Poi spegne la luce. Un piccolo gemito raggiunge le orecchie di Stan. Un piccolo gemito proveniente dall’angolo di oscurità dove dovrebbe trovarsi Kenny.

Poi la voce del ragazzo gli parla, dal buio.

“ Tu puoi salvarti, Stan. Ti ho visto oggi, con loro. Io ti sto tenendo chiuso qui. Vai oltre. Guarisci e torna da loro.”

Sussurra.

Poi, improvvisamente, un abbraccio. Un abbraccio nel buio. E una piccola creatura singhiozzante tra le sue braccia.

“ Io sono un rifiuto, non uscirò mai da qui, ma tu… tu hai la vita a portata di mano. Puoi essere diverso, puoi essere libero.”

Le mani di Kenny gli accarezzano la schiena.

“ Lei ti darà dei bambini bellissimi e Kyle sarà il loro padrino… e tutti saranno felici…”

È allora che Stan lo bacia. Gli alza il volto e lo bacia dolcemente sulle labbra.

Kenny trema, sorpreso da quel contatto, le lacrime che scendono ancora copiose dai suoi occhi.

Presto però si lasciano andare a un desiderio da troppo tempo latente in entrambi. Si stringono con troppa forza, mentre il loro bacio diventa più intenso, e le loro labbra ingaggiano una romantica battaglia.

È Kenny ad allontanarsi, poi, ancora immerso nell’oscurità.

Ha bisogno di parlare ancora.

Non chiede la ragione di quel bacio, la conoscono entrambi. Si limita a chiedere: “ Sei sicuro di preferire me?”

Stan accende la luce, per poter guardare il sorriso di Kenny, per poterlo ricambiare, per accertarsi che sia tutto vero.

Lo vede più bello che mai, con i chiarissimi capelli tutti scarmigliati e quelle deliziose lentiggini sul naso.

Vorrebbe prenderlo in braccio e farlo girare tanto, tanto, finchè gli occhi di entrambi non rischierebbero di esplodere.

 

“ È così… strano.”

Kenny si dondola sul divano. È la prima volta che sale su quel divano, ha sempre preferito la poltrona.

“ Lui mi abbraccia così…” Mima l’abbraccio con un gesto teatrale “ e io mi sento… libero. Come se i problemi che hanno sempre assillato la mia mente non esistessero più. Non ne conosco il motivo, ma mi sento decisamente meglio.”

Il medico è preoccupato. Teme che questo improvviso benessere di Kenny, dovuto alla sua nuova relazione con Stan, sia del tutto artificiale. Ha paura di una gravissima ricaduta, nel caso i due venissero brutalmente allontanati.

Non ha ancora deciso, però, se esprimere i suoi dubbi al paziente. Vuole aspettare. Vuole vedere che succede.

 

Kenny guarda il vetro della sala comune. Lo osserva attentamente. Gli altri, tutti attorno, se ne stanno in guardia. Si aspettano una crisi da un momento all’altro. Si aspettano urla, pianti, il solito Kenny. Ma lui sorride. È la prima volta, dopo anni, che vede se stesso.

Si trova pallido, dimagrito, con gli occhi troppo grandi, eppure carino. Si rimira per alcuni minuti, facendo qualche giravolta.

In silenzio, poi, corre in camera. Stan è in terapia, non può condividere con lui la sua nuova scoperta, per il momento.
Il suo cuore gli suggerisce di correre nell’ufficio dell’analista per dare subito la buona notizia al suo Stan, eppure infine opta per  preparargli una sorpresa. Toglie la carta da pacchi dalle finestre e dal grande specchio sopra il letto di Stan. La toglie anche dagli specchi dentro l’armadio.

Si riflette, infine, in quegli stessi specchi. Specchi veri, non semplice vetro. Cerca di pettinarsi meglio – i suoi capelli sono spettinatissimi – e di darsi una sistemata. È incredibile. Non credeva che questo giorno sarebbe mai arrivato.

Quando Stan torna in camera, e nota l’assenza delle varie “Protezioni” che Kenny aveva sparso un po’ per tutta la stanza, rimane perplesso. Osserva il suo compagno con aria interrogativa e riceve, come risposta, un sorriso raggiante.

Vede il suo piccolo, dolce fiore – così aveva iniziato a chiamarlo – alzarsi e abbracciarlo, per poi trascinarlo davanti allo specchio. Così, ancora stretti l’uno all’altro, si specchiano insieme. Kenny si sente forte, si sente libero, e vorrebbe gridare la sua gioia talmente forte da rompere tutte le finestre dell’ospedale.

Osserva il riflesso di Stan, accanto al suo, e sussurra: “ Siamo una coppia bellissima, vero?”

“ Siamo meravigliosi…”

Dice Stan. Lo dice ad alta voce, ed è chiaramente leggibile, nei suoi occhi, una gioia che nessuno dei due ricordava di poter provare.

Circondati dai nuovi giochi di luce che gli specchi creano, quella notte, Stan decide di donare tutto il suo cuore a un nuovo, raggiante Kenny.

Improvvisamente i loro baci non bastano più a nessuno dei due.

Presto i loro pigiami finiscono a terra, mentre un calore sempre crescente riempie l’aria.

C’è l’amore di due giovani anime, in quella stanza e i loro corpi si uniscono in una fluida magia, un monumento alla distruzione di quel bisogno che aveva condotto entrambi alla follia.

Mentre la dolce frenesia dell’amplesso si fa più intensa, Kenny lancia uno sguardo allo specchio accanto a loro e nei suoi occhi non vi è più alcun mostro, solo lui e Stan che fanno l’amore.

 

È uscito da una settimana. Ufficialmente guarito, ora Stan Marsh è un uomo libero.

Ora, con un sacchetto pieno di cioccolatini, sta andando a trovare la ragione della sua salvezza, il suo piccolo, dolce fiore.

Appena arriva alla casa di cura, il medico che l’aveva curato lo accoglie gentilmente, gli chiede com’è stato reinserirsi nel mondo, lo fa accomodare sui divani della sala comune che tanto bene conosceva. Si guarda attorno, e gli altri ragazzi lo salutano; ce ne sono alcuni di nuovi, che non conosce, ma non riesce a vedere Kenny. Forse è in camera sua. Ha sempre preferito stare nella propria stanza… nella loro stanza.

Chiede al dottore dove sia. Il medico sospira.

D’un tratto il suo sguardo si fa cupo.

“ Stan… deve sapere che Kenny non ha resistito a lungo, dopo la sua partenza.”

Gli mette una mano sulla spalla.

“ Dopo solo due giorni ha ricominciato ad avere allucinazioni e… Stan si calmi, ora la porto da lui, ma prima mi lasci spiegare… ecco… Kenny ha dato una testata allo specchio. L’ha rotto, e i frammenti gli si sono conficcati negli occhi. Ha perso quasi completamente la vista.”

Stan è sconvolto. Si sente orribilmente in colpa, tutto ciò che desidera è correre da lui.

Lascia il medico da solo e corre verso quella che era stata anche la sua stanza, per poi spalancare la porta, gridando il nome del suo amore.

Kenny è a letto, sotto le coperte. Ha delle garze quadrate sopra gli occhi e delle bende per tenerle ferme.

Lo riconosce però, dalla voce, e scatta a sedere come risvegliandosi all’improvviso.

“ Stan.. sei tu…”

Stan si avvicina e lo abbraccia forte, scoppiando a piangere

“ Ehi… ci speravo proprio, che tornassi…” sussurra Kenny. Lo bacia dolcemente, con una calma strana, come se non fosse successo niente.

“ Kenny… i tuoi occhi…”

Il suo adorato biondino accenna un sorriso, e cerca la sua mano a tentoni, fra le coperte.

“ Avevo paura Stan… avevo paura che mi avresti dimenticato…”

La stretta di mano più dolorosa della sua vita, così la vive Stan, mentre si lascia andare a un pianto sconvolgente.

Bacia le labbra di Kenny, ancora e ancora. Vuole portarlo via con sé. Gli promette che lo farà

Quando esce dalla stanza, si sente sicuro. Sa che sarà lui a prendersi cura di Kenny per tutta la vita.

 

 

Sono passati tre anni, da quando Stan ha firmato dei documenti che l’hanno reso ufficialmente responsabile della vita di Kenny.

Da quel momento hanno sempre vissuto insieme, in una nuova casa soltanto per loro.

Kenny non ha più recuperato la vista, ma ha imparato a camminare con l’aiuto del bastone.

Non ha più paura dei mostri. Anche se non può vedere, sa che se ne sono andati per sempre.

I suoi capelli non sono più spettinati, ora ha qualcuno che lo aiuta a pettinarsi. Ha guadagnato peso, riesce  a sentirlo, toccandosi la pancia. È sempre così, gli hanno detto: quando qualcuno è davvero sereno, finisce per ingrassare un poco. Forse questo significa che il passato è veramente lontano.

Si vergogna ancora, però, della sua follia. Ancora non riesce a spiegarsela. Quando l’hanno affidato alle cure di Stan, i medici lo davano ancora per spacciato. È stato orribile, orribile davvero, sentirsi dire che non sarebbe mai stato sano.

Non vuole ricordare quell’orrendo periodo, eppure è così felice aver trovato Stan. Il suo adorato Stan.

Il loro amore sembra crescere ogni giorno di più.

A volte ha temuto che un amore iniziato nella malattia potesse finire drammaticamente, invece è cresciuto sempre di più, regalando a entrambi un nido a cui poter sempre tornare.

 

 

 

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Questa storia è stata un parto lunghissimo. Ci sono voluti mesi, per terminarla, e ancora non è questo granchè (o almeno non lo è il finale. Pochissima epicità, lo so, ma io sono per gli happy ending).

È passato talmente tanto tempo, da quando l’ho iniziata, che non so davvero che cosa dire.

So solo che voglio pubblicarla presto, dare vita a questa creatura che amo follemente quanto amo follemente la coppia di cui parla.

Spero che vi lascerà qualche emozione, e vorrete lasciarmi un commento per farvi sapere come vi è parsa.

Grazie a tutti.

Un bacio.

 

PS: avevo fretta di postare, perciò non è betata. La rileggerò/correggerò nei prossimi giorni. :3

   
 
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