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Autore: Sherlock Holmes    04/11/2011    0 recensioni
Sono passati due mesi da quando il dottore ha lasciato il 221B per andare a vivere con la sua dolce metà a Cavendish Place, in attesa del matrimonio.
Sherlock Holmes vuole continuare la sua vita tranquillamente… Ma l’abbandono di Watson gli ha lasciato un vuoto difficile da colmare.
Come fare per riappacificare il suo animo inquieto?
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 Mycroft si sedette con un tonfo nella poltrona di fronte a me.
Continuò a scrutarmi.
- Allora, che ti porta qui a Baker Street?- gli chiesi- Insomma, non vieni nel mio appartamento da quanto? Sette anni?-
Non parlò.
Con un sospiro, mi alzai, afferrando la teiera dal vassoio.
- Posso offrirti una tazza di tè?-
- No, Sherlock.- disse, con tono spento.
Versai la bevanda e misi due cucchiai di zucchero nella tazzina.
Gliela porsi.
- Ti ho detto che non la voglio, Sherlock…- mi fece notare, calmo.
Rimasi colpito dal fatto che, nonostante mio fratello avesse rifiutato la tazzina, io gliela avessi comunque preparata.
- Non ti ho mai visto distratto. Questa è la prima volta, fratellino.-
Fissai il liquido bruno nella tazzina.
- Come mai?- mi domandò mio fratello.
- Il caso a cui sto lavorando mi sta assorbendo completamente… Tutto qui. E’ solo un po’ di stanchezza.- gli spiegai.
Bevvi dalla tazzina che era stata destinata a Mycroft.
- Sono forse l’unica persona al mondo in grado di riconoscere le tue menzogne, Sherlock. E so che quello che hai appena detto è una bugia.-
- Pensala come vuoi.- ribattei.
Finii il mio tè. Con un tintinnio di porcellana, posai nuovamente la tazza sul vassoio.
Mycroft si schiarì la voce. – Dov’è quel dottore che vive con te… Come si chiama? Watson?-
Feci involontariamente un movimento brusco nel sentir pronunciare quel nome… Quasi provocai la caduta delle porcellane di Mrs. Hudson.
- Lui…- dissi, fingendomi indifferente – Lui si è trasferito. –
Non dormivo da giorni.
La mia insonnia era dovuta non solo al caso che stavo seguendo, ma anche ai pensieri che più volte dedicavo al mio ex-coinquilino… E mio fratello l’aveva intuito.
- Questo Watson è la causa del tuo stato d’animo…-
- No.- dissi, secco.
- Non era una domanda, ma un’affermazione.-
Crollai sulla sedia.
- Ricordi che, quando eravamo piccoli, ci raccontavamo tutto?- mi disse Mycroft, osservandomi.
- Sì, rammento… E allora?-
- Dato che hai bisogno di confidarti… Io ora sono qui.-
Mi alzai nuovamente, iniziando a camminare avanti e indietro, come facevo sempre quando mi arrovellavo su un problema.
- Non c’è niente da confidare, Mycroft!- sbottai.
- Davvero? Le tue reazioni sembrano sostenere tutto il contrario.- mi fece notare. Poi, con un tono più pacato, mi si rivolse nuovamente:- So che vuoi apparire ai miei occhi come un insensibile. Ma tu non sei privo di sentimenti. Andiamo, ti conosco troppo bene… E, in questi anni, non sei cambiato. Lo so.-
Sbuffai, risedendomi. Mi passai le mani sul volto, e poggiai i gomiti sulle ginocchia.
Non volevo rivelargli come mi sentivo. Preferivo tenermi tutto dentro. 
- Allora, Sherlock… Perché Watson ti turba?- mi incalzò.
Respirai a fondo.
Lo sguardo di Mycroft era attento, ma non colpevolizzante. Sapevo che avrebbe ascoltato senza commentare…
Forse… Forse era giunto il momento di sfogarmi.
- D’accordo.- iniziai.- Come hai già intuito, è… è Watson il problema.-
Non proferì parola, aspettando che io continuassi.
- Io… Non volevo che se ne andasse. Desideravo che rimanesse qui, a Baker Street. Io avevo bisogno di lui… Ecco… Ho tuttora bisogno di lui. Delle sue parole, dei suoi gesti, delle sue prediche, dei suoi rimproveri, delle sue lamentele… Della sua amicizia.-
Mi fermai.
Solo in quel preciso attimo compresi pienamente ciò che avevo appena detto. Avevo rivelato qualcosa che non avevo confessato neanche a me stesso: Watson era mio amico. Non solo coinquilino o socio.
Era mio amico.
Scossi la testa per riprendermi.
 
Cos’era quel tepore che sentivo vicino alla spalla sinistra?
 
Mi schiarii la voce: - Ora ha un suo studio medico. E’ un dottore affermato. Ha decine e decine di pazienti… E presto avrà una moglie. Non ha più tempo per me.-
Presi la pipa di argilla, la riempii di tabacco e la accesi.
- Mi sento messo da parte, scartato, ignorato… Mi sento abbandonato a me stesso. Alla monotonia della mia vita e ai miei vizi.-
Una voluta di fumo s’innalzò fino al soffitto, deformando i contorni di Mycroft, di fronte a me.
- E poi… Ho già subito un paio di attentati alla mia persona questa settimana. D’accordo, è all’ordine del giorno, dato il lavoro che faccio. Ma… Penso che finirò ucciso molto presto, senza qualcuno che mi copre le spalle.-
Quel ruolo era sempre spettato a Watson… Avevo sempre potuto contare sulla sua presenza… Quanti spietati criminali avevamo affrontato, insieme?
Continuai a fumare, tacendo, al che Mycroft si allungò verso di me:- Se vuoi conoscere il mio parere…
Annuii.
- Bene. Io penso, Sherlock, che dovresti dirglielo.-
- Come?- mormorai, stupito.
- Sì, hai capito! Devi dirgli che lui è molto importante per te, che hai bisogno di lui… Che è il tuo unico amico, cose del genere. Verità che finora erano rimaste inconfessate.-
Gettò un occhio alla pendola.
- Si è fatto tardi, fratellino. Al Diogenes mi aspettano. E’ stata una piacevole chiacchierata.-
Lo vidi alzarsi a fatica dalla poltrona, indossare pastrano e cappello e dirigersi alla porta.
Con la mano sul pomello, si voltò ancora verso di me:- Segui il mio consiglio, Sherlock…
Con un colpo, la porta si chiuse dietro a lui.
  
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