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Autore: elby85    06/11/2011    2 recensioni
Da giorni ormai l’esercito portava centinaia di soldati feriti in quello che era diventato uno degli ospedali militari più grandi di Parigi.
Quella sera il turno era coperto da un giovane medico dai capelli chiari.
Il silenzio venne interrotto improvvisamente da una voce stanca: “Lo sento dottore, è la mia ora”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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“Addio mia bella addio
L’armata se ne va
e se non partissi anch’io sarebbe una viltà
e se non partissi anch’io sarebbe una viltà”


La grande stanza era piena di pazienti.

Due file di letti di metallo bianchi erano state poste ai lati della grande camera, ogni letto era distanziato dall’altro da una sottile tenda di lino bianco.
Il pavimento di marmo a scacchi bianchi e neri era illuminato dalla luce della luna proveniente da grandi finestre, che davano direttamente sul parco. Era Marzo, e la primavera si stava facendo attendere. Tuttavia nel prato fioriva già qualche margherita, che punteggiava l’erba di bianco.

Diverse applique a muro diffondevano una luce giallastra nella stanza, rendendo le ombre ancora più scure di quello che avrebbero dovuto essere.
Vicino ad ogni letto una candela accesa.
Il silenzio era innaturale.

Da giorni ormai l’esercito portava centinaia di soldati feriti in quello che era diventato uno degli ospedali militari più grandi di Parigi.
Il più delle volte non c’era il tempo di curarli sul campo, il chirurgo faceva un intervento d’emergenza e poi interrompeva il lavoro per provare a salvare qualche altra giovane vita.
Così molto spesso quei poveri ragazzi affrontavano il viaggio bendati alla meglio, con un braccio o una gamba amputati.
Molti morivano nel lungo viaggio dal campo di battaglia.

Altri invece arrivavano sino all’ospedale.
I più fortunati venivano ricoverati al piano di sotto, e dopo qualche settimana o qualche mese venivano mandati a casa in congedo.
I più sfortunati invece, quelli a cui la cancrena non aveva dato scampo, finivano a morire in quello stanzone.
Ogni settimana si ripetevano sempre le stesse scene. Un medico stanco annunciava al paziente che la guerra gli avrebbe portato via non solo una gamba o un braccio, ma anche la vita stessa.

Qualche soldato aveva la fortuna di essere raggiunto da un parente, la madre, la moglie per poter dare l’ultimo addio.
Altri invece, i più nella maggior parte dei casi, morivano soli.
Allo stupore seguiva lo sconforto. Poi il pianto. Infine veniva l’ora della rassegnazione e del silenzio.

La chiamavano la stanza degli addii.

Si lavorava a turni in quell’inferno, perché non si poteva resistere molto. Si finiva per impazzire.

Quella sera il turno era coperto da un giovane medico dai capelli chiari.
Stava in piedi accanto al letto di un malato, intento a controllare con delicatezza la medicazione di una gamba.
Accanto a lui un comodino ingombro di strumenti, un catino con dell’acqua fredda e diverse pezze, utile sollievo alla febbre.
Procedeva metodico e silenzioso, gli occhi chiari color del miele assorti e concentrati nel lavoro.

Era arrivato da qualche giorno dall’America insieme a tanti altri che erano venuti a prestare il loro prezioso aiuto e si era subito distinto per la sua dedizione al lavoro.

Il silenzio venne interrotto improvvisamente da una voce stanca.

“Lo sento dottore, è la mia ora” Il paziente alzò debolmente braccio verso di lui, cercando la mano del medico.
Egli finì di sistemare la medicazione e ricoprì la gamba con le lenzuola candide, poi si sedette accanto all’uomo.
“Non dire così, Jaques, sei giovane, andrà tutto bene” rispose lui.
“Non mi menta dottore..lo so come vanno queste cose..l’ho già visto” disse indicando il letto rimasto vuoto accanto al suo.
“Hanno detto così anche a Lucas..e invece…”.
Gli occhi del medico si fecero tristi.
“Lucas era ferito gravemente, tu invece…”.
“Era un bravo ragazzo” Il soldato si passò una mano sugli occhi, a scacciare le lacrime. “Ed ora è il mio turno”.
Il medico si alzò e sollevò delicatamente il soldato ferito, facendolo sedere.
“Non dire così, non puoi saperlo”.
“E allora perché lei sarebbe qui… a mezzanotte? Aspetta forse Cenerentola per portarla al ballo? No dottore..lei è qui per me”.
Il medico sorrise amaramente.
“Vede? Lo sa anche lei".

Improvvisamente si interruppe e portò una mano sul comodino, prese una foto ingiallita tra le dite, portandosela al cuore con tenerezza.
“Chissà se la mia Agnes saprà mai che sono morto… avremmo dovuto sposarci..e invece…”.
La voce si ruppe, gli occhi si riempirono di lacrime.
“Com’è morire dottore, lei lo sa?”.
“No.”Rispose l’altro mestamente.
“Eppure deve averlo visto tante volte”.
“Troppe” disse lui.
“Secondo lei si va in un posto migliore come dicono?”.
“Non lo so Jacques. Ma penso di si” Gli carezzò il viso, mettendogli sulla fronte bollente una compressa di acqua fredda.
“E se invece non ci fosse nulla? Solo freddo e buio?” Il soldato tremò stringendosi il lenzuolo al petto.
“Secondo me c’è un posto migliore. Quello che voi chiamate Paradiso. Ma non è per me” disse Carlisle.
“Perché?”.
Carlisle abbassò gli occhi.
“Avete fatto qualcosa di male?”.
L’altro esitò.
“Suvvia me lo dica..tanto non avrò il tempo di raccontarlo a nessuno…”.
“Non merito di vivere”. Mormorò lui, ma il soldato non sembrò averlo sentito.

Improvvisamente cominciò a tremare.

“Sta diventando tutto buio e freddo dottore. Mi tenga la mano”.
Disse il ragazzo stringendo convulsamente la mano di Carlisle.
“E’ la mia ora”.
“Sono qui Jaques, sono qui”. Sussurrò il medico.
“Vuole che le dica qualcosa?”. Chiese il giovane in un sussurro.
“A chi?”.
“A la mort… alla morte.. ?”.
“Dille che la desidero, dille che venga a prendere anche me, ti prego”.
“Glielo dirò. Lei però dica alla mia Agnes che l’amavo. La supplico”.
Carlisle annuì “Te lo prometto”.

Il respiro del soldato si fece sempre più faticoso, la stretta sempre più forte.
Gli occhi rimasero aperti, a fissare per sempre il vuoto mentre la mano cadeva inerte sulla lenzuola.

“Adieu Jaques. Bon Voyage” disse Carlisle chiudendo pietosamente gli occhi del giovane.

Poi spense con un soffio la candela accanto al letto.

Avrebbe pianto, ma non aveva lacrime.

“Non pianger mio tesoro
Forse io ritornerò
Ma se in battaglio moro, in ciel ti rivedrò
Ma se in battaglio moro, in ciel ti rivedrò”
  
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