Mello…
Lo mormoro in un soffio, si spegne
tra le mie labbra.
Lo pronuncio sussurrando come se
fosse una preghiera, una velata richiesta di attenzione.
Un complemento di vocazione, una
parola che rapida scivola sulla lingua e si dissolve nella lugubre atmosfera della
sera.
Ti chiamo per parlarti, vorrei farti
delle domande, ma non appena schiudo le labbra per proferire verbo, tu ti volti di scatto dedicandomi il
tuo sguardo più gelido.
Stronchi ogni parola sul nascere, il
tuo nome, la tua presenza, sono già sufficienti per riempire la stanza.
Non parlo più, e fisso il tuo il tuo
odio, la rabbia che ti scheggia il volto e stringe gli occhi.
Calo le palpebre, pensando al morbido
incantesimo con cui in un attimo il tuo nome dilania le molecole che ti
circondano. Mediocri vittime del tuo carisma, in un attimo sono tue.
Un battito di ciglia, riapro lo
sguardo.
Strana magia, in un istante tu vai
via.
Mello!
Una musicalità morbida e dolce, una
fugace nota di malinconia che quelle liquide consonanti, che quei suoni scivolosi
di vocali risvegliano ai sensi.
Il tuo nome dall’effimera veridicità
è un rapido morso a un plum-cake, è un leggero soffio di zucchero a velo, è il
retrogusto dolce e speziato della cioccolata nera, è il delicato aroma della
cannella.
Ha una sua intrinseca dolcezza che il
mio tono di rimprovero non riesce a smorzare.
La tua corsa sul pavimento bagnato si
è bruscamente interrotta, e in uno sguardo ti sei voltato e mi guardi
ghignando, come a dire “hey, fammi vedere che mi fai”, quel tuo ghigno che
vorrebbe essere minaccioso e arrogante ma in realtà è solo buffo, quel sorrisetto
porta come didascalia quelle delicatezze che il tuo nome suggerisce.
È l’amarezza delle parole che
quotidianamente vomiti via che più fa a pugni con quel morbido lemma che saltella
sulla lingua. È quella rabbia, quella frustrazione che ti appesantisce le spalle
senza però distoglierle dalla loro naturale posa fiera. Eppure tante volte ho
visto la rabbia e la frustrazione deformarti le labbra in una smorfia delusa
che mai ci si aspetterebbe da un bambino.
Hai ripreso a correre, beffardo.
E la leggerezza dei tuoi capelli
svolazzanti come ali di farfalla mi rendono di nuovo partecipe dell’effimera
dolcezza del tuo nome, la stessa che ti luccica negli occhi.
…Mello.
Quando ci passi accanto a noi
distogliamo lo sguardo, o caliamo il capo, o ammutoliamo o tutte e tre le cose
insieme, ma mai per paura.
Pochi ti temono, ma tutti noi ti
rispettiamo ciecamente; siamo come assoggettati alla luce che emani, una stella
calda e luminosa, i cui raggi schiaffeggiano anche le galassie più lontane. Il rumore
dei tuoi passi decisi che si allontanano riesce ancora a coprire i nostri
mormorii, le nostre vocette che in paragone alla tua, già così adulta, suonano
insulse.
Parliamo a bassa voce, i nostri
miagolii non giungeranno mai al tuo orecchio acuto.
La nostra è bisbigliata ammirazione,
ingenua incredulità, sincero ma sussurrato stupore perché non capiamo come
possa un bambino nostro coetaneo sembrare così grande agli occhi di tutti.
Mello
Dimentica le stridule vocine
spaventate che, in un barlume di coraggio, domandano la tua attenzione.
Dimentica la voce di Roger, stanca di
rimproverarti di continuo.
Scordati di Near e del suo tono
nasale e spento.
Sicuro e fermo in un gioco di lingua
scandisco ogni tua lettera, e so che il viso che riservi a me non è lo stesso
che dedichi al resto del mondo.
Mi guardi, vivo, attento, brillante,
mi fai venir voglia di sorridere.
Non importa più quel che ho da dire,
non conta niente quello che hai voglia di ascoltare: solo sorridiamo, inebetiti
dai reciproci volti.
È come se il tuo nome in realtà fosse
quella scarica di elettrica compagnia, di frizzante euforia, di appagante giubilo
per ogni mio muscolo, per ogni mio nervo.
E la sicurezza con cui lo pronuncio
non è altro che il succoso e saporito frutto della consapevolezza che la mia
perpetua felicità è ricambiata quando i tuoi occhi esplodono insieme ai miei in
un tripudio di colori.
Mihael
La tua pelle è liscia, candida,
morbida come quei pochi capelli d’oro che ti ornano il capo come una graziosa
aureola.
Mi guardi con quegli occhioni
sorridenti, sgranati, e sorridendo ti bacio le labbra, come è consueto fare con
le persone che si amano.
Sai di bello, sai di fresco, sai di
morbido e di dolce, sai di vaniglia, sai di pannacotta, sai di gelato, sai di
stelle e di comete, sai di genuina meraviglia, sai di inconsapevole felicità
tra le mie braccia, tra le mie dita che dispettose ti sfiorano nasino e guance,
facendoti ridere.
Ti chiamo e ti fai tutto serio,
attento.
Capisci forse il divino del tuo bel
nome?
È un nome leggero, delicato, è un
nome morbido e profondo.
È una seta che ti scivola addosso
fasciandoti a pennello,è un cotone fresco e colorato che ti copre quelle
braccina appena rosee, è un cashmere che ti accarezza il viso senza irritare, senza prudere, senza
annoiare. È una lana che ti avvolge calda, ma non tanto da eguagliare le mie
braccia che ti cullano mentre dormi.
Come sei dolce quando dormi, bimbo
mio, così piccolo, così indifeso.
Vorrei che queste piccole gioie
durassero per sempre, ma so che tu, mia più grande felicità, vali molto più di
un attimo di eterea tranquillità.
A cosa stai pensando? Perché ridi?
Sei bellissimo quando fai così.
Non ti lascerò mai, stellina mia.
Mello?
Cosa significa tutto questo? Per chi
lo sto facendo?
Non ho niente, sono nessuno, e nulla
può restituirmi quanto mi è stato tolto.
Mi guardo allo specchio e non scorgo
altro che soffice evanescenza, un me sbiadito che lentamente si consuma.
Dove sei finito, cruento sorriso?
Dove sparisti, fiero cipiglio?
Cosa accadde mai per far perire quel
che sono?
Lugubri occhiaie, spenta carnagione
appassita.
Sono forse io?
Cosa mi è rimasto?
Nelle mani vedo il vuoto, nella testa
il caos, e non riesco più a scorgere null’altro che nero.
Nero come il buio, nero come la fine,
nero come quella folta chioma.
È bastato un nome a far crollare
tutto quanto, ogni cosa è perduta, e ora che me ne accorgo non so che fare.
Un nome non è nulla, io sono, io
esisto indipendentemente dal nome.
L’uno o l’altro, cosa cambia?
Eppure era l’unica ancora rimasta,
tutto ciò che avevo.
E ora?
#2 – Mello
Detesto la tua voce, ogni volta che
la odo è alta e rabbiosa, feroce e tagliente, liquido il tuo sguardo mi fissa
incredulo e frustrato, ogni volta di più, ogni volta peggio, ogni volta più
giù, più giù, più giù.
Di rado ho visto lacrime rotolare
lungo il tuo volto così stanco, così afflitto – probabilmente preferisci
versarle altrove dove non sia necessaria l’altrui presenza.
Non riesco a credere che a un nome
così poeticamente fluido e musicale possa corrispondere un tormento tanto
grande, una rabbia tanto impetuosa.
Ogni volta che mi scorgi, oramai da
anni a questa parte, la tua espressione ha un mutamento così repentino che
osservarlo è quasi suggestivo: il tuo intero volto si contrae in un’unica
smorfia, le labbra si serrano sforzando la mascella, gli occhi si assottigliano
e mi fai quasi paura; eppure sei così giovane!
Urli, imprechi contro di me e il tuo
nome, mi prendi a pugni finché sfinito non te ne vai rosso in viso.
Raro che tu mi risparmi queste
naturali e sentite teatralità, rintanandoti chissà dove a fare chissà cosa.
Non ho mai compreso, e temo che mai
comprenderò il tuo meccanismo interiore, quella molla che sprigiona tale energia.
Ogni santa volta ti infuri, credendo
che io stia proferendo un qualche divina ed inattaccabile verità: eppure io
sono solo un pezzo di carta, cosa potrei mai sapere delle alte e disordinate
sfere metafisiche della tua brillante personalità, bambino mio?