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Autore: Leliwen    08/11/2011    4 recensioni
Aveva di nuovo ingarbugliato le carte dei suoi sentimenti e quello che ne era risultato era un pasticcio. Partecipante al Contest: Slash vs. Het! Contest a turni
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Severus Piton, Sirius Black | Coppie: Severus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nickname (forum e EFP): Leliwen
Squadra:
Slash
Titolo:
Radici
Pairing:
Sirius/Severus
Genere:
Introspettivo
Avvertimenti:
Post 4° Libro
Introduzione:
Aveva di nuovo ingarbugliato le carte dei suoi sentimenti e quello che ne era risultato era un pasticcio.

Nda eventuali: Stupidamente, ho fatto partecipare questa sotria ad un contest a turni. Dico stupidamente perchè a queso scorcio di esistenza ingarbugliata ci tengo particolarmente.

Ho segnato la storia come un post 4° libro perché presume che Sirius sia evaso da Azkaban e si sia rifugiato a Grimmauld Place, ma da quel momento in poi, può essere ambientata quando si preferisce. Il contest si basava sul pairing preferito e io, da brava onnivora, non ho uno: questo è il primo che mi ha introdotto al panorama slash, quindi può arrogarsi quel titolo. Non ho molto altro da dire, a parte il fatto che il parlato di Sirius è volutamente non perfetto, non scorrevole: va a rispecchiare tutto ciò che ha passato e come Azkaban l'ha ridotto.

 




RADICI

 

 

Non c'era mai stato nessun marchio sul braccio di Sirius. Nessuno stemma ad assegnarne una posizione netta, definita, tra gli schieramenti in campo. Nessun alone residuo a così poche ore dalla scomparsa del Dark Lord. Ma nonostante l'assoluta mancanza di quella prova definitiva, era stata la parola di un solo uomo, a condannarlo; dello stesso uomo che, contro ogni previsione, si era schierato dalla sua parte in quegli stessi giorni.

Un brivido ghiacciato gli scosse la schiena, facendolo tremare. Osservò la curva morbida del suo collo, la massa scura dei suoi capelli ancora lucentemente neri. Nemmeno Azkaban era riuscita ad intaccare la sua dolorosa bellezza, tutt'altro: l'aveva come acuita, incidendo a fuoco, in un'innocenza tradita, ogni singolo tratto.

Non era così spigoloso ai tempi della scuola, la luce ribelle dei suoi occhi era più limpida, più allegra, meno disperata; le labbra, invece, incastrate tra la linea dura della mandibola e quella volitiva degli zigomi alti, erano sempre state oscenamente provocanti. Non aveva avuto scampo, lo sapeva: come si poteva pretendere che un ragazzo appena adolescente potesse resistere a quel mix micidiale che era Sirius Black? Non che fosse mai stato sincero, specialmente con se stesso - e forse proprio questo suo continuo negare l'evidenza l'aveva mantenuto in vita fino a quel momento - ma non era mai riuscito a negare di provare attrazione per il ragazzo più bello e dannato della scuola.

Ovviamente, se chiunque altro l'avesse in qualche modo intuito, lui avrebbe negato fino a consumarsi le corde vocali, ma quando la loro relazione era evoluta, lui, per un istante lunghissimo, aveva creduto davvero che le cose sarebbero cambiate.

Che idiota, che era stato.

Avrebbe dovuto intuirlo che Sirius aveva bisogno di radici, stabili e forti, per poter essere se stesso. La scrollata di spalle che aveva mostrato al pubblico quando la sua famiglia l'aveva diseredato era tanto lontana dalla realtà quanto la Terra dalla fine dell'Universo. Sirius era una pianta, sradicata a forza dal suo terreno di nascita, che aveva messo radici nel dormitorio Gryffindor e che non sarebbe sopravvissuta ad un altro travaso. Dunque, tra loro due, nulla sarebbe potuto essere diverso, non per coloro che assistevano, indifferenti, alla sua umiliazione.

Per loro e per il mantenimento di quelle nuove radici, Sirius doveva pretendere che non fosse cambiato niente; per lui, piccolo ragnetto dei sotterranei, cambiò tutto. E, dannazione, pur di averlo un poco per sé nemmeno gli importava: accettava che i Malandrini si divertissero a ridicolizzarlo ed aspettava che poi Sirius lo raggiungesse - sempre, non importava in quale buco sconosciuto si fosse andato a nascondere - e si divertisse col suo corpo.

Guardò la rotondità spigolosa della sua spalla, le cuspidi aguzze delle sue vertebre. Avrebbe voluto poter dire che quello scopare in ogni angolo sufficientemente appartato del Castello a lui non era mai piaciuto, che Sirius l'aveva costretto, ma era una balla troppo grande per reggere senza scoppiare in una girandola di fuochi artificiali.

L'altrui respiro raspava in gola, grattava su polmoni distrutti dal fumo e dall'umidità di una cella fetida.

Strinse i denti in silenzio, chiedendosi ancora una volta come avevano potuto essere tanto ciechi! Come aveva potuto, Dumbledore, credere che Sirius fosse il responsabile della morte di James

e Lily. Come aveva potuto lui, che aveva quel maledetto tatuaggio sul braccio, aver creduto che l'altro fosse al soldo di Voldemort.

Non c'erano mai state evidenze.

Solo la parola del Preside.

E, dopotutto, solo indirizzando il proprio senso di colpa verso Sirius, era riuscito a sopravvivere: questo, almeno, era infine riuscito ad ammetterlo. La propria cassa toracica si sollevò lenta, a tempo, seguendo il ritmo del respiro dell'altro. Come faceva Dumbledore a respirare con la consapevolezza di aver condannato a dodici anni un uomo innocente? Lui non ci riusciva quasi più.

Aveva di nuovo ingarbugliato le carte dei suoi sentimenti e quello che ne era risultato era un pasticcio.

Poteva almeno provare a porvi rimedio?

Lo sguardo amareggiato, ferito, tradito con cui Sirius l'aveva accolto alla Stamberga Strillante, sembrava dire di no. La violenza con cui iniziava ogni loro nuovo scontro, sembrava dire di no. La puntualità clinica con cui bocciava ogni sua proposta, sembrava dire di no. Quindi per quale strana ragione si era infilato di soppiatto nella sua stanza, per poterlo affrontare a tu per tu?

"Cosa vuoi, Snivellus?"

Severus quasi si accartocciò sotto il peso insostenibile di quel nome odiato.

Sirius non s'era mosso, ancora rannicchiato in posizione fetale, le ginocchia al petto e una mano a proteggersi il volto. Quel letto che gli sarebbe sembrato tanto misero prima di quei dodici anni, ora pareva immenso, del tutto intenzionato a fagocitare la piccola presenza che accoglieva.

Prese un respiro, per articolare un qualche suono, ma si accorse che la lingua era incollata al palato.

"Parlare-" riuscì in qualche modo a dire.

"E tu irrompi sempre nella camera da letto altrui, nel cuore della notte, insonorizzando la stanza, per parlare?"

Non si era mosso. Continuava a giacere su quel letto troppo grande, dandogli le spalle.

Severus sarebbe voluto scappare. Il Malandrino aveva ragione, ovviamente: perché insonorizzate la stanza? Ripetersi che non voleva far sentire agli altri le sue scuse non sembrava più così vero.

Inghiottì la saliva inesistente per poi tentare un "non volevo ci interrompessero".

La grazia lenta e pragmatica con cui Sirius distese la posizione, sciogliendo il bozzolo protettivo dove aveva provato a rilassarsi, causò brividi dolorosi sulle spalle contratte del Potion Master. Le lunghe ciglia che svelarono quei pozzi argentei sembravano più nere del solito nella vertigine che avevano provocato. Severus si sentì barcollare come per uno sbalzo improvviso di pressione ed il cuore, al centro del petto, batté tanto forte da far male. Quegli occhi erano vuoti.

L'aveva già notato: quando a Grimmauld Place non c'era nessuno, o quando Sirius credeva di essere solo, abbandonava ogni pretesa di ilarità, ogni sentimento vivo e tornava ad esser il galeotto rinchiuso in una cella con solo la consapevolezza di essere innocente a salvarlo dalla pazzia.

Mantenersi saldi sulle proprie gambe, con quella bambola rotta adagiata mollemente sul letto disfatto, richiese tutta la sua determinazione. "Hai parlato con Dumbledore?" Si costrinse a proferire.

"Di cosa?" Domandò la voce atona, senza tradire alcuna reazione.

"Del tuo mancato processo."

"Certamente." Affermò, osservando con un briciolo di attenzione in più l'uomo vestito di nero, quasi appoggiato alla porta della propria stanza. "Evidentemente - mi ha riferito - le circostanze erano contro di me. Se a questo si va ad aggiungere il mio tentato omicidio e la mia assoluta incapacità di prendermi cura di chicchessia, la mia incarcerazione non è stata, dopotutto, un male. In fin dei conti, la mia mente ed il mio corpo non hanno subito danni permanenti."

Severus fissò sconvolto quelle labbra esangui pronunciare senza tentennamenti quell'atroce sentenza.

"Ti ha detto questo?" Espresse tutta la propria incredulità.

"Ovviamente no. Ha parlato di giustizia, di fede, di protezione, ma non è necessario essere uno Slytherin per saper leggere tra le righe. Mi ha lasciato marcire ad Azkaban perché convinto che un probabile assassino potesse anche essere un sicuro traditore, mentre un comprovato assassino sarebbe potuto essere un'ottima spia. Inoltre Harry necessitava di una protezione che io non avrei potuto né posso dargli."

Lentamente, quasi si stesse sforzando, lo sguardo si affilò e le labbra s'incurvarono in un ghigno spettrale.

"Dovresti essere contento: il mio Azkaban era la pena tanto per il tuo tentato omicidio quanto per la mia irrequietezza." Il ghigno divenne cattivo, mentre le labbra aggiungevano: "Se vuoi puoi aggiungere al pacchetto anche le malefatte contro di te; che siano stati il bullismo o le scopate credo che a questo punto poco importi."

Le spalle dell'uomo crollarono contro il telaio della porta con un rumore sordo, attutito dall'incantesimo silenziante.

"Scopare con me..." riuscì a dire non appena la stanza finì di vorticargli davanti agli occhi, "è stata una malefatta?"

Sirius si alzò e lo raggiunse, il volto nuovamente neutro, i capelli sciolti arabescavano il petto. Inclinò la testa di lato e alzò una mano. Le dita parvero volergli sfiorare la guancia ma poi incontrarono solo il legno scuro accanto al suo viso.

"E' ciò che hai sempre voluto credere, no?"

Severus si sentì tornare adolescente, incauto e forse innamorato; gli parve di esser sviscerato da quegli occhi di fumo e fremette al solo guardare le sue movenze di gatto. Non riuscì a rispondere e il braccio di Sirius si piegò leggermente, facendo in modo che potesse avvicinarsi per sussurrargli, quasi sulle labbra: "Sei qui per rendermi il favore?"

Ma Severus non lo sentì nemmeno.

Le mani scattarono da sole, arpionandogli la nuca e obbligandolo in un bacio feroce e disperato. Si sentì svuotare e riempire, quando la lingua che sapeva di tabacco iniziò a lottare con la sua.

Si separò solo per mancanza d'ossigeno, tuffò gli occhi in quei laghi di altura e chiese perdono, per la seconda volta in vita sua implorò il perdono. E quando le braccia di Sirius gli si serrarono attorno alle spalle, spingendo il suo petto contro il proprio, sentì che anche l'altro doveva sapere; che la morte di Lily e James era stata colpa di entrambi, che se lui aveva sbagliato a fidarsi di Pettigrew, Severus era stato tanto sciocco da vendere al Dark Lord la profezia che aveva sentito pur di salvarsi la vita.

Sirius ascoltò in silenzio, senza sciogliere la stretta.

Quando il rombo roco della voce dell'altro si spense sulla sua clavicola, fece tre passi indietro, portandoselo appresso, e tornando sul letto.

Si sdraiò, senza dire una parola, e si posizionò Severus accanto, obbligandolo alla stessa posizione rannicchiata, una mano posata sul suo petto, un braccio a fargli da cuscino, le gambe incastonate tra le gambe.

"Dormi," ordinò. "Hai delle occhiaie da fare invidia a Moaning Myrtle."

Severus chiuse gli occhi, cullato dal suono potente dell'altro cuore. Già, si ricordò, non scopavano solamente quando Sirius lo andava a cercare dopo aver cementificato ancora un po' le proprie radici con gli amici Gryffindor. Ogni tanto lo abbracciava forte e lo faceva dormire, perché non assomigliasse mai a quel fantasma piagnucolone.

 

FINE




Beh, che dire, provate a trattarmela bene... e se volete andare a leggere il risultato del contest, lo trovate qui.

  
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