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Autore: MedusaNoir    09/11/2011    7 recensioni
Ogni martedì, Silvia accompagna la sua amica Aurora alle prove del suo gruppo e lì conosce il nuovo bassista, Davide, ventottenne rubacuori con cui stringe una forte amicizia. Ma Peter Pan e Capitan Uncino sono indispensabili l'uno all'altro...
[Spin-off di "Sulle note di Cat Stevens", ma può essere letto senza conoscere l'altra storia, i protagonisti sono diversi.]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Sulle note di Cat Stevens'
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Cosa sarebbe il mondo senza Capitan Uncino?

Di Davide si potevano dire molte cose, vedendolo per la prima volta: alto, moro, fisico a posto – bicipiti niente male – e incredibili occhi azzurri. Carisma da vendere.

A un livello di conoscenza più alto, ma pur sempre superficiale, di lui erano noti i trentuno anni, la piccola cicatrice sul polso dovuta al morso del suo cane e che esibiva con orgoglio, la risata contenuta.

Passando del tempo con lui, Davide appariva meno maturo di quanto volesse sembrare, il tipico dongiovanni che si diverte a passare da una donna all’altra, mantenendo però ben nascosto il carattere da bambino che si emozionava guardando i film della Disney, per poi rivelare questo suo lato solo alle persone con cui entrava realmente in confidenza. O forse anche quella era una delle sue mosse migliori.

Nel complesso, dopo averlo frequentato per più di un anno da amica come stava facendo Silvia, c’era una cosa che si poteva dire senza ulteriori riflessioni: Davide era un bastardo.

 

 

Silvia, ventiquattro anni da compiere a breve e cinque esami che ostacolavano il suo cammino verso la laurea magistrale, corti capelli dal colore naturale indefinito che andava dal castano chiaro al rosso, occhi scuri privi di profondità o mistero e corporatura minuta, aveva conosciuto Davide un giorno di fine settembre, accompagnando l’amica Aurora alle prove del suo gruppo, i Lilim.

Aveva incontrato Aurora al primo anno di università e sapeva ogni dettaglio riguardo la formazione dei Lilim: la ragazza era stata la cantante dei Moonlight Sonada, band composta da ben quattro membri del nuovo gruppo; il motivo per cui la prima formazione si era sciolta era stata proprio lei, fidanzata per qualche mese del chitarrista e poi del batterista, Ettore. Marco, fedele compagno tradito, aveva lasciato i Moonlight Sonada, giurando di non tornare mai più a suonare con loro; così qualche settimana dopo Manuel, l’attuale chitarrista del gruppo, aveva messo insieme i Lilim, chiamando a suonare al suo posto al migliore amico di Ettore, Davide. Alla batteria continuava a sedere il nuovo ragazzo di Aurora, mentre la chitarra ritmica rimaneva di Simona.

Silvia si era presentata con un giacchetto verde e forse fu anche quello a procurarle il soprannome di “Peter” conferitole dal bassista. Dopo le prove erano andati tutti al locale di alcuni amici per festeggiare la nuova formazione e lì Davide, su di giri per via di cinque bicchieri di birra, aveva cominciato a prendere in giro Silvia per il cappello che portava.

- Credimi, ragazza mia, quel coso ti toglie almeno dieci anni! Non scherzo, eh. Per non parlare dei capelli… Perché li hai tagliati così corti? Ti danno un’aria da maschietto impertinente.

- Vogliamo parlare del tuo atteggiamento? – aveva replicato Silvia con un sorriso. – Ti senti veramente il ragazzo più attraente sulla Terra, non è vero?

- Lo sono. Ehi, mi porti un bicchiere di rhum?

A quelle parole Silvia era scoppiata a ridere, rovesciando la Sprite che teneva in mano.

- Che ci sarebbe di tanto strano? – le aveva chiesto Davide, aggrottando la fronte.

- Ma non riesci mai a smettere di bere?

- Non provare a farmi la ramanzina… Ho l’età giusta! E tu, allora, che non hai preso neanche una birra?

- Devo guidare.

- Sì, sì… In realtà non puoi bere alcolici perché sei una bambina, ci ho azzeccato? Anzi, un bambino, a giudicare dal tuo aspetto. E poi il rhum mi dà l’aria di grande… - Si era interrotto, spostando lo sguardo dal bicchiere che gli avevano appena lasciato sul bancone all’abbigliamento di Silvia. – Sono un pirata! – aveva esclamato infine.

- Raccontane un’altra.

- Sul serio, guardaci: sei una ragazzina irritante che sembra non voler cedere al mio incredibile fascino, mentre io bevo rhum e cerco di resistere alle tue frecciatine. Siamo Peter Pan e Capitan Uncino!

Silvia era stata colta da un nuovo attacco di risa, considerando il paragone fatto dal ragazzo la cosa più stupida uscita dalla sua bocca di quella sera, ma non aveva previsto ciò che sarebbe accaduto: Davide avrebbe ricordato tutto, nonostante la sbornia, e dal giorno seguente “Peter Pan” sarebbe diventato il nuovo soprannome della ragazza.

 

 

- Ehilà, Peter! Puntuale anche oggi?

Silvia fece una smorfia divertita, salutando con un cenno del capo il ragazzo che le aveva parlato.

- Salve, Uncino. Sono venuta a prendere anche l’altra mano.

Si sedette in disparte e aspettò che le prove cominciassero, mentre il bassista dei Lilim rideva alla sua battuta.

Dopo la famosa serata del cappello e del rhum, Silvia aveva cominciato a presentarsi ogni martedì alle prove del gruppo, accompagnando Aurora con la scusa che non aveva niente di meglio da fare; in realtà Silvia aspettava quel giorno per tutta la settimana con il solo scopo di vedere Davide. Erano diventati amici nel corso del tempo e lei aveva imparato a conoscere quando fingeva o quando invece parlava sul serio, quando rivolgeva alle ragazze del suo pubblico sorrisi ammiccanti unicamente per finire la serata nel loro letto o quando era davvero interessato a ciò che la persona davanti a lui avesse da dire. Aveva capito che era un dongiovanni, ma si ripeteva che, in fondo, le bastava osservarlo più da vicino rispetto alle altre ragazze, pronte ad accorrere come cagnolini al primo fischio. Aurora si era accorta della cotta della sua amica, così aveva iniziato ad organizzare uscite e cene con il gruppo, invitando anche lei, che aveva in tal modo un ulteriore pretesto per passare il tempo con Davide.

Mentre rifletteva sull’ultima chiacchierata che avevano avuto, Davide le rivolse un sorriso beffardo.

Già, sospirò mentalmente Silvia, le cose sarebbero rimaste sempre così tra loro, ma le andava bene.

Fino a quel giorno.

 

 

Quel sabato di agosto i Lilim avrebbero avuto la loro prima opportunità di mostrare quanto valessero: un talent scout aveva contattato Ettore, leader della band, e aveva chiesto quando avrebbe potuto assistere ad un loro concerto, dal momento che il nastro che gli avevano inviato l’aveva lasciato piacevolmente sorpreso.

- Davide? – chiese Silvia non appena scese dalla macchina, guardandosi intorno: aveva portato un libro per il suo amico, era certa di fargli una sorpresa e non vedeva l’ora di vedere l’espressione da bambino emozionato sul suo viso.

Manuel si alzò in punta di piedi per guardare meglio. – Laggiù! – esclamò infine.

Silvia seguì il suo sguardo e lo individuò anche lei. Corse in direzione del ragazzo, entusiasta, facendosi largo tra le folla, ma appena gli fu vicina si bloccò.

Davide aveva afferrato la vita di una ragazza e la stava stringendo a sé. Silvia avvertì un brivido freddo percorrerle il corpo: solitamente il bassista adescava le sue prede durante il concerto per poi portarsele a casa a fine serata, e allora perché ora teneva tra le braccia quella ragazza? Osservandola meglio, si rese conto di averla già vista da qualche parte.

Respirò profondamente e riprese a camminare verso Davide. Quando lui si voltò, si trovò di fronte al volto della ragazza illuminato da un sorriso.

- Ehi, Peter! – esclamò. – Sei già arrivata?

- Sì, abbiamo parcheggiato adesso. Ti ho portato il libro di cui ti avevo parlato.

- Fantastico! - Davide spalancò gli occhi davanti al libro che Silvia gli stava porgendo, poi parve ricordarsi della ragazza che era con lui. – Oh, scusa, sto facendo la figura del maleducato. Daniela, lei è Silvia; Peter, Daniela, la mia ragazza.

Di nuovo il gelo nel sangue: Silvia strinse la mano di Daniela facendo più pressione del dovuto, sorridendo forzatamente. Sperò che lei non se ne fosse accorta.

- Era al nostro concerto sabato scorso, – spiegò Davide, e in quel momento Silvia la ricordò perfettamente: indossava, come quella sera, un vestito un po’ troppo corto sopra gambe un po’ troppo lunghe; aveva lucidi capelli neri dai ricci ben definiti ed esibiva un sorriso ammiccante da passerella. Era la tipica Mary Sue delle peggiori storie. – Abbiamo parlato un po’ e… Beh, abbiamo scoperto che andiamo d’accordo su molte cose.

Come no.

 

 

- Mi spieghi che cavolo ci trovi, in Daniela?

Davide aggrottò la fronte, voltandosi verso Silvia: era strano vedere la sua amica così schietta, forse era colpa dell’alcol.

- È una bella ragazza, – rispose, mettendo altro vino nei bicchieri di entrambi.

- Non lo metto in dubbio.

- E allora perché mi chiedi cosa ci trovo?

Silvia sbuffò, incredula. – Vuoi dire che per conquistarti basta essere belle?

- No, non intendevo questo: era solo un punto in più a suo favore. È anche intelligente, si è laureata da poco.

- Considerando che ha quasi trent’anni…

Questa volta Davide sollevò un sopracciglio, cogliendo la critica nella sua voce. – Tu sei sulla strada giusta.

- Ehi, che vorresti dire? Mi mancano solo due esami ora!

Il ragazzo si strinse nelle spalle. - Avrà fatto altro nel frattempo, magari ha anche lavorato a tempo pieno, oppure si era già laureata in un’altra facoltà.

Silvia sgranò gli occhi. – “Magari”? Non sai nemmeno cos’ha fatto Daniele prima di incontrarti? Ormai è più di un mese che uscite insieme.

- Non parliamo tanto, è più un tipo fisico -. Davide le rivolse un sorrisetto. – Colta la citazione?

- Non credo che Hermione si facesse Krum, – rispose Silvia, rabbuiandosi. – Quindi è bella e “potenzialmente intelligente”… Wow, hai ottimi parametri di valutazione.

Davide scattò in piedi. – Saranno anche affari miei, no?

- Non lo metto in dubbio, è la tua ragazza.

- Già, è la mia ragazza, quindi smetti di chiederti cosa ci trovi in lei!

- Lo chiedevo a te, a me non interessa… Era giusto per sapere: non mi sembra che abbiate cose in comune.

- Forse non le piace Harry Potter, forse non ne ha mai nemmeno sentito parlare, ma è adulta, sexy e non si comporta come una ragazzina!

La lasciò nella stanza, uscendo di casa senza neanche salutare gli amici.

 

 

Qualche giorno dopo, la compagna fissa di Davide non rispondeva più al nome di Daniela, ma di Virginia, un’attraente ventisettenne di Milano, a Roma per chissà quale motivo.

- Lavora nella moda, – aveva spiegato Davide mentre la presentava ai suoi amici. Manuel non aveva nemmeno alzato lo sguardo, certo che avrebbe comunque dovuto dimenticare il volto della ragazza entro poche settimane. – Ha partecipato a diverse sfilate e ora è in contatto con un famoso stilista per aiutarlo nella sua prossima collezione…

Continuò a lodare la sua nuova fiamma anche quando i suoi amici smisero di ascoltarlo, lanciandole sempre più frequenti sguardi densi di significato.

- Mi viene da vomitare – esclamò Silvia una volta concluse le prove, a cui Davide si era portato dietro Virginia. – Come mai ultimamente non scarica le sue prede il giorno seguente?

- Sembra che voglia mettere la testa a posto, – aveva commentato Ettore riponendo i piatti nella loro custodia.

- E sta cercando proprio la ragazza giusta, – sputò Silvia. – Vuole veramente passare tutta la vita con quelle là?

- Perché non ti fai avanti? – intervenne Aurora.

La sua amica sbuffò, infilandosi le mani nelle tasche. – Figuriamoci! Se quello è il genere di ragazze che cerca, posso anche mettermi l’anima in pace.

- Ehi, belle, di cosa si sta parlando? - Davide comparve alle loro spalle, passando le braccia attorno alla vita di Silvia, che avvampò vistosamente. Le sollevò una ciocca dei capelli per scrutarla attentamente. – Ti stai facendo crescere i capelli, Peter?

- Così almeno smetterai di prendermi in giro.

- Ma stai molto bene con i capelli corti!

Silvia gli rivolse un’espressione diffidente. – Non casco nei tuoi falsi complimenti.

- Va bene, va bene, – rise Davide, alzando le mani in segno di resa. – È solo che così non somiglierai più a Peter e io non voglio perdere il mio acerrimo nemico -. Passò un dito sulle sue guance, avvicinando la bocca alle orecchie ormai tinte di rosso. – E cosa sarebbe Capitan Uncino senza il suo Peter?

La lasciò ad interrogarsi su quelle parole, correndo da Virginia per baciarla con passione.

- Che bastardo, – commentò Aurora. – Vuole tenerti sotto il suo controllo ad ogni costo.

- Già, – annuì Silvia, toccandosi delicatamente il punto in cui lui l’aveva sfiorata con le labbra.

 

 

La festa a casa di Davide aveva avuto inizio, ma Silvia non aveva nessuna voglia di partecipare all’allegria generale. Aveva esultato quando aveva notato l’assenza di Virginia, ma poi aveva subito messo a tacere la momentanea felicità: così come lei era venuta dopo Daniela, a Virginia ne sarebbe succeduta un’altra – probabilmente una trentacinquenne rossa con gambe da urlo e una quarta abbondante. Davide sembrava avere un talento naturale per circondarsi di quel tipo di ragazze; lei non aveva la minima possibilità di successo.

Avvistò Manuel e Simona chiudersi in cucina, troppo impegnati a mangiarsi le labbra per accorgersi che qualcuno potesse vederli, e con un moto di tristezza crescente si rintanò anche lei in una stanza. Si sedette sul letto della camera di Davide, dopo avere accuratamente chiuso la porta per impedire che qualcuno la disturbasse, anche se le possibilità erano minime con una cassa di birra nel salotto e la musica ad alto volume; fortunatamente lì il suono arrivava attutito, così le fu possibile immergersi con tranquillità nei propri pensieri.

L’Ibanez di Davide era sulla poltrona, incustodito forse per la prima volta nella sua vita. Silvia allungò un braccio, afferrandola con delicatezza, e se la pose sulle ginocchia, improvvisando qualche melodia stonata che facesse da accompagnamento alla sua malinconia.

 

 

Quando Davide uscì dal bagno, invece di tornare nel salotto rimase per qualche secondo in corridoio, rendendosi conto solo allora della strana assenza di Silvia: aveva pensato fosse al bagno, ma aveva appena constatato che non era così. In quel momento, qualche nota raggiunse il suo orecchio, ben udibile sopra la musica dello stereo che si era temporaneamente interrotta per il cambio di canzone. Seguendo la melodia, si accorse che proveniva dalla stanza alla sua destra; aprì leggermente la porta, spiando al suo interno.

Silvia era seduta sul letto e imbracciava il suo Ibanez, che aveva appoggiato sopra le gambe accavallate; la frangetta castana le copriva il volto chino, ma Davide immaginò la sua espressione tipicamente concentrata.

- Eri qui, – esclamò, sorridendole.

Silvia sollevò la testa e incontrò gli occhi azzurri di Davide: era bello, incredibilmente bello, più affascinante di come non fosse mai stato; forse si trattava dei capelli arruffati, o dell’assenza di una ragazza al suo fianco, o ancora della maglietta di Yattaman. Probabilmente, però, il motivo della sua bellezza quella sera era l’apparizione inaspettata dopo che lei lo aveva pensato con maggiore intensità del solito.

- Sono sempre stata qui.

Si vergognò immediatamente di quelle parole, ma per fortuna lui parve non accorgersi del vero significato della sua risposta.

- Ma come, mi hai lasciato solo per rintanarti qua dentro? – scherzò Davide, avvicinandosi a lei. – Sai che mi annoio se non ci sei, rischio perfino di trovare divertenti le battute di Manuel!

Bugiardo, pensò Silvia. Se avessi sentito la mia mancanza, mi avresti cercata, eppure è più di mezzora che sono qui.

Non importava, però: Davide era fatto così, amava inventare bugie su bugie solo per farsi bello agli occhi degli altri, e in fondo le piaceva anche questo lato di lui, purtroppo.

Davide si sedette accanto a lei, poi la alzò e se la mise in braccio insieme all’Ibanez.

- Come si vede che non hai mai toccato un basso! – la prese in giro. Appoggiò le proprie mani su quelle di Silvia per farle capire come muovere bene le dita; non sembrò accorgersi dell’imbarazzo che provocò nella ragazza con quel gesto. – Spero che i Within Temptation ti piacciano, – aggiunse, suonando con le sue dita le prime note di Somewhere.

- Sharon den Adel è un mito – approvò Silvia.

- Sharon den Adel è… Non farmelo dire! – precisò Davide, scoppiando a ridere.

Silvia si lasciò sfuggire un sorriso: come si vedeva quando Davide non rideva per conquistare una ragazza! In quei momenti solo chi lo conosceva abbastanza sapeva distinguere la risata finta da quella spontanea che coinvolgeva tutto il suo volto.

Con lei non rideva in quel modo falso, si lasciava andare. Significava forse che sapeva di averla già sotto il suo controllo? O, peggio, che non la riteneva nemmeno lontanamente una preda?

Canticchiava tra sé, cercando di scacciare i pensieri che le tenevano la testa occupata dall’inizio della serata.

Never stop hoping,
need to know where you are,
but one thing's for sure:
you're always in my heart.

- No, l’accordo giusto era questo, – la corresse Davide, premendo di più sulle dita ormai tremanti di Silvia. – No, hai sbagliato ancora. Su, piccola, non è difficile…

- Non chiamarmi “piccola”.

- E va bene, ti chiamerò “nanetta”, lo preferisci? Basta che impari come… Che hai?

Finalmente spostò lo sguardo dal basso a Silvia e notò che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Lasciò immediatamente andare l’Ibanez e passò un braccio intorno alle spalle della ragazza, facendola rabbrividire.

- Che ti succede? – le chiese quasi in un sussurro.

- Non sono bella, – piagnucolò lei, sentendosi immensamente ridicola. Si strofinò gli occhi con i pugni e singhiozzò.

- Ma piantala! – esclamò Davide e azzardò una risata per sdrammatizzare; le prese il mento tra le dita, costringendolo a guardarlo. – Sei una ragazza carina, te lo dico io: quando sorridi coinvolgi anche me, e inoltre sei intelligente, che importanza ha la bellezza?

- Allora perché non ti piaccio?

La stretta sul mento di Silvia si allentò, mentre il cuore della ragazza batteva sempre più velocemente.

Davide accennò un’altra risata, questa volta per alleggerire il proprio disagio. – Non ho mai detto che non mi piaci.

- Dimmelo ora.

Sospirò, poggiando la fronte su quella di Silvia. – Sei una buona amica e, in questo caso, mi piaci molto.

- Ma, – lo incalzò lei.

- Mi dispiace.

- Non importa –. Si alzò dalle sue gambe, dandogli le spalle senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. – Volevo solo cogliere l’occasione fra una fidanzata e l’altra, un po’ come Rhett con Rossella; ma purtroppo io non sono Rhett, non riesco a farti una dichiarazione seria e mi limito a piagnucolare come una ragazzina. E non sono nemmeno Peter, non sto facendo niente per combatterti -. Sbuffò, rimanendo per qualche attimo in silenzio. - Io torno a casa, ci vediamo al prossimo concerto.

- Perché vuoi farmi questo?

La mano di Silvia si bloccò sulla maniglia. Ora Davide se la prendeva con lei, che non era capace di reprimere i propri sentimenti?

- Senti, Da…

Si voltò di scatto, infastidita, e si ritrovò inaspettatamente di fronte il suo viso.

Davide aveva poggiato una mano sopra la sua spalla per impedirle di aprire la porta.

- Perché proprio tu? – ripeté, facendo toccare di nuovo le loro fronti. – Non potevi startene zitta?

Senza aspettare risposta, sollevò il volto e la baciò. Silvia si aggrappò a lui, circondandogli il collo con le braccia; lo stringeva a sé, non riusciva a credere a ciò che stava accadendo. Davide la sollevò da terra, trascinandola fino al letto.

Si sdraiò sopra di lei, puntellandosi sui gomiti. Cominciò a baciarle il collo, facendola sussultare, poi le alzò la maglietta e le baciò il ventre. Lei lo lasciò fare, decise che avrebbe assecondato ogni sua mossa: non le andava di riflettere sui litigi che avevano avuto, sulle sue parole di quella sera, sulla facilità con cui cambiava regolarmente ragazza, dimenticandola sempre per strada. Lasciò che la baciasse, lasciò che la toccasse, non le importava altro.

Davide era lì.

 

 

Davide strinse Silvia tra le braccia per qualche momento, lo sguardo rivolto al soffitto; infine scacciò con i piedi le coperte e si alzò dal letto, afferrando i propri abiti e rivestendosi in fretta. Silvia, senza trovare il coraggio di muoversi o di dire qualcosa, lo osservò infilarsi i jeans e abbottonarsi la camicia.

- Non raccontarlo a nessuno, – esclamò Davide, mostrandole la schiena mentre si sistemava il colletto della camicia, ma Silvia poteva immaginare benissimo il suo volto completamente rosso per la vergogna di ciò che era appena successo. – E sparisci dalla mia vita, per favore, - concluse con la voce leggermente tremante, come se a lui stesso costasse molto dire quelle parole.

Lei mugugnò un “va bene” e lo guardò uscire della stanza per tornare dagli amici; non le rivolse nemmeno un sorriso.

 

 

Di Davide si potevano dire molte cose, ma solo una era vera per qualsiasi livello di conoscenza: Davide era un bastardo.

Quella sera Silvia non aveva lasciato andare nemmeno una lacrima; al contrario, si era rivestita con calma, si era rimessa il trucco ed era tornata in salotto, deliziando i presenti con il migliore dei sorrisi da circostanza. Non si era trattata di dignità, non aveva richiamato a sé tutte le forze che non sapeva neanche di avere per mostrarsi tranquilla, ma semplicemente le lacrime non avevano voluto saperne, di uscire. Aveva osservato la porta da cui era scomparso Davide per alcuni minuti, incapace di riflettere: ripensava solamente alle mani sudate sul suo corpo, al respiro affannato, a ogni piccolo istante passato insieme in quella stanza.

Come avrebbe potuto immaginare chiunque, Davide era scomparso da diverse settimane, gettandola nell’abisso insopportabile del dubbio. Le domande si susseguivano rapidamente: perché le aveva rivolto quelle parole? Aveva fatto bene a darsi completamente a lui – certo che no? Si era già trovato un’altra ragazza?

Si sentiva come Uncino quando cercava di scoprire la tana dei Bimbi Sperduti. Ogni volta che nella sua mente si affacciava quel pensiero, Silvia scuoteva la testa, infastidita: non era possibile che ora anche lei ragionasse secondo quello stupido paragone inventato da Davide! E poi era lui Uncino, lui avrebbe dovuto cercarla, ma a quanto sembrava aveva rinunciato. Che Uncino da quattro soldi!

La domanda più assillante e impertinente, però, riguarda se stessa: perché ci teneva così tanto? Davide era un bel ragazzo, era riuscita ad andare a letto con lui, e allora doveva smettere di pensarci. Tuttavia, purtroppo si rendeva conto che quel ricordo non le bastava; non che Davide fosse stato incredibile, lei non poteva dirlo con assoluta parzialità, in quel momento era emozionata solo per la presenza del ragazzo tra le sue braccia… Silvia temeva la risposta a quella domanda, aveva il terrore di averla già in suo possesso.

- Dillo, – la spronava Aurora ogni volta che la vedeva affondare il volto tra le mani.

- Non ci penso proprio.

- Peggio per te. Ora posso andare ad ucciderlo?

Come poteva replicare? Aurora aveva ragione, l’unica cosa da fare con Davide era presentarsi alle prove per prenderlo a pugni.

 

 

L’incontro avvenne per puro caso in una fredda giornata di febbraio

Silvia era appena uscita dall’università, quasi sommersa da un’improvvisa tempesta di neve, e correva tra la folla di Roma per cercare di non perdere il treno; appena raggiunse la stazione, però, il treno le sfrecciò davanti fischiando impertinente. Silvia sospirò, controllando la tabella degli orari, ma il seguente sarebbe passato dopo un’ora.

Demoralizzata, pur di non attenderlo sotto la neve si rintanò in un bar affollato; trovò un posto vuoto accanto all’entrata e appoggiò la testa sul tavolo, distrutta dalla stanchezza. Quando qualcuno uscendo la urtò, lei sobbalzò sulla difensiva: si era addormentata, dimenticandosi di dove si trovasse e di come ci fosse arrivata. La prima cosa che vide non l’aiutò ad orientarsi, ma la riportò indietro a una sera di metà novembre.

Gli occhi azzurri di Davide era di fronte ai suoi, confusi, sorpresi e desiderosi solo di fuggire il più lontano possibile. Vide il ragazzo fare un passo verso l’uscita, sperando di non essere stato riconosciuto.

- Uncino non scappa, – mormorò Silvia strofinandosi gli occhi, ancora intontita.

A quelle parole Davide si immobilizzò, trasse un profondo respiro e tornò a guardarla.

- Non immaginavo di trovarti qui, – le disse. Nuovo livello di conoscenza: Davide sembrava imbarazzato.

- È sempre così, – commentò Silvia, reprimendo uno sbadiglio. – Cerchi il nascondiglio dei Bimbi Sperduti da tutte le parti e poi ti accorgi di averlo sotto i tuoi occhi.

Davide aggrottò le sopracciglia. – Cosa?

- Peter, Uncino, i Bimbi Sperduti… Quel nostro giochetto.

- Non pensavo ti andasse ancora di scherzare con me.

- Infatti no, sono incazzata nera.

Silvia sospirò, svegliandosi completamente. Sbatté più volte le palpebre per mettere a fuoco il ragazzo che aveva davanti, poi si alzò dal tavolo, lasciando il posto ad un giovane punk che volò sulla sedia ora libera.

- Ci mancava solo Rufio, – sorrise Davide.

Silvia sollevò lo sguardo su di lui. – Non ti manca il tempo che passavamo insieme? Le battute, i discorsi, i pomeriggi passati a parlare di Harry Potter?

- Era per questo motivo che non volevo fare sesso con te.

- Non ti avevo chiesto di fare sesso, di avevo detto che mi piacevi, che è una cosa ben diversa -. Uscì dal bar, pronta ad affrontare la tempesta di neve o qualsiasi altro cataclisma pur di allontanarsi da Davide, dimenticandosi che era stato lui a cercare di andarsene per primo; fortunatamente, però, aveva smesso di nevicare.

- Avvisiamo i signori passeggeri che il servizio sarà sospeso a tempo indeterminato a causa delle condizioni dei binari…

- Ah, perfetto, – esclamò, parlando da sola. – E adesso come torno a casa?

- Posso accompagnarti io, – propose Davide, ancora vicino a lei.

- Non ci penso proprio, preferisco restare qui.

- E allora fa’ così. Hai almeno qualcuno da cui andare? - Interpretò il silenzio di Silvia come un “no”. – Dai, ti porto a casa.

- È a due ore da qui, troppo lontano, non mi va di restare in tua compagnia per così tanto tempo. Accompagnami da Aurora ed Ettore, starò da loro stanotte.

 

 

Nessuno dei due aprì bocca per venti minuti; Davide guidava in silenzio, mentre Silvia osservava la neve fuori dal finestrino.

- Maledizione! – esclamò improvvisamente Davide, indicando la coda di macchine che li precedeva. – Non arriveremo prima di un’ora con questo traffico.

- Dovrei essere io a lamentarmi, – sbuffò Silvia. – Sei tu che mi hai detto di sparire dalla tua vita, che gentile.

- Appunto, ti ho detto di sparire, ma a quanto sembra sei sempre qua!

Silvia rimase a bocca aperta. – È stato un caso se ci siamo incontrati!

- Potevamo fingere di non esserci visti, e invece tu te ne sei uscita con “Uncino non scappa”: dovevo dimostrarti che non era così.

- Ah, la solita tiritera del maschio macho!

- Ma quale maschio macho? È una questione d’orgoglio.

- Chiamala un po’ come ti pare.

Davide inchiodò, fece retromarcia, ignorando le lamentale degli automobilisti intorno, e imboccò una strada secondaria.

- Dove stiamo andando?

- Sta’ zitta una volta tanto, Peter. Irritante come al solito.

Fermò l’auto in un parcheggio isolato e si voltò verso Silvia.

- Ora scendi e parliamo.

- Fa freddo!

- Non quanto farà freddo nel mio cuore se non ti avrò detto quello che provo, – scherzò Davide, regalandole un sorriso ammiccante.

Silvia sentì il cuore batterle con forza nel petto, ma mantenne un’espressione seccata e scese dalla macchina.

- Sentiamo cos’hai da dire, allora.

Davide temporeggiò, battendo i piedi in terra per scaldarsi, o forse per trovare coraggio.

- Silvia, io non sono un principe azzurro.

Silvia sgranò gli occhi, incredula: aveva sentito bene? Stava per farle la ramanzina su quanto fosse stata stupida a perdere la testa per un bastardo come lui?

- Passo da una ragazza all’altra, – continuò Davide, tenendo gli occhi azzurri ben fissi su quelli scuri di lei. – Adoro svegliarmi sempre con una persona diversa al mio fianco, adoro conquistare il cuore di donne che cercano solo il sesso di una notte. Tu non eri una di quelle, per quello dovevi starne fuori: mi piacevi, e parecchio, però se ti avessi avuta tra le mani ti avrei svilita; ed è andata esattamente così. Tu non sei l’amante di una notte, ma io non sono capace di stare con te senza farti del male. Sono un pirata, sono Giacomo Uncino, se vuoi vederla sotto l’ottica del nostro giochetto: Peter è solo un bambino, non può capire le dinamiche della vita.

- Ma io non sono Peter! – strillò Silvia, ferita da quelle parole allo stesso tempo dolci e crudeli; le sentiva pungere come aghi nel suo collo, spingere in profondità per farle perdere il fiato. Doveva gridare finché poteva. – Mi chiamo Silvia, ho sei anni meno di te e sto per laurearmi! Che altro vuoi sapere? - Afferrò un rametto da terra, l’unica cosa che trovò, e lo tirò addosso a Davide. – Pensi che prima di te non mi avessero mai toccata? Beh, sbagli, perché il tuo corpo non è stato il primo che ho visto nudo! - Fece con la mano una palla di neve e ripeté il lancio. – Piantala, con la storia del pirata: non siamo Peter e Uncino, siamo Silvia e Davide, che ci piaccia o meno! Oooh, non posso credere di star perdendo tempo con te! Dovrei uscire, cercare ragazzi con un minimo di cervello, ma no, dovevo proprio innamorarmi di un cretino come te!

Davide scansò la seconda palla di neve. – Che cosa hai detto?

- Che sono stufa di sentire le tue belle parole! Sii pure meno poetico, evita di fare metafore, mostrati meno affascinante di come sei davanti a tutti, ma per una volta sii te stesso!

Silvia afferrò una terza manciata di neve, ma rimase immobile, sorpresa dalla reazione di Davide, che era scoppiato a ridere e si teneva la pancia. Non aveva mai sentito quella risata e solo allora si accorse che anche quella che aveva usato fino a quel momento con lei era falsa, che invece solo la risata che stava riempiendo l’aria fredda intorno a loro era autentica. Vide il vero Davide in quegli occhi che lacrimavano, lo riconobbe nella bocca spalancata, lo sentì su di sé quando si lanciò sopra di lei, facendola cadere a terra con la palla di neve ancora in mano.

- Sei incredibile! – esclamò Davide, continuando a ridere. – Alla fine non riuscirei mai a stare senza di te, non ci sono riuscito per tre mesi e non credo che potrei farlo ora.

La baciò delicatamente sulle labbra screpolate dal freddo, ma Silvia non sentì dolore: una sensazione di calore le attraversò il volto, facendola sorridere nonostante la rabbia.

- Beata te, – sussurrò Davide, abbassandole la sciarpa per baciarle il collo.

- Perché?

- Ti sta baciando un figo del genere, – rise Davide. – Ti capisco, sai: cosa sarebbe il mondo senza Capitan Uncino?

- Ma vuoi piantarla? – lo sgridò Silvia divertita, facendo cadere sulla sua testa la palla di neve che teneva  ancora in mano.

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Prima di tutto, ringrazio chiunque sia riuscito ad arrivare fin qui, senza lasciarsi vincere dalla lunghezza della storia o dall'odio per Davide.
Questa storia, come scritto nell'introduzione, è uno spin-off di "Sulle note di Cat Stevens", ambientata durante quei cinque anni di "silenzio" tra la rottura di Aurora e Marco e il matrimonio della ragazza.
Mi rendo conto che, ultimamente, sto mettendo da parte il fandom di Harry Potter per scrivere storie originali a sfondo musicale: forse il motivo è che sto rileggendo "Nana", o che mi piace scrivere ascoltando canzoni, o ancora che ho fatto la conoscenza da pochi mesi con un gruppo; in ogni caso, vorrei fosse chiaro che nessuno dei miei personaggi (delle tre storie "musicali" che finora ho scritto, e quindi questa, "Sulle note di Cat Stevens" e "Resta ad un passo") si ispira a persone reali e, in particolar modo in questo racconto, a personaggi di "Nana". No, Davide non è Takumi, voglio sottolinearlo: va bene, mi sono resa conto solo dopo avere scritto la storia che anche Davide suona il basso, inoltre è un bastardo patentato... Ma non è Takumi, non lo sarà mai, in positivo e in negativo.
Come in "Resta ad un passo", il protagonista maschile si chiama Davide (e infatti credo che cambierò il suo nome in quella storia). Perché Davide? Non lo so, forse perché mi piace, perché lo ritengo adatto ai miei personaggi maschili... Chiedere "perché Davide?" è superfluo, e sicuramente c'è qualcuno tra i lettori che sa cosa voglio dire :3
Grazie per essere arrivati fin qui ♥ Una recensione è sempre gradita, soprattutto perché mi aiuta a migliorare (quindi non sto cercando solo quelle positive: ditemi cosa vi è piaciuto, cosa vi è sembrato paradossale, tutto ciò che vi è saltato in mente durante la lettura)!

Medusa
   
 
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