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Autore: Querthe    10/07/2006    4 recensioni
Esseri che non dovrebbero esistere se non negli incubi, misteri e un po' di sano spargimento di sangue durante una caccia in cui i ruoli non sono mai definiti e di cui non sembra essere visibile una fine... Una quest per la salvezza di due razze, dell'umanità ignara e di un'anima marchiata da un'eredità non richiesta.
Ringrazio Alyssa85 per avermi prestato alcuni tratti del suo personaggio (Alyssa Morville) che usa in un gioco di ruolo e mi scuso per averne stravolto la psicologia, il passato e il futuro.
Alcuni riferimenti ai clan dei vampiri sono prese dalla mia poca esperienza con il gioco di ruolo "Vampiri the masquarade".
Il mondo in cui è ambientata la storia è praticamente il nostro, se non per pochi particolari che mi servivano per la trama o per l'ambientazione.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alyssa'
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La notte era fresca, sapeva di pioggia lontana e di persone impegnate a divertirsi in quel sabato sera di fine agosto. Alyssa strinse un po’ di più le mani sul parapetto del balcone, si sporse impercettibilmente e sorrise a labbra chiuse, inspirando, godendosi il pungente odore della città sotto di lei, sotto l’attico all’ultimo piano di un palazzo nel centro città. Era ebbra di felicità, e non solo di quello. Un uomo, un giovane apparentemente sui trent’anni, biondo e con il fisico muscoloso stava dormendo beatamente nel letto matrimoniale, coperto da sottili e fini lenzuola di raso bianco e rosso, il respiro leggero e costante.
- Domani non si ricorderà nemmeno cosa è successo… - pensò la donna, dai lunghi capelli neri e lisci che le sfioravano le reni, solleticandogliele. Era nuda, il corpo tornito e leggiadro coperto solo dal profumo che utilizzava e da una sottilissima patina di sudore che stava velocemente asciugando nella notte calda senza luna. - Come tutti gli uomini che mi scelgo… - mormorò, voltandosi e tornando nella stanza da letto.
Osservò l’uomo per qualche secondo, quindi gli diede un bacio casto sulla fronte, come una madre lo darebbe a suo figlio, quindi raccolse da terra i suoi vestiti e si rivestì velocemente, controllando nello specchio che aveva trovato all’interno dell’anta di un armadio se tutto era in ordine. Calze nere, scarpe di vernice nera con il tacco a spillo in metallo, un corpetto elasticizzato senza maniche nero come la notte e un bolero di pelle nera sopra una gonna così corta da non nascondere nulla erano tutto ciò che indossava. Passò la mano tra i capelli, sorridendo. La ragazza nello specchio, non più vecchia di venticinque, ventisette anni sorrise con lei.
- Buonanotte, chiunque tu sia… - mormorò diretta all’uomo nel letto, aprendo la porta e uscendo richiudendola. La chiave scattò dall’interno, chiudendola fuori.
Alyssa scese in strada, mescolandosi con la folla di esseri umani che la circondò tranquillamente, inghiottendola in una calca calda e rumorosa, ognuno perso nei suoi pensieri, ognuno non notando se non per caso la donna che si avviò a passo spedito verso un taxi a lato della strada.
- E’ libero? - chiese al guidatore, un uomo sulla cinquantina con un’incipiente calvizie, vestito con un paio di jeans e una maglietta macchiata.
- No, sono in pausa. Cercatene un altro, bella… - le rispose lui senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
- Non più. - esclamò lei in modo autoritario.
- Sono libero. Dove vuole che la porti, signora? - chiese l’uomo, chiudendo la rivista che stava leggendo e accendendo il motore.
- Cimitero maggiore. Grazie. - gli rispose, salendo in macchina e allacciandosi la cintura.
Il tassista non disse una parola per tutto il viaggio, e velocemente la portò a destinazione.
- Grazie. Tenga il resto e buonanotte.
- Buonanotte, mia signora. - rispose l’uomo, ripartendo con sguardo spento, come se fosse drogato o ipnotizzato.
Alyssa sorrise scuotendo la testa. Era troppo facile certe volte. Gli umani erano troppo facili da manipolare. Alzò gli occhi. Davanti a lei si ergeva la porta monumentale del cimitero, un’imponente struttura che ospitava tutti i morti della metropoli. Una città nella città, in qualche modo. I due demoni di pietra piangenti e dalle corna ricurve ai lati del grande cancello di nero ferro battuto stavano fermi da anni in quella posizione, osservando con occhi vuoti le persone che attraversavano quel passaggio, una sorta di varco tra due mondi.
- Quello caotico dei vivi e quello riflessivo dei morti. O uno o l’altro. Ma io… A quale davvero appartengo? Voi sapete la risposte, guardiani? - si zittì per un secondo. - No, non potete saperlo. Voi avete occhi che non vedono, bocche che non parlano, orecchie che non odono. Un po’ come gli umani. Beati loro. Se sapessero davvero…
- Sempre intenta a parlare da sola, Alyssa? Rischi di passare per pazza. - la derise una voce maschile dietro di lei.
- Meglio sembrare pazza che essere sicura di essere stronza come te, Igor. - gli rispose la donna senza nemmeno voltarsi. Sapeva benissimo chi aveva alle spalle, e perché non se ne era accorta. Lo odiava quando faceva così. E lo faceva sempre. - Cosa ci fai qui?
- Credo per lo stesso motivo per cui sei stata chiamata tu, dolce Alyssa.
- Fottiti, Igor. Se mi chiami ancora dolce ti ritroverai a guardare il tuo intestino annodato ai tuoi piedi. - lo minacciò lei, voltandosi e fissandolo con occhi pieni di rabbia.
Igor, un uomo dall’apparente età di quarant’anni, completamente calvo accennò un sorriso. Era vestito con un elegante completo nero, in cui spiccava solo la candida camicia. Solo le scarpe, un capolavoro di artigianato italiano, valevano una fortuna, ed erano il pezzo di minor pregio di quanto indossava.
- Minacce, solo minacce, Alyssa. - rise lui, superandola, dirigendosi al cancello chiuso. Quasi senza sfiorarlo lo aprì, lo scatto della serratura poco più che un insignificante rumore nella notte. - Vogliamo andare?
Alyssa iniziò a camminare, passandogli nuovamente davanti senza degnarlo di uno sguardo, tentando di non innervosirsi ulteriormente all’inchino accennato che Igor fece mentre lei lo superava entrando nel cimitero, rischiarato solo dai lumini elettrici, pallido surrogato del calore e dell’amore che le trasmettevano i ceri e le candele, quando ancora li trovava nei piccoli cimiteri di provincia o nelle chiese, accesi da mani tremanti di vecchie prossime alla morte o di piccoli che ancora non comprendevano la follia della religione, la pazzia di un Dio che governava tutto senza nemmeno guardare ciò che succedeva nel mondo da lui creato.
- Prego, è stato un onore. - disse lui seguendola, mentre il cancello si richiudeva alle sue spalle, scattando nuovamente.
Entrambi si diressero ad una tomba, ad un mausoleo che di giorno era semplicemente uno dei tanti che nessuno visitava, ma che nascondeva uno degli accessi a quel mondo che tanto Alyssa odiava e doveva amare per la natura stessa del suo essere. A volte lo aveva usato per quello che era, una tomba, a volte, come quella sera, per quello che altri avevano deciso fosse, una sala dove riunire le persone più differenti che potessero immaginarsi, ma accomunate da un retaggio più antico del tempo, un retaggio di sangue e di nobiltà che lei non aveva mai voluto ma aveva dovuto accettare, molti anni prima. Troppi anni prima.
- La porta è aperta. Non siamo i primi.
- Ovvio. I membri principali saranno già dentro a discutere delle sorti del mondo, come se a lui potesse fregargliene qualche cosa delle loro decisioni… - disse lei, varcando la soglia del grande edificio. Se fuori dava un’impressione di importanza, con la sua facciata classica, l’architrave triangolare sorretto dalle quattro colonne e il portone in bronzo anticato decorato con scene dell’Apocalisse, dentro l’aria fredda e umida, che sapeva di muffa e di cera consumata da tempo le trasmise l’idea di un grande, possente ma ormai marcio cadavere.
- Come quelli che sto per incontrare… - pensò storcendo il naso.
Una delle lastre di marmo consumato che riempivano il pavimento era stata rimossa, rientrata nella cavità creata appositamente sotto la superficie di piastrelle impolverate, rivelando una scala nera e viscida. In lontananza si potevano udire delle voci, echi lontani portati dalle pareti del corridoio a cui quelle scale ripide portavano.
- Impaurita? Dovresti…
- Igor…
- Va bene, va bene. Stasera, nonostante tu ti sia divertita, non hai un umore migliore del solito.
- Vaffanculo.
Lui le sorrise, per poi iniziare a scendere le scale, perfettamente a suo agio nel buio della cripta. Alyssa lo seguì, i suoi tacchi metallici a battere il tempo, risuonando leggermente nello stretto spazio formato dalle mura di pietra che portavano ad una porta chiusa. Un alto e muscoloso uomo, vestito come se fosse la guardia del corpo di qualche attore americano li osservò per un secondo, grugni una sorta di saluto e aprì loro la porta, portando alle loro orecchie le voci di varie persone, sia uomini che donne intente a discutere animatamente. La stanza in cui entrarono era stata ricavata da una grande cripta, probabilmente risalente a secoli addietro, ma rimodernata, resa accogliente e confortevole come se fosse una vera e propria sala riunioni. Poteva ospitare una quarantina di persone, e circa la metà di quel numero era presente in quel momento. Altri uomini erano in piedi o seduti lungo la balconata posta circa cinque metri sopra il pavimento, e quasi tutti si voltarono all’entrata di Alyssa e di Igor.
- Signori… - disse pacata una voce maschile relativamente anziana, ma che sovrastò tutti gli altri suoni.
Il brusio si azzittì nel giro di un paio di secondi.
- Non mi piace.
- Neanche a me, se fossi al tuo posto… - ghignò l’uomo accanto a lei, mentre prendeva posto su una delle tante sedie, poste lungo la parete circolare della stanza, lasciate libere.
Alyssa si trattenne dall’insultarlo, e sospirò, sedendosi anche lei. Un uomo dell’età di cinquanta, forse sessanta anni camminò con passo calmo e misurato al centro della stanza, vestito con una lunga tunica scura ornata di simboli neri e rossi alle maniche e lungo la scollatura circolare. I capelli erano grigi, lunghi appena sotto le spalle e lisci, una cornice perfetta per un volto scarno e impassibile, con occhi scuri incassati nelle orbite e un profilo che lo faceva somigliare ad un avvoltoio pronto a colpire.
- Grazie per essere venuti questa sera. Da quello che posso vedere tutti gli invitati sono presenti. Possiamo cominciare. – il silenzio che seguì quell’ultima parola era tangibile, quasi quanto il puzzo di chiuso nella stanza. – Come ben sapete, sono secoli che siamo a Milano, sono secoli che il nostro clan controlla questa zona dell’Italia, collaborando con altri clan e lottando contro altri per mantenere un equilibrio che è stabile solo grazie a continue mosse e aggiustamenti. E’ un’operazione chirurgica continua, che impegna noi del Consiglio in maniera totale, assoluta, delegando ad alcuni di voi il compito di essere il braccio come noi siamo la mente.
- Quante volte l’ho sentita questa storia… - pensò la donna, alzando gli occhi al soffitto. Una donna poco più anziana di lei la stava fissando, mollemente appoggiata alla spalla di un uomo sulla quarantina vestito di grigio. Sorrise alla donna, che voltò sdegnata la faccia come se avesse avuto schifo nel vederla. – Puttanella…
- Ma questa sera è accaduto un fatto gravissimo, che ci ha costretti a riunirvi tutti. La nostra preda appena catturata è fuggita.
Un coro di sospiri spaventati, imprecazioni ed esclamazioni di vario genere si levò dagli astanti.
- Sono sicuro che sappiate benissimo quanto questo sia un problema per noi e per i nostri piani, considerando anche l’avvicinarsi della riunione decennale che si terrà proprio in questa città. Tutte i nostri migliori elementi sono impegnati in vari compiti che non starò a ripetervi, per cui siamo costretti a ricorrere ad un elemento che non avremmo mai voluto utilizzare, sperando che avesse ancora anni di crescita prima di dover affrontare un pericolo come questo.
- Attenta bimba, è il mio momento… - sussurrò Igor alla donna, che non lo degnò di uno sguardo.
- Di certo non sono io. Il Consiglio mi odia, e mi avrebbe già eliminato se non fosse per il sangue che porto in me… - pensò Alyssa, chiedendosi allo stesso tempo il motivo della sua presenza alla riunione di quella sera.
- Signori, il Consiglio ha deciso di dare il compito di Cacciatore ad Alyssa Morville…
Improvvisamente si sentì osservata da tutti, ma non si scompose. Era abituata ad essere guardata, ma stranamente non con disprezzo come al solito, ma con stupore, invidia o collera. O puro odio, come lo sguardo che Igor le stava lanciando, i pugni chiusi, le braccia tremanti.
- …e la Preda è Alexandra Nordvirk, detta Misha.
Se Alyssa avesse avuto un cuore che batteva, lo avrebbe sentito scoppiare in petto. Nuvole nere si erano addensate attorno a lei, ma invece che tuoni, nelle sue orecchie risuonava la risata del suo peggior nemico.
   
 
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